L’ Islanda è certamente il paese dei contrari, dove il caldo convive col freddo, il ghiacciaio col vulcano, a volte uno sopra l’altro, il mare con la montagna, il bello col cattivo tempo, il brullo con il verde. Al centro dell’ Oceano Atlantico c’è la faglia di separazione della zolla europea e della zolla americana e attraverso questa faglia fuoriesce continuamente magma incandescente. Il magma solidifica a contatto con le fredde acque dell’Oceano e forma un montarozzo. Montarozzo oggi, montarozzo domani, l’altezza cresce sempre di più fino a spuntare sopra il livello del mare, ed è così che si è formata l’Islanda che è divisa all’ interno fra zolla americana e zolla europea che si allontanano di 2 cm all’anno e scatenano i terremoti, le eruzioni effusive e le fratture così frequenti in Islanda. Il viaggio è stato preparato molto meticolosamente grazie anche a Maurizio che andava per la seconda volta in Islanda e che voleva che anche la moglie la conoscesse. In tutto eravamo 7 persone, 5 adulti e 2 ragazzi, dal 21 giugno al 3 luglio 2007 e l’itinerario è stato incentrato sulla strada circolare esterna islandese, la numero 1, da percorrere in senso antiorario, con 2 incursioni indispensabili ed imperdibili verso il centro. Vettovaglie Portiamo 42 kg di cibo dall’Italia che deve servire per 12 giorni per 7 persone, pesando singolarmente ogni item in modo da distribuirlo fra le 7 valige (15 kg max) e 7 bagagli a mano (10 kg max) consentiti da Ryan air senza supplemento oneroso di peso. Spaghetti, olio, sughi in vasetti di vetro, salumi e formaggio sottovuoto, buste di minestrone, purè, risotti già conditi e cioccolato che sarà il primo a finire. Le cibarie ci basteranno e ci divideremo le rimanenze fine viaggio. Ci sarebbero comunque bastate anche senza le 3 cene fatte fuori. Indirizzi Le fattorie e le guesthouse, in genere, sono segnalate all’inizio della traversa che porta al caseggiato, per cui uno percorre la statale e non deve cercare via e numero civico ma il nome della famiglia ospitante. Spesso all’inizio della stradina c’è la classica cassetta semicilindrica per la posta ed una grata per terra che impedisce alle pecore di allontanarsi. Aereo Scegliamo la combinazione Roma-London Stanstead (Ryan air) e London Stanstead Rejkyavik (Iceland Express) che costerà 378 € A/R a persona, bagagli compresi (6 € a bagaglio per tratta con Ryan air). Si può fare di meglio: alcuni giorno dopo il volo Ryan air costerà 20 € A/R tasse incluse !!!!. Occorre seguire giornalmente le quotazioni e non essere condizionati da giorni buoni e cattivi per la partenza. Da valutare anche la combinazione Alitalia-SAS che, a detta di un forumista di TpC in partenza a fine agosto, porta a risparmiare qualcosina in più. Alitalia ? Chi lo avrebbe mai detto! Auto a noleggio Inizialmente ci eravamo orientati verso le canoniche Avis, Hertz e Europcar, che chiedevano 1900 euro per l’affitto di una Suzuki Gran Vitara 4×4 per 11 gg, riuscendo poi a spuntare 1700 euro con l’Auto Europe che agisce per conto Avis. Telefonate all’Avis di Rejkyavik per chiedere un auto a gasolio invece che a benzina, per avere, oltre ad un minor consumo, anche una potenza maggiore a un basso numero di giri, sortivano un accoglienza annoiata e risposte elusive poco edificanti. Non venivamo a sapere nemmeno il prezzo della benzina che, a posteriori, si aggira sui 122-124 ISK (corone islandesi) con punte di 129 ISK e che è praticamente uguale al prezzo del gasolio. Delusi e rafforzati da questo, e visto che il prezzo ci pareva alto abbiamo consultato il forum di Turisti per caso e, grazie a Omar abbiamo trovato 2 Hyundai Santa Fè a 100.000 ISK, vale a dire 1215 euro con la Saga Rental che non ci ha nemmeno fatto pagare il guidatore aggiuntivo (5€/giorno) né la riconsegna in aeroporto (25 €) ed in più ci prometteva la consegna dell’auto “a domicilio” la mattina del 22/6 nel cortile della prima guesthouse dove abbiamo dormito (in realtà verrà a prelevarci e ci porterà al garage della Società). A quel prezzo abbiamo avuto il chilometraggio illimitato, tassa aeroportuale (al ritorno) e tutte le tasse locali compresa l’IVA. La franchigia per danni è di 1800 €, ma in caso di Super CWD, che non facciamo,si abbassa a 250€. L’auto si riconsegna nel parcheggio dell’aeroporto, lasciando il biglietto del parcheggio in vista e la chiave nel cassetto del cruscotto. Le 2 auto si sono comportate bene a parte una che ha avuto bisogno di un cambio completo delle gomme, trovate un pò stortignacole da un gommista al quale ci eravamo rivolti per una sgonfiatura. Lo stesso gommista si dimenticherà di serrare i bulloni di una ruota che comincerà a far rumore ed a generare preoccupazioni fra l’equipaggio fino a che si coprirà l’arcano che comporterà il ritorno dal gommista, un piccolo cazziatone di rito, una piccola perdita di tempo ed il crollo del mito della professionalità dei Nordici che, a quanto pare, anche loro sbagliano oltre che mangiare il pescecane putrefatto. Lo scherzo avrebbe potuto essere tragico se non ci fossimo accorti in tempo dello sporgere di alcuni bulloni dal mozzo della ruota che il gommista aveva giustificato con “degli ostacoli” a serrare di più i bulloni, come aveva prima giustificato il rumore con dei sassolini incastrati nei freni….!!! E ci aveva quasi convinto. I km percorsi sono stati 2895 contro i 2818 preventivati, calcolati con le distanze fra le località toccate più il 30%, con un consumo medio di 10.7 km/l complessivi che ha comportato una spesa media per la benzina di 271 l, pari a 33549 ISK e quindi 419 euro complessivi e quindi 105 euro a persona almeno per il nostro equipaggio di 4. Una macchina non 4×4 costa sui 500€ ma non consente di percorrere le strade interne, specie quelle contrassegnate con la lettera F davanti al numero della strada. Un consiglio da amico: non fate le strade segnate in giallo se non quando è strettamente indispensabile, fate invece quelle segnate in rosso (asfaltate) se la differenza di percorso non comporta più di 30-40 km di allungamento. Quelle gialle sono infatti brutte, anche senza la F, a volte scoscese, senza guard rail e faticose, specie alla fine di una giornata di guida, da provocare il nervosismo dei guidatori più incallitamente…inglesi !! Una “disattenzione” del noleggiatore delle nostre 4×4 è stata quella di consegnarci le auto con 7/8 del serbatoio, ma con la raccomandazione di riconsegnarle con la stessa quantità a fine noleggio. La cosa ci è sembrata strana perchè in tanti anni mai ci è capitato che una macchina non venisse consegnata col serbatoio pieno. Scopriamo l’arcano alla fine del noleggio, a Njardvik, quando, riempiendo il serbatoio fino ai 7/8 prescritti, la lentezza del misuratore rispetto all’erogazione della benzina, fa in modo che riempiamo tutto il serbatoio della macchina, regalando un ventina di euro al noleggiatore. Voluta o meno, questa cosa è stata antipatica e ci saremo aspettati dagli islandesi una procedura più lineare. Sommando tutto, ampie lodi alla Saga Rental che ci ha fatto risparmiare, non ci ha addebitato altri costi e ci ha fornito macchine buone per non dire eccellenti, termine che riserveremo alle macchine Hertz o Avis ma che costano almeno il 50% in più. Orgogliosi delle nostre Santa Fè, incontreremo dei fuoristrada super, la cui scocca è sollevata di almeno un metro da terra, con ruote enormi e sporgenti verso l’esterno e battistrada da più di 4 cm, come quelle dei bambini sulla spiaggia, ed altri con la presa d’aria al di sopra del tetto per il guado dei fiumi in condizioni di immersione. Il guado dei fiumi non è coperto dall’assicurazione, come ci mette in guardia l’operaio del noleggio, ma ci rassicura quando ci dice che quelli che facciamo noi sono guadi facili che possiamo fare con le nostre auto. Comunque, se non si è sicuri di dove passare e se non ci sono orme di altre macchine, sulle sponde, la cosa migliore è aspettare che passi qualche altra auto simile alla nostra e comportarsi di conseguenza. Einbreid Bru significa ponte piccolo cioè ad unica corsia quindi occorre raccordarsi col traffico che proviene dal senso opposto. Le strade monocorsia hanno delle piazzole a destra di chi deve dare la precedenza, per cui chi se le trova a destra e vede una macchina arrivare, deve fermarcisi perchè l’altro se lo aspetta. La benzina si fa ai distributori da soli e poi si paga in contanti o con carta di credito al baracchino. In assenza del titolare, si fa con carta di credito, ma a volte il congegno richiede un codice, come se fosse un bancomat, ed allora occorre dargli in pasto 5 volte il numero 0 e poi si inizia ad erogare. Abbiamo messo la benzina con più basso numero di ottani perchè più economica. Esiste una cara prepagata della Shell, di cui non sapevamo, che consente di risparmiare 2 ISK/l, cioè circa 2.5 centesimi, corca 50 lire al litro. Cellulari Prendono solo nelle zone costiere, ma nemmeno sempre, e vicino alle grandi (sigh) cittadine. All’interno sono muti. E’ la stessa compagnia che gestisce i fissi ed i mobili e, almeno per chi ha Vodafone, non esistono accordi per spendere meno. Bisognerebbe informarsi sull’acquisto di tessere prepagate. Soldi In genere, andando in paesi più ricchi, abbiamo notato sempre la convenienza a cambiare in Italia, ma le corone islandesi (ISK) non le abbiamo trovare da nessuna parte, né in banca ne negli uffici cambi sparsi attorno alla stazione Termini. Abbiamo allora cambiato in aeroporto a Keflavik (l’aeroporto di Rejkyavik) 1 €=80 ISK, prendendo più del contante necessario per pagare gli alloggi, da pagare rigorosamente in contanti salvo rare eccezioni, ed il cui prezzo complessivo per 2 persone sarà di 1012 €. Se avessimo potuto pagare con la Visa electron avremo speso 975€ per gli alloggi, come risulterà dall’estratto conto, a posteriori con la quotazione di 1 €= 83 ISK. Non abbiamo avuto modo di confrontare i cambi nelle banche che, secondo i racconti di TpC, sono gravati di commissioni che non sappiamo se compensino dei cambi più favorevoli. Alto costo della vita L’Islanda dipende al 100% dalle importazioni, escluso, credo, pesce, patate, carne e prodotti di fattoria, dato l’enorme numero di ovini che abbiamo visto (e cavalli, usati anche per la carne oltre che per far cavalcare i turisti? ) e il basso numero degli abitanti (ca 300.000) in un territorio che è 1/3 dell’ Italia. I prezzi lievitano nei vari passaggi della catena commerciale dall’importatore al consumatore. Necesse est fare la spesa al supermercato e mai andare al ristorante. Intendiamoci, i prezzi del supermercati non sono bassi, nonostante vendano carne, e latticini di produzione interna e questo probabilmente perché i gestori devono avere un alto margine di guadagno per compensare l’alto costo della vita per tutti gli altri prodotti di importazione. L’IVA al 24,5% completa poi l’opera. Assistenza sanitaria L’Islanda fa parte della UE sia per gli accordi di Schengen sia per quelli in materia di mutua assistenza medica, di cui fortunatamente non abbiamo mai avuto bisogno. E’ bene quindi portare con se il tesserino plastificato da cui le istituzioni sanitarie islandesi possono verificare il nostro diritto all’Assistenza. Varie Le cose che ci hanno più colpito sono le seguenti: 1) Completa assenza di sicurezza, di transenne e segnali di pericolo nei posti visitati, siano cascate, rupi, geyser o vulcani. Tutto ciò non è incoscienza ma è la volontà di preservare il più possibile l’ambiente dall’invasione antropica che fortunatamente è ancora limitata ma che, in potenza, può rovinare le cose straordinarie che si sono formate in millenni di consolidamento di delicati equilibri. Questo concetto ha anche limitato l’installazione dei segnali turistici che sono molto dettagliati, con il reticolato delle vie interne, solo all’imbocco della strada e poi sono assenti, per cui, andando a vedere qualcosa, occorre fermarsi davanti al cartello a inizio strada dove sono riportate tutte le svolte successive e memorizzare o scriversi l’itinerario da percorrere, perchè dopo non c’è nulla che indichi. Per contro, dappertutto ci sono recinzioni che delimitano le proprietà, anche in zone che sembrano abbandonate e deserte, persino scogliere in prossimità del mare, sono recintate da un filo spinato pealtro piuttosto basso. Sembra che stiano lì solo per delimitare e non per impedire l’accesso. 2) L’assenza di buio per tutto il periodo. Praticamente il sole non tramonta mai, siamo solo di poco al disotto del circolo polare artico e resta sempre un chiarore che però non impedisce di dormire (mai abbiamo dormito così bene). Questo ha comportato una dilatazione dei tempi delle visite che andavano dalle 9.0-9.30, dipendendo da quella dormigliona di mia cugina, alle 19.30-20 di sera quando, arrivando nella guesthouse dovevamo preparare il cibo. 3) Assoluta gratuità dei siti naturali, cascate, gysers, vulcani, fumarole e così via. Si paga solo dove c’è l’intervento umano o si devono usare dei mezzi. 4) La totale assenza di Autorità istituzionali visibili che denota la civiltà e l’autogoverno individuale a cui è pervenuto il popolo islandese e che è di autocensura positiva anche ad esponenti di popoli latini che, venendo intubati nel sistema mentale locale, magari non completamente, contribuiscono anche loro alla salvaguardia dell’ ambiente. 5) Sincerità e semplicità, non semplicioneria, delle persone con cui siamo entrati in contatto, a parte qualche eccezione dovuta però, a non completa professionalità dell’operatore e/o grossolana mancanza di attenzione più dovuta a pigrizia che a malafede. Bel popolo. 1° 21 giugno 2007 giovedì. Il fido autonoleggiatore Virgilio (50 €) passa da noi alle 4 del mattino e poi da Maurizio e consorte (traparentesi mia cugina) alle 4.30 per dirigersi con carico umano e bagagli all’aeroporto di Ciampino dove abbiamo il volo per London Stansted alle 6.35 con arrivo alle 8.15 (-1h rispetto a noi). Il controllo bagagli si limita al solito spogliarello ai raggi X ed al controllo passaporti: Londra non è Schengen…. Prendiamo l’aereo ed arriviamo a Stanstead dove bivacchiamo in un bar mangiando del nostro fino all’imbarco alla volta di Rejkyavik, il cui check-in si inizia 2 ore prima del volo e dove arriviamo dopo 3 ore di volo effettivo, -2h rispetto a noi e -1h. Rispetto al Regno Unito. Le porte dell’aereo si aprono quasi prima che i passeggeri abbiano recuperato il bagagli a mano dagli scaffali, che bello!!, e, dopo aver recuperato le valige, che girano prima che arriviamo, passiamo indenni al temutissimo controllo doganale che secondo le nostre previsioni avrebbe dovuto sequestrare il 70% del cibo che ci accompagnava, specialmente i salumi, prosciutti, parmigiano e formaggi nascosti in mezzo ai vestiti….e invece niente, passiamo sotto lo sguardo dei militari e poi basta: ognuno pensa alle cose sue. Cambiamo i soldi al cambio dell’aeroporto a 80 ISK/euro (1300 € per 103974 ISK). Prendiamo poi il Fly-bus (2400 ISK, 30 €) che pare che vada a idrogeno e che offre uno sconto ai minori di 16 anni, e percorriamo un primo tratto fino al capolinea dove scendiamo dopo degli olandesi che immediatamente, ben informati, si recano alla fermata, distante 10 metri, per aspettare un altro piccolo autobus che dovrà condurci tutti a Rejkyavik città, mentre noi restiamo lì dove siamo scesi a guardarci attorno. Sfortunatamente per loro, l’autista del piccolo autobus che arriva, vede il nostro drappello di 7 persone, si ferma vicino a noi, e carica ad uno ad uno i nostri bagagli, suscitando le ire degli olandesi che rivendicano di essere arrivati per primi alla fermata …Ma non eravamo tutti sullo stesso Fly-bus ?? L’autista li invita ad aspettare il prossimo autobus e porta noi davanti al primo ostello, la mitica Salvation Army (8550 ISK, 107 € per stanza doppia con lavandino e colazione inclusa), citata in tutti i racconti e sita in posizione strategica proprio nel cuore della città e a 5 minuti di cammino dal porto. Facciamo una passeggiata per la città, nulla di particolare e si potrebbe anche trascurare se non si sente l’esigenza di mettere una crocetta. Tipica città scandinava, con molti giovani vestiti strani, anzi per la paccottiglia che c’è nei negozi, per certi versi sembra di essere in Polonia negli anni della guerra fredda. Bella la cattedrale, a forma di nave vichinga, che alcuni di noi vedono. Ceniamo al caffè Svarta Kaffid in Laugavegur 54, un pub al secondo piano di una bella casa d’epoca, a base di cosette locali e pasticcio di pollo, senza infamia e senza lode ( 12810 ISK in 7: 23€ a testa). A Rejkiavik sconsigliamo il Bus turistico Hop on and hop off perchè tocca località banali. 2° 22 giugno 2007 venerdì. Rejkyavik-Landmannalaugar 205 km. Di buona mattina facciamo colazione all’ostello e, discretamente prepariamo dei panini da portarci via assieme ad un po di frutta, suscitando lo sdegno di una signora, seduta proprio davanti e probabilmente ipertesa che, non avendo nulla a cui badare ci considera dei furfantelli se non di peggio. Verso le 8.30 viene un autista di Magnus (il titolare del rent a car) a prenderci e ci porta nel garage dove preleviamo le 2 Hyunday Santa Fè 4×4, una con cambio automatico ed una manuale. Le auto non sono nuove come quelle date da Avis o Hertz, ma contano già sui 30.000 km, però per lo sconto che abbiamo avuto non ci lamentiamo affatto. Lasciamo la Guesthouse con signora inclusa che salutiamo sventolandole i panini olezzosi di salame sotto il naso. Una macchina ha lo specchietto rotto e la chiusura centralizzata non funziona. Inoltre dopo aver premuto il pulsante della sosta (quello col triangolo), il lampeggiare non accenna a smettere di funzionare perchè incastrato. Riusciamo a disinnescarlo e riprendiamo il viaggio con destinazione Landmannalaugar via 1 fino a Selfoss e poi la 30 e la 32. Riusciamo a fare un buon numero di infrazioni, guida contromano, invasione di spazio pedonale (proprio sulla piazza dove c’è il Comune..), divieto di sosta, sosta sul marciapiede e guida senza cintura. Non contenti, all’uscita di Rejkyavik ci fermiamo sul bordo della strada (non c’è corsia di emergenza) per fotografare i tipici cavallini islandesi, molto vanitosi, sofisticati ed intriganti grazie alle forme ed alla criniera che può essere con le mesh, o a tinta unita o chiazzata o…, insomma per tutti i gusti. Dapprima solo uno, ribattezzato (Gelsomino, Fiorellino, ??) ci si avvicina e si lascia accarezzare e palpeggiare, poi corre la voce e si avvicinano tutti, incuriositi da questi umani che nutrono tanto interesse per loro. Ed è un trionfo di carezze di abbracci e baci con i cavallini che sono anche molto disponibili a farsi fotografare. Altre volte ne incontreremo per la nostra delizia e ci chiediamo che cosa ne facciano gli islandesi ed arriviamo alla conclusione che gli Islandesi sono ancora cosi osmotici con la natura che non ne fanno assolutamente niente, stanno li e basta, magari per qualche cavalcata a pagamento per i turisti. A Selfoss ci fermiamo per cambiare altri soldi in banca e poi attraversiamo una landa di muschi, licheni e fiorellini scarsi ma aggraziati. In una sosta pipì ci divertiamo a saltellare sui muschi che sono molto soffici ed elastici. Vediamo 2 ciclisti anche loro diretti a Landmannalaugar e argomentiamo, come anche gli islandesi fanno, sul perché del ciclismo in luoghi simili: in Islanda la maggior parte delle strade sono ghiaiose, sconnesse e piene di sassi. Quando piove il ciclista pedala sul fango e si riempie di fango, quando il clima è secco il ciclista respira e mangia polvere. Il terreno è montuoso e spesso molto ventoso. Il Ciclismo è quindi da masochisti in Islanda ma concludiamo che anche i masochisti hanno le loro buone ragioni. Vicino a Landmannalaugar facciamo 2 guadi facili che ci emozionano perchè è la prima volta che ci capita. Basta scendere e sincerarsi dove l’acqua è più bassa e quella è la via, si possono anche seguire i tracciati delle altre macchine ma è rischioso perchè l’accessibilità al fiume cambia nel corso della giornata. Di mattina i guadi sono più facili, perchè poi lo scioglimento dei ghiacci fa ingrossare i fiumi. Il primo guado è emozionante e litighiamo per chi deve guidare poi ci dividiamo i compiti: chi guiderà e chi passerà il fiume e filmerà l’attraversamento. Guadare con l’auto è bello: si sente l’acqua che viene spostata via e che fa resistenza quindi bisogna dare gas e tenere ben saldo il volante perchè le ruote tendono a slittare. Dopo il primo, ci spareremo in acqua senza più pensieri. Alloggiamo nell’unico rifugio disponibile, il Ferdafelag (5600 ISK per 2 posti, 67 €), con camerate con letti a castello da 20 persone. Volendo c’è anche uno spazio per il campeggio. (Ma non c’è freddo di mattina ??). Fortunatamente non c’è molta gente ed otteniamo di avere una camera tutta per noi 7 al piano di sopra. La camera ha dei letti a schiera, ognuno col suo materassino su cui disponiamo i nostri sacchi a pelo ma, col caldo che farà non sarebbero serviti, bastava il pigiama. Purtroppo i bagni sono all’esterno a 20 m, completi di docce e lavandini, ovviamente con acqua fredda e calda, e ciò obbliga ad uscire di notte col freddo, ma nemmeno poi tanto. La stanza ha un’unica presa di corrente dove, con le multiple, mettiamo a ricaricare tutto. Andiamo a fare un bel bagno ristoratore nell’attigua pozza di acqua calda collegata all’ostello da una passerella in legno di circa 50 m che attraversa una palude di alghe e piante acquatiche. Dalla pozza non vorremo mai uscire perchè fuori fa freddino. L’acqua è una meraviglia ma bisogna stare attenti a non scottarsi mettendosi troppo vicino alla sorgente di acqua calda e cercare una distanza ottimale in funzione della temperatura che si preferisce. Sembra di essere alle Terme di Saturnia con la differenza che qui è tutto gratis e che l’acqua calda arriva da un ruscello che si butta nel laghetto e non dal fondo di questo e che intorno a noi non abbiamo cemento, camerieri e turisti che mangiano il gelato, ma uno scenario fantastico che sembra finto e di essere a Cinecittà, una colata lavica a ferro di cavallo che circonda la pozza e l’ostello e che si staglia al disopra della piana alluvionale formata dal fiume che scorre lì vicino, uno spettacolo fantastico. Dopo il bagno ceniamo nella cucina comune e sperimentiamo per la prima volta il cibo portato dall’Italia ed i panini rimasti preparati in albergo a Rejkyavik. Andiamo poi a passeggiare sulla lava dove raccogliamo dei pezzetti di ossidiana e di basalto. Segue una passeggiata sul greto del fiume, una passeggiata lunare con rari uccelli che svolazzano sopra di noi. E per oggi basta perchè siamo troppo stanchi. 3° 23 giugno 2007 sabato. Landmannalaugar-Vik 123 km. Di buona mattina, facciamo colazione e, attraversato in senso opposto l’ultimo guado ripartiamo per Vik con la F208 che si innesterà sulla 1 che dovremo percorrere in senso orario per arrivare a Vik, il paese, (4 case…!!) più a sud dell’Islanda. Prima di partire dall’area di Landammannalaugar, andiamo al lago Ljotipollur (che significa lago brutto) al quale si arriva dopo 20 min di strada ghiaiosa ma non brutta. In realtà si arriva sul bordo della caldera del vulcano dove è contenuto il lago che raggiungiamo dopo una breve discesa inframmezzata da varie scivolate per fortuna senza conseguenze. Restiamo sul bordo del lago e tiriamo sassi in acqua. Poi vediamo dei pescatori che arrivano e piazzano le loro canne. Ma che si pescano?, pensiamo. Affrontiamo la risalita e prendiamo per Vik sotto l’impazzare di una tempesta di sabbia. La strada è sterrata ma ben percorribile e ci consente di attraversare con piacere 3 guadi che facciamo sparati senza fermarci. E’ un percorso poco battuto e ci fermiamo per consumare i soliti panini e, più volte, per ammirare le bellezze della natura e per saltellare sui muschi davvero soffici e comodi. Vediamo anche un torrente turbinoso e veloce che percorre una sorta di Canyon. Lasciamo la F208 e prendiamo la 1 in senso orario. A Vik alloggiamo all’ostello Nordur Vik (5700 ISK stanza doppia, 71€), con collegamento wireless gratuito, solo per chi ha il suo computer, e con stanze minuscole, ma ribadiamo il concetto che, essendo sempre giorno, passeremo in camera solo poche ore dei nostri giorni islandesi. Andiamo a vedere la spiaggia nera ma sbagliamo e vediamo una spiaggia con un monumento ai pescatori islandesi con scritta in tedesco ma questa spiaggia non è quella più famosa di Reynisfjara per raggiungere la quale ci impegoliamo in una salita di ghiaia dove la macchina si affossa e torniamo a marcia indietro penando non poco. Andiamo alla ricerca di Reynisfjara, uscendo da Vik, con la 1, in direzione Reykjavik e poco dopo imbrocchiamo una svolta a sinistra e ci fermiamo a leggere il cartello all’inizio che indica le varie località a cui porta la strada. Non leggiamo che Reynisfjara è lì, per cui procediamo per cercare le scogliere Dyrholaey dove nidificano le Pulcinella di mare e che si trovano continuando ancora sulla 1 in direzione Reykjavik e svoltando a sinistra. Pur leggendo un cartello che dice la scogliera è chiusa, c’è una strada aperta che porta verso la scogliera. Continuiamo fino ad una sbarra abbassata che ci impedisce di continuare sia in auto che, come è scritto, a piedi perchè gli uccelli stanno nidificando e finiscono (sic) il 25 Luglio, cioè dopodomani. Ritorniamo allora alla ricerca della spiaggia nera di Reynisfjara che finalmente troviamo svoltando a destra, sulla strada di prima, ritornando verso Vik. A sinistra abbiamo l’arco naturale sotto cui passano medie imbarcazioni e sulla destra i faraglioni Reynisdrangur e il posto è magnifico perchè, oltre alla spiaggia nera, ci sono delle formazioni di basalto esagonale, con sotto una grotta, che abbiamo visto anche nell’isola di Staffa e che ci sono, come riferito, anche in Irlanda. Ci arrampichiamo sulle colonne di basalto che sono dei gradini, fino ad una certa altezza per godere del panorama. Alle nostre spalle si erge una scogliera imponente con migliaia di uccelli che nidificano alcuni dei quali fanno capolino dal nido. Inspiaggiato, vediamo un pesce spatola mezzo divorato da animali con gli occhi grandi e rotondi e la cui visione, per qualcuno della comitiva, sarà la cosa più bella vista nella giornata. Scrutiamo il mare per avvistare le foche che non vediamo. Località surreale questa dove si potrebbe rimanere un paio di giorni, sulla spiaggia a leggere ed oziare. La sera, ceniamo bene, come sempre, con i nostri spaghetti e i nostri sughi e con le birre che quasi quotidianamente non ci facciamo mancare. Abbiamo tralasciato il vulcano Katla, posto sotto un ghiacciaio e che quando erutta provoca il trascinamento a valle di centinaia di metri cubi di fango e detriti. 4° 24 giugno 2007 domenica. Vik-Skaftafell 121 km. La mattina, pur non avendo pagato la colazione, rubacchiamo qualcosa dal buffet dell’ostello e ci facciamo riprendere come scolaretti ed appioppare un “that’s not fine” ma null’altro. Evidentemente la flemma e la serenità degli Islandesi è tale che sorvolano su queste piccinerie e poi, probabilmente, non sono abituati ad avere a che fare con cose di questo tipo e non saprebbero come gestirle. Ci dirigiamo decisamente verso il parco Skaftafell ma prima andiamo al Canyon Fjardrargljufur prendendo la F206 sulla sinistra. Anche qui non leggiamo il cartello posto all’inizio della strada e, sbagliando andiamo verso il vulcano Laki, mentre appena imboccata la F206 bisogna andare subito a sinistra dove ritorniamo. Il Canyon si estende per almeno 1-2 km che si percorrono sulla cresta, ma si può anche scendere sul greto del fiume. Il percorso sul crinale è anche qui, come in tutta l’Islanda, assolutamente non protetto lasciando tutto al buon senso delle persone. Il colore, la conformazione del Canyon, assieme al colore del fiume che scorre sotto, offre un connubio veramente rilassante ed appagante del panorama. Sembra di essere sulla quinta di un film e le fotografie corrono a fiumi. Assistiamo al guado del fiume da parte di un turista spagnolo di 1/2 età che, dopo aver aiutato meticolosamente la moglie a togliersi scarpe e calzini, entra nel fiume fino al ginocchio con le sue scarpe e calzettoni di lana alla tirolese, forse credendo di essere diventato un anfibio. Alla fine della passeggiata consumiamo un parco pasto a base dei soliti panini e della birra islandese, leggerina in verità (pare appositamente per salvaguardare la gioventù), per ripartire verso il parco dove arriviamo verso le 17 ma prima ci fermiamo a vedere un cartello che racconta la grande alluvione del 1996, causata da un eruzione del vulcano Katla sotto il ghiacciaio che, sciogliendosi, riversò a valle migliaia di metri cubi di fango, lava, detriti e iceberg, spazzando tutto ciò che incontrava e lasciando una piana desertica, il Sandur. A riprova, a fianco del cartello che stiamo leggendo, sono state lasciate le lamiere contorte del vecchio ponte che serviva per attraversare il fiume che dal ghiacciaio arriva al mare ed oggi sostituito da un altro ponte costruito in modo modulare in modo che un danno futuro colpisca solo parte del ponte che quindi sarà rattoppabile. Lasciamo la 1 girando a sinistra e dopo pochi km lasciamo a destra il centro di accoglienza del ghiacciaio per arrivare al nostro prossimo “hotel”. Scesi dalla macchina vediamo sotto di noi il panorama del Sandur, una visione apocalittica che ci lascia senza respiro: non c’è nulla, un deserto lavico creato dalla furia dell’alluvione. E non ci sarà mai nulla perchè nessun pazzo intraprenderà nulla in una piana soggetta a devastazioni irrefrenabili quali le alluvioni del ghiacciaio. A proposito ne è attesa una a breve perchè la camera magmatica si sta riempendo. Alloggiamo presso Madame Bolti (8500 ISK, stanza doppia, 101 €). Madame Bolti è un’anziana signora che vive sola in una piccola casetta vicino ad un ingresso secondario del parco Skaftafell. Solo in estate il figlio che lavora a Reykjavik la va ad aiutare. La casa è ricca di cimeli, da un candelabro a 7 bracci, a vari strumenti musicali multietnici, a vari servizi di porcellana e ad un grande numero di fotografie della sua famiglia, anche dei primi del ‘900, molto suggestive. Il tutto lasciato alla buona creanza degli ospiti che lei accoglie o in 3 stanzette al piano superiore dove tutto è mini e pare la casa dei 7 nani, oppure nei due studioli al pian terreno dove si dorme per terra con materassino e sacco a pelo. Ci sono poi 2 baite all’esterno con 8-10 posti letto e dove abbiamo incontrato un gruppo di avventure nel modo. Chiediamo ad un partecipante che giro hanno fatto ma dopo 2 battute ci accorgiamo che non lo sa e che si sta facendo rimorchiare qua e la dal resto del gruppo o forse non gli interessa il posto ed è lui che è venuto a…rimorchiare…!! Depositati i bagagli andiamo all’entrata del ghiacciaio Skaftafellsjökull, che è una “sezione” del ghiacciaio Vatnajokull il più grande d’Europa. Al centro turistico compriamo parecchi gadget, costosissimi, ma interessanti: dalla carta dei fiori e degli uccelli islandesi, alle musiche islandesi, alla carta geologica. Da quest’ultima capiamo che le parti più a est e a ovest del paese sono le più antiche perchè sono state le prime ad emergere dal mare dalla dorsale medio atlantica e poi, col tempo, si sono allontanate dalla fessura originaria, a causa del continuo efflusso di lava, seguendo lo spostamento delle rispettive placche tettoniche. Queste parti sono le più verdi e le più erose mentre quelle centrali le più spoglie, ecclattantemente laviche, incolte e desolate. A volte si passa bruscamente dal lavico al verde come se la parte lavica fosse stata resa fertile da un lavoro umano di sbancamento e sbricciolamento. Ma gli islandesi sono pochi e l’immigrazione è nulla e ci vuole parecchio tempo per rassodare il paese e non siamo nemmeno sicuri che lo vogliano fare in modo così intenso e produttivo. Non avremo modo, durante il nostro breve periodo, di capire a fondo il sentire di questo straordinario e particolare popolo. Un sentiero parte dal centro turistico e porta, in 25 min, alle pendici del ghiacciaio dove si può salire su piccoli iceberg bassi attaccati alla terraferma. Prendiamo un pezzo di ghiaccio e non è opaco come il ghiaccio del frigorifero ma trasparente come un cristallo di rocca come esclama emozionata la nostra super emozionata amica. Il ghiacciaio si staglia avanti a noi e pare quasi infastidito dal chiacchiericcio da cui viene investito da noi umani. Il ghiacciaio Skaftafellsjökull non è statico, è qualcosa di dinamico e se ne sente il respiro, se poi si pensa che si muove, seppur lentamente, e che ogni tanto frana, e porta a valle migliaia di metri cubi di detriti, allora è sicuro che siamo lì a trovare un essere vivente di forme non umane. Da alcune pozze di acqua vediamo uscire delle bolle, segno dell’attività vulcanica del sottosuolo. Ritorniamo sui nostri passi e, pur essendo le 22.30, vediamo altri gruppetti che si apprestano a raggiungere le lingue del ghiacciaio che abbiamo da poco lasciato. E’ possibile solo in questo paese dove la Natura è sempre aperta, è gratis e, almeno in questo periodo, il sole non tramonta mai, anzi tornando ci accorgiamo, dalle nostre ombre che è proprio il Paese dalle Ombre Lunghe. Rinunciamo domani alla gita in motoslitta ed alla passeggiata sul ghiacciaio con i ramponi per motivi di tempo, peccato perchè saremo stati proprio dentro il ghiacciaio. Un’ altra possibilità è quella di prendere un elicottero per vedere il ghiacciaio dall’alto. Torniamo al centro visitatori dove vediamo il film sull’eruzione del Katla del 1996, eruzione preannunciata che i ricercatori hanno potuto seguire e filmare, dallo scioglimento del ghiaccio all’alluvione successiva ma non sono stati in grado di fare nulla. Ci colpisce il fatto che dopo 2 mesi gli Islandesi avevano messo tutto a posto, dalla corrente, alle strade alle tubature. Torniamo da Madame Bolti e, lasciata libera la cucina dagli amici di AnM, prepariamo un ottima cena a base di purè e risotto. La divisione dei ruoli è avvenuta spontaneamente e classicamente per cui le donne cucinano e fanno la spesa mentre gli uomini guidano e lavano i piatti, oltre a scaricare quotidianamente le vettovagli e procedere al loro riordino. La colazione è, in genere appannaggio degli uomini, più mattinieri. 5° 25 giugno 2007 lunedì. Vik-Hofn 136 km. Alle 9, dopo la colazione nella cucina di Madame Bolti, ci dirigiamo, senza macchina all’ingresso secondario del parco da dove, dopo una breve passeggiata di 1.5 km, raggiungiamo le cascate Svartifoss con magnifiche colonne di basalto ai lati e dietro la cascata. Scattiamo decine di fotografie perchè le colonne sono davvero belle e molto regolari. Maurizio, già esperto dell’ Islanda, si inerpica sui massi e riesce a raggiungere il retro della cascata e a fare foto dell’acqua che non si capirà da quale parte guardare. Spruzzi di acqua arrivano ogni tanto a chi si avvicina troppo. Il caldo si fa sentire e restiamo in maglietta dopo esserci cosparsi di crema solare a protezione totale per evitare le scottature dei giorni precedenti. Dopo un breve riposo ripartiamo per un sentiero che dopo circa 3 km porta ad un belvedere roccioso da dove si ha una visione sublime del ghiacciaio. Sta sotto di noi, rugoso, nero e bianco, incanalato fra 2 costoni rocciosi. Arriviamo per primi, il silenzio è sovrano ed è rotto solo dal grido sgraziato di qualche uccello che però si armonizza a meraviglia nel contesto selvaggio e potente in cui siamo. Noi e lui per l’eternità, possente e fragile allo stesso tempo, come un vecchio che durerà in eterno. Possiamo rompergli le palle col nostro inquinamento ma prima di morire, ci riserverà qualcosa di poco piacevole, è sicuro. Il chiacchiericcio dei sopravvenuti rompe l’incantesimo….. Usciamo dal parco con un caldo boia, riprendiamo le macchine e continuiamo il nostro giro antiorario dell’isola e dopo una quarantina di km vediamo alla nostra sinistra degli iceberg, e se non li avessimo visti saremo andati oltre perchè il posto non è assolutamente ben segnalato, ma ormai sappiamo che è una prerogativa islandese. Ci siamo, siamo a Jökulsárlón la laguna degli iceberg. Lasciamo l’auto al parcheggio e godiamo della visione degli iceberg che galleggiano nella laguna, dove sono arrivati staccandosi dal ghiacciaio, e che, raggiunte certe dimensioni, escono e vanno nell’Oceano. Il posto non è terreno, è surreale. Il ghiaccio è leggermente azzurrino a causa della diffusione della luce al suo interno e ed assume le forme più strane. Chiediamo al custode quali operazioni fanno per rendere efficiente la laguna e ci rispondono: nessuna, se gli iceberg sono troppo grandi, si fermano nella laguna perchè toccano sul fondo, poi col tempo cominciano a sciogliersi e si muovono verso il mare. Infatti vediamo che quelli più piccoli sono trascinati fuori da una corrente mica male. Vediamo gommoni e mezzi anfibi e vorremo prendere i primi ma scopriamo che sono mezzi di servizio che precedono ogni mezzo anfibio, carico di turisti, per spostare eventuali iceberg che potrebbero danneggiarlo. Aspettiamo 1/2 ora il nostro turno e ne approfittiamo per salire su una collinetta da dove si ha uno sguardo splendido della laguna e intravediamo anche alcune foche. Saliamo sull’anfibio e ci mettiamo i giubbotti salvagente. Una delle assistenti è per metà italiana e scambiamo alcune chiacchiere e poi partiamo facendo il primo pezzo sulla terraferma e poi nella laguna in mezzo agli iceberg. L’emozione è tanta: abbiamo intorno iceberg azzurrini, ed alle spalle il ghiacciaio, dalla parte opposta l’Oceano che si vede poco perchè c’è la numero 1, ma tutto non si può avere. Con noi una comitiva di giapponesi uno dei quali assomiglia a Akira Kurosawa e gli verrà fatto notare. Vediamo anche le foche che pigramente stazionano su lastre di ghiaccio e ci chiediamo se sono naturali o messe lì dalla pro-loco, ma in ogni caso non sembrano infastidite dalla nostra presenza. L’assistente dà un sacco di informazioni sulla laguna ed ad un certo punto prende un pezzo di iceberg, cristallino e trasparente e mentre continua a spiegare lo tiene con le mani nude….Ci chiediamo come fa. Poi a tutti vengono offerti dei pezzetti di ghiaccio da mangiare. Paghiamo il biglietto alla fine del viaggio (2300 ISK, 29 €) e dopo una bella cioccolata calda con fetta di torta al bar annesso, che ci costa quasi quanto il biglietto della laguna, riprendiamo verso Hofn. A metà strada ci fermiamo perchè sulla sinistra vediamo un lago dove bazzicano decine di uccelli. Fotografie. Arriviamo a Hofn dove pensavamo di alloggiare da un privato con tanto di accoglienza e personalizzazione ma invece siamo all’ostello della gioventù (4400 ISK, 55 € in 2 in stanza quadripla con 2 letti a castello) con la solita ottima disponibilità della cucina e delle donne che devono, o meglio, ci fanno la grazia di preparare la cena. E’ già tardi, ma sempre con la postilla di dire tardi in paese dove non fa mai buio e ci limitiamo ad un giro del paese e del porto dove ci inebria uno stimolante profumo salmastro di pesce. Entriamo in una sorta di ristorante-pub meta di incontro della gioventù locale. Verso il porto c’è anche l’albergo di una comitiva di giapponesi che abbiamo visto alla laguna e rivedremo in altre occasioni in seguito. Ritorniamo in albergo, ceniamo ed a letto. Una alternativa, o addizione, alla laguna degli iceberg di Jökulsárlón è quella di Breidarlon, non vista, che si trova qualche km prima, sempre sulla sinistra ed è più defilata e meno turistica. Non c’è un servizio navigazione ma, probabilmente, si sentono meglio i rumori degli iceberg. C’è anche un sentiero pedonale che porta sulla parte est della laguna. 6° 26 giugno 2007 martedì. Vik-Egilsstadir 247 km. Partiamo da Hofn dopo aver deciso di non fare la strada dei fiordi che comporterebbe un totale di 448 km. E la scelta risulta azzeccata perchè dopo i primi 2 fiordi bellissimi, (Alftafjordur e Berufjordur) con faraglioni vicino alla scogliera, il paesaggio si rivela ripetitivo ed anzi meno movimentato rispetto all’inizio. Ci fermiamo nella zona di Teigarhorn dove Maurizio 3 anni fa aveva visto una casa islandese dell’ ‘800 molto bella. Ma la ragazza di guardia, quasi ci caccia via dicendo che quella è proprietà privata e la casa antica non è più visitabile. Lasciamo quindi la strada dei fiordi, prima di Berufjordur paese, e ci inoltriamo verso l’interno con la 939 prima e con la 1 poi che in un primo pezzo sale in collina e non è asfaltata. Arriviamo a Egilsstadir e il secondo equipaggio ha una gomma a terra, bucata. Rintracciamo un gommista e dopo una telefonata col noleggiatore, vengono cambiate tutte le 4 gomme, ma……. Andiamo a Seydisfjordur con la strada 93 a circa 30 km da Egilsstadir e ci fermiamo a metà strada a vedere delle fresche cascatelle. Arriviamo a Seydisfjordur, un paesello di pescatori molto pittoresco ed ordinato e la macchina a cui sono state cambiate le ruote comincia a fare dei rumori sospetti. Circolano le ipotesi più varie, sassi in mezzo ai freni, mozzo storto, disco storto e tante altre. Ritorniamo a Egilsstadir, meglio a Skipalaekur, una località vicina, dove prendiamo possesso degli chalet, casette a 8 posti (4400 ISK in 2, 55 €), di cui 2 in una mansarda, con tetto spiovente e terrazza che da direttamente sul lago Logurinn originato dal fiume Lagarfljot. Peccato che il tempo non sia dei migliori perchè si starebbe bene ad oziare un pò nella terrazza, ma fa molto freddo. Andiamo dal gommista per raccontare dei rumori, controlla le ruote e supporta la tesi del sasseto fra le pastiglie dei freni ed il disco che è solidale al mozzo della ruota. Poichè era una delle spiegazioni che c’eravamo dati, ci tranquillizziamo, ma……….. Da Skipalaekur parte la strada che a Hengifoss, le terze cascate islandesi per altezza. Arriviamo dopo 20 min, lasciamo la macchina e ci inerpichiamo su un sentiero in salita, non difficile ma lungo che ci porterà a vedere le cascate da lontano ma basta per vedere il salto, non grande, e la roccia, un arenite sedimentaria coerente, formata da strati alternati rossi e gialli molto particolari. Per avvicinarsi di più occorre guadare il torrente. C’è un punto in cui 2 rocce sono vicine fra loro, saltiamo e siamo sull’altra roccia, andiamo verso la cascata ma non tutti sono passati ed allora decidiamo di ritornare indietro, ma c’è un problema, delle 2 rocce di prima quella di partenza è bagnata ed essendo ora quella di arrivo, si rischia di scivolare e farsi male. Fortunatamente non succede nulla di tutto ciò anche perchè chi deve saltare sarà attorniato dagli altri pronti a sostenerlo. Fa da contraltare mia cugina che attraversando un torrentello alto 5 cm, scivola e si procura un ematoma sul sedere, non grave ma certamente non bello a vedersi. La camminata è stata lunga, almeno 2 ore e 1/2 e ritorniamo stanchi al nostro chalet. Sulla strada del ritorno la ruota che faceva rumore, continua a peggiorare, specialmente in curva ed oscilla visibilmente. Ci accorgiamo che i bulloni sono lenti….si erano dimenticati di serrarli. Ritorniamo incazzati dal gommista che non sa spiegarsi l’accaduto, allora siamo noi che gli diciamo che qualche suo collaboratore si è dimenticato di stringere i bulloni della ruota posteriore destra e che questo avrebbe potuto provocare una tragedia. Senza perdere la flemma, l’Islandese poco volante davvero, incarica uno dei suoi di controllare serraggio dei bulloni di tutte le ruote. Il rumore sparisce. Poichè il tempo si prevede bruttino anche domani, decidiamo di non andare a Askja domani via F923 e F910 ma direttamente al lago Myvatn e di spostare Askja al 28 giugno. 7° 27 giugno 2007 mercoledì. Egilsstadir- Reykjahlio (lago Myvatn) 180 km. Partiamo di buon ora per il lago Myvatn dove arriviamo in tarda mattinata. 10 km prima di Reykjahlio c’è la deviazione a destra per il vulcano Krafla dove andiamo fino al cratere. Peccato che ci sia molta nebbia e, oltre al lago interno al cratere, molto non si vede. Per rimediare ce ne andiamo a visitare la centrale geotermica li vicino che fornisce elettricità alla città di Akureyri e che sbuffa metri cubi di vapore che condensando da origine ad una nube opaca visibile da km. L’Islanda è la prima nazione al mondo per consumo di energia pro-capite (capirai con 300.000 abitanti!!) e non contribuisce per niente all’effetto serra visto che produce energia idrica e geotermica. La visita alla centrale (60 MW) è gratuita e molto istruttiva. Vediamo un breve filmato e poi, accompagnati da un tecnico che spiega, visitiamo la sala turbine e dei generatori, marca Mitsubishi, denotando una collaborazione anche in campo scientifico col Giappone e non solo in quello dello sterminio delle balene. La posizione in zona sismica non è delle più felici e si hanno problemi di corrosione quando il magma effluisce attraverso i pozzi. Il vapore viene pescato da circa 20 pozzi, il più profondo dei quali a 2000 m, (sono tutti quei tubi che abbiamo visto all’esterno e che non capivamo cosa fossero finché mia cugina ha avuto l’intuizione felice ” Forse il vapore passa da lì…..” Il vapore misto ad acqua è convogliato ad un separatore che elimina l’acqua ed è mandato a 8 atm e 180°C a far girare le turbine. L’acqua di condensa viene mandata ad un refrigerante e poi qui non capiamo che fine fa, se viene rimessa nel sottosuolo per essere di nuove riscaldata oppure come si chiude il ciclo. Rinunciamo alla passeggiata nella zona di Leirhnjukur, dove c’è il cratere con fango ribollente perchè c’è troppa nebbia. Riprendiamo la 1 ma poche decine di metri a sinistra c’è il campo geotermico di Namafjall, un trionfo di fumarole, fango bollente e vapore in pressione che sprigiona dalle rocce e dentro cui si può andare per ritrovarsi poi tutti bagnati. Peccato che Dante non sia stato qui perchè lo avrebbe descritto molto bene. Depositi di zolfo dappertutto e qualche cartello che indica che la zona è pericolosa e di stare attenti ma è come il semaforo a Napoli, un consiglio. Infatti si va dappertutto, nonostante qualche cordolo messo qua e là. Specialmente le fosse col fango ribollente sono impressionanti. Buttiamo una foglia per vedere che effetto fa ma ci rimane sulla sponda. E poi rocce che sprigionano vapore che nasconde chi ci si immerge e che si ritrova bagnato. Comunque facciamo mille foto e siamo felici di essere in questo posto, selvaggio, primordiale e… Pericoloso. Riprendiamo il cammino verso Reykjahlio e prima del paesino vediamo sulla sinistra lo stabilimento termale dove ci proponiamo di andare ma non ci sarà tempo e a destra un lago, evidentemente caldo, con tanto di cartello che vieta la balneazione. E’ il primo cartello di warning che incontriamo, negli altri casi sarebbe stato l’incauto turista ad accorgersi della realtà immergendo la mano nell’acqua e rendendosi conto della situazione. Prendiamo possesso delle stanze al Elda Guesthouses (9600 ISK, 120 € la doppia !!!) una sorta di scuola che nei mesi estivi viene affittata ai turisti. Le stanze sono moderne, sempre minuscole, ma la colazione è inclusa, con tanto di cartello che recita di non portare niente fuori ma di consumare tutto all’interno. Visto che è presto, facciamo il giro del lago ma nulla di eccezionale anche perchè il tempo è brutto ed il grigio appiattisce tutto. Andiamo poi alle sorgenti termali di Storagja e di Grjotagja che stanno sulla 1, sulla sinistra, poco prima dell’incrocio con la strada del lago. All’inizio c’è una caverna con una pozza di acqua calda sui 50 °C, tanto da non poter immergere una mano per 2 secondi. Mentre saltello fra le rocce, capita una cosa tremenda, motivo della mancanza di molti dati numerici in questo racconto: mi cade il registratore dal giaccone. Il nostro amico, dopo aver emesso delle bollicine di aria, esalando l’ultimo respiro, si deposita sul fondo ma non si vede, non sappiamo dov’è. La situazione è quindi ottimale: un registratore in un acqua a 50 °C, dove non ci si può immergere manco le mani, a più di un metro di profondità, finito probabilmente sotto qualche anfratto o, peggio, sotto la melma sottile. Peggio di così non poteva capitare….!!! Con un ramo cerchiamo di spostare il fondo e di fare un pò di movimento ma sarà tutto inutile ed il prezioso cimelio, non tanto per l’apparecchio in se stesso, ma per le informazioni che conteneva, sarà perso per sempre, come lacrime nella pioggia……(Blade Runner). La situazione verrà immortalata dal piccolo Lorenzo, con un magnifico disegno di un medico-pesce che visita un pesce che ha dolori di stomaco da cui escono delle voci sospette…!! Sconsolati, continuiamo a visitare il posto che è tutto particolare per la grande quantità di lava fessurata che vi regna. Si passa per passaggetti contorti e scomodi e l’atmosfera è a dir poco selvaggia e da girone infernale. Vediamo un’altra pozza per fare il bagno alla quale si accedeva e si usciva con una corda, assicurata alla roccia con una catena, ma anch’essa si è surriscaldata nel tempo ed è quindi impraticabile. Passiamo poi al centro turistico, abbastanza scarno, e ci facciamo consigliare un ristorante nelle vicinanze. Andiamo al ristorante Reynihlio hf e spendiamo 8400 ISK, 105 € in 2 mangiando un secondo piatto, molto buono, ed un dolce. L’ambiente è semplice ed essenziale ma il posto intrinsecamente elegante ed il personale, gentile e manierato, mantiene la calma anche in seguito a due nostre tentate provocazioni. Il meritato riposo ci attende nella minuscola stanza della nostra cara e costosa Guesthouse. 8° 28 giugno 2007 giovedì. Reykjahlio (Myvatn) -Askja- Reykjahlio (Myvatn) 250 km. Dopo un’abbondante colazione a go-go, uno strike di salmone, merluzzo ed aringhe salate tagliate a pezzetti e dopo esserci fatti i panini con salame, formaggio e prosciutto, resi più saporiti dal fascino della trasgressione e scientificamente preparati mettendo un palo e studiando i tempi di ingresso e di uscita delle cameriere dalla cucina al posto del bottino, già abbondantemente pagato, anzi dovevano metterci anche il caviale, ci dirigiamo decisamente verso Askja, via 1 e quindi F88. Dopo aver lasciato la 1, ci troviamo davanti un pulmino di Firenze che ci precederà fino ad Askja, aspettandoci nel passaggio dei guadi e nelle situazioni stradali più disagiate, insomma il film dell’autocisterna (Duel) al rovescio. Attraversiamo una strada sconnessa in mezzo a blocchi di lava ed un paesaggio solo lavico, passiamo attraverso pareti di lava con la strada che si contorce e si inclina. Scendiamo più volte, causa sollecitazioni nelle parti basse ed il terreno è caldo e poco consolidato. Ad un certo punto comincia a vedersi la neve ed il contrasto fra i pinnacoli neri della lava e la neve è sconcertante, ma siamo finiti sulla luna ? Poi la quantità di neve sulla strada aumenta, mentre sul campo lavico circostante non attecchisce perchè il terreno è caldo, evidentemente quando hanno costruito la strada l’hanno costruita con materiale che disperde il calore. La tentazione del fuoripista è quindi forte ma ci trattiene l’eccessiva morbidezza del terreno che potrebbe sprofondare. Per fortuna abbiamo il 4×4 che se fosse a nafta sarebbe più potente a basso regime di giri, ma è sufficiente anche questo e mantenendo una buona andatura, sui 40 km/h, riusciamo a non fermarci mai ed a raggiungere il rifugio. Intorno a noi un paesaggio desolato ed incredibile per i colori, i vuoti, il terreno caldo e sbriccioloso, la tenerezza dei sassi. Sappiamo che sotto c’è la lava e noi camminiamo sulla neve !!. I ragazzi fanno 2 pupazzi di neve e noi in cucina prepariamo i soliti panini per il pranzo e qualcosa di caldo. Sappiamo che in Italia sono 40 gradi. Il bagno nel cratere sfuma perchè non si può continuare lungo la strada causa neve più alta, ma vediamo la macchina del ranger che sale sù, probabilmente accompagna dei turisti a fare il bagno nel cratere. Avviciniamo e salutiamo l’equipaggio del pulmino, 9 ragazzi italiani del sud in vacanza e ci scambiamo informazioni sulla strada. Devono tornate a Vik ed anche loro non vanno al cratere. Ripartiamo e verso le 18-19 ritorniamo a Myvatn. Passiamo per l’ennesima volta al cratere Krafla e questa volta non c’è nebbia per cui possiamo camminare sul bordo per la metà dell’intera circonferenza. Alcuni di noi vanno a cena fuori per la seconda volta consecutiva, altri usufruiscono della cucina dell’ostello che prima pensavamo che non ci fosse e che invece è molto ben attrezzata e troviamo anche lo scolapasta e l’olio. 9° 29 giugno 2007 venerdì. Reykjahlio – Husavik, via Asbyrgy 157 km. Di mattina una pattuglia di noi parte alle 7.30 per vedere sia Dimmuborgir che la solfatara di Leirhnjukur. Poichè non c’è tempo la scelta cade su Dimmuborgir che nessuno ha già visto e che è a pochi km dalla nostra guesthouse. Siamo i soli visitatori, camminiamo nei vialetti circondati da rocce laviche alte svariati metri e dalle forme più strane, e che sono residui di piccoli crateri. Viene in mente l’Inferno disegnato dal Duprè. E’ tutto vero quello che vediamo ?. Rocce rosse e contorte ci circondano, i sentieri sono recintati, ma la tentazione di arrampicarsi su quel materiale così unico è forte e lo facciamo. Saliamo su una delle rocce più alte e godiamo del panorama di tutto l’assieme. Riprendiamo gli altri e andiamo alla solfatara, ci sono 2 percorsi, uno di 6 ore ed uno di un’ora ma il tempo stringe e ci fermiamo a metà strada prima di aver raggiunta la pozza del fango e dello zolfo a 10 minuti di cammino. Peccato, sarà per la prossima volta che verremo in Islanda. Riprendiamo la 1 in verso orario perchè dobbiamo imboccare a sinistra la 864 che ci porterà nella zona delle cascate. Attenzione, perchè prima della 864, sempre a sinistra c’è la F862 che porta sempre alle cascate ma è più brutta e porta dal lato opposto delle cascate che è il meno frequentato e probabilmente quello che offre la minore visibilità anche se la gente è sicuramente meno numerosa. Arrivati alle cascate, si parcheggia la macchina e si scendono degli scalini intagliati nella roccia, poi altri 500 m a sinistra e si arriva proprio sul costone laterale del fiume. Davanti a noi un salto imponente, è Dettifoss. Restiamo ammirati dal salto e dal ribollire dell’acqua sotto di noi e del vapore che si alza dal fiume che crea un arcobaleno permanente. Poi ci allontaniamo e, attraverso un sentiero fra le rocce, andiamo a vedere Selfoss, più larga ma con salto più piccolo. Ci vengono in mente certi film con barche che tranquillamente navigano sul fiume ed improvvisamente qualcuno urla ” le rapide, le rapide”, ed effettivamente è così, se uno non sapesse cosa c’è dopo e non sentisse il rumore non si accorgerebbe di nulla perchè, a parte l’aumento della corrente, neppure tanto, fino a 20 m dalle cascate l’acqua scorre placida e lenta e così a valle delle cascate. Ci manca Hafragilsfoss che si potrebbe anche raggiungere a piedi, ma la strada è lunga (2-3 km) e impervia, e che allora raggiungiamo rapidamente in auto. Una breve sosta di 1/2 ora, raccogliamo alcuni sassi e poi via verso Husavik. Le 3 cascate sono tutte diverse e vederle tutte le valorizza individualmente perchè si notano e si può discutere sulle differenze. Lasciamo la zona delle cascate perchè ci aspetta un’altra forte emozione: il Canyon di Asbyrgi. Una sorta di muraglia rocciosa alta fino a 80 metri che ha la forma di ferro di cavallo. Un cartello spiega che la valle, con annessa muraglia, si è formata in pochissimo tempo, forse in giorni, a seguito di un alluvione. Il posto è delizioso, sembra di stare in un esedra romana, tanto è il verde con tante piante diverse, mai viste finora, ed i vialetti che sbucano su un lago incantato, proprio addossato alla muraglia e dove pascolano innumerevoli paperelle. I colori, l’armonia e la dolcezza del luogo è unica. Proseguendo sul sentiero si arriva ad una sopraelevazione da dove si vede nettamente la forma a ferro di cavallo del Canyon. Mia cugina scopre delle piante i cui fiori, se sfregati, emanano profumo di incenso. A dire il vero le avevamo già trovate da un’altra parte, vuol dire che ce le ritroviamo anche qui. Tornati nel piazzale dove avevamo parcheggiato la macchina, ci facciamo una bella bevuta di acqua fresca dalla fontanella proprio davanti alle toilette. Quello che non manca in Islanda è l’acqua, è sempre gratis ed ai distributori di ci si può lavare la macchina. Riprendiamo il camino ed arriviamo al promontorio di Tjornes dove ci dovrebbero essere le Pulcinella di mare, sorta di buffi uccelli col becco ricurvo arancione. Parcheggiamo in una via laterale e camminiamo verso la punta del promontorio dove si vede anche un faro ma la strada è sbarrata da un filo spinato, evidentemente è zona militare. Non ci diamo per vinti e, superata a piedi una piccola collina, ci portiamo dall’altro lato del promontorio e qui il filo spinato è stato abbattuto forse da persone che avevano le nostre stesse intenzioni… Fatto sta che passiamo ed alcuni di noi arrivano fino al faro ma di Pulcinelle nessuna traccia. Delusi e con la voglia di vedere le pulcinelle di mare arriviamo a Husavik al nostro alloggio, poco fuori dal paese in una fattoria, un posto bellissimo con tanto verde intorno (6000 Isk, 75 €, stanza doppia). Non ci sono animali ma intorno c’è uno spazio enorme. Davanti abbiamo un monte con tanto di ghiacciaio che finisce direttamente in mare. Ceniamo nella solita cucina a corredo delle stanze ed andiamo a vedere il tramonto del sole alle 12.30. Andiamo dunque verso Husavik, con il mare a sinistra e ci fermiamo sull’erba. Il sole scende, ma non rapidamente e raggiunge il mare circondato da un alone rossastro che consente a malapena di riconoscerne i bordi. Poi comincia un percorso in orizzontale verso destra: giusto la terra gira in senso antiorario ed il sole ci sfugge a destra. Il sole rimane per un’ora sulla superficie del mare sempre sulla linea dell’orizzonte, sempre spostandosi a destra ma con una velocità maggiore rispetto a quella con cui era sceso. Vediamo il sole prima leggermente a ovest, poi attraverso il Polo Nord e se aspettassimo lo vedremo andare ad est e quindi alzarsi da est e percorrere una traiettoria verso sinistra e verso l’alto, cioè verso ovest. Ma non ci va di aspettare perchè ci rovineremo la giornata di domani e quindi riguadagniamo casa sempre con la luce ambientale a tutto sesto. Finora c’eravamo chiesti se c’era un periodo di notte, anche di soli 5 minuti, in cui si aveva oscurità, ora abbiamo la certezza: mai, non fa mai notte in questo periodo da queste parti ed anche se siamo al di sotto del circolo polare, anche qui si vede il sole di Mezzanotte, perchè il sole non è un punto.
10° 30 giugno 2007 sabato. Husavik-Hvammstangi via Akureyri, Blonduos, Osar (penisola di Vatnsnes) 363 km. Di mattina, dopo la solita lauta colazione a base di mocaccino, caffè espresso, marmellata e Nutella che non finisce mai e che ormai viene aggredita con le dita o con un cucchiaino rileccato, e quant’altro, andiamo a Husavik perchè tre di noi vogliono fare la gita in barca per vedere le Balene (3900 ISK adulti 49€, 1900 ISK fino a 15-16, gratis sotto 14 anni). Visitiamo la chiesa luterana, Husavikurkirkja, del 1900, costruita in un anno con legno norvegese, dove ci sono dei dipinti moderni, dove Lazzaro pare uscire da una grotta islandese e, attorno a lui, montagnole di lava e volti tipici islandesi. C’è anche un grosso organo visibile dal piano superiore al quale si può accedere. Il prete è seduto pigramente in un angolo dell’altare a guardare noi che visitiamo la chiesa. Visitiamo poi il museo delle Balene (9-19 nei mesi estivi, adulti 600 ISK=7.5€, fino a 14 anni 3€), unico in Europa, una magnifica esposizione monotematica con Tutto sulle Balene, ma proprio tutto, dall’anatomia alla zoologia, all’evoluzione, alla biologia, alle specie, ai film con le balene, alla caccia, alle baleniere, con tanto di modelli di fiocine ed arpioni: l’arpione scagliato dal cannoncino della baleniera serviva solo ad arpionare la balena ed a trascinarla vicino alla nave dove veniva finita a fucilate. Insomma un libro sulle Balene, ci sono anche parecchi scheletri, di balene ovviamente, stampe antiche dell’Islanda ed un sottomarino giallo per i bambini piccoli. Per un appassionato di balene, o uno studioso, la sola visita al Museo merita il viaggio. All’uscita parliamo con Anna, di Milano, che ha fatto il dottorato di ricerca a Husavik, sulle Balene e lì è tornata per dare una mano al museo con una collega tedesca. Ci dice che la caccia alle Balene è aumentata ma che in Giappone, che compra la carne di balena, ci sono magazzini pieni di carne invenduta. Il grasso di balena è stato sostituito da grassi fatti con sostanze petrolifere più economiche per cui la caccia continua solo per la carne, particolarmente apprezzata in Giappone. Inoltre, ci dice che le escursioni per vedere le balene stanno prendendo sempre più piede a Husavik per cui gli ambientalisti si sono schierati al fianco degli operatori turistici che sono contro la caccia e favorevoli al safari fotografico che porta turisti e soldi. Di conseguenza la battaglia: caccia si, caccia no sta diventando una questione interna islandese. Ci spiega anche come le balene riescono ad immergersi anche fino a 200 metri con i polmoni pieni di aria, perchè sciolgono subito l’aria nel sangue evitando di gonfiare i polmoni per immagazzinarla; l’orca assassina è in realtà una balena, il balenottero azzurro (killer whale) ma non è pericolosa per l’uomo come dicono i film americani che favoriscono la disinformazione. Alcuni di noi partono per il Safari alle balene, che si rivelerà molto bello e, oltre alle Balene, verranno anche visti 2 squali e, ma da lontano, e le agognate pulcinelle di mare. Alla fine del viaggio ci si può rivolgere all’ufficio dove danno una mappa cartacea con la rotta seguita dalla nave ed il punto di avvistamento delle balene, individuato col GPS. Intanto noi, deciso di saltare la cascata Godafoss per motivi di tempo, riprendiamo la 845 ed al bivio con Laugar riprendiamo la 1 con la quale, dopo 91 km, arriviamo a Akureyri, dove facciamo una passeggiata per il paese e compriamo la cartina dell’Islanda scala 1.500.000 che non si trova in Italia infatti noi siamo partiti con la 1:750.000 della Eurocart, ma parecchi particolari si perdono e non tutte le strade ci sono. La cittadina è carina, colorata, ordinata e pare che sia la seconda città dell’Islanda, così piccola; c’è anche un ristorante italiano. Vediamo una festa di giovani in pieno centro con palloncini e roba da mangiare ma non si sente cacciara. Consumiamo un frugale pasto in un fast food tipo Mc Donald che costera’ tipo 30 euro e ripartiamo per arrivare alla fattoria Glaumbaer, vecchia fattoria trasformata in museo rurale-artigianale. Casette in torba, un materiale che deriva dalla decomposizione dei vegetali e che può essere anche usato come combustibile. Veniva usato al posto della pietra, scarsissima in zona, e del legno che si recuperava solo dalle spiagge dove veniva portato dall’oceano. Attrezzi antichi, fra cui rudimentali sci e schettini ed una pietra dove venivano sbattuti i pesci prima di essere essiccati. Anche qui si può andare dappertutto e toccare tutto, dai letti agli attrezzi vecchi di oltre un secolo e che servivano per i lavori di allevamento delle pecore. Ci immaginiamo la famiglia patriarcale con le sue gerarchie e le sue regole. Non c’era intimità, nessuno aveva le stanze singole ed i coniugi dormivano su 2 lati della stanza, in letti rigorosamente singoli, mentre le ragazze nubili avevano un’ apposita stanza dove dormivano in 5-6. Mia cugina traccia una fine analisi del passato: “la mancanza di un Privato contribuiva alla felicità ed all’unione dei membri della famiglia che, probabilmente, sapevano tutto di tutti, non nascondevano nulla e non possedevano nulla”. Accanto alla casa un delizioso cimitero dove venivano seppelliti i membri anziani della famiglia, e che, sempre secondo mia cugina, ormai lanciata dall’entusiasmo vero le indagini sociologiche del passato, “allontanava la paura della morte per chi se ne andava: .. e per chi rimaneva… ….”. Nella stanza da letto si trovano macchine per filare, fusi e telai, quelli del film della Bella addormentata nel Bosco, e nella cucina il calderone panciuto ed enorme, tipo strega di Hansel e Gretel, attaccato al soffitto con delle catene e con cui si preparava la cena per tutta la famiglia. Alla fine della visita ci concediamo una cioccolata densa e calda, con annessa fetta di torta nella pasticceria della Fattoria. Riprendiamo il cammino in piena solitudine dopo aver passato Blonduos, dove facciamo benzina, svoltiamo a destra per inoltrarci, riluttanti, nella penisola di Vatnsnes via 711 alla ricerca della colonia di foche. Non ci fermiamo a vedere il faraglione di Hvitserkur, che sarebbe stato bello vedere, perchè si è deciso che è bene arrivare a destinazione prima delle 20. Superiamo Osar e verso Hindivisk, la punta estrema a nord, vediamo i primi segni di insediamento umano ma, nonostante scrutiamo l’orizzonte col binocolo, nessuna foca. Chiediamo a 2 case vicino, di cui da una esce una ragazza che ha appena fatto la doccia, ma, per nulla spaventata, ci da indicazioni sul dove possiamo trovare le foche, verso Hindivisk, ma lì non c’era niente. Riprendiamo la penisola verso sud e vediamo un cartello con la figura di una foca. Parcheggiamo e, dopo un breve sentiero, arriviamo al mare ma di foche niente. Incontriamo però un gruppo di anatre che appena ci vede naviga verso il largo a parte una e ci chiediamo il perchè. La spiegazione arriva subito: vediamo fra le rocce un piccolo anatroccolo che ha perso la via. Delicatamente lo prendiamo in mano, lo vogliono toccare e stringere tutti e poi lo depositiamo in acqua dove si fa cullare dalle onde. Ma madre e figlio ancora non si sono visti. L’anatroccolo sguazza un pò e non trova di meglio che approdare su uno scoglio a pochi metri da dove è salpato. Poi sparisce fra le rocce. Arriviamo a Hvammstangi, la città più grande dell’area e ci ricongiungiamo con i balenofili che si sono già insediati nella fattoria di Andrea Laible, poco fuori da Hvammstangi, al bivio con la 1 a sinistra, venendo da Hvammstangi e poi pochi km andando verso ovest. Ci aspetta una casa tutta per noi con salottino, e la solita cucina ben attrezzata dove ciascuno si offre per le varie corvè che attendono: apparecchiare, cucinare, fare i piatti, preparare la colazione l’indomani, sparecchiare, accantonare e riporre i viveri. Facciamo poi una sortita al vicino recinto dei cavalli islandesi della fattoria, che, dopo la solita incertezza, si avvicinano curiosi e belli con la criniera appena uscita dal parrucchiere….. Viene la voglia di cavalcarli, ma senza sella e staffe potrebbe essere pericoloso, non possiamo permetterci fratture e…battute di arresto col programma. Ci limitiamo, quindi, ad accarezzarli e dare degli zuccherini che abbiamo preso in uno degli alloggi precedenti ma che alcuni cavalli disdegnano sputandolo. La giornata volge al termine e rinunciamo ad andare a vedere il sole di mezzanotte perchè siamo stanchi e poi dovremo andare alle 3-4 del mattino per vedere l’alba perchè il tramonto lo abbiamo già visto. 11° 1 luglio 2007 domenica. Husavik-Laugarvatn 265 km. Di buona mattina, alle 8, d’accordo tutti e in deroga al programma, questa volta all’unanimità, ritorniamo alla penisola a cercare le foche. E questa volta le troviamo perchè prima del posto del giorno prima, quello con il cartello con la figura della foca, vediamo sulla sinistra della carreggiata un cartello, scritto a mano col pennarello che indica la presenza di foche a quell’altezza e che il giorno prima non avevamo visto. Scendiamo contenti e speranzosi e dopo un breve cammino che alcuni percorrono in macchina altri a piedi, arriviamo ad una casa quasi sul mare. Chi fa il percorso a piedi lo fa per sfidare le centinaia di uccelli che, per difendere il territorio ed emettendo grida di guerra sgraziate, si lanciano in picchiata verso l’invasore, che si copre il volto con la giacca, ma fortunatamente senza arrivare allo scontro: una bella emozione comunque perchè gli uccelli sono veramente aggressivi. La signora che gestisce la casa è tedesca ed uno dei lavori che svolge è la raccolta delle piumette per fare i piumini. Intorno, infatti, nidificano migliaia di anatre che lasciano i piccoli nel nido. La signora e soci prendono gli anatroccoli appena nati, prendono alcune piumette e poi rimettono i piccoli nel nido. Bel esempio di industria ecocompatibile. Ogni nido è ben segnalato da una bandierina e la pratica non infastidisce gli uccelli che non abbandonano il luogo e tornano ogni anno a nidificare. Percorriamo una spiaggetta e dopo 100-150 m, eccole, sono in mare che sguazzano e che si avvicinano curiose per vedere chi viene a trovarle. Sono almeno 15 foche, fra quelle che prendono il sole, che nuotano che fanno capolino e poi si immergono. Il posto è splendido, il tempo anche, le foche anche. Siamo tutti affascinati e resteremo volentieri qualche giorno in quel avamposto sperduto non inquinato, dove non si avverte il consumismo, magari solo per sederci a leggere o per guardare le foche che sguazzano di fronte a noi. Alle nostre spalle decine di nidi da cui le anatre si sono allontanate disturbate da noi. Facciamo silenzio e le anatre tornano a covare, poi facciamo rumore e si riallontanano. C’è un nido addirittura vicino sotto le nostre gambe in un anfratto di una roccia. Crediamo che sia ora che le anatre tornino a covare e ritorniamo verso la casa dove ci attende una lieta sorpresa: poichè siamo i primi della stagione, e non perchè siamo noi come qualcuno pensava, la signora tedesca ha imbandito un piccolo rinfresco con bibite, dolcetti e piccoli panini. Facciamo colazione e per non essere da meno lasciamo alla signora una fetta di parmigiano e così pubblicizziamo anche i prodotti italiani all’estero. Riprendiamo la via e, dopo Hvammstangi, stavolta al bivio con la 1 giriamo a destra. La strada non offre particolari spunti. Decidiamo di saltare la sorgente di Deildartunguhuver a 21 km da Reykholt perchè non ci rientra, avendo occupato ottimamente la mattina con il safari delle foche, ed arriviamo, passata Varmaland, a Borgarnes. Qui ci si pone il quesito se continuare la 1, passare sotto il tunnel sottomarino a pagamento di Hvalfjordur e poi, superato Mosfellsbaer, via 36 e poi 365 arrivare a Laugarvatn, oppure tornare indietro verso Grund e prendere la 512 (di colore giallo sulla carta) che arriva in modo più diretto a Laugarvatn. Scegliamo quest’ultima soluzione e mal ce ne incorre perchè pur non essendo una carrozzabile per sole 4×4, la strada è ghiaiosa e lavica e come se non bastasse dopo un pò comincia a piovere creando problemi di fango e di visibilità che ci costringono ad andare a passo d’uomo. Rassegnati ed imprecando contro le strade islandesi che a dire il vero sono egregie dal punto di vista dell’impatto ambientale, dopo un viaggio scomodo, salutiamo felici l’ingresso nell’ area di Pingvellir che vedremo domani, e, dopo un breve tratto, raggiungiamo finalmente Laugarvatn ed il suo ostello della gioventù (5450 ISK, 68 € stanza doppia), molto carino con 2 cucine a disposizione ma con bagno non in stanza, come comunque è lo standard per viaggi come lo abbiamo concepito noi. Come al solito, le finestre non hanno copertura, salvo inutili veneziane ma come al solito dormiremo profondamente e bene. Sono le otto di sera e, dopo cena, alcuni di noi vanno in avanscoperta a Geysir a circa 28 km da dove siamo. Arriviamo al sito geotermico e parcheggiamo sulla carreggiata destra della strada su un piazzale dove c’è anche un albergo. Attraversiamo ed entriamo, come al solito gratis. Leggiamo il pannello illustrativo che parla di deriva dei continenti, dorsale medio-atlantica che da queste parti passa e di funzionamento dei geyser. Poi ci inoltriamo, completamente soli, in questo ambiente infernale che è Geyser, percorrendo un vialetto: attorno a noi di tutto, pozze ribollenti rocce calde, appena recintate ma facilmente scavalcabili per chi cerca l’avventura. Facciamo qualche fuori-pista ma solo dopo aver ogni volta saggiato il terreno e quindi arriviamo ad un piazzale più in alto. Improvvisamente a non più di 5 metri alla nostra destra, un fragore di acqua che scorre, violento ed improvviso, ci giriamo e vediamo una colonna d’acqua alta almeno 30 metri. Spaventati scappiamo verso dove siamo arrivati pensando che sia un fenomeno non previsto. Poi ci tranquillizziamo perchè capiamo che siamo arrivati allo Strokkur, il geyer che ha rimpiazzato Geyser che langue a qualche metro di distanza e che ormai nessuno si fila più. Con prudenza, ci avviciniamo il più possibile a Strokkur che è recintato da una cordicella e prendiamo i tempi. Ogni 10 minuti abbiamo letto e per i primi 2 spruzzi Strokkur rispetta i tempi, poi, quando pensiamo di scavalcare la cordicella per avvicinarci di più al fenomeno, Strokkur erutta prima. Insomma non c’è da fidarsi, non è vero che è regolare nelle eruzioni. A volte ne fa 2 consecutive a distanza di pochi secondi, la prima più piccola e l’altra più potente. Ci mettiamo in attesa e lo vediamo 5-6 volte e forse più. Comunque all’inizio c’è solo un polla d’acqua poi con l’avvicinarsi dell’eruzione la polla diventa una lente convessa che si agita a destra e sinistra e poi ad un certo punto erutta. Ecco, qui siamo in compagnia di Strokkur, proviamo le stesse sensazioni avute al Ghiacciaio, la natura è sovrana e viva, si agita, smania e si mostra. Un getto più alto ci bagna di vapore, fortunatamente non più caldo. Ci inoltriamo ancora nel campo geotermico e vediamo ancora pozze ribollenti, alcune verdi e fumarole dappertutto. Paghi per oggi, ritorniamo all’ostello e andiamo a dormire. 12° 2 luglio 2007 lunedì. Laugarvatn-Njardvik 150 km. Di buona mattina, dopo lauta colazione, i magnifici 7 vanno al sito geotermico di Geyser. Ancora Strokkur e le fumarole. C’è chi mimando il movimento ondulatorio della polla d’acqua prima dell’eruzione, simula l’orgasmo, chi si siede sui sassi caldi per stare più vicino a Strokkur, chi scatta centinaia di fotografie. Certo il giorno prima non c’era nessuno mentre ora, le 10 di mattina, arrivano i pulmann che vomitano truppe cammellate di turisti e l’ambiente si anima. Avanti, c’è posto per vedere Strokkur nel terzo cerchio concentrico esterno. Riprendiamo le auto e ci dirigiamo a Gulfoss dove troviamo la cascata più famosa d’Islanda e che è stata al centro di accese dispute fra chi voleva sfruttarla per produrre energia elettrica e chi per scopi turistici, obiettivo che fortunatamente ha prevalso grazie anche alla vicinanza con Rejkyavik. La cascata è di quelle dette “di faglia” per cui l’acqua penetra attraverso la faglia e si infiltra fino allo strato lavico. Morfologicamente, consiste in un primo salto, molto ampio in larghezza e poco in altezza ed in un secondo salto, stretto ma molto alto. Poi l’acqua defluisce a valle mediante un Canyon molto stretto. La visione della cascata è fantastica anche perchè un sentierino molto affollato conduce proprio vicino al primo salto. E qui abbiamo riconferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, dell’assoluta mancanza di sicurezza e barriere fra le persone e i fenomeni naturali del paese. Siamo a 20 cm dall’acqua, il fragore è immenso e inesauribile se dovessimo cadere finiremo fra le rapide, e percorreremo un plateau troppo corto per essere salvati prima del secondo salto. E’ vero che c’è un piccolo scoglio dove si potrebbe approdare e poi ci vorrebbe un elicottero per il recupero, ma non sappiamo se sarebbe possibile raggiungerlo in barba alla corrente. Saliamo sulla collinetta alle spalle del primo salto fino ad un terrapieno da dove vediamo la cascata nel suo complesso. Ci concediamo un’ ottimo minestrone al rifugio vicino e mangiamo una quantità infinita di tartine di pane con un burro saporitissimo con oltre il 4% di grasso. Ci dirigiamo quindi decisamente verso la frattura Almannagjà cioè il punto dove milioni di anni fa è emersa dall’Oceano Atlantico la cresta della dorsale medio atlantica che poi sarebbe diventata l’Islanda. La zona è fortemente sismica perchè la lava continuamente fluisce dal fondo dell’Oceano e, attraverso le originarie spaccature, provoca l’accumulo di energie tensionali che sfociano inevitabilmente in terremoti, Ed è in occasione dei terremoti che la frattura si allarga (2 cm/anno) e l’Islanda orientale si sposta verso est e quella occidentale verso ovest, ognuna con la propria placca tettonica. E’ lo stesso fenomeno della parte sud della California il cui destino sarà quello di separarsi dal continente americano. C’è un canyon dove si cammina dal parcheggio alla sommità della collina e che pare sia la frattura principale, ma in realtà tutta la zona è fratturata, è un sistema di fratture come uno di noi fa notare. Ed è vero, tocca stare attenti a dove si mettono i piedi perchè ci sono fessure dappertutto ed alcune anche profonde. Ci mettiamo a cavallo di una delle fratture e facciamo le foto di rito della serie un piede americano e l’altro europeo. Sulla collina c’è comunque un centro dove proiettano film sulla geologia e sulla flora del luogo. Oltre una delle pareti del canyon che si percorre per arrivare alla collina c’è un canyon parallelo dove scorre un fiume. Circondato da alte pareti di roccia. Insomma è un posto magnifico dal punto di vista geologico per cui trascuriamo il fatto del primo parlamento islandese, all’aperto, e della chiesa antica di cui non è rimasta la minima traccia perchè probabilmente tutta in legno. Lasciamo a malincuore anche questo posto che trasuda di ere geologiche e ci dirigiamo verso Laguna Blù la nostra ultima tappa turistica e, confidando sull’ esperienza passata, Maurizio, alla guida, imbocca la strada per Selfoss senza che nessuno prima abbia consultato la cartina che ci avrebbe consigliato ed indicato di percorrere le strade in rosso a nord, seppur più lunghe, evitando quelle gialle che l’esperienza del giorno prima avrebbe sconsigliato. Per salvare il salvabile, cerchiamo il percorso più breve e facciamo un ulteriore errore, imboccando due strade, la 42 e poi la 427 gialle, lente e pericolose che ci fanno arrivare con ritardo e non senza una certa apprensione perchè il secondo equipaggio, per evitare un auto che viene in senso opposto si sposta troppo verso destra e finisce fuori strada !!. Ed i danni sarebbero potuti essere peggiori se l’incontro fosse avvenuto in un tratto rialzato della strada, stretta e con l’assoluta mancanza di guard rail o transenne ed il cui sconfinamento avrebbe portato ad una caduta in cunetta.. Da qui ci convinciamo e ribadiamo di percorrere sempre le strade principali per giungere a destinazione durante i trasferimenti a meno che le alternative non siano di comprovato ed acclamato interesse turistico o ne sia notoria la percorribilità e l’abbreviazione meriti effettivamente. Arriviamo quindi in ritardo, ma, alla Laguna Blù, che sta a 3 km da Grindavik, il tempo non è una variabile dipendente e ce andremo prima della chiusura. La strada per giungere alla laguna è tutta lavica ed anche per arrivare allo stabilimento, a piedi dal parcheggio, si percorre un sentiero contorniato da pareti laviche. Arrivando, vediamo una clinica che sfrutta le proprietà della laguna per i fanghi e fanno anche cure estetiche e massaggi. Anche qui il quadro è fantastico per i colori, i vapori e tutto l’insieme. Il bagno alla laguna è piacevole e ristoratore e ci si può cospargere del fango bianco ed argilloso che si prende a manciate dal fondo. Occorre stare attenti a non avvicinarsi troppo alla roccia da cui esce l’acqua bollente che pare sia acqua di mare che gli islandesi insufflano sottoterra e usano per riscaldare le acque dolci che dovranno servire alla centrale geotermica lì vicino. Le acque di scarico formano la Laguna Blù. Danno un braccialetto elettronico, che si fissa al polso e con cui si apre l’armadietto dove uno ha messo le cose di valore. Dopo esserci rigenerati ed aver fatto la doccia andiamo in quello che sarà il nostro ultimo alloggio, a Njardvik (7500 ISK, 94 €, stanza doppia, colazione inclusa), un paese a metà strada fra Laguna Blù e l’aeroporto, scelto in modo strategicamente perfetto e dove consumiamo un ottima cena con le nostre vettovaglie e con le provviste della cucina che la signora ci permette di utilizzare. Andiamo a fare benzina e quindi a letto perchè alle 4 dobbiamo alzarci perchè l’aereo parte alle 6.45. Sfruttiamo l’ Internet gratuito per conoscere le ultime notizie dall’ Italia e mandare qualche messaggio. In aeroporto, poi, dove cambiamo, al peggio, le ultime corone rimaste. Al controllo sequestreranno un tubetto di crema da 100 ml, già usato e quindi contenente meno dei 100 ml, limite massimo prescritto, ma nel mio bagaglio a mano lasceranno i seguenti articoli, finiti lì per dimenticanza: un rasoio, una forchetta, un coltello, tronchesine per le unghie ed un cacciavitino per gli occhiali; e il poliziotto aveva addirittura aperto il contenitore dove si trovavano…!!!! A Londra provvediamo a mettere tutto in valigia ma ci scontriamo con l’ aumento del livello di sicurezza inglese perchè siamo ad un giorno dall’attentato di Glasgow, ed è permesso un solo bagaglio a mano e la borsetta delle signore o quella della macchina fotografica vale come uno. Vediamo scene bizzarre di chi si ingegna a nascondere la macchina fotografica sotto un giaccone, chi esce e rientra da un altro varco, chi fa spazio nel primo bagaglio a mano per metterci anche il secondo. Fatto sta che riusciamo a partire non senza prima aver chiamato il fido Virgilio che puntualissimo ci aspetta con una monovolume all’uscita da Ciampino. Il raccordo, la tangenziale e siamo a casa. Il traffico ci sembra opprimente e pericoloso, dobbiamo ancora riabituarci al casino di tutti i giorni. Il prossimo futuro ci vedrà ancora in Islanda per il Rafting nel Glacier river canyon a circa 60 km a nord-est da Húsavík e per esplorare le zone più remote del paese dove fumarole e geyser sono appannaggio dei pochi temerari che vi si avventurano, affrontando scomodità, isolamento e lunghi percorsi nel Nulla ma con l’impagabile sensazione di far parte di un ambiente vivo, vitale, primordiale e preservato dalle nocive e noiose infiltrazioni espansionistiche antropiche. Alla fine la spesa individuale sarà di 378€ per aereo (A/R), 317 € per l’auto, 506 € per l’alloggio, (camera doppia o camerone) 382 € per la benzina e varie (mappa Islanda, due cene fuori, cassa comune) per un totale di 1583 €, contro i 1310€ preventivati, non essendoci privati di nulla che ci interessava, indipendenti e responsabilizzati nel cibo e negli spostamenti …., mentre con avventure nel mondo avremo speso, fra iscrizione e cassa comune 1800€, non considerando le spese extra. Non parliamo poi con le agenzie classiche, il prezzo sarebbe probabilmente più raddoppiato perchè l’agenzia avrebbe dovuto provvedere a colazione-pranzo-cena a 50 € a pasto…!!!!