Il viaggio di Noni in Giappone
Questo splendido viaggio fatto in due lo riporto con il diario di viaggio che ho scritto mentre lo stavo intraprendendo. Non stupitevi quindi del tono “colloquiale” e a volte ironico…Ma è il mio modo di raccontare ad amici e parenti.
Prima di andare in Giappone abbiamo trascorso una settimana alla Maldive. Riporto quindi di seguito anche il viaggio da Malé a Tokyo.
29-10.-09 Siamo a Tokyo…Ma ce ne è voluta per arrivarci…
Prima il caldo asfissiante di Malé, poi il volo della Malasyan Airlines (considerata una delle migliori linee aeree del mondo). Allora, innanzitutto facciamo uno scalo che non avevamo notato nel biglietto, Colombo, Sri Lanka, dove siamo stati fermi quasi due ore ( alle 3 di notte circa, completamente stravolti) ed è salita bordo altra gente e da lì fino in Malesia, dove abbiamo dovuto cambiare aereo. Beh, la prima parte del viaggio è stata abbastanza terrificante. Bambini che piangevano, gente che si alzava continuamente per andare in bagno (proprio dove eravamo seduti noi!) e non chiudevano mai a chiave e non uscivano durante la fase di decollo per cui una hostess doveva bussare ripetutamente alla porta. Ho pensato “meno male che doveva essere una delle compagnie aeree con il miglior servizio!”. Poi da Kuala Lampur a Narita (l’aeroporto di Tokyo) è cambiato tutto, stessa linea aerea, ma un mondo di differenza. Un trattamento del tutto diverso nella seconda parte del viaggio. Entrambi i voli sono durati 6 ore eppure nel secondo abbiamo avuto tre pasti, ci venivano continuamente offerte bevande e il dessert era una mini confezione di gelato Hagen Daaz. Per non parlare del fatto che ognuno aveva il suo schermo per vedere dei film mentre sull’altro aereo NO! Mah… Non me lo spiego (o forse sì, ma questi non sono argomenti da affrontare in questa sede).
Dunque arriviamo a Tokyo e troviamo le nostre valige che ci aspettano perfettamente allineate vicino al nastro. Sì, siamo proprio in Giappone. Come molti di voi faccio parte della generazione che è cresciuta a suon di Lupin, Georgie, Creamy, Sampei e chi più ne ha…Più ne metta…
Però il viaggio ancora non è finito. Abbiamo preso il treno (abbiamo preso la Japan Rail Pass in Italia prima di partire (qui non si può comprare) perché il trasporto pubblico è carissimo) e dopo un’ora eravamo finalmente in albergo. Abbiamo viaggiato per quasi 24 ore. Erano già quasi le dieci di sera quando siamo usciti eravamo un po’ preoccupati perche in molti ci avevano detto che alle 23 la vita notturna qui finisce. Forse non erano mai stati a Tokyo. Il primo impatto è stato un po’ come quello con Time Square a Manhattan, un miliardo di luci e di colori, di locali, persone. Noi qui siamo nel quartiere che si sviluppa attorno a Ueno Park, lo definirei il quartiere dello svago, della lussuria, un groviglio di stradine su cui si affacciano tante porte che celano, in maniera neanche troppo discreta, promesse di divertimento per tutti i gusti . Dopo poco più di un’ora ci siamo resi conto di due cose : nessuno parla inglese (né nessun’altra lingua tranne il giapponese), tranne in aeroporto non abbiamo trovato una persona che spiccicasse mezza parola di inglese, menomale che ho comprato un dizionario tascabile di italiano-giapponese. Altro mito da sfatare: non è vero che il Giappone è caro. In un localino alla moda pieno di ragazzi in giacca e cravatta e ragazze vestite in maniera molto trendy (e anche molto bizzarra) abbiamo speso il corrispettivo di 47 euro (6,600 yen) per cenare e bere in due. A Roma nemmeno in pizzeria! Tutti fumano anche dentro i locali (e quanto fumano!) e il sakè è servito in una miriade di barattolini di vetro ognuno decorato con un disegno diverso, una geisha, un cervo che corre tra foglie rosse, una montagna. Il cibo è delizioso e la cucina giapponese è molto più vasta di quella che conosciamo in Italia, c’è di tutto e comunque ci sono anche molte catene di fast food occidentali per chi non gradisse (KFC, MC Donald’s aperti 24 ore su 24). Dopo siamo andati in un altro bar-locale-taverna tipicamente giapponese. Mi sembrava di trovarmi in un manga, due ubriaconi seduti al bancone accanto a noi sospiravano, picchiavano la fronte l’una contro quella dell’altro, si toccavano i capelli, degli atteggiamenti che in qualche modo mi hanno ricordato quel programma, “Mai dire Banzai”.
Non so come siamo riusciti a tornare a casa alle 3 di notte e stamattina, quando la sveglia è suonata alle 9 e Hugo è scattato in piedi come un grillo, ho seriamente pensato di fingere di avere l’influenza di tipo A o come diavolo si chiama. Alla fine (anche visto il viaggio da cui siamo reduci) mi sono imposta e sono rimasta a letto fino a mezzogiorno nonostante le sue minacce di uscire senza di me. Stasera a casa entro le 22, dice…Vedremo…
Una volta che Hugo è riuscito a trascinarmi via dal letto, a farmi fare la doccia e tutto il resto (e ad infilarmi dei pantaloni nuovi elasticizzati e talmente a vita bassa, tanto che se mi siedo devo legarmi una giacca in vita se no mi esce il popò di fuori), finalmente usciamo dirigendoci verso il tempio Senso-Ji, a detta di Hugo a circa 15 minuti di distanza a piedi. Sì, 15 minuti…Sorvoliamo. Ne è valsa davvero la pena. Il posto è molto turistico anche per gli stessi giapponesi e c’erano scolaresche in gita, donne (e uomini) in kimono, file e file di bancarelle che vendevano dolci, bambole, ventagli, gadget di ogni sorta, un negozio interamente dedicato ai gatti. Alla fine di questo boulevard all’apice del kitsch, un immenso braciere di incenso attorno a cui si affolla la gente per respirare i fumi che porteranno loro salute e fortuna e il tempio stesso, il più sacro e importante di Tokyo. La gente prega, esprime desideri annodando piccoli fogliettini intorno a delle grate. E’ molto bella la statua del Buddha Nade Botokesan, completamente allisciata e levigata dalle mani dei fedeli che invocano il suo aiuto. Respiro a fondo e faccio mia l’anima di chi crede nel rosso della fortuna, nell’odore affumicato degli incensi, nella tradizione e mi sento lontanissima dal mondo ma protetta e felice perché a volte la lontananza ti porta più vicino a te stesso di quanto avresti mai potuto immaginare. Ci sono ancora i riksho (risciò) trainati dalle persone! I bambini vestiti da scolaretti vanno in giro da soli per la città (anche bambini piccolissimi, di circa 5 o 6 anni). Non so come sia possibile eppure li abbiamo visti ovunque. L’unica cosa che posso pensare è che abitino molto vicino alla scuola e percorrono da soli le poche decine di metri tra la scuola e la casa e che cmq questa sia una città davvero molto sicura con una micro criminalità pressoché inesistente. Dopo il tempio siamo andati al quartier Yanaka, che sopravvisse al terremoto del 1923 e alla seconda guerra mondiale. Ci sono ancora le vecchie caratteristiche case in legno dei cartoni animati e i vialetti sono piccoli e tranquilli. Abbiamo anche visitato il cimitero, pieno di gatti dalla coda corta e al ritorno siamo passati per Ueno Park. Eccoci finalmente in albergo dopo una giornata estenuante dovuta anche a quei diavolo di jeans a vita bassa. Ogni tanto io e Hugo ci dovevamo fermare, lui mi infilava le dita nei passanti della cinta, contavamo fino a tre, io facevo un salto e lui me li tirava su. Una macchina della polizia che è passata dentro al cimitero mentre noi compivamo questo rituale tra le tombe, ci hanno guardato un po’ storto. Vabeh, ognuno ha i suoi riti. Viaggiare insegna che tutto si accetta…Se non fai del male a nessuno.
2009-10-30 Illuminazione! Il Giappone è meraviglioso! Un paese che ti mette serenità, ti da un senso di pace ed armonia, anche in una grande metropoli come Tokyo. Il cibo è delizioso, la gente gentile, libera. Sì, libera. Altro che NY, Londra, Parigi. Qui davvero ognuno si veste come vuole, dallo stile manga a quello sexy a quello rockettaro, punk e nessuno guarda nessuno, ma non per una questione di indifferenza, credo, quanto di semplice rispetto della libertà individuale. Le ragazze sono belle, curano tantissimo i capelli (sembrano sempre fresche di parrucchiere), hanno extension per le ciglia, per le unghie, per i capelli, sono truccate a regola d’arte. Sembra davvero una sfilata di moda.
Prima di parlare di oggi, devo raccontare di ieri sera e già mi viene da ridere. Dopo una serata a base di sushi abbiamo deciso di riandare nel localino minuscolo dove avevamo trovato i due ubriaconi. E bene, erano di nuovo lì. Ci siamo seduti al bancone (lo spazio tra il bancone e la parete dietro di noi non più di mezzo metro, per capire le dimensioni del posto) e abbiamo notato una new entry. Anzi, diciamo che lui ha notato noi perché appena siamo entrati ha fatto un’esclamazione e ha cominciato a salutarci in inglese. Un signore distinto con la barba bianca sui 55-60 anni. Abbiamo cominciato a parlare di tutto, dall’Italia, al Giappone, ai viaggi, alla cucina. Lui era davvero ubriaco eppure teneva in piedi benissimo la conversazione. Ha imparato l’inglese all’università e ha viaggiato molto in America e Gran Bretagna. Non so neanche io come la serata sia potuta degenerare al livello in cui: A si sono alzati in piedi ( sotto mia richiesta ) lui e i due ubriaconi e hanno cantato l’inno giapponese. B, Io ho cantato China girl di David Bowie (sotto richiesta di uno dei giapponesi ubriaconi, che conosceva due parole al di fuori della lingua giapponese: David e Bowie), quindi ho cantato e ballato China Girl con questo bizzarro energumeno, il tutto ripreso dalla telecamera da Hugo. Ma il top della serata è stato quando ci ha chiesto dove alloggiavamo (il signore che parlava inglese ovviamente), (praticamente a 20 metri da lì), gli abbiamo detto Park Side Hotel. Lui ha buttato la testa all’indietro, mento all’indentro e ha spalancato gli occhi… “PAHK SAHHHD!!!? PAHK SAHHHHD?” Ci racconta che il suo capo è il presidente del Park Side e così si è messo in testa (nel suo stato a dir poco non sobrio) di andare a cercare il presidente dell’albergo per dirgli che ci doveva trattare con i guanti di velluto. Ogni tentativo di fermarlo è andato fallito, non solo, quando si è catapultato dal locale a massima velocità, non sapeva neanche il cognome con cui avevamo prenotato, ma solo i nostri nomi di battesimo, quindi ho detto ad Hugo di inseguirlo. Hugo mi ha detto che è uscito per strada e c’era lui, il mitico signor Shybatah San che correva a gambe aperte (forse per non perdere l’equilibrio) verso l’hotel. Hugo gli è corso dietro dicendo “Excuse me…The name is Cabral Alves” e così il mitico Shybatah ha proseguito come nulla fosse in mezzo alla stradina ripetendo ad alta voce “Cabbrahl Avés, Cabbrahl, Avés”. Quando è ritornato sapeva il numero della stanza in cui alloggiamo! IO non so qui come funzioni, ma nemmeno dopo due litri di vodka andrei a cercare il mio capo per dirgli di trattare bene dei clienti. Ma che ridere! Oggi abbiamo di nuovo appuntamento con lui… Deve essere colpa mia…Della mia capacità…Come si suol dire di fare amicizia con cani e porci…Non che il signor Shibatah sia un porco o un cane…Per carità…Ma avte capito il senso…! E comunque… Tutto rispetto ai cani e a ai porci! Oggi siamo andati nella zona commerciale di Tokyo, Shinjuku. Qui compreresti di tutto! E’ pieno di negozi, negozietti, bancarelle, macchinette, distributori di bevande, sigarette, giocattoli di ogni sorta, bische del famoso gioco pachinko (una specie di flipper ma molto più fuori, allegherò foto). La parte est di questo quartiere è un po’ più tradizionale, ma pur sempre dedicata al divertimento, ci sono delle viuzze piccolissime piene di bar minuscoli aperti solo di notte che hanno una clientela fissa. La parte ovest è quella dei grattacieli e qui sembra davvero di essere a Manhattan, con l’unica differenza che sono tutti giapponesi Salendo sul grattacielo Sumitomo (gratuitamente) si può godere di una vista fantastica dello skyline di Tokyo, un po’ come l’Empire State Building a NY.
Comunque è vero che i giapponesi slurpano la zuppa, oggi a pranzo ero circondata. Fanno un risucchio fortissimo! Ora vado, ma non prima di dirvi che mi è venuto in mente che il caro Shybatah ci ha detto che dorme due ore a notte, dalle 4 alle 6, quando si alza per andare al lavoro e saluta sua moglie ed i suoi 4 figli. Oh-MY-GOD…
31-10.-09 Oggi sono abbastanza distrutta, anche perché dopo la lunga camminata, appena tornata in albergo ho dovuto lavare tutti i nostri vestiti sporchi ( o per lo meno quelli essenziali, biancheria, magliette, calzini ecc) che ci portavamo dietro ancora dalle Maldive. Ho dovuto lavarli a mano in vasca da bagno e appenderli qua e là alla meglio e peggio (più peggio che meglio) per il bagno, perché nonostante vari tentativi non siamo riusciti a farci spiegare dove si trovi una lavanderia in zona, abbiamo capito di sicuro che in albergo non c’è. Un altro problema dell’ostacolo della lingua. Spero solo si asciughino entro 2 giorni perché martedì partiamo per Takayama.
Ieri la serata con Shybata non ha deluso. Siamo arrivati tardi e lui non c’era (l’appuntamento era tra le dieci e le nove). Ma uno dei due ubriaconi (li chiamo così perché davvero non riesco a memorizzarne i l nome!) spiccica due parole di inglese e siamo riusciti a capire che sarebbe tornato, così abbiamo preso il nostro buon sakè e abbiamo aspettato (Hugo si è mangiato 6 ostriche nel frattempo). Ad un certo punto il telefono del minuscolo locale ha squillato ed il proprietario è andato a rispondere, poi è venuto da noi e ha detto : “Mr Shybata is coming.” HAHAHA! Alla fine abbiamo scoperto che è un insegnante di inglese (si spiega perché lo parla bene a differenza degli altri) e che il presidente dell’hotel era un suo vecchio compagno dell’università. Vorrei dirvi di più, ma non ce la faccio…Sono troppo stanca.
Aggiungo solo che siamo andati a vedere un quartiere chiamato Harajuku che è davvero una sorta di Camden Town giapponese, davvero da non perdere.
Altre piccole chicche: i giapponesi quando ridono battono ripetutamente le mani.
Per dire “IO” si toccano il naso.
Lunedi sera ceniamo con il mitico Shibatah (al quale ho regalato un accendino di plastica italiano e mi ha detto che lo conserverà per tutta la vita…!).
IO ci vivrei qui, davvero. A NY non ci vivrei mai, ma qui sì. E’ una città che riesce ad essere vivissima e calma allo stesso tempo, incredibilmente organizzata, libera e per strada la gente ride sempre. Viva Tokyo.
Ciao e Buon Halloween a tutti! 1 novembre Ueh, ma state leggendo o scrivo al vento?? Mah… Comunque, ieri sera abbiamo mangiato yaki nuki. Ogni tavolo ha un suo braciere e ti portano ogni sorta di carne e verdure da cuocervi sopra. Buonissimo e davvero poco caro. Io ho comprato le calzette che qui portano tutte le ragazze giapponesi (sopra il ginocchio tipo mini autoreggente), penso che in Italia non le potrò mai mettere… Si sa come sono gli italiani, qua non ti guarda nessuno! Potresti andare nudo per strada! Poi ieri abbiamo fatto una bella scoperta, il bar lounge nell’attico del nostro hotel. Qualcosa di meraviglioso. Una vetrata perimetrale che si affaccia su Tokyo, un pianoforte a coda con una signora che suona e canta musica soft in sottofondo. Luci soffuse, ogni poltrona disegnata da uno stilista diverso, c’era anche il caminetto (spento perché non sta facendo affatto freddo). Quando ce ne siamo andati, la bar woman (ce ne erano due più un signore in smoking ed un’altra donna che erano in sala) ci ha accompagnato fino all’ascensore e si è inchinata a 45 gradi, non si è mossa, è rimasta così finché le porte dell’ascensore non si sono chiuse. Abbiamo riso fino al piano terra. Ridere fa bene e non c’era nessuna malizia nel nostro buon umore.
Oggi siamo andati in una cittadina ad un’ora circa da Tokyo, Kamakura, l’ex capitale del Giappone. Ci sono 19 santuari scintoisti e 65 templi buddisti! Oltre all’enorme statua del Buddha. C’era moltissima gente in kimono (non che sia una rarità, si vedono spessissimo anche a Tokyo). Non posso descrivere quanto fosse bella questa città di collina e di mare, con un cielo azzurro e le aquile che volavano sopra le nostre teste. Decine di aquile che viaggiavano sul vento dell’oceano pacifico come aquiloni. Surfisti giapponesi cavalcavano le onde e mi è sembrato impossibile essere così lontano da casa e mi sono sentita così felice di avercela fatta…Nonostante le mie paure… Nonostante le paure che a tutti noi vengono inculcate dalla politica del terrore. Come dice mia cugina scozzese… “Ho paura… Ma la paura non mi impedirà mai di viaggiare…Sarebbe sciocco.” A volte sembra così difficile superare le proprie fobie e poi, invece, basta un passo e senza accorgertene sei già dall’altra parte…Non sei più tu eppure sei un TU nuovo, vecchio, uguale e diverso. E capisci cosa vuol dire vivere.
I templi sono meravigliosi. La gente qui nonostante l’apertura mentale è molto tradizionalista e religiosa. Vorrei anche parlare della loro arte di dormire in piedi. I giapponesi dormono ovunque! Per strada, sulle panchine, ma soprattutto in treno e in metro. Sarà perché come Shibatah, dormono poche ore a notte, ma davvero, alcuni dormono in piedi! Si tengono alla maniglia del treno, chiudono gli occhi e ogni tanto la testa gli ciondola e allora la risollevano. Ma io mi domando, come fanno a non cedere anche le gambe se cede il collo? Amo questo paese, l’unico problema invalicabile rimane la lingua. La spiccicano a malapena (ma due parole davvero) anche in hotel alla reception, i bancomat sono tutti in giapponese, quindi conviene davvero venire con tutte le informazioni possibili e immaginabili perché qui non sanno darti indicazioni di nessuna sorta. Due cose importanti: si preferisce ancora il denaro in contante qui per pagare qualsiasi cosa, anche gli hotel, ristoranti ecc e per ritirare i soldi bisogna andare ai bancomat delle poste, agli altri non c’è verso.
Sayonara per oggi Fiona San 3- 11- 09 Eccoci sul treno. Dopo mille peripezie (che bella parola) ce l’abbiamo fatta a partire. Ma cominciamo da dove in genere si inizia, ossia dal principio.
Il principio di questo nuovo capitolo del diario di viaggio è ieri mattina. Ieri è stata una giornata speciale e proprio quella, guarda il caso, in cui non avremmo dovuto essere a Tokyo, avendo confuso la data della partenza per Takayama. Al mattino Hugo è andato alla posta a cambiare i soldi mentre io poltrivo, poi è tornato in albergo e mentre mi preparavo ha letto delle poesie di Alda Merini (da internet) una poetessa italiana morta ieri. Have a nice trip to heaven.
Poi siamo usciti e abbiamo fatto 100 metri e ci siamo fermati in un negozio di giocattoli che fuori sembrava piccolo, ma dentro celava ben 5 piani. Da qui ho capito che la cultura giapponese ruota intorno a due cose: i manga e la tradizione e proprio qui sta il fulcro di quel incredibile contrasto che vedi ovunque per strada tra ragazzi vestiti come se venissero dal futuro, da uno strano pianeta, da un fumetto e la gente in kimono, gli inchini a 45 gradi, la formalità, l’onore, la famiglia. Ma torniamo al negozio di giocattoli. Un negozio di giocattoli giapponese non è un negozio di giocattoli, è una paradiso di gadget diviso in precise sezioni tutte appiccicate, tanto che ne sei quasi sopraffatto, ti senti quasi soffocare dal “troppo”. Ed è stato un tuffo nel passato. Una cosa incredibile, perché in Italia siamo cresciuti con i cartoni animati giapponesi e lì ho rivisto cose di cui non ricordavo nemmeno l’esistenza. Lamù, Lupin, Lady Oscar (a proposito esiste anche l’eyeliner per avere gli occhi come Lady Oscar, si chiama Oscar Impact…Ovviamente comprato). E ancora Hello Kitty, My Melody, Mon Chiccì e quei due angeli gemellini con i capelli blu e rosa di cui non ricordo il nome. Impossibile spigare quello che si prova, davvero). Non sai dove mettere le mani, perché compreresti tutto, ma davvero tutto. Un tuffo nel passato.
Dico “provato” perché alla fine il 90% dei vestiti che vendono qui, in Europa se te li metti o chiamano la Neuro o ti chiedono “quanto a botta?” (Con tutto rispetto per i giapponesi, siamo noi che siamo indietro. Comunque, voi pensate alla cosa più esagerata che riuscite e poi triplicatela (tra poco ve ne porterò un esempio lampante). Quindi si diceva, non abbiamo comprato niente di vestiario. Le gonne? Sono lunghe dieci centimetri a voler esagerare (i giapponesi tendono ad essere bassi e magrissimi, veri e propri grissini, hanno delle ossa minuscole). Io ero sempre la ragazza più alta ovunque anche se le altre portavano tacchi altissimi e io ero con le scarpe da ginnastica (eh già). Quindi, niente shopping. Siamo andati invece in un bel pub (americano perché qui i pub non esistono) e ci siamo seduti. Dopo un po’ che eravamo lì arriva LUI. Il mito, non Shibatah san, quello è arrivato dopo e ha dato il top, ma LUI/LEI. >Un signore giapponese sui 65 anni così vestito. Una sorta di tutù da ballerina/vestito da bambola, con la gonnella (fatta proprio tipo tutù da ballerina) composta da due strati, uno rosa e uno rosso. Il davanti del corpetto è di piume rosa. Sulle braccia nude porta bracciali di stoffa a forma di petalo. Il viso non è truccato, ma in testa porta una semplice parrucca nera a caschetto con la frangetta sotto alla quale spuntano due occhietti neri tipo biglia. In testa porta un cerchietto, una sorta di crestina di pizzo e merli che gli copre metà testa. Porta delle calze bianche di nylon e dulcis in fundo, dei sandali rosa con vertiginoso tacco a spillo e cinturino a fiocco rosa. Entra nel pub, guardandosi allo specchio lungo tutta la parete, si siede al bancone, ordina una birra e nessuno batte ciglio.
La sera ci siamo visti a cena con Shibatah san, ormai anche uno dei due ubriaconi è diventato parte del gruppo, lo chiamo il secco, perché peserà si e no 40 kg. Non dice mai nulla, annuisce e basta (chissà se capisce) e cerca cose in internet sul cellulare su cui guarda anche cartoni. Lavora al ministero dell’educazione. Lì nel nostro amato localino di Ueno è tutto in giapponese per cui ci siamo affidati a loro. Non lo avessimo mai fatto, almeno parlo per me. Mi è toccato mangiare un’ovaia di maiale… Una zuppa con dentro un coso che non vi dico nemmeno che sembrava, credo fosse una specie di zampa di polipo (brufoloso pure) di un colore spento tra il rosa scuro e il grigio. E lì vino, saké, shochu, in nessun ordine preciso e a ripetizione. Prima però, il pezzo forte. Abbiamo raccontato a Shibatah san che abbiamo sbagliato la data ed invece di essere nel nostro bel Ryokan (una sorta di B&B tradizionale giapponese in campagna con terme ecc) eravamo ancora a Tokyo (ovviamente il Ryokan lo avevamo prenotato) Alché lui si è offerto di chiamare il Ryokan per spiegare la situazione (in realtà il numero è stato composto dal secco perché Shibatah san odia computer e cellulari e non ne possiede, per cui io credevo che avrebbe parlato il secco. Sbagliavo.) Non so nemmeno come ci presenteremo oggi lì. A parte che ormai a quel punto Shibatah si confondeva e parlava inglese con i giapponesi e giapponese con noi. E lo stesso ha fatto al telefono, mischiando tutto. Gli ha detto che noi siamo i suoi migliori amici che siamo in luna di miele e che non dobbiamo pagare la serata che abbiamo perso anche se non abbiamo disdetto (280 euro tra l’altro). IO non sapevo se piangere, se ridere (in realtà ridevo e anche Hugo, ma con le lacrime agli occhi). Hugo mi diceva, “ma dai, va bene, vedi che il secco fa sì con la testa?” Peccato che il secco fa sempre sì con la testa ( e gli occhi chiusi e il sorriso un po’ sdentato…). La telefonata è andata avanti un po’, tra inglese, giapponese, richieste di promettere che noi non avremmo dovuto pagare anche la serata persa e dall’altra parte del telefono si sentiva una vocina spaurita… Oh mio Dio… Non sappiamo neanche noi che fare. Io penso faremo completamente i vaghi, è l’unica…Ma io dico… Ma sempre noi ci cacciamo in queste situazioni? A fine chiamata, Shibatah ha detto che se ci chiedono di pagare noi dobbiamo dire di no, perché per telefono hanno promesso (ti credo, sennò lui mica li faceva riattaccare!). Io spero solo che sia una tradizione giapponese, una cosa che sfugge alla cultura occidentale e che fare così sia…Non dico “normale” sarebbe chiedere troppo, ma almeno “accettabile”. In questi momenti ringrazio la barriera linguistica che ci permetterà di fare gli gnorri quando arriveremo al ryokan.
Dopo (e dovevamo fare massimo mezzanotte … Abbiamo fatto le 3). Ci ha per forza dovuto portare nel sushi bar migliore di Ueno…Perché tutto è “il migliore del mondo” a Ueno. Dove ho dovuto assaggiare TUTTO, più non volevo, più dovevo, non c’era verso. Pesci viscidi bianchi con le squame ancora attaccate, litri di sakè caldo (che schifo), tè verde caldo, più dicevi “no, no, no” più era “Sì, sì, sì” anzi, come dicono qui HHHHHAI.
Addio Shibatah san, forse un giorno le nostre strade si rincontreranno. Ma devi bere un po’ di meno però e dormire un po’ di più.
Oggi il tempo è cambiato, per me per il meglio. Fa un freddo da neve, il cielo è blu, quasi psichedelico con strisce di nuvole. In treno però c’è il riscaldamento a palla (che palle, io ho il maglione a pelle e sto schiattando). Passiamo accanto ad un fiume pieno di grandi rocce grigie e montagne a punta, come triangoli ricoperti di alberi che cominciano a diventare rossi). Le case sono in stile tradizionale giapponese, la gente lavora nei campi e va in bicicletta.
Che vi devo dire… Mi sento fuori dal mondo…
DOPO (nel senso di tre giorni dopo più o meno).
Japanese experience.
Non la vera vita giapponese, quella c’è anche a Tokyo, a Kyoto (dove mi trovo ora) a Osaka (detto Osakà), ma la vita rurale giapponese, tra le montagne, le notti fredde, il cibo della terra e dei fiumi, delle ciabatte diverse per ogni camera, dell’educazione, degli inchini, della semplicità, insomma, un inferno.
Hugo si astiene, per lui è stato eccezionale e sono certa che anche io la vedrò così, prima o poi. E meno male che ci siamo sbagliati e abbiamo fatto solo due notti! Allora , già quando arriviamo a Takayama mi prende un leggero stato d’ ansia (destinato a peggiorare). Il Ryokan di Takayama era di Lusso, per così dire. Appena entriamo ci fanno subito togliere le scarpe e ci danno delle ciabatte e ci portano una specie di maron glacé e del tè verde (rigorosamente senza zucchero). Il posto è davvero bello, tutto in legno con oggetti tradizionali, signorine in yukata (il kimono da riposo in cotone) che passano, sorridono, si inchinano. Veniamo portati alla nostra stanza. Un sorta di monolocale il cui pavimento è ricoperto da tatami, le tipiche stuoie giapponesi e lì rileviamo le ciabatte ed entriamo scalzi, perché il tatami non si calpesta mai con le scarpe. Poi c’è un bagnetto e lì, metti delle ciabatte speciali per il bagno che dovrai poi togliere prima di uscire dal bagno. Nello stato in cui stavo dopo la notte brava con Shibatah (la cui promessa di non farci pagare NON è stata esaudita), non mi sono ricordata nemmeno una volta di levare suddette ciabatte prima di uscire dal bagno. Nell’Ingresso ci avevano fatto scegliere un kimono da riposo da indossare a cena, lo abbiamo messo, foto di rito e siamo scesi nel ristorante dove ci è stata servita una tipica cena giapponese. E da qui in poi mangiare qualcosa non solo di NON giapponese, ma di non giapponese campagnolo è stato IMPOSSIBILE (non era bastata la cena della sera prima con Shibatah San). Questa cena in particolare non è stata malaccio, carni crude da cuocere su una piastra sul tavolo, zuppette, riso, verdure , qualche bacca, qualcos altro di decisamente immangiabile. Una sorta di liquido denso bianco e appiccicoso salato dentro una scodellina. Davvero, decisamente disgustoso. Per Hugo ovviamente BUONO, ma che deve dire una che si mangia con gusto ovaie di maiale, polipi brufolosi e grigi, uova di gallina non nate, trippa, cervella, orecchie di maiale…Devo andare avanti? Io non sono schizzinosa, ma questa cosa bianca era davvero schifosa. Dopo la cena (alle 19 l’orario più tardo in cui si poteva cenare) il nulla… Sì. Hugo è andato un po’ nell’onsen (vasca termale). Io su in camera dove abbiamo trovato i nostri futon già pronti a terra (mai più). Hugo si è addormentato alle 10…Io verso l’una attaccata ad un libro a dir poco pessimo…
Via da Takayama, via, su un piccolo pullman che ci porta in un’ora a Shirakawa-go (ci tornerò dopo) e poi in un’altra ora (con un altro pullman in cui ci siamo solo noi due…Ogni traccia di turismo ormai dileguatasi) ad Ainokura… Allora, prima di raccontarvi vi spiego che qui ci troviamo in una valle, chiamata, valle Shokawa, famosa perché qui ci sono le case gasho, zukuri. Case con i tetti di paglia a punta (paglia spessa fino ad un metro) tutte in legno ma costruite ad incastro, quindi senza neanche un chiodo. Una volta regione che ospitava rifugiati e perseguitati… È anche famosa perché qui si allevavano direttamente in casa bachi da seta. Ormai ci sono meno di 150 di queste case rimaste, 20 delle quali ad Ainokura. Venti e basta, nel senso che poi non ci sono altre case di altro tipo. Ce ne sono 20 così e poi non c’è niente… Più. Io amo la campagna, ancora di più la montagna e mangio senza problemi praticamente tutto… Però a tutto c’è un limite. Per carità, è un’esperienza da fare, però siate avvertiti. Arriviamo trascinando le nostre mega valige per il paesino con gli anziani che ci guardano come se fossimo alieni. Arriviamo alla casa e siamo accolti da una simpatica signora dai capelli arruffati e dall’età indefinibile. Leviamo le scarpe ed ecco stagliarsi di fronte a noi un ampia stanza di tatami con un braciere quadrato infossato nel pavimento ed un temperatura di circa tre gradi. La casa tipica ha circa tre piani, per il braciere non c’è una cappa come per i caminetti perché il fumo deve passare tra le travi di legno dei vari piani per arrivare all’attico dove così il pesce appositamente conservato in quel luogo verrà affumicato. Sì. La grande stanza è circondata da paraventi scorrevoli di cui non ricordo i nomi, ma sono letteralmente in legno e carta (si vedono in tutti i film giapponesi). Fatto scorrere il primo paravento si rivela la nostra stanza dove non c’è nulla se non una piccola stufa (i letti, sempre futon, sono ancora nell’armadio), poi scopriremo che la nostra stanza non è altro che una sezione di uno spazio diviso in tre da paraventi scorrevoli in legno e carta. Da un lato la stanza di un ragazzo neo zelandese di origini giapponesi e dall’altra quella di tre donne anzianotte giapponesi. Si vede e si sente tutto! Dopo aver visitato Ainokura (e con 20 case potete immaginare quanto ci è voluto) erano solo circa le 3 del pomeriggio, stavolta la cena era alle 18… Ci siamo andati a sedere nell’unico bar-taverna del posto e io ho mangiato due palle di riso e Hugo del gelato con fagioli, sì, gelato con fagioli, che c’è di strano? Cercando in tutti i modi di ammazzare il tempo fino all’ora di cena, beviamo una sakè e torniamo al ryokan. Io già non ce la facevo più. A “ cena” conosciamo i nostro coinquilini. Le tre signore giapponesi e il ragazzo neo zelandese (residuo di influenza suina). Lui è in Giappone per la quinta volta e stupito che noi abbiamo trovato un posto così poco turistico (lo sono anche io) e parla giapponese. La cena è servita su minuscoli tavolini individuali intorno al braciere sui cui sorgono infilzati per la bocca e a testa in giù, diversi pesci. Non ricordo bene cosa fosse la cena, ma bene o male era sempre più o meno questo che si trovava: pesce, specie crudo, zuppa di miso, tofu che non sa di niente, prugne in tutte le salse, verdurine strane in salamoia, riso sciapo, una specie di frittata dolciastra, spaghettini grigi o trasparenti, ma davvero trasparenti, che ci puoi vedere attraverso. Dopo cena la signora ci ha insegnato a suonare uno strumento giapponese del luogo, una specie di serpente di legno con due maniglie che devi frullare e poi siamo andati ad un onsen. Ci sono andata anche perché in casa non c’era traccia di doccia, ma solo di una bagno in comune con urinatoi ben in vista. All’onsen sono sola nella sezione donne, mentre Hugo è di là con qualcuno che scatarra e il neo zelandese giapponese-maori (li sento). Mi faccio la doccia in fretta e furia ed alle nove siamo di nuovo nell’ryokan pronti a dormire. SE dormire di può definire. E a mio avviso, NO, non si può. Prima le signore nella “stanza” accanto chiacchieravano, poi tossivano, POI russavano. Il futon era ancora più sottile di quello del precedente ryokan e il cuscino era grande come un pacchetto di fiammiferi imbottito di biglie. Mi riesco ad addormentare intorno a l’una e la sveglia è…Alle 5.45. Certo, che male c’è? Le signore ricominciano a tossire, le luci si accendono, riparte la parlantina. Alle 7 e un quarto è servita la colazione- E siamo allo solite… Palla di riso, verdure in salamoia, uovo (grazie a Dio cotto per noi, crudo per le signore), una specie di zuppetta e qualcos’altro che non capirò mai cosa fosse. IL ragazzo neo zelandese dopo due notti nei ryokan, uno a Ainokura e uno a Shirakawa-Go ha preso il pullman delle 7,50 e se l’è data a gambe. La notte precedente la signora del ryokan gli era entrata in camera per svegliarlo per la cena (alle 18,15…Sempre prima) e poi quando alle 18,45 lui aveva detto di voler uscire a fare una passeggiata lei aveva detto di no perché le mura delle case sono sottili e avrebbe disturbato la gente, così è tornato alle 18,45 in una camera senza letto, senza sedia, senza televisione a vedere un film che si è portato sul computer per la decima volta. Poi la notte la stufa si è spenta e si è risvegliato con meno due gradi in camera ( qui c’è già la neve, per capirci).
Nessun pullman poteva essere abbastanza veloce per me. Arriviamo a Shirakawa go (altre 40 case) e dobbiamo starci QUATTRO ore… La zuppa è la solita con i vermicelli grigi… Sul treno per Kyoto siamo circondati da una comitiva di pensionati e io non vedo l’ora di vedere le luci della città…Io…Un’amante della campagna… Insomma, è sicuramente un’Esperienza con la E maiuscola, ma bisogna andarci consapevoli di ciò a cui si va incontro. Siamo a Kyoto da ieri…Ma non posso continuare a scrivere, voglio uscire e andare a cercare un po’ di cibo occidentale! Sì. Chi l’avrebbe mai detto. Un cibo che non mi fa avere la pipì color oro.
A domani! Ho perso la cognizione del tempo. Che giorno è? Boh, so solo che ho ancora due notti a Kyoto, poi una a Osaka e poi si parte, anzi la notte ad Osaka non è nemmeno intera perché abbiamo l’aereo alle 9,30 di mattina il che vuol dire alzarsi tipo alle 5… Massimo.
Non ci voglio pensare.
Kyoto è bellissima. Kyoto è una poesia scritta con foglie di ciliegio, tetti di templi inondati dalla luce arancione dei tramonti, è il gorgoglio dei fiumiciattoli, il viso bianco delle geisha, i piccoli passetti dentro ai kimono. Insomma, è indiscutibilmente più bella di Tokyo. Ma Tokyo va vista. Qui non ci sono gli eccessi, le follie, quell’aria da luna park aperto 24 su 24 che c’è a Tokyo. Tutto è più moderato, più silenzioso, più tradizionale. Sono le due facce del Giappone. Entrambi, tuttavia, molto, molto avanti rispetto a noi. Sono più puntuali e più puliti della Svizzera, non abbiamo mai visto una, che sia una carta o cicca a terra, mai, nemmeno una volta. I treni e le metro spaccano il secondo, tutto è perfettamente organizzato, tanto che quasi ti dimentichi di pensare a ciò che devi fare, l’efficienza ti trasporta come un tappeto magico. Devo aggiungere che tutto è stato interamente organizzato dal mio adorato maritino Hugo, che conosce ormai a memoria le mappe di Tokyo, Kyoto…E sì anche di Ainokura… Per quella non ci è voluto molto.
Kyoto è la città dei mille templi, ci sono templi ovunque, una cornucopia, un’orgia, un’abbondanza di templi, tutti diversi, tutti bellissimi. Templi che quasi tutti si affacciano dall’alto sulla città (Kyoto è circondata su tre lati dalle montagne). I caucasici sono pochissimi e quando li incontri per strada ti viene quasi da salutarli come vecchi amici. Perdersi con il proprio compagno di viaggio è impossibile, ti ritrovi subito anche in mezzo alla folla.
Ci sono alcune cose di Kyoto e dintorni che sono davvero imperdibili. La prima è il quartiere di Gion. Il quartiere del divertimento. Il divertimento alla vecchia maniera. Se Tokyo era New York, Kyoto (e specie Gion) è San Francisco, con le sue tante stradine che vanno su e giù. Qui puoi vedere le geisha (il termine significa “artista”) anche se oggi credo non svolgano più i compiti di un tempo, apparentemente il loro intrattenimento (cioè essere intrattenuti da loro e mantenerle) costerebbe troppo. Tuttavia solo vagare per Gion è un’esperienza unica, ci sono le casette di legno, sale da tè, strade lastricate che sono considerate patrimonio culturale, una pagoda a 5 piani e poi c’è il tempio Kiyomizu, che ha più di mille anni e si erge sul lato della montagna, fiero come un gigante che veglia sulla città. Ci siamo arrivati al tramonto. Qui tutti gli alberi sono rossi e gialli ed è stato uno spettacolo meraviglioso. Come sempre nei templi si cammina a piedi scalzi.
L’altra cosa imperdibile è Nara, ad un’ora di treno da Tokyo. Il cuore del buddismo giapponese, l’ultima tappa della via della seta. Qui c’è la statua in bronzo più grande del mondo, inutile dirvi che rappresenta Buddha. Nara è la città dei cervi. I cervi la fanno da padrone. Ci sono più di mille cervi e sono considerati messaggeri degli dei. Per cui venerati e rispettati. Cervi nel parco, nel bosco, cervi per strada, nel tempio, cervi che mordono la giacca agli anziani per rubargli il cibo, cervi che ti inseguono dandoti le cornate perché sentono l’odore dei biscotti che puoi comprare lì, appositamente per loro. Meno male che non avevano le corna! Un cervo un po’ anzianotto ma grosso ha deciso che io e Hugo gli dovevamo più di un biscotto ed è stata una dura lotta lasciarcelo alle spalle. Ogni tanto si sentono le urla di qualche bambino terrorizzato. Insomma, dove al mondo di può rivedere una cosa simile???? La terza cosa imperdibile è la passeggiata del filosofo. E qui mi fermo, chiudo gli occhi e vibro. Solo pensarci è un magnifico “OM” che ti smuove tutti i chakra e ti riempie la mente di pace. Si chiama così perché un professore di filosofia dell’università di Kyoto la percorreva ogni giorno, insomma, l’ha inventata lui questa passeggiata lungo il canale. Apparentemente è spettacolare a primavera, quando fioriscono i ciliegi. Ma anche oggi non è stata da meno. Gli alberi erano tutti rossi e gialli. Il cielo era blu, di un blu profondo e intenso e incredibile. Questo canaletto scorre tranquillo, pochi cm d’acqua che trasportano foglie, pezzetti di legno. C’è il tempio Eikan Do. Un’oasi di pace, di corridoi di legno scricchiolanti sul cortili silenziosi di verde, stagni pieni di carpe rosse e bianche e grosse come tonni, tanto che ti viene da pensare che debbano essere secolari e possedere un’infinita saggezza. Il legno sotto i tuoi piedi scalzi sembra quasi farti un gradevole massaggio, che sicuramente è gradito dopo le lunghe camminate. Poi c’è il tempio Honen-in con un ingresso dal tetto in paglia, dentro ci sono dune di sabbia decorate a mano con complessi disegni fatti con striature: la bellezza di un attimo che poi verrà distrutta, perché tutto è transitorio ed eterno al tempo stesso (ed è questo ciò che si respira qui), come l’importanza di mantenere la tradizione e di evolversi allo stesso tempo. E poi il tempio Giankaku-GI con il suo cosiddetto padiglione d’argento situato in un piccolo bosco dove nonostante l’abbondanza di visitatori, si “odono parlar solo gli augelli”.
Kyoto ha molto da regalare e molto da insegnare, sotto tutti i punti di vista. Ci sono quei posti che sai che non dimenticherai mai. Questo è uno di quelli.