Habana y Isla de la Juventud

Viaggio di 20 giorni inizialmente alla scoperta dei quartieri meno frequentati dell’Habana per poi avventurarci nella bellezza selvaggia dell’Isla de la Juventud; un tuffo nella natura, sfiorando la storia, esplorando meravigliose barriere coralline ed immergendosi nella quotidianità locale fermatasi nel 1959, per poi continuare a sognare...
Scritto da: ManuDavid
habana y isla de la juventud
Partenza il: 15/05/2011
Ritorno il: 04/06/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Viaggio di 20 giorni inizialmente alla scoperta dei quartieri meno frequentati dell’Habana per poi avventurarci nella bellezza selvaggia dell’Isla de la Juventud; un tuffo nella natura, sfiorando la storia, esplorando meravigliose barriere coralline ed immergendosi nella quotidianità locale fermatasi nel 1959, per poi continuare a sognare all’Habana: un ambizioso palcoscenico sospeso tra il passato ed il futuro, infinita e splendente contraddizione d’epoche che riecheggia come patrimonio dell’umanità

1° giorno (15 Maggio)

Arriviamo all’Habana

Alle 10:40 partiamo con 25 min. di ritardo, causa nubifragio ben augurante, dall’aeroporto Marconi di Bologna con il volo AF1229 della compagnia aerea Air France diretti a Parigi con i posti 6A/C ed atterriamo alle 12:30 al terminal 2G dell’immenso aeroporto “Charles de Gaulle. Alle 13:05 ci attende il nostro boeing 777, con il volo AF3234 ed i posti 15 L/K dal terminal 2C, sempre con Air France, diretto all’ Habana, ma che in realtà partirà alle 14:35 causa inspiegabile ritardo (bagagli controllati minuziosamente). Ottima compagnia aerea sia come servizio, che come qualità di cibo, intrattenimento e disponibilità del personale sia pur viaggiando in economy, con il vantaggio non indifferente, di avere un bagaglio stiva di 23kg in più a testa per lo stesso prezzo del biglietto rispetto altre compagnie (oltre ad un altro di 23kg + bagaglio a mano di 12kg a testa). Alle 17:45, in perfetto orario nonostante il precedente ritardo, atterriamo all’Aeroporto “Jose Martìdell’Habana (6 ore in meno rispetto all’Italia). Trovati i bagagli, alle 18:40 cerchiamo un taxi “particular”, ossia tassisti abusivi locali, ma son tutti già impegnati, così optiamo per un taxi del “gobierno” y “standard”, un Cubanataxi però “sin tassametro” (tutto il ricavato al tassista) che per 20 € ci porta al maestoso “Hotel Panorama” del Miramar (ottima soluzione 4 stelle) passando per Marianao e Buenavista. Sistemati i bagagli nella camera n°711 (spaziosa, pulita con ottima vista al 7° piano sul mare e l’Habana), decidiamo di esplorare i servizi che offre l’Hotel, gironzoliamo in lungo e in largo la Hall, piscina e zone limitrofe esterne per poi alle 22:00 crollare esausti.

2° giorno (16 Maggio)

Alla scoperta del “Vedado”

Oggi ci aspetta una intensa giornata a piedi e ricca di molti tesori da scoprire con il nostro consueto fai da te. Dopo un abbondante colazione aspettiamo la navetta gratuita Gaviota delle 09:15 che dall’Hotel Panorama porta i clienti sino al’Habana Vieja, percorrendo tutto il Malecon sino al Mercado di S. Josè. Chiediamo gentilmente all’autista d’improvvisare un ulteriore fermata nel “Vedado” (ex riserva coloniale boscosa dove era proibito costruire che ora conta circa 175. 000 abitanti) e veniamo accontentati poco distante dal “Protestantodromo” e dal grattacielo art decò “Lopez Serrano”, davanti al maestoso “H. Nacional”, uno dei nostri obbiettivi, nonché tipico edificio cartolina dell’Habana. Un maestoso hotel neocoloniale/art decò del 1930 con lobby stile moresco con porcellane blu e pavimenti in marmo, arredata con mobilio e lampadari d’epoca, dove spiccano targhe fotografiche di ospiti famosi del calibro di Winston Churchill, Frank Sinatra, Lucky Luciano ed Errol Flynn (di cui ci dicono sia infestata dai loro fantasmi) che si incontrarono qui nel 1946 per un famoso raduno Gangster capitanato da Meyer Lansky . Dopo aver visitato la lobby, passeggiamo nell’ ampio ed enorme parco-giardino passando accanto a due piscine rinascimentali con bianche statue marmoree, per poi soffermarci vicino al bar, che si affaccia direttamente sull’oceano accanto a due cannoni d’epoca, mentre un pavone incuriosito ci omaggia con una splendida ruota.

Ritorniamo verso il Malecon, dopo aver lasciato materiale scolastico alla direttrice dell’“Escuela Primaria di Marianao”, per un rapido sguardo al monolitico “Monumento de Las Victimas del Maine(in memoria della corazzata americana che esplose misteriosamente nel 1898) ed all’ “Edifico Focsa(un grattacielo di 39 piani che nel 1956 fu il 2° palazzo al mondo costruito interamente senza l’ausilio della gru). Proseguiamo lungo la “Rampa”, l’ Avenida in dislivello più calpestata dell’Habana, una larga strada in salita ricca di negozi, pub e ristoranti, che richiama la Rambla di Barcellona, curiosando nel “Mercado Artigianal Feria y 23(graziose bancarelle di artigianato locale) sino ad arrivare all’Hotel Habana Libre(con l’ausilio di un gentile vecchietto cubano) poco distante da un rifornito negozio di cd. Questo immenso Hotel, costruito nel 1958, nell’anno successivo divenne il quartier generale di Fidel Castro dalla cui lussuosa suite al 24°piano governò il paese. Poco distante, tra “CL” e “Rampa” si trova la famosa gelateria “Coppelia”, un disco volante grigio, inaugurata nel 1966 e resa famosa nel 1993 dal film “Fresa y Chocolade”, dove cerchiamo di rinfrescarci dalla calura con un ottimo gelato, ma una guardia si avvicina e ci fa notare che oggi è chiusa per pulizia del pavimento! La solita fortuna!

E’ quasi mezzogiorno e dopo una rapida “Cola” (tipica fila cubana onnipresente) alla Cadeca della Rampa per cambiare Euro in Cuc e Pesos Nacional (solo con passaporto, 1€=1, 40 Cuc=24 Pesos Nac.) decidiamo di pranzare per strada in uno dei tanti banchetti locali o attraverso le grate delle finestre dei cubani, dove si può trovare un’ottima varietà di pizza de queso o cipolla, crocchette, spaghetti, tortilla con jamon e hamburger, per pochi pesos nacional (1 pizza de queso=8 pesos nacional). Praticamente siamo gli unici turisti che mangiano con e come i cubani. Proseguiamo il nostro itinerario lungo Calle “CM” sino al “Monumento a Julio Antonio Mella(oppositore di Machado) all’angolo con calle “S. Lazzaro” e ci fermiamo sotto una grande Ceiba, albero sacro e votivo secondo la religione santera, per ammirare l’immensa scalinata di 88 gradini su diversi livelli, dell’Università dell’Habana(visitata da Papa Giovanni Paolo II), che termina con l’imponente “Statua dell’Alma Mater”. Saliamo la scalinata e passando sotto ad immense colonne di stile neoclassico, ci troviamo in un vero e proprio Campus colmo di giovani, attorniato da edifici del 1902, giardini interni freschi ed ombrosi dove rinfrescarsi dalla calura, ospitanti un vecchio “Autoblindo Inglese Daimlerdell’esercito di Battista, poco distante da due importanti musei. Incontriamo due giovani studenti cubani, Rolando Y Alessandro che saranno le nostre guide per tutto il Campus e riusciranno a farci entrare gratis al “Museo Antropologico Montanè” (spesso chiuso), dove tra manufatti indigeni precolombiani, vasellami, anfore e sepolture, riusciamo a vedere e fotografare di nascosto, il famoso “Idolo del Tabaco o di Bayamo”. Usciamo dall’università dal “Giardino dello Scientifico”, un piccolo terrazzamento adiacente ai palazzi del Campus, adorno di bianche statue raffiguranti illustri scienziati, dopo aver salutato le nostre guide speciali e ci dirigiamo verso il Museo Napoleonico accanto all’Università, ma per la gioia di David oggi è “Cerrado”, in quanto giorno di chiusura (sarà però il nostro obbiettivo primario l’indomani!).

Sono circa le 12:45 e decidiamo di proseguire lungo la desolata e decadente calle S. Lazzaro fino al num. 955, tra Calle Aramburu y Hospital, per visitare il bizzarro “Callejon de Hamel”, un rione di Cayo Hueso, una delle parti più povere dell’Habana, santuario all’aperto afrocubano, una piccola via interamente colorata ed affrescata da Salvador Gonzales con tutte le correnti religiose africane. In ogni angolo appaiono simboli animisti, bamboline sotterrate e coperte da un vetro trasparente raffiguranti divinità santere come Yemayà, Nganga agli angoli (ossia pentole della religione di Palo Monte), offerte votive floreali ed alimentari davanti a piccole statue.

Usciti da questo Callejon dove eravamo gli unici turisti, tra avvisi di cartone di vendita di oggetti appesi alle grate e caffetterie casalinghe, svoltiamo accanto ad una scuola primaria dove radiose capre pascolano nel suo cortile ed alle 13:40 ripercorriamo S. Lazzaro fino alla Casa del Perro per dissetarci, immettendoci sulle trafficate “Avenida de la Universidad” sino all’angolo con “Av. Salvador Allende” y “Indipendencia”, per visitare la “Quinta de Los Molinos”, ex residenza ufficiale del generale Maximo Gomez. Entriamo da un ingresso secondario passando attraverso rigogliosi giardini botanici, ma da lontano una guardia ci viene incontro e ci avvisa che dobbiamo uscire in quanto il complesso monumentale è da tempo chiuso per un ampio progetto di restauro. A nulla sono valse le nostre richieste di proseguire solo fino alla casa del generale per una fugace foto ricordo, ma la guida ci informa che da dentro l’Università di Fisica lì adiacente, si può scorgere in lontananza la dimora coloniale (noi non ci siamo riusciti). Abbandoniamo questo obbiettivo e camminiamo lungo Av. Indipendencia sino alla famosa “Plaza de la Rivolucion”, sbirciando dai cancelli della “Sala Polivalente Ramon Frost(stadio dall’aspetto decadente) alcuni giovani giocare a basket, attraversiamo il rigoglioso parco circostante dove alcuni cubani ci deliziano a suon di tromba e sfioriamo il grande “Teatro Nacional de Cuba”, sede del “Ballet Nacional de Cuba”.

Alle 14:15 circa arriviamo nella famosa “Plaza de la Rivolucion”, un’immensa e brulla distesa di asfalto (appena rifatto) concepita nel 1920 sulla piccola Loma de Los Catalanes, oggi sede di tutti i famosi comizi governativi, fra cui il più colorato da migliaia di bandierine del 1°Maggio. Ci siamo solo noi, la piazza è stranamente deserta, ammiriamo il “Ministero degli Internila cui facciata inizialmente era nota solo per l’immagine gigantesca in bronzo di “Che Guevara” e per la famosa scritta “Hasta la Victoria Siempre”, a cui però oggi è stata aggiunta un’altra gigantesca effige raffigurante “Camillo Cienfuegos(eroe rivoluzionario), poco distante l’ Edificio “del Consiglio di Stato”, quello dei “Ministrie la “Sede del Comitato Centrale del Partito Comunista”. Alle nostre spalle c’è il famoso “Memorial a Josè Marti’”, eroe indipendentista e martire, oltre che a famoso letterato cubano a cui è dedicata una gigantesca “Statua di Marmobianco, proveniente dall’Isla de la Juventud, alta 17m che lo ritrae seduto e pensieroso. Cerchiamo di accedere al Memorial, ma ci sono cancelletti ovunque, all’improvviso da lontano spunta una guardia che per 4cuc a testa apre l’accesso solo per la visita esterna del memoriale. Decidiamo di entrare e poco più avanti per altri 3 cuc a testa (Museo di Martì escluso e zaini obbligatoriamente al deposito) si può salire sul “Miradordel Memoriale, dove un ascensore ci porta ad una altezza di 138, 5m (la struttura più alta di tutta la capitale), da cui possiamo ammirare splendide vedute a 360° di tutta l’Habana (da quasi il Miramar sino al porto Viejo) e dove tanti avvoltoi Aura neri sfrecciano sulle nostre teste per raggiungere i loro nidi.

Sono le 15:15 e dopo aver scorto dall’alto del Mirador l’immenso “Cementerio El Colon”, quasi 56 ettari di monumentali tombe bianche, decidiamo di avventurarci in questa pazzia ed appena lasciata “Plaza de la Rivolucion” lungo “Av. de Carlos M de Cespedes” y “C6” raggiungiamo sempre a piedi, tra deliziose ma decadenti casette ad un piano, “l’ingresso Estdel cimitero. Solitamente si entra dall’ingresso rivolto a Nord, per una maggiore facilità della visita rispetto alle tombe più note, ma noi per comodità optiamo per l’Est, scelta azzeccata, dato che, grazie ad una guardia, riusciamo ad evitare il biglietto d’ingresso di 5 cuc a testa. Questa immensa “Necropolis Cristobal El Colon”, inizialmente costruita nel 1871 per ospitare i resti mortali mai pervenuti di Colombo, silente di splendide iconografie religiose e bellissime statue in marmo bianco, è inoltre celebre per la presenza di tombe di personaggi famosi e di architetture sacre particolari. In particolare, fra le più famose si annoverano quella del generale Maximo Gomez, il Monumento ai Pompieri, la chiesetta di Alejo Carpentier, di Finlay (sconfisse la febbre gialla), della famiglia Bacardi, del campione mondiale di scacchi del 1921 Josè Raul Capablanca ed infine quella di Catalina Lasa (prima donna a beneficiare della legge del divorzio ed immensa storia d’amore il cui marito le fu sepolto accanto in piedi per poterla vegliare). Gironzolando tra stretti vialetti, ammirando tombe a forma di piramide, alte statue di angeli, immense cappelle attorniate da viali ed un gran santuario al centro di una rotonda, insomma una vera e propria città nella città. Tutto risplende di un bianco silente abbagliante sotto un caldissimo sole. Noi in particolare decidiamo di visitarne solo alcune fra cui quella del famoso cantante “Ibrahim Ferrerdei “Buena Vista Social Club” e forse la più famosa, quella della “Señora Amelia Goyrio meglio conosciuta come la “Milagrosa(La Miracolosa). Questa tomba, visibile da lontano in quanto sempre piena di fiori ed offerte votive accanto a piccole targhette di pietra con messaggi incisi, lasciate dai tanti turisti che le fanno visita (così numerose che a breve apriranno un piccolo spazio nel museo religioso già esistente per raccoglierle tutte) spicca per un alta statua in marmo bianco, raffigurante una donna che tiene una croce ed un bimbo in braccio. La Senora Amelia Goyri morì di parto a 24 anni nel 1901 ed ai suoi piedi fu sepolta la figlia; secondo le leggende e credenze locali, si narra che il marito inconsolabile, Josè Vicente, si recasse sulla tomba dell’amata ogni giorno vestito di nero, la svegliasse battendo uno dei 4 anelli di ferro del sepolcro per poi parlarle a lungo, sino ad andarsene senza mai voltarle le spalle ed a testa bassa in segno di rispetto. Qualche anno dopo la tomba fu riesumata ed il corpo dell’amata fu ritrovato intatto che stringeva fra la braccia la figlia, da ciò divenne simbolo di santità per la fede cattolica, così che gestanti o desiderose di aver figli, si recano tutt’ora su questa tomba per chiederle la grazia battendo 3 volte l’anello di ferro ed allontanandosi senza mai voltarle le spalle. Anche noi dopo averla visitata ed averle posto un fiore rosso di ibiscus, l’abbiamo svegliata secondo tradizione e ci siamo allontanati senza mai voltarle le spalle.

Alle 16:00 circa siamo usciti dall’ingresso Nord del cimitero, dopo aver acquistato per 1 cuc una cartina ricordo e stanchi per aver percorso quasi 7 km a piedi, saliamo sul Taxi particular di Julio, una Dodge del ’48nera, che orgogliosamente l’autista ci ricorda esser “toda original como el motor”, che per 5 cuc ci porta al nostro hotel nel Miramar. Decidiamo di far provviste compresa l’acqua in bottiglia nel “Supermercado 70 del Miramar”, (o Diplomercado, perché una volta si potevano fare acquisti solo presentando un passaporto straniero) il più rifornito di tutta l’Habana in “C70” (anche di elettrodomestici e ferramenta), per poi alle 16:45 finalmente rilassarci nella piscina del nostro hotel. La sera, ormai troppo stanchi per uscire nuovamente e cercar un buon ristorante, decidiamo di cenare con le provviste del supermercato e gustarci un delizioso mojito nella Hall dell’hotel con sottofondo di musica cubana, per poi crollare esausti fra le braccia di Morfeo.

3° giorno (17 Maggio)

“Vedado” parte seconda e “Miramar”

Oggi ci aspetta un’altra giornata intensa alla scoperta dei restanti tesori del Vedado e così, dopo un’abbondante colazione, prendiamo la consueta navetta delle 09:15 che dal nostro hotel ci porta gratuitamente ed eccezionalmente all’ “H. Nacional”, poco distante dal “Protestantodromo”, sfilando accanto all’antico “Castillo de San. Dorrotea de la Luna de la Chorrea”. Sempre a piedi, percorriamo la strada “CN” che attraversa la “Rampa” sino all’incrocio con “S. Lazzaro” (dove in qualsiasi casa si trovano negozi improvvisati e cibo da asporto tutto in pesos nac., purtroppo qui c’è molta più povertà e miseria) e la risaliamo sino all’Università dell’ Habana, dove casualmente incontriamo i nostri amici studenti del giorno precedente che salutiamo. Proseguiamo lungo “AV. dell’Università” dove poco distante dall’università stessa, ci appare il “Museo Napoleonico”, una palazzina del 1928 su 4 livelli molto curata, in stile rinascimentale fiorentino con all’ultimo piano un grazioso terrazzino colonnato panoramico che ospita dal 1961, una immensa collezione di 7000 pezzi napoleonici grazie a Julio Lobo (magnate dell’industria zuccheriera). Entriamo alle 9: 40, siamo i primi ed i soli, tanto che la biglietteria deve ancora aprire (3 cuc a testa +5 cuc per fotografare) dove un custode pulisce le vetrate mentre un’inserviente ci fa depositare gli zaini. Disposto su 4 livelli con diverse sale molto ben curate, dove nella prima sono esposti porcellane e monete accanto a divise militari, teche vitree con armi e soldatini in miniatura, sulle pareti quadri ed immensi dipinti, sgabelli lignei ed antichi mobili sormontati da aurei orologi, incorniciati da splendidi soffitti dipinti e lampadari di vetro, dove una grande porta vetrata colorata accede ad un grazioso giardinetto con fontane e statue. Al 2° p. vi sono altre teche con oggetti personali dell’Imperatore ed il mobilio della sala da pranzo accanto ad un salottino, mentre al 3° p. spicca la camera da letto completa con una delle maschere funerarie in bronzo di Napoleone, mentre al 4°p. ci rapisce una bellissima biblioteca in cedro e mogano, colma di antichi libri ed un pianoforte a coda dove due terrazzini ci regalano splendide vedute dell’Habana. Del resto da ogni persiana socchiusa si scorgevano splendide viste a 360°della città fra ripide scale e pavimenti in marmo.

Alle 11:00 lasciamo il Museo Napoleonico per dirigerci sulla strada “CK”, “C21”, “CJ-H” sino all’ incrocio con “Av. de los Presidentes” (calle G), dove curiosamente ogni cubano che incontriamo ci chiede di che nazionalità siamo, persino dai cortili interni delle case che qui diventano stile anglosassone con giardino, passeggiando tra strade ortogonali alberate e grandi marciapiedi, con agli incroci cippi di numerazione delle vie (qui turisti nessuno) . L’ampia “Calle G” sale dal Malecon sino ad una rotonda dove appare il “Monumento a Josè Miguel Gomez(generale e presidente cubano detto “pescecane” x il saccheggio di tesoro pubblico agli inizi ‘900), ricca di panchine ed alberi di Jaguey, ma soprattutto di enormi statue di grandi presidenti latinoamericani come ad es. Salvador Allende.

Alle 11:40, dopo aver chiacchierato con un simpatico medico cubano, ci fermiamo a riposarci all’ombra di maestosi alberi per orientarci e capire dove possa trovarsi la “Casa di Catalina Lasa o Casa Amistadal n. 406 tra 17 y 19 dil Paseo (la cui tomba si trova nel cimitero El Colon). Stavamo quasi per desistere quando sentiamo una musica di Compay Segundo provenire dalla casa dall’altra parte del viale, proprio davanti a noi al civico n°406, la famosa casa dell’ Amistad. Trovata! Un bella villa bianca rinascimentale con interni art decò, decori in ferro battuto con scalinate e pavimenti in marmo, attorniata da un rigoglioso giardino, che ora ospita un bar -ristorante con spettacoli musicali, ma che nel 1898 fu sede del famoso e romantico amore cubano tra la Senora Lasa, vincitrice di concorsi di bellezza e sposata con un rampollo dell’alta società ed il ricco vedovo Pedro Barò. Il loro amore diede scandalo nell’alta società da cui furono ripudiati, lei però riuscì a beneficiare della legge del divorzio nel 1917 e ritornare ad essere accettata dall’alta borghesia, ma si ammalò e andò a Parigi per curarsi dove vi morì nel 1930. Pedro riportò il suo corpo in patria e dieci anni dopo la raggiunse, si dice facendosi seppellire in piedi per poter continuare a vegliarla e facendo sigillare per sempre la loro tomba così come il loro amore.

Alle 11:50 circa c’incamminiamo lungo calle “C17” e dopo 3 isolati (tra E e D) sfioriamo il “Museo di Arte Decorativa”, una grande dimora patrizia color crema costruita nel 1924, un tripudio di marmi e stucchi, porcellane e mobili, con una grande scalinata centrale, che però noi osserviamo solo dall’esterno. All’angolo tra “C17” e “CD” svoltiamo a sx sino in “C19”, dove ci appare la famosa villa della poetessa cubana “Dulce Maria Loynaz(1902-97), una splendida dimora coloniale bianca colonnata e con marmi, con annesse scuderie ed un grazioso giardino ricco di statue (è visitabile su richiesta al custode, ma noi proseguiamo visionandola esteriormente). Percorriamo tutta calle “C17” per circa 1km., per ammirare in questo percorso ricco di splendide villette coloniche e colorate, scorci di autentica vita locale di ambientazione ottocentesca, alcune dimore sono fascinose e ben curate, altre decrepite e purtroppo decadenti, contrapposte ad altre meticolosamente restaurate al cui cospetto sono parcheggiate vecchie auto americane. Incontriamo 3 mercati Agropeculiari, dove la gente cerca di vendere il misero raccolto dei propri campi o fiori del proprio giardino su banchetti di legno improvvisati inspiegabilmente resistenti alla forza di gravità, tra colori e profumi di un tempo passato. Tutti ci guardano incuriositi, dato che raramente i turisti si avventurano lungo questi percorsi, fra vecchie auto smesse parcheggiate lungo i marciapiedi di viali fioriti di enormi ed arancioni Flamboyan ed ibiscus, tra bimbi che giocano in strada ed ambulanti che vendono cibo cotto in casa, cani che dormono sui marciapiedi divelti dalle radici di grossi alberie ovunque gente seduta sull’uscio di casa per aspettare qualcosa di insolito da raccontare agli amici. Alle 13: 30 circa sempre lungo “C17” arriviamo all’incrocio con “C8” dove ci fermiamo al “Parco Jhon Lennon”, un grande giardino dove su di una panchina c’è la “Statua di Lennon”, inaugurata da Fidel nel 2000 dopo anni di proibizionismo delle loro canzoni in quanto definiti decadenti e deviazionisti. Appena arrivati, un simpatico vecchietto nelle vesti di vigilante pone un cartone sulla panchina rovente in ferro battuto, ci invita a sederci per una foto ricordo dopo aver estratto dalla tasca gli occhialini della la statua (poiché rubati ormai già 2 volte e rifatti in fretta dallo scultore Josè Villa), che sia turisti, i passanti e locali, degnano almeno di uno sguardo o carezza in quanto gira voce che porti bene. Dopo un rapido passaggio nei rigogliosi giardini circostanti del parco, continuiamo a percorrere sempre calle “C17” tra villette coloniche ed il nulla, per circa 1km.sino calle “C28” dove ammiriamo una sorta di sottostante baraccopoli ai piedi del “Rio Almendares”, case improvvisate con tetti in lamiera e cisterne per l’acqua, dove regaliamo altro materiale scolastico ad una scuola primaria limitrofa; son le 13: 45 e sotto un sole torrido la strada si presenta silente e desolata.

Percorriamo calle “C23” fino al ponte sul Rio Almendares attraversandolo in tutta la sua lunghezza fino ad arrivare al “Bosque Almendares dell’Habanacirca alle 14:15; un oasi di verde ed aria pura nella città, con panchine in ferro battuto ed immense piante tropicali fra cui un enorme Ficus Baniano, un anfiteatro ed un mini golf con un piccolo punto ristoro accanto ad un pontile, dove si noleggiano barchette per un giro panoramico lungo le sponde rocciose e rigogliose del rio (6cuc per un ora con rematore). Questo parco è tutto ciò che rimane dell’antica foresta pluviale dell’Habana e qui, al riparo dalla calura, decidiamo finalmente di fare uno spuntino con un panino al “Jamon y Cheso” comprato da uno degli innumerevoli improvvisati venditori locali ambulanti (2 per 1cuc).

Alle 15: 10 circa lasciamo quest’oasi di pace per incamminarci a piedi sino al lontano Miramar, inizialmente per un breve tratto lungo la “C28” per poi svoltare a dx su “C49”, una mini collina tra piccole case di legno, banani e capre nei cortili con tanto di banchetti domestici di frutta improvvisati sull’uscio di casa in un verde rigoglioso, tanto da far dimenticare di essere in città. Proseguiamo lungo “C43” lasciandoci alle spalle il quartiere del Vedado sino” Av. 41”, un immenso viale del Miramar colmo di alberi Flamboyan fioriti di un intenso arancione ed alberi di lauro, per continuare per circa 1km nuovamente su “C28” tra rigogliose case curate con giardini fioriti e prato verde rasato, con fiammeggianti auto d’epoca parcheggiate sul marciapiede di casa, una zona decisamente più giovane ed con servizi all’avanguardia. Alle 15: 40 circa, dopo mezz’ora d’ininterrotta camminata sotto un sole cocente, arriviamo al “Parque Miramar”, un’area verde colma di giganteschi Baniani, una volta chiamato “Parque de los Ahogados” (impiccati) per le lunghe e grosse radici che scendono da questi alberi; nelle vicinanze vi è una piccola chiesa bianca. Decidiamo di proseguire per un breve tratto su “Av. 5”, la via più importante del Miramar, un ampio viale con larghi marciapiedi dove il traffico procede con calma e dove non è difficile incontrare le mogli dei diplomatici fare jogging in tenute sportive alla moda, dato che questa Avenida ospita splendide dimore d’epoca pre-rivoluzionarie come sedi di molte Ambasciate straniere tra cui quella Italiana, dei Paesi Bassi, Svizzera, Canadese…Lasciamo la “Av. 5” per imboccare la “C26” che si dirige perpendicolarmente sino al mare, per poi proseguire a fianco della costa rocciosa dell’Oceano per circa 2km su “Av. 1” (visto “Rist. El Palio”, ottima cucina creola e con bassi prezzi che ci ha ospitati nel 2005) tra case “moderne” e servizi tra i più promettenti rispetto agli standard della città. Arriviamo all’“Acquario Nacional”, fondato nel 1960 e restaurato nel 2002 con finalità di tutela ambientale, che accoglie molti visitatori fra le tante vasche di pesci tropicali, leoni marini e delfini, l’attrazione principale con spettacolo ogni ora compreso nei 5 cuc del biglietto d’ingresso. Noi ormai esausti per circa i 9km. percorsi a piedi dal mattino, decidiamo di dare una rapida occhiata alle vasche all’ Acquario dall’alto del ponte di “Av. 4” per poi arrivare circa alle 16: 30 all’ Hotel Panorama, passando accanto all’imponente obelisco stalinista che domina la “Av. 4”, ex sede dell’” Ambasciata Russa(ora adibita ad appartamenti). Consueto tuffo ristoratore in piscina per poi cenare velocemente nel fast-food “Be Goodpoco distante dal nostro Hotel e ritornare stanchissimi in camera.

4° giorno (18 Maggio)

“Fugace anteprima dell’ Habana Vieja”

Anche oggi solita colazione abbondante a buffet per poi attendere invano nella hall la consueta navetta gratis delle 9:15, perché in realtà passerà a prenderci con 1 ora e mezza quasi di ritardo per tipiche cause misteriosamente sconosciute. Alle 10: 40 partiamo alla volta di una fugace anteprima dell’Habana Vieja”, dato che sarà la nostra caccia al tesoro per circa 9 gg, dopo che avremo trascorso i prossimi 8 gg. alla scoperta della Isla de la Juventud. Alle 11: 00, dopo aver transitato lungo il Malecon sferzato dalle onde sino alla zona del porto, la navetta ci lascia al “Mercado de S. Josè”, un immenso capannone navale ora adibito a mercato per ospitare tutte le bancherelle di artigianato locale che un tempo si trovavano in via Tacon tra Tejadillo y Chacon con il nome di “Fiera dell’Artesania”. Qui si possono trovare souvenir di ogni tipo come dipinti e gioielli, abbigliamento e statue, borse e cappelli, scatole per sigari ed oggetti in legno sempre tradizionalmente contrattando il prezzo con i venditori locali. Gironzoliamo tra i profumi ed i colori di questo mercato sino alle 11:45 per poi incamminarci alla volta dell’Habana Vieja passando accanto alla “Iglesia de S. Francisco de Paula”, facciata barocca del 1750 con pesante cupola romanica, immettendoci su calle “S. Ignacio” sino all’incrocio con calle “Muralla” dove svoltiamo a dx per “Plaza Vieja”, per ora solo una tranquilla passeggiata esplorativa in ricordo del 2005. In Plaza Vieja diamo una rapida occhiata agli splendidi palazzi coloniali con archi su colonnati e vetrate policrome a mezzaluna, ora quasi tutti interamente restaurati, in particolare al “Palacio Cueto”, esempio di art nouveau e a quello del “Conde de Jacuro”, per poi proseguire accanto alla “Fontana in marmo del Massari sino imboccare calle Brasil. In questa calle, con ad ogni angolo musicisti cubani che ci deliziano con storiche canzoni come “Chan Chan”, notiamo sulla dx l’“Aquarivm”, la Camara Oscuraed il “Bar La Marina”, mentre sulla Sx il “Caffè Taberna Amici del Benny”, dove un gruppetto locale suona Son, l’Hostal Los Frailes” (il personale indossa il tipico saio grigio) e un altro tratto della “Zanja Real(acquedotto antico in muratura), sino ad immetterci in Calle “Oficios” che ci porterà direttamente in “Plaza de San. Francisco”, circa alle 12:20. Passiamo accanto all’omonima chiesa barocca sconsacrata del 1700, la “Iglesia y Monastero de S. francisco”, vicino alla “Statua del Caballero de Paris”, sopra un acciottolato irregolare che ci porta ad ammirare la “Fuente de los Leones” in marmo bianco di carrara, accanto il “Palacio Lonja de Comercio” dove ci mettiamo in fila per l’unica Cadeca del centro vecchio. Decidiamo d’incamminarci nuovamente in direzione del Mercado de S. Josè dove prenderemo la navetta del ritorno, passando per “Plaza Vieja” senza però prima soffermarci alla “Taberna Muralla”, per ascoltare un delizioso gruppetto cubano che aveva già radunato una discreta folla con il suo ritmo travolgente di Son. Alle 13:00, lungo Calle “S. Ignacio” ci fermiamo al n°. 712, la casa di due simpatici cubani, Jhon e la sorella Emily, che ci accolgono nella loro dimora come ringraziamento per alcuni oggetti a loro offerti (saponi). Molto ospitali ci mostrano l’angolo santero con statue ed oggetti dedicati a Yemayà, la dea del mare e Virgin De Regla per il cattolicesimo, l’altare di Ochun, dea dell’amore e Virgin del Cobre, per poi terminare con gli oggetti lignei di Changò, dio del fuoco che corrisponde a S. Barbara. Dopo circa 20 minuti lasciamo questi simpatici cubani ed andiamo a visitare un vecchio treno nero a carbone del 1800, una vera locomotiva con vagoni annessi, che si trova parcheggiato lungo la strada, vicino all’ingresso del Mercado De S. Josè. Attendiamo sulla cinta muraria della Iglesia de S. Francisco De Paula la nostra navetta, tra venditori di biscotti fatti in casa posti in una scatola di cartone e un bimbo che gioca, arriverà alle 14:05 per portarci sino all’H. Panorama del Miramar, con un gentile autista che si improvviserà guida turistica essendo fortunatamente gli unici turisti a bordo. Percorriamo tutto il Malecon passando accanto all’H. Nacional con a Sx splendidi palazzi coloniali ed a dx l’ira di Yemayà, che si scaglia contro le rocce sotto il più lungo divano del mondo, così i cubani definiscono le onde che si infrangono sul Malecon sino a bagnare la strada.

Alle 14:30 pranziamo nell’ormai conosciuto fast-food “Be Good accanto al nostro Hotel per poi rifornirci di acqua in bottiglia al “Supermercado 70e tuffarci in piscina, per gustarci la nostra ultima giornata in questo hotel. Alle 18:00 decidiamo di cenare nel bar “El golfdella piscina con un ottimo pollo alla griglia con mojito finale per poi intraprendere una piccola ed ultima passeggiata del Miramar attorno all’isolato dell’Hotel. Alle 18:45 usciamo a dx dell’ hotel lungo la “Av. 3” passando accanto a due enormi grattacieli paralleli sul mare gli “H. Triton”, (solo per cubani) sino all’imponente ed ultra innovativo “H. Melia Habanadel 1998, curiosando tra i negozi del grande centro commerciale “Miramar Trade Centerdove svoltiamo perpendicolarmente alla “Av. 3” sino alla “Iglesia Jesus del Miramar” (una grande chiesa bianca), passando accanto all’Ambasciata Giapponese”, una piccola villetta colonica bianca. Immessi su “Av. 5”, un grande viale con grandi alberi di Flamboyan fioriti e larghi marciapiedi (prosegue per circa 3km sino al Tunnel del Vedado), passiamo accanto all’enorme “H. Occidental Miramar”, (nostra vecchia e graditissima conoscenza nel 2005) per poi ritornare al nostro hotel sfiorando il Supermarcado 70. Alle 19:30 siamo in camera a preparare le valigie, dato che l’indomani la sveglia suonerà alle 04:00 per lasciare l’Habana del Miramar y Vedado alla volta dell’Isla De la Juventud.

5° giorno (19 Maggio)

“Arriviamo alla “Isla de la Juventud dove incontriamo Juan”

Alle 04:00 suona la sveglia, ci prepariamo e scendiamo nella hall per sbrigare le ultime pratiche con l’Hotel, dopo di che aspettiamo all’ingresso il nostro taxi, (prenotato il giorno precedente concordando già il prezzo di 20cuc) che stranamente arriverà con solo 5min. di ritardo nonostante avesse forato una gomma. E’ancora notte, non c’è nessuno per strada, quasi totalmente buia data l’inesistente illuminazione, le auto che circolano si contano su una mano, ma incominciano pian piano a comparire fioche luci nelle case (solo dopo le 06:30 appena albeggia i cubani escono di casa). Passando per Buena Vista y Marianao, arriviamo circa alle 05:40 al Terminal 1 dell’Aeroporto Josè Martìdell’Habana, dove partono solo i voli interni della Cubana de Aviacion, Gaviota e Aerocarabian. Il nostro volo per “Nueva Gerona” è alle 07:30, appositamente il primo del mattino, poiché risultano 3 voli giornalieri, ma in realtà sono solo 2, già pieni da settimane o soppressi perché vuoti, a 35cuc a tratta. Sbrighiamo velocemente il Check-in dato che non c’è nessuno con bagagli, noi siamo gli unici con valigie e anche i soli turisti, non ci controllano i bagagli a mano (max 5kg. compreso borsetta e macchina fotografica al collo, solitamente sono rigidi) né ci pesano la valigia (1 pezzo max 20 kg), anzi ci chiedono pure di metter noi stessi le valigie sul piccolo nastro trasportatore (ci visionano però più volte il passaporto anche se in realtà non usciamo da Cuba). Alle 07:50 anziché le 07:30, siamo in fila sull’asfalto della pista, circa 50 persone, per entrare, quasi inchinandosi, data la minuscola porta, su di un vecchio aereo l’Antonov-24 russo anni ’50-’60 della Cubana de Aviacion”, sprovvisto di uscita di sicurezza, ma con la scritta “tagliare l’aereo qui in caso di emergenza”. Al suo interno un corridoio centrale con due vecchie poltrone per parte, oblò come finestrini e cappelliera inesistente, tanto che i nostri zaini dobbiamo tenerli sulle ginocchia, (i presenti hanno solo una piccola borsetta come bagaglio e chi nulla), giornale locale Granma per tutti e personale composto da una sola Hostes, che distribuisce caffè quando non è seduta chinata direttamente nella coda dell’aereo ed il pilota, la cui voce diventa un forte brusio quando cerca di comunicare dalla cabina (le valigie sono sotto il muso). Partiamo speranzosi di poter atterrare incolumi, si mettono in moto i due motori turbo elica posti sotto le ali dove si ritraggono anche le ruote del carrello dell’aereo, sorvoliamo al provincia dell’Habana e il golfo di Batabano tra cayeras di sabbia. Dopo circa 25minuti di volo vediamo spuntare le ruote del carrello sottostanti le ali ed atterriamo alle 08:35 all’Aeroporto Rafael Cabrera Mustelier” di Nueva Gerona, nell’“Isla de la Juventud” (in riferimento alle migliaia di studenti che vi studiarono negli’60-’70, chiamata anche della Cotorra, dei Pini, Siguanea, Juan Evangelista). Un’unica piccolissima stanza senza finestre né aria condizionata funzionante, dove c’è sia il nastro bagagli (dove scaricano persino tv e radio), sia il bagno e una porta di uscita che da direttamente su di un parcheggio dove un addetto controlla i passaporti prima di lasciarci proseguire.

Alle 08:40 prendiamo un taxi particular, una vecchia Chevrolet arancione che per 5 cuc ci porterà, tra le sagome delle colline, all’unico Rent a Car di tutta l’isola, della Cubacar a Nueva Gerona, dove abbiamo prenotato da mesi un auto (non esistono mezzi pubblici se non Guagua per lavoratori o taxi a 25 cuc x l’hotel), dato che ne possiede poche e vengono pure utilizzate per le escursioni in giornata (sull’isola c’è possibilità di gasolina solo qui, nell’unico distributore e alla stazione degli autobus di S. Fe ed è cara, 1l=1 cuc). Alle 09:40 facciamo ci fermiamo rapidamente alla “Cadecain Calle “C20”, ci riforniamo di acqua in bottiglia al “Supermercato Cubalse(ne hanno così poca, perché nessuno può permettersi di comprarla, costa 0, 70 cuc a bottiglia, che la finiamo tutta noi) e proseguiamo lungo l’unica strada, la “Carrettera de Siguanea” per circa 46 km. Questo nastro di asfalto ondeggiando si perde all’orizzonte, fra distese brune di erba bruciata dalla siccità, qualche oasi di palme Barricone e Reali, qualche pino (da qui Isla dei Pini), enormi rettangolari casarmoni sovietici ex scuole abbandonate e ovunque carri trainati da cavalli (Coches de caballo) o da buoi; tutto sembra essersi fermato agli anni ’50 e noi siamo l’unica auto in circolazione (Hunday Atos Blu). Passando per gli unici piccoli agglomerati di case di “El Ronco “e “La Melvis” arriviamo all’Hotel Colonynella baia di Siguanea alle 10:50 circa (unico Hotel ed in stile resort in tutta l’isola). Alla reception la Senora Yamilà ci consegna le chiavi del nostro bungalow “Los indios”, direttamente sul mare con piccolo patio, ampio e luminoso nonché molto pulito, arricchito con mobilio nuovo e persino un grande frigor accanto ad una tv piatta ultimo modello con satellitare, due enormi letti matrimoniali e un grande bagno con cabina armadio.

Rinfrescati e sistemati i bagagli, decidiamo di esplorare l’indomani l’hotel e la sua splendida spiaggia per incamminarci nuovamente, alle 14:30 sotto un caldo torrido, lungo la “Carrettera de Siguanea” sino alla piccola cittadina di Santa Fè per incontrare un nostro amico (gli unici in circolazione, non abbiamo incontrato nessuno, se non qualche rapace). Giunti al bivio con “La Melvis” svoltiamo a dx per S. Fè, ma le cose si complicano, la strada non è più un semplice nastro di asfalto logoro, ma diventa praticamente inesistente, un insieme di profonde buche (50cm) tutte vicine che lasciano ben poco spazio a ciò che rimane del bitume. A passo d’uomo, a volte perfino impossibilitati a scendere dalla strada per evitare le buche, viaggiamo tra mucche che pascolano nell’erba che vi è cresciuta dentro, scuole su di una collina in mezzo al nulla smembrate dal tempo, un grande invaso naturale di acqua, il “lago “Vietnam Heroicoed il riverbero del sole accecante percorrendo circa 46km. in 50 minuti. Alle 15:15 arriviamo a “Santa Fè”, al Pannel 1 nella casa del nostro amico Juan e incontriamo gli altri suoi amici quasi, chiacchieriamo insieme su poltroncine rosse di skai anni ‘60, tra un vaso di girasoli finti vicino a un vecchio ventilatore sovietico, mangiando dell’ottima “Pina”, manghi cubani y americani, ammiriamo uno splendido maschio di cotorra verde (pappagallo), la tartaruga “Jicotea” di Juan sino a farsi l’ora di cena dove Abilà ci delizierà con dell’ottima Langosta y Arroz. Rimandata ad un altro giorno la visita della cittadina, alle 22: 30 salutiamo Juan e decidiamo d’incamminarci, date le condizione precarie della strada, per percorrere i 46Km “bucati”. Nel buio più assoluto e totale, senza una minima illuminazione né stradale né delle case, la gente percorre km a piedi nell’oscurità della notte o aspetta fiducioso un passaggio agli incroci, mentre due grandi incendi in lontananza illuminano le sterpaglie. Alle 23:30, giunti all’Hotel Colony, ormai stanchi dalla lunga giornata, crolliamo distrutti.

6° giorno (20 Maggio)

“Calma e Relax a Playa Roja o Siguanea”

Alle 08:30 ci rechiamo al ristorante grande dell’hotel e notiamo subito che gli espositori della colazione sono coperti con tovaglie e che solo 5 tavoli sono apparecchiati, un cameriere ci viene incontro chiedendoci che cosa desiderassimo per colazione in modo tale da servircelo direttamente al tavolo; notiamo che anche il bar interno è chiuso funzionando solo quello della piscina. Poco dopo veniamo informati del motivo di tale servizio, nei prossimi 2 gg saremo max 8 persone dopodiché l’hotel ed il personale saranno a completa disposizione solo per noi 2 ed una coppia di tedeschi nostri vicini di bungalow, non avranno più prenotazioni fino alla nostra partenza (è bassa stagione e solitamente in questo periodo è chiuso). WOW!!! Un intero hotel a nostra disposizione! non ci par vero tutta questa calma ed attenzioni!Decidiamo di esplorare e documentare questo grande, ma discreto complesso alberghiero, costruito nel 1958 dalla catena Hilton come casinò, anni in cui sull’isola regnavano la prostituzione e il gioco d’azzardo proibiti in America, che però fu immediatamente confiscato dal governo rivoluzionario ancor prima che entrasse in funzione. Visitiamo l’interno del corpo centrale, posto su due piani, ricchi di camere tutte vista mare con terrazzino, del ristorante con bar, della reception con grandi sedie di legno e salottini per la lettura, un piccolo negozio souvenir con una grande cartina dei più bei centri d’immersione di tutta l’isola (perché questo hotel dalle linee semplici è soprattutto nato e conosciuto come Centro Diving o de Buceo). Usciamo dalla hall, dove grandi dipinti di pirati ci ricordano che quest’isola ne fu il loro covo dal 1500, fra mangrovie e barriere coralline si potevano incontrare personaggi del calibro di Francis Drake, John Hawkins, Thomas Baskerville, Henry Morgan e il famoso Francois Lecheler. Usciti dall’hotel, davanti a noi vi è una grande area giochi per bambini, con accanto il viale d’ingresso contornato da grandi statue bianche di pesci poste ai lati dell’unica strada che prosegue per 1km sino alla “Marina” (poi finisce) ed il brullo nulla circostante intercalato da palme Barricone (con la pancia). All’interno invece l’hotel non risente della siccità del periodo (nonostante sia il momento delle piogge ci dicono che non accade da un mese), la piscina è contornata da rigogliose palme reali e panciute, piante tropicali ovunque, alberi di mango carichi di frutti maturi e un verdissimo prato che lascia spazio a splendide palme da cocco sventolanti nella dolce melodia dei Manà sulla sabbia di “Spiaggia Roja o Siguanea”. Solo il canto di tanti uccelli neri tra le palme ed il rumore del mare avvolge i restanti bungalow; sono le 10:30 e la spiaggia è deserta, scegliamo l’ombra di una grande palma da cocco come nostra casa e decidiamo di fare un po’ di snorkeling sotto ciò che rimane del lungo pontile in legno (culminava con un caratteristico capanno-bar) distrutto dagli uragani Gustav y Ike nel 2008. Tra pesci colorati e molti ricci, diverse specie di stelle marine nell’acqua bassissima della laguna e una miriade di piccole conchiglie cipree a riva, trascorriamo l’intera giornata in relax completo per terminare in tarda serata con un tuffo in piscina. Qui la nostra attenzione viene rivolta ad uno splendido esemplare di Carpintero, un uccello tipico dell’isola (ma non sempre facile da vedere), un picchio dalla testa rossa ed il corpo bianco punteggiato di nero, che decide di posizionarsi proprio sulla nostra palma. Dopo uno splendido colorato tramonto sul mare e in lontananza il relitto di un vecchio mercantile arenato, quando il sole cala dietro i resti del pontile e le palme s’infuocano di tonalità arancioni, torniamo in camera; qui alla sera non esiste alcuna animazione, poiché tutti gli ospiti si riposano dalle escursioni subacquee della giornata e cercano di eludere purtroppo la miriade di moschitos.

7° giorno (21 Maggio)

“Bellezze storiche e naturalistiche nei dintorni di Nueva Gerona con visita a Santa Fè”

Dopo una buona colazione, alle 08:45 partiamo dall’Hotel Colony con la nostra auto, diretti a scoprire le meraviglie nelle vicinanze della cittadina coloniale di Nueva Gerona, oggi sarà una giornata molto impegnativa. Percorriamo 46 km inizialmente tra distese di erba bruna, dolci colline con pini marittimi e scuole smantellate, tra piccoli villaggi con annessi campi solcati da vecchi aratri trainati da esili buoi, magre mucche all’ombra di palme Barricone in compagnia di bianchi Aironi guardabuoi, asini e capre che brulicano l’erba più verde a bordo strada e nessuna auto; solo persone a piedi o su calessi e persino un vecchio carro trainato da buoi trasportante latte in vecchi bidoni di latta (un vero set cinematografico anni ’60). Alle 09:30, a circa 3km sud-ovest di Nueva Gerona svoltiamo a sx in un lungo viale di accesso fiancheggiato da alberi di querce ed eucalipti sorvolati da avvoltoi, dolci colline tagliate da cave di marmo e immensi bananeti, che culmina nel piazzale di una piccola bianca Hacienda spagnola ai piedi della “Sierra Las Casas” : la “Finca el Abra(dichiarato Monumento Nacional). Nel piazzale pascolano capre vicino ad una vecchia meridiana bianca in pietra del 1868 ancora funzionante, maestose radici aeree di una grossa Ceiba piantata nel 1945, circondano parte della casa nel silenzio di questa mattinata assolata. Entriamo, siamo gli unici turisti, subito viene a noi una gentilissima guida, la Senora Marialena che ci ricorda che questa fattoria di proprietà dell’imprenditore Josè Girondella, nel 1870 ospitò l’eroe indipendentista e famoso letterato Josè Martì, che vi trascorse circa 2 mesi prima di esser deportato in Spagna (fu esiliato qui grazie alle conoscenze del padre che gli evitò il carcere). Attraverso le diverse stanzette con portoni di legno blu poste sotto il granaio e laterali al selciato interno su cui passavano i cavalli, la guida ci illustra tutta la vita di Josè Martì tra oggetti della sua camera da letto, antichi orologi e basculanti, libri da lui scritti ed indumenti, registri con pure la firma di Castro, manifesti di battaglie e codici segreti di scrittura e persino parte della catena i cui ceppi furono fusi da sua madre per realizzare un anello che Martì portò sino alla sua morte. Inoltre parte del Museo illustra con fotografie ed oggetti personali, anche la storia della dinastia della famiglia Girondella che ospitò il letterato. Terminiamo la visita nella cucina in pietra della casa che ospita ancora antichi utensili di rame accanto all’ala della casa non visitabile, ma confinante con essa, dove incontriamo una simpatica signora ottantenne nipote ed ultima antenata del Senor Girondella che ospitò Josè Marti. La Senora Marialena ci accompagna in un breve giro attorno all’Hacienda per poi congedarci facendoci firmare come ricordo, il registro delle presenze: non ricevevano visite da più di un anno, dal Giugno del 2010.

Alle 10: 30 lasciamo questa graziosa oasi di pace per dirigerci nel piccolo e tranquillo centro della cittadina coloniale di “Nueva Gerona(fondata nel 1830 dagli spagnoli) alla ricerca dapprima degli ingredienti per cucinare in serata un buon piatto italiano di spaghetti pomodoro e basilico (albacha) al nostro amico Juan e poi per scoprirne le bellezze architettoniche e locali. Dopo diverse peripezie in 3 diversi chioschi-supermercato a lato della strada (sono baracche di ferro che da noi si usano nei cantieri, dove non si può accedere al loro interno, dalle cui grate l’addetta fornisce i pochi viveri tutti in cuc, solo crackers cinesi, fagioli, riso e niente latticini, frutta, né carne, nulla di fresco, non c’è frigor) troviamo tutti gli ingredienti compreso il tanto prezioso Aceite (olio) per fare il sugo. Siamo gli unici turisti in circolazione (soprattutto abbiamo un auto non anni ’50) e tutti ci osservano con molta curiosità, ma nessuno cerca di venderci nulla, sono tutti incredibilmente accoglienti e si offrono gentilmente di darci informazioni accompagnandoci quando non troviamo un posto, tutto per ingannare il tempo in questa sonnolente e tranquilla cittadina. Parcheggiamo l’auto tra bici-taxi con musica reggaeton a tutto volume, ciabattini e calzolai lungo le vie (trovo il giornale locale la Victoria) e ci dirigiamo nel tratto pedonale animato di Calle 39, fulcro della città punteggiata da piccoli parchi, tra edifici di servizio (banca, posta, supermercato, farmacia, 3 ristoranti locali, negozi di scarpe, ma nulla di souvenir o artigianato locale) e case coloniali ad un piano con spaziosi porticati colonnati color pastello, sino all’incrocio con calle 28 nel “Parque Central(ovunque cartelli propagandistici con i volti degli eroi nazionali o la scritta “Trabajar, trabajar” = lavorare). Ovunque banchetti di venditori ambulanti di crocchette fritte in casa, arachidi tostati, frutta fresca (platani, pina y maranon), guarapo (succo di canna da zucchero), succhi di frutta (Jugo de Frutas), giocatori di domino sotto i portici e porte delle case spalancate per permettere la vista dei passanti dalla propria poltrona, ciabattini e venditori del giornale “Gramna”. Tra i palazzi più importanti che circondano questo parco-giardino quadrato attorniato da auto anni ‘50 con al centro un chiostro e tanti alberi di flamboyan rossi, visitiamo l’ “Iglesia de Nuestra Senora de los Dolores”, del 1929 in stile messicano gialla e rosa con un balconcino sul campanile ed il parroco che lava il pavimento, il “Museo Municipaldel 1853 beige e bianco con 12 colonne sormontate dalla torretta dell’orologio (noi non lo visitiamo, ma ci dicono esservi ogg. di pirati ed animali impagliati). Una rapida sosta all’unica stazione di benzina Cupè e tra “coches de caballo” con a bordo quadrati di pan di spagna stracolmi di creme (unico dolce prodotto) e mucchi liberi di filoncini tipo sandwich, imbocchiamo calle “C32” poi “C33” sino ad arrivare sulle sponde del “Rio las Casas”. Un rio navigabile con traghetti che partono da Batabanò, piccoli pescherecci colorati e baracche in lamiera con giardino di banani, che culmina nel “Terminal dei Traghetti della Naviera Cubana Caribena”. Qui cerchiamo, l’Agenzia Ecotur”, l’unica sull’isola in grado di fornirci, avendo già noi un auto a disposizione, un pass valido un giorno ed una guida senza la quale sarebbe impossibile ed inutile oltrepassare il blocco militare di Cayo las Piedras per accedere alla zona militare e visitare le bellezze delle parte sud (cuc12 a testa guida compresa). Sono circa le 13:00, l’agenzia è una minuscola stanza nascosta, parte integrante di un edificio insignificante con un’insegna sbiadita di legno, contenente a malapena un tavolo con 2 sedie ed un vecchio computer; ci accordiamo in via straordinaria per la domenica (anche se ci sarebbe un’esercitazione anti uragani) altrimenti l’unica guida esistente non sarebbe più disponibile causa viaggio all’Habana. Poco distante e sempre lungo le rive del rio, in calle “28”, arriviamo in un grande spiazzo asfaltato (un militare ci osserva da lontano e ci acconsente di parcheggiare) dove padroneggia un grande traghetto nero con la scritta bianca “El Pinero”. Osserviamo questa imponente imbarcazione simil piccolo mercantile, mezzo di trasporto dagli anni ’20 sino 1974 degli isolani diretti a Batabanò, che il 15 Maggio 1955 trasportò Castro e i compagni ribelli sino all’isola principale (rilasciati dal carcere del Presidio Moldelo dove erano stati rinchiusi dopo l’assalto alla caserma Moncada e liberati da Battista stesso come amnistia in seguito alla sua discussa elezione presidenziale). Sono le 13:50, tutt’intorno silenzio e caldo torrido, i cubani sono rinchiusi nelle loro case, casupole alzate alla bell’e meglio (Barbacoas), soppalchi che moltiplicano finestrelle e porte come prolungamento all’infinito dell’abitazione sottostante dal cui balcone una capra ci guarda incuriosita mentre nel giardino sottostante un magro cavallo bianco brulica l’erba precocemente invecchiata dal sole.

Alle 14:00 lasciamo calle “33” e svoltiamo a sx lungo calle “32”, attraversiamo il ponte sul Rio las Casas tra bici-taxi ed innumerevoli biciclette, per circa 5 km, tra immense distese di palme reali, piantagioni di banani e dolci colline alla nostra dx in direzione “Presidio Modelo”. Alle 14:10 lasciamo la strada principale e svoltiamo a dx in una larga via attorniata da semplici, ma graziose e ben curate casette ad un piano con giardino (località Chacon), sino a trovarci in prossimità di una recinzione con cancello; alla nostra sx un campo di pelota con cubani intenti a tifare per la propria squadra mentre a dx una brulla desolazione d’erba bruna, siamo arrivati al “Presidio Modelo” (costruito da Machado tra il 1926 e 1928 su modello di quello di Joliet in Illinois). Al gabbiotto di guardia ormai smesso da anni non si vede nessuno, nemmeno cartelli di divieto, così entriamo direttamente con l’auto sino alla grande scalinata di marmo di un grande edificio giallo (ex casa del governatore), l’ingresso del penitenziario; alla nostra sx una vecchia meridiana in pietra bianca e a dx piccole abitazioni gialle delineate da una cinta muraria che corre tutt’intorno al carcere sino a 2 edifici rettangolari sul lato nord. Decidiamo di arginare in auto questo ingresso ed ai nostri occhi si apre uno scenario incredibile, in mezzo ad una immensa prateria ai piedi di una altura, appaiono 5 enormi e circolari edifici gialli abbandonati, di cui 4 con 5piani ciascuno e celle senza porte, provvisti di una torretta centrale accessibile dal guardiano solo da un percorso sotterraneo (una sola sentinella poteva così sorvegliare 5000 detenuti). Parcheggiamo l’auto e nel silenzio più assoluto (siamo gli unici) entriamo in un padiglione con il tetto in lamiera che lascia intravedere il cielo, al centro la torretta mentre alla nostra dx una scala che ci porta al primo piano circolare. Entriamo in una delle tante celle provviste di un numero nero all’ingresso, è piccolissima (circa 1, 5mt per 2, 5mt), ovunque si vedono ancora sui muri le incisioni dei prigionieri, un piccolo lavandino bianco ed in un angolo un water vicino ad una piccola finestra sulla prateria, su di una parete ancora visibili gli anelli di ferro che sostenevano le corde della brandina, occupando così tutto lo spazio della cella (ognuna ospitava 2 persone, rimanevano in piedi di giorno e con la luce accesa di notte). Ci addentriamo poi nel quinto edifico circolare che si trova al centro degli altri 4, un padiglione più grande adibito a mensa nel quale era proibito parlare; il sole filtra dal tetto in lamiera ormai inesistente su ciò che rimane delle strutture di ferro delle panche e dei tavoli disposti circolarmente rispetto alla torretta centrale, tutto qui fa eco, (anche noi ci divertiamo!) compresi gli innumerevoli uccelli neri che sorvolano le nostre teste. Risaliamo in auto e ci dirigiamo verso due edifici rettangolari del lato nord, ex infermeria che ospitò Castro dal 13 Ottobre 1953 al 15 Maggio 1955, sezione trasformata in Museo quando il penitenziario fu chiuso nel 1967. Anche questo luogo presenta all’ingresso la targhetta di “Monumento Nacional”, decidiamo di visitarlo senza guida (3 cuc a testa+ 5 cuc x fotografare), anche se in realtà saremo accompagnati in ogni stanza e avremo informazioni più che esaurenti grazie alla incontenibile voglia di spiegazioni della guida stessa, forse perché siamo gli unici turisti o perché non passava nessuno da tempo. Entriamo in questo edificio rettangolare dove lunghi corridoi corrono intorno ad un patio centrale interno, qui visitiamo la tavola e la lavagna dove Castro impartiva lezioni ad alcuni detenuti, mentre perfezionava il famoso discorso” la storia mi assolverà”. Entriamo in una stanza rettangolare molto lunga dove 26 lettini bianchi di ferro presidiano ancora le foto segnaletiche dei sopravissuti all’assalto della Caserma Moncada (fra cui Castro ed il fratello Raul), su di ognuno ancora la pezza nera che i detenuti utilizzavano di notte quando appositamente le luci rimanevano accese, tra i letti teche con oggetti personali appartenuti ad essi. Inoltre vi è anche un’interessante mostra di documenti e fotografie della storia del penitenziario, dalla posa della prima pietra sino alle foto dei detenuti stranieri nemici durante la 2 guerra mondiale, quando fu istituito come campo di concentramento per 350 giapponesi, 25 italiani e 50 tedeschi. Poco distante una lapide ricorda l’Inno del 26 Luglio che Castro e compagni cantarono alla visita del 12 Febbraio 1954 al passaggio del tiranno Batista provocandone l’ira, tanto da decidere di mettere Castro in isolamento, al buio completo, in una stanza limitrofa all’obitorio, dove vi sono il suo letto ed disposti in teche di vetro oggetti personali fra cui i suoi libri.

Alle 14:45 lasciamo il “Presido Modelo “ed in prossimità di Chacon svoltiamo a dx per circa 4 km sino ad arrivare a “Playa Bibijagua(chiamata così per le grandi formiche rosse di color rosso bruno che di notte assalgono le coltivazioni). Sentiamo musica reggeaton ovunque e tra i resti di un grande complesso hoteliero ormai chiuso (ex Resort), tra palme ed uva caleta, spuntano cubani in festa da ogni angolo, un piccolo bar improvvisato in una baracca di ferro offre gelati, refrescos e yogurt in pesos nacional, mentre assonnati autisti di una vecchia Guagua si difendono dai 36°c all’ombra di un albero in attesa di ripartire nel tardo pomeriggio. Parcheggiamo l’auto in una zona verdeggiante in prossimità della spiaggia, una lunga striscia di sabbia grigia che avrebbe bisogno però di una ripulita dalle alghe che vi sono a riva, l’acqua è di color verde caraibico, in lontananza un piccolo cayo, “Cayo Monos(ora deserto, ma che fu sede di uno zoo di scimmie), soffia un po’ di vento ed allegri cubani si divertono fra le onde che s’infrangono a riva. All’improvviso una bambina mi corre incontro e mi abbraccia contenta; sorpresa! E’ Yixy con la madre Yiliè, la vicina di Juan incontrate in precedenza, che ha riconosciuto immediatamente la nostra auto da lontano, l’unica Hunday blu in 2398 kmq dell’isola, dopo qualche foto insieme e qualche chiacchiera, ci salutiamo per poi darci appuntamento in tarda serata a Santa Fè, a casa del nostro amico Juan. Sono le 15:15, lasciamo Playa Bibijagua tra promontori di pini in direzione di Nueva Gerona senza fermarci nelle spiagge limitrofe di “Playa Paraiso” e “Punta de Piedra”, proseguiamo sull’autopista per circa 30 km in direzione Santa Fè, passando per “Mal Pais” sino all’incrocio con l’enorme cartello propagandistico “26 Settembre” al quale svoltiamo a sx su un’ottima strada.

Alle 15:50 arriviamo a “Santa Fènel Panel 1, a casa di un sorpreso e contento Juan, al quale prepareremo un tipico piatto italiano, ma prima decidiamo di visitare con lui questa seconda cittadina dell’isola sempre dimenticata ed a volte nemmeno menzionata da quasi tutte le guide turistiche. Passiamo tra un gruppetto di grandi grigi palazzi rettangolari sovietici costruiti dopo la rivoluzione,con terrazzi rinchiusi in improvvisate grate di ferro arrugginite di fortuna ed anti ladro, colmi di oggetti di riciclo che straripano di vasetti di latta con fiori, vecchie sedie di legno ed interminabili fili di panni colorati. Tra bambini che giocano in strade polverose e malconcie, risciò con musica a tutto volume e coches de caballo carichi di qualsiasi cosa che possa essere riutilizzato, siamo l’unica auto e non dimeno turisti, che si dirigono, tra banani e agrumi, verso la parte nord orientale dell’abitato. Arriviamo davanti a un cancello bianco di ferro battuto finemente lavorato che recinta un area verde con a lato una grande effige colorata in ceramica raffigurante un pappagallo, “l’Aqua de la Cotorra”, percorriamo un piccolo viale di palme reali e barricone, tra piante di ogni tipo, eucalipti e manghi, fiori colorati e arbusti fino a raggiungere una grande fontana circolare in disuso dopo gli uragani del 2008. Poco più avanti da una casina fatta con sassi bianchi e dal tetto di paglia, sorvegliata da una scultura bianca di un pappagallo, la Senora Mirta, la custode di quest’area, ci spiega che un tempo la grande vasca era ricolma di acqua di sorgente potabile e che tutt’intorno le orchidee crescevano rigogliose sugli alberi, ma che dopo il 2008 tutto si è danneggiato, le piante poco a poco si stanno visibilmente riprendendo, ma la pompa della fonte continua ad esser purtroppo rotta non riempiendo la grande vasca. Lasciamo questo luogo e lungo le quadre schematiche della cittadina ci fermiamo ad un incrocio dove un contadino visibilmente provato dal caldo torrido, su di un precario banchetto di legno espone platani verdi maturi e piccole banane gialle direttamente colte dal suo campo confinante. Acquistiamo degli ottimi platani (5 pesos nac.) e poi partiamo alla ricerca del campo di pina (ananas) del padre di un ex studente di Juan, poiché ci dicono che queste sian le più buone ed economiche della città. Arriviamo in una strada sterrata limitrofa alle case, a lato un campo di ananas con al centro una piccolissima casina di legno dal tetto di paglia da dove esce l’ex scolaro di Juan, che con un grosso macete raccoglierà le “pine” più buone che abbiamo mai mangiato. Visitiamo successivamente la “Mananthial de Santa Rita”, parcheggiamo vicino a grosse piante di mango e distese verdi di Bambù, poco distante da 3 sorgenti naturali ricche di magnesio per la digestione, ferro per gli anemici e di S. Lucia per gli occhi, in particolare i bagni termali, dove nel 1885 i benestanti creoli si bagnavano in queste acque curative sempre calde, poi dimenticati dagli anni’60 fino al restauro nel 2003, che purtroppo oggi versano in condizioni pessime dopo i due uragani Gustav y Ike del 2008; ora è rimasto solo un edificio senza tetto né porte con 2 stanze piene di acqua invasa dalle piante acquatiche. Poco distante vi è una piccola casa bianca, una clinica dove si convoglia l’acqua curativa per tutti coloro che soffrono di malattie come calcoli renali ed epilessia. Continuiamo la visita dirigendoci verso il “Parque Centraldi Santa Fè, attraversando il ponte sul rigoglioso rio omonimo, giungiamo in uno spiazzo d’asfalto con al centro un chiosco rialzato, qualche pianta sottostante ad alberi fioriti di Flamboyan con due auto d’epoca parcheggiate ai lati. Qui si concentra tutta la parte commerciale e di svago di questa piccola cittadina nonché di tutta l’isola dopo Nueva Gerona, dove vi sono anche qui cubani immancabilmente in fila. Disposti sui 4 lati della piazza troneggiano il piccolo centro de correo (posta) in un edificio blu e bianco, una pescheria sotto i portici di un altro stabile, una panaderia y dulceria (dalla finestra del retro di un’abitazione), una banca de ahorro (risparmio), una gelateria ed una graziosa piccola chiesa beige; poco distante l’unico cinema “caribe”, una piccolissima casetta bianca. Tutto ciò che esula dal centro si può riassumere in qualche chiosco-baracca di ferro che vende articoli alimentari, una “tienda de divisa” ossia un piccolo supermercato o stanza dove si concentrano i più svariati oggetti (dagli indumenti ai 4 televisori e agli articoli di prima necessità), banchetti di contadini ed il piazzale degli autobus dove si può reperire benzina oltre a Nueva Gerona. Alle 17:15 ritorniamo nella casa di Juan, tra chiacchiere con i suoi amici, qualche sguardo al magnifico quadro di campi verdi che una finestra incornicia alla perfezione e due coccole alla tartaruga, prendo possesso della sua cucina e preparo “spaghetti al pomodoro e basilico” che gusteremo con Juan ed Avilà. Alle 19:15 salutiamo proprio tutti per incamminarci verso l’unica carrettera che porta all’Hotel Colony, ma stavolta purtroppo ritornando per la strada piena di buche che avevamo fatto in precedenza.

Tra distese di palme ed erba bruna, le solite scuole abbandonate, invasi artificiali d’acqua dolce e colline di pini, alle 19:30, sul calar del sole, decidiamo di lasciare la strada principale dopo circa 6 km per svoltare a sx lungo un sentiero di terra battuta rossa immerso in una fitta vegetazione verde per circa 1 km in direzione “Jungla de Jones”. Alle 19:40 circa arriviamo di fronte ad un cancello di legno bianco, non c’è nessuno, solo un gran silenzio immerso in una rigogliosa vegetazione; in lontananza una torre di legno sostiene una cisterna d’acqua ai piedi di una piccola casetta bianca dove due vecchie sedie a dondolo di legno custodiscono questa fattoria stile americano. Entriamo e parcheggiamo vicino ad un grande albero di Anacaguita (l’albero dell’ amore per i frutti afrodisiaci), all’improvviso una bambina si avvicina da dietro e silenziosamente mi pone in mano un frutto di mango per poi fuggire via nella casetta bianca. Poco dopo incontriamo Daxira, una simpatica signora che, nonostante fossimo all’imbrunire e stesse cenando, si offre molto gentilmente di accompagnarci in questo rigoglioso giardino botanico con più di 80 specie di piante, istituito dagli americani Harriss e Helen Rodwars sin dal 1902 (collezionisti di piante ed alberi da ogni parte del mondo). Ci addentriamo in una fitta foresta con alberi di mango, Ayua (come un cactus gigante pieno di spine, cresce solo qui) e Yamagua, lungo una rete di vialetti coperti di foglie relativamente incolti e selvaggi, quando incontriamo due simpatiche scimmiette, Claudia più schiva e Pablo il curiosone, che annunciano il nostro passaggio a Timotea, la mucca bruna di Natalì, figlia di Daxira, che beatamente in lontananza ci guarda continuando a brucare l’erba. Un’oasi di pace e tranquillità nel cui silenzio camminiamo per circa 15 minuti su foglie scricchiolanti percorse da spaventati gechi e piccolissime lucertole marroni, gli uccelli continuano la loro ode al tramonto mentre nella fitta vegetazione del bosco tropicale si fa sempre più buio e tra una miriade di cactus, magnolie, bambù e ponticelli sospesi su ruscelli di acqua trasparente color ulivo, arriviamo purtroppo a ciò che rimane dell’attrazione di questo paradiso, la “Cattedrale di Bambù”. Purtroppo la strada s’interrompe e non possiamo più proseguire, davanti a noi un ponticello semidistrutto e solo un enorme mucchio di rami verdi di bambù; Daxira ci spiega che questi sono i danni degli uragani del 2008 (anche se pian piano la vegetazione si sta riprendendo e loro han potuto sistemare solo fin lì), questa macchia verde è ciò che rimane di uno spazio chiuso circondato da alti bambù che lasciavano filtrare solo qualche lama di luce nel silenzio e lo scricchiolio delle canne al vento. Purtroppo dobbiamo tornare indietro e Daxira ci fa notare i resti della casa dei botanici americani di cui oggi ne rimangono solo le fondamenta di cemento dopo il terribile incendio del 1960. Daxira ci racconta che quando Harris morì improvvisamente a soli 38 anni causa un incidente, sua moglie Hellen decise di continuare il sogno condiviso dal marito occupandosi del giardino purtroppo solo sino al 1960 quando fu tragicamente massacrata e uccisa da 4 malviventi in cerca d’ora fuggiti dal Presido Modelo, che per nascondere l’accaduto incendiarono la casa (furono poi catturati e riportati in prigione). La cosa più curiosa, ci spiega Daxira, è la leggenda che ne è nata, da generazioni si riporta che al secondo piano della casetta di legno dove viveva la coppia, nello studio del sig. Harris, vi fosse anche la tana di un gigantesco serpente, solito scendere le scale lungo il corrimano. Il giorno dell’aggressione Hellen, ormai anziana, armata di macete scese le scale e mozzò la mano del ladro, essa rimase attaccata al corrimano, i malviventi diedero fuoco alla casa ed il serpente per salvarsi dal fuoco scese lungo la ringhiera, molti lo videro allontanarsi nelle fitta vegetazione con in bocca la mano del ladro. I giardini rimasero incolti sino al 1998 e poi successivamente risistemati. Ritorniamo alla nostra auto alle 20:20, il sole ormai è già sparito e sta per scendere l’oscurità ancor più accentuata dalla fitta vegetazione, qui su un ramo di ibiscus rosso compare “Coti”, la cotorra di famiglia che salutiamo insieme a Daxira e Natalì. La sensazione che permane in noi è una sorta di pace misto a tristezza ed inspiegabile amarezza nel lasciare un posto così rilassante e silenzioso.

Riprendiamo la carretera diretti all’Hotel Colony, tra i riflessi aranciati del cielo che si specchiano nell’“Embalse Vietnam Heroico”, il solito incendio in lontananza, una miriade di lucciole ed un passaggio ad Donald, un giovanissimo militare che camminava a bordo strada nel buio, arriviamo all’ Hotel Colony alle 21:10 dove stanchi cadiamo in un sonno profondo.

8° giorno (22 Maggio)

“Bellezza selvaggia della sconosciuta ed inaccessibile zona militare dell’isola: El Sur”

Alle 08:00, puntuale come non mai e contrariamente alla fama cubana, nella Hall del nostro hotel ci aspetta Nerai, l’unica guida, ingaggiata il giorno precedente, in grado di accompagnarci nella parte sud dell’isola (cosa impossibile senza di lui ed il noleggio di un auto). Partiamo alle 08:15 con una breve deviazione, lasciamo la carrettiera siguanea per svoltare a sx, poco dopo la riserva naturale di Cabana (la collina più alta dell’isola di 300mt.) al bivio per “La Victoria”. Una lunga strada asfaltata ai cui lati un gruppetto di graziose e adorne casette ad un piano con verdi giardini, tra calessi e contadini a piedi nei campi circostanti, ci porta in uno spazio verde, dove immortaliamo la statua in marmo bianco della famosa “Ubre Blanca”. Nel 1982 questa mucca divenne famosa per aver prodotto 24. 268, 9 litri di latte in un anno e fino a 109, 5 in un giorno entrando così nel guinnes word record cubano, persino Castro andò a farle visita; tutt’ora si sta cercando di studiare la sua geneticità per poterla in futuro clonare. Il cielo nuvoloso non promette nulla di buono, così decidiamo di partire frettolosamente lungo la carrettiera siguanea in direzione Santa fè, percorrendo nuovamente quei 46 km di strada piena di buche, ma stavolta sotto un diluvio pazzesco che ci obbligherà ancor di più a rallentare per la mancata stima della loro profondità (anche se ormai ce le ricordiamo). Passiamo quindi per Santa Fè, il cielo ci dà tregua e proseguiamo sull’unica strada che porta nella parte sud, tra alberi di mango e distese brulle d’erba bruna, dove le piantagioni di agrumi sono sempre più rare, magre mucche al pascolo tra arbusti di maranon, sino ai piccoli agglomerati di case contadine di “Julio Antonio Mella” y “Pino Alto”.

Alle 09:10 lasciamo la strada asfaltata della carrettiera a circa 12 km da La Fè per svoltare a sx in direzione “Criadero de los Cocodrilos”, percorriamo una strada sterrata molto accidentata e piena di buche, immersi in una fitta ed alta vegetazione arbustiva per circa 6 interminabili km. All’improvviso la vegetazione si dirada culminando in uno spiazzo di macchia bassa acquitrinosa, color verde lussureggiante; sono circa le 09:45 mentre alla nostra dx compare un grazioso capanno di paglia con l’esterno circostante ben curato, compreso ormai l’onnipresente busto bianco di Josè Martì (la visita è 6 cuc a testa oltre i 12 del pass). Il cielo è nuovamente coperto ed inizia a piovere intensamente, così siamo costretti a rifugiarci nel capanno del custode dove un grazioso piccolo gattino nero farà le fusa sulle mie ginocchia ed un magrissimo cagnolino marrone (sembra purtroppo il cane dei Simpson, il piccolo aiutante di Babbo Natale) si rintanerà nella sua cuccia osservandoci da lontano in compagnia di due impavide galline, in attesa che il tempo migliori. Il cielo rimane minacciosamente grigio con inequivocabili strisce nere di pioggia in lontananza, ma Nerai ci assicura che son ancora lontane e che se ci sbrighiamo riusciamo a visitare la palude, purtroppo la cessata pioggia ha rinvigorito ulteriormente la miriade di moschitos degli invasi (indispensabile un repellente ed arti coperti, siamo in mezzo alla natura selvaggia). Iniziamo la visita preceduti dal custode e Nerai, sulla nostra sx vi sono vasche bianche di cemento di diverse dimensioni con pozze d’acqua, mentre altre ospitano al centro piccole oasi di piante tropicali, sono le nursey entro cui vengono allevati i coccodrilli fino a 7 anni d’età e che al raggiungimento di un metro vengono rilasciati nella palude, praticamente nel prato accanto a noi (la guida ci dice che ovunque può esserci un rettile, difatti gira con un grosso bastone). Questo Criadero è un centro molto importante per la salvaguardia del coccodrillo endemico di Cuba, il più aggressivo e vivace, che rischiava l’estinzione fino alla creazione di questo centro, dove ne vivono più di 500 continuamente monitorati. Nelle vasche vi sono esemplari di pochi mesi, di 1 e 4 anni; i più piccoli sono più docili e Nerai ne afferra uno porgendocelo: ha denti affilatissimi, è molto caldo e morbidissimo al tatto, impariamo che alla nascita sono già muniti di un dentino per poter bucare il guscio da cui fuoriuscire. Poco distante vi è una distesa scura di terra, sembra un campo aratro, ma in realtà il custode ci spiega che è il terreno di coltura in cui sono sotterrate le uova di coccodrillo, staranno qui in incubazione per 90gg e maggiormente sarà caldo il terreno, maggiore sarà la probabilità che nascano femmine, mentre con più freddo nasceranno maschi. Vicino all’ultima vasca c’ è un banano con uno splendido cespo di frutti che culmina in un meraviglioso fiore viola, accanto un tamarindo che ci regalerà frutti per me troppo aspri. Camminiamo nella palude tra grandi canali d’acqua alcuni ben chiusi e recintati, altri naturalmente aperti tra ninfee e piante acquatiche dove ogni tanto qualche coccodrillo si tuffa in acqua al nostro passaggio, altri salgono la riva al suono di un bastone contro la recinzione spalancando aggressivamente le fauci (segnale del cibo, il pesce, servito ogni 15gg), ma noi proseguiamo in cerca del rettile più grande, un esemplare di 40 anni d’età e 170kg di peso per 3mt di lunghezza. Secondo il custode saremmo stati più fortunati se ci fosse stato il sole, in quanto avremmo avvistato più coccodrilli crogiolarsi a riva, ma all’improvviso in una pozza infossata nel terreno e recintata con pali di legno, compare lui, il più grande e pigro di tutti con accanto un altro non da meno, che se ne stanno immobili nell’acquitrino paludoso senza cedere nemmeno al richiamo del cibo, per cui saremo costretti a vederli solo da lontano. Proseguiamo sempre a piedi all’interno della palude sino a ritornare all’auto dove alle 10:30 salutiamo il custode e ripercorriamo i 6 km sterrati tra la fitta vegetazione imbattendoci in strani uccelli scuri che stentano a spostarsi; Nerai ci spiega che sono gli “Arriero o Guacaica”, sono molto lenti con occhi rossi e sono quasi ciechi, per questo spesso sbattono contro i carri di passaggio.

Ci immettiamo nuovamente nella carrettiera che da Santa Fè porta al sud, tra le distese acquitrinose della palude sino ad arrivare ad un vero e proprio sbarramento di altissime palme reali che si stagliano su tutto l’orizzonte; siamo a “Cayo las Piedrasalle 11:00. Nerai ci spiega che queste palme si trovano sopra un cayo galleggiante, difatti la parte precedentemente percorsa è palude mentre quella oltre il cayo, unico punto d’accesso, è una zona carsica emersa dal mare milioni di anni fa, una vera è propria isola nell’isola; siamo nella riserva naturale della “Cienaga de Lanier”, rifugio di cervi selvatici, tocorocoro, pappagalli e molti altre specie protette. Poco distante da una piccola unica fattoria c’e un posto di blocco militare, con severe regole governative, dove ogni guidatore deve sostare con l’auto in un’ apposita area delimitata lontano dai passeggeri, a cui vengono perquisite le borse . Dopo il posto di blocco militare svoltiamo subito sx, dove metteremo a dura prova la nostra Hunday Atos (povera!) in un’interminabile strada sterrata che corre verso est, ma che in realtà si tratta di fondo corallino deforestato dalle fitte mangrovie circostanti per permetterne il passaggio, piena di buche ovunque colme d’acqua tanto per non facilitarne la stima della profondità, per circa 24 km che percorreremo in 1 ora.Lungo il percorso Nerai ci fa fermare nel nulla, scende dall’auto e sparisce tra la fitta vegetazione per poi farci segno di raggiungerlo (controllava che non ci fossero i serpenti neri di S. Maria che ci hanno attraversato due volte la strada). Facendo attenzione a non sfiorare le verdi piante di “Guao” appositamente segnalate da Nerai (irritante che provoca dolorose vesciche sulla pelle), tra alberi di “Majagual” (che durante il periodo especial venivano bolliti in acqua come tintura marrone per scarpe e vestiti) colmi di grandi termitai e buchi risuonanti vuoti che spuntano dal fondo corallino, davanti a noi si apre il “Cenote Majagual(dal nome della pianta). E’ un grande buco carsico di acqua dolce colmo di piccoli pesciolini, profondo 18 mt che sotterraneamente, alla distanza eguale di 25mt, si collega con altri due cenote immersi nella vegetazione, noti al nostro hotel da dove partono escursioni subacquee per la loro esplorazione. Torniamo all’auto e proseguiamo tra lagune d’acqua e resti arrugginiti di un carbonificio abbandonato, buche sempre più grandi attraversate da grandi granchi di terra (Nerai ci avvisa che il peggio deve ancora arrivare), alcuni grigi mentre altri dagli splendidi colori vivi, dal corpo blu e chele rosso-arancioni (sembrano di plastica), piccole lucertoline brune e colombe che si abbeverano nelle buche della strada, mini iguane marroni e picchi dalla testa rossa volano via al nostro passaggio (Carpintero), mentre un grande guscio in mezzo alla strada desta la nostra attenzione, un enorme granchio all’interno di una conchiglia con una possente chela rosso-viola-blu (tipo paguro) è il “Macao” (si stacca solo con il calore). La rigogliosa vegetazione ai bordi della strada si fa sempre più fitta restringendo la carreggiata quasi chiudendosi sopra di noi, le buche son sempre più profonde e numerose sino a costringerci a volte a fermarci, ma alle 12:00 arriviamo in un largo spiazzo.Siamo nei pressi di una “Stazione meteorologicaper il controllo degli uragani (non visitabile e dove non esiste possibilità di reperire acqua sin qui) dove parcheggiamo l’auto all’ombra di un grande albero. Qui Nerai incontra Michel, il custode delle “Cueva dell’Este”, nostra prima meta, celebre per gli innumerevoli e ben conservati 235 pittogrammi Siboney, i primi abitanti giunti sin qui dal sud America, la grotta più importante di tutta l’America latina se non del mondo. Percorriamo un sentierino che scende tra la fitta vegetazione di palme ed alberi, dove non c’è nessun cartello di segnalazioni e siamo gli unici, quando davanti a noi compare un ampio accesso dalla cavità così bassa che i disegni si potrebbero toccare, (1 cuc per fotografare) una grotta calcarea al cui interno due grandi aperture circolari fanno filtrare la luce, è la “Cueva dell’Este 1” (la più grande, in realtà sarebbero 6, scoperte per caso come rifugio da Freeman P. Lane nel 1910). Entriamo nella grotta spaventando minuscoli pipistrelli neri che tornano a dormire poco distante da noi tra numerosi granchi grigi e arancioni che scappano cercando di arrampicarsi lungo le pareti, mentre il custode ci mostra le pittografie rupestri dell’800dc presenti sul soffitto e sui lati. Sono quasi tutte circolari ed in ottimo stato di conservazione, eseguite in rosso e nero vividi (utilizzavano ossido di ferro e carbone), la più grande di 28 cerchi concentrici rappresenta un calendario solare, difatti il 22 marzo il sole che filtra da una delle due aperture naturali lo illumina, una sorta di celebrazione della fertilità e del ciclo vita-morte, mentre altre rappresentano la riproduzione femminile. Più addentrate nella grotta vi è un cunicolo che porta ad altre buie cavità al cui interno sono stati ritrovati gli scheletri di una donna ed un bambino, ora visibili all’Havana nel Museo del Capitolio. Lasciamo la grotta uno e ritorniamo sul sentiero dove a 500mt troviamo una altra stretta apertura che conduce alla “Cueva dell’Este 2“, raramente visitata, che ospita una miriade di granchi grigi e pipistrelli dove ammiriamo altri pittogrammi circolari, ma dai colori meno vividi tra cui il famoso dipinto del “pesce rosso”.

Sono le 13:00 e ci avventuriamo lungo un altro breve sentiero tra l’alta e fitta vegetazione, accuratamente visionato da Nerai onde evitare spiacevoli incontri da quando due turisti s’imbatterono in un grosso e lungo serpente di S. Maria che gli sbarrava la strada, per vedere la famosa “Playa dell’Este”. Una favolosa spiaggia deserta di sabbia bianca tra un tappeto di uva caleta fiorita e la più svariata gamma di blu-verdi-azzurri del mare, nuvole nere in lontananza di un scampato temporale lasciano filtrare i raggi di un abbagliante sole, a riva solo silenzio ed il lieve infrangersi delle onde sulla battigia … benvenuti in Paradiso!!!Nerai ci lascia qui per due ore e si allontana con Michel, dopo avergli commissionato il più buon pranzo nel luogo più bello, ci godiamo questo splendido mare tra mormore grigie e pesci trombetta, finché non vediamo Michel arrivare con un vassoio meticolosamente coperto: il nostro pranzo!Due ottimi piatti di congrì, purè, pomodori freschi, dove nel primo vi è un’aragosta son salsina, mentre nell’altro un grande parago alla griglia, più due bottigliette di acqua! non svegliateci! (tutto per la modica cifra di 5 cuc a testa) da soli e nel più bel ristorante del mondo: Playa dell’Este!. Una guardia ecologica di ritorno alla stazione meteorologica con Nerai passa lungo la battigia della spiaggia e mi regala una bellissima conchiglia rosa che porterò in Italia come splendido ricordo di questo Eden. Alle 15:00 lasciamo la spiaggia e raggiunto Nerai alla stazione meteorologica, salutiamo Michel ringraziandolo ancora per l’ottimo servizio, c’incamminiamo però verso il ritorno e non come avevamo preventivato verso Punta Francese per visitare sia Playa Larga, il Faro di Carapachibey ed l’allevamento di tartarughe di Jacksonville. Alle 16:10 arriviamo al posto di blocco militare dove gli stessi addetti effettuano meticolosamente la solita procedura di controllo e passando per “Pino Alto” y “Julio Antonio Mella” ci dirigiamo verso Santa Fè, dove lasceremo Nerai dalla sua prima famiglia e saluteremmo definitivamente nonché tristemente il nostro amico Juan,. Breve rifornimento di acqua al chiosco-supermercato del Panel 1 di Santa Fè per poi alle 17:00 ripartire soli lungo la carrettera siguanea in direzione Hotel Colony, ci aspettano 46 km di buche ed un simpatico gruppo di mucche che ci sbarra la strada, poiché troppo intente a bere la preziosa acqua piovana contenuta in esse. Alle 17:45 arriviamo stanchissimi all’Hotel Colony, dove dopo un rigenerante tuffo in piscina (ci siamo solo noi e la coppia di tedeschi sino a fine vacanza) ci gustiamo un ottima ananas comprata da Juan e manghi americani per poi crollare esausti.

9° giorno (23 Maggio)

“Il paradiso di Punta Francese”

Alle 08:45, dopo un’abbondante colazione in compagnia della coppia tedesca, aspettiamo nella hall dell’Hotel Colony la navetta Transtur, che ci porterà in 5 minuti alla “Marina di Siguanea”, piccolo porto turistico dell’isola da dove salpano tutte le imbarcazioni per le escursioni di Punta Francese e il Diving (8 cuc a testa x la playa). Il sud dell’isola è molto famoso per i siti d’immersione, sono ben oltre 50 tra cui 2 relitti di navi anni ’70, con spettacolari barriere coralline tra cui pareti di corallo nero e rosso, immense spugne a botte in caverne e grotte tra una miriade di varietà di pesci colorati, insomma un vero e proprio paradiso per gli appassionati di sub (è un Parco Nazionale Marino di 60kmq di cui due terzi sott’acqua). Alle 09:10 l’imbarcazione “Cardenas” con a bordo oltre a noi ed i 3 membri dell’equipaggio, la coppia di tedeschi del nostro hotel ed una canadese, lascia il porticciolo immerso nelle mangrovie, tra gli sguardi assenti dei militari di vedetta della baia che controllano il traffico illegale di scafisti diretti in Messico ed il sole che “raja las piedras”. Dopo circa 1 ora di navigazione, costeggiando un fitta vegetazione di mangrovie ed alte palme al suono di musica caraibica e il riverbero quasi accecante del mare, arriviamo all’estremità più lontana di Punta Pedernales. Una lingua verdissima di mangrovie, ricca di uno straordinario ecosistema dove vi nidificano sule e cormorani, pellicani bruni e colorati pappagalli tra nere fregate che sfrecciano attorno alla nostra barca. All’improvviso l’imbarcazione non vira attorno alla punta dell’isola, ma la attraversa solcando splendide acque basse dal tipico color caraibico verde-turchese, percorrendo un lungo canale costeggiato da fitte e rigogliose mangrovie tra volteggianti fregate e sule. Poco distante, su di un piccolo cayo affiorante dal mare grazie alla bassa marea, un gruppetto di gabbiani ci guarda incuriositi per poi volar via quando l’onda provocata dal nostro passaggio s’infrange sulla bianca sabbia del piccolo scoglio. All’uscita del canale si apre ai nostri occhi un’immensa e meravigliosa baia d’acqua cristallina dalle più svariate tonalità di verde-azzurro, protetta da Punta Pedernales e Francese, accarezzata da un lingua deserta e selvaggia di finissima sabbia bianca contornata da una fitta ed alta vegetazione di palme di ogni tipo, uva caleta e alberi di cedro cubano dove due lunghissimi pontili si protendono per accoglierci, di uno però ne rimangono soltanto i resti dopo gli uragani del 2008. Alle 11:15 la barca ci lascia sul lungo pontile di legno al cui centro svetta un piccolo capanno di paglia con statue lignee di delfini e pesci, che ci porta sino a playa “Punta Francese”, mentre la barca prosegue in mare aperto per effettuare la immersioni con gli altri 3 turisti, per poi attraccare nuovamente qui alle 14 per pranzare a bordo con 10 cuc a testa. La meraviglia dei colori dell’acqua è indescrivibile, (le Maldive non son nulla in confronto), percorriamo circa 100mt di pontile sospesi nel più assoluto silenzio, dato che ci siamo solo ed esclusivamente noi, dove piccoli pesci nuotano in superficie tra cui un trombetta, a riva un piccolo trigone grigio girovaga su un festone di conchiglie, mentre sulla spiaggia una miriade di lettini ammucchiati testimonia la marea di gente che dalle navi da crociera attraccate nelle vicinanze, si riversano qui durante l’alta stagione (ora qui è periodo di chiusura). Ci posizioniamo sotto un albero assaporando questo splendido mare calmo e caldo dai bassi fondali, nuotando sotto il pontile tra diversi e colorati pesci farfalla e balestra, sergenti e argentee mormore, mentre il sole raggiunge il fondale illuminando grandi stelle marine rosse e verdi, tra granchi e gigantesche conchiglie Cobo adagiate a riva, un vero paradiso immerso nel silenzio della natura. In lontananza si odono colpi di scalpello che brandiscono il legno, provengono dall’unico capanno dal tetto di paglia dove alloggiano 3 guardie ecologiche per la tutela della spiaggia, risiedono qui per tutta la settimana dopo aver percorso 5 ore di guagua da Cayo las Piedras. Ci avviciniamo al capanno scorgendo in lontananza alcuni cumoli nuvolosi minacciosi transitare in mezzo al mare mentre incontriamo Carlos, una guardia ecologica che ci racconta che nella notte alcune tartarughe hanno nidificato sulla palya verso punta Pedernales, mentre Pedro, un alto uomo magro dai capelli brizzolati e grandi occhi bianchi che spiccano sulla carnagione nera, continua a modellare le sue scultore, alimentando con scaglie di legno il fumo che esce da un vecchio barattolo di latta, unica efficace protezione dai moschitos purtroppo attivi anche di giorno. Pedro abbozza vagamente due sagome su zocchi di cedro cubano in mezzo ad una montagna di scaglie, pirati che si rifugiarono in questo litorale della baia, tra cui “Francois Leclerc”, famoso pirata del 16°secolo, il primo gamba di legno da cui Cabo Francese prese il nome e l’Olandese, il crudelissimo Jean David Nau, il cui fantasma infesta tutt’ora la playa. Una curiosa leggenda però ha attirato maggiormente la nostra attenzione, quella del famoso pirata “Jean Latrobe” e del suo immenso tesoro mai ritrovato, che si troverebbe ancora oggi sepolto a Punta Francese, a cui deve il nome, immerso nella fitta vegetazione “a 30 passi da una sorgente che bolle o novanta da una roccia a forma di teschio”, come ci conferma Pedro raccontandoci che “è ancora là e qualcuno ogni tanto scava”. Difatti Latrobe fu catturato nel 1809 da una nave battente bandiera statunitense ed impiccato l’anno seguente in Giamaica a Kingston, prima di morire consegnò ad un mozzo una mappa del tesoro affinché la consegnasse al corsaro Lafitte, che però non ricevette mai la pergamena. Sono circa le 14:00 e scorgiamo in lontananza la nostra barca diretta verso il lungo pontile pronta ad accoglierci per il pranzo; salutiamo Pedro e Carlos diretti all’imbarcazione. A bordo il cuoco ci delizia con un ottimo “cerdo in salsa accanto alla falsa copia della nostra pasta alla carbonara, arroz blanco e purè de pata, manga e pina”, ma a noi spettano due enormi aragoste da poco pescate, dal sapore veramente ottimo. Dopo aver pranzato ed aver deliziato la miriade di pesci colorati attorno alla nostra barca con gli avanzi del banchetto, in barca cala il silenzio; l’equipaggio si è appisolato sui lettini del capanno di paglia a metà pontile mentre altri hanno preferito le calde assi lignee della passerella. Tutto tace in questo assolato pomeriggio quando all’improvviso si ode un gran tuono, il vento si alza frettolosamente mentre cupe nuvole riversano un battello d’acqua solo in mare lasciando a riva un accecante sole. Le onde s’ingrossano vistosamente portando la barca a sbattere contro le protezioni del pontile, tanto da decidere di lasciare quello che fino a poco fa era considerato un tranquillo paradiso, per proseguire in mare aperto, dove la coppia di tedeschi effettuerà un’altra immersione tra le meraviglie di questi fondali illuminati dai flash dei lampi. Son circa le 16:00 e la bufera non accenna a placarsi, anzi il vento aumenta le onde a tal punto da non riuscire a posizionare la barca contro di esso, ma la porta a rivolgersi verso la poppa aperta, dove un improvviso e violento “graniso” (grandine grossa come noccioline) la allaga e pervade di ghiaccio mentre i sub sono ancora in mare, noi ci rifugiamo tutti in cambusa nella speranza termini al più presto. Dopo circa 20 minuti tutto improvvisamente si placa, recuperiamo i sub che nemmeno si sono accorti delle onde grosse e della grandine per poi alle 16:30 riprendere la via del ritorno verso la “Marina”. Rispunta immediatamente un caldo sole che ci accompagnerà per un ‘ora e mezza finché alle 18:00 entriamo nella baia del porto sotto i soliti sguardi assenti dei militari (a Cuba non fare oggi quello che puoi tranquillamente far domani!!!). Salutato l’equipaggio della barca, saliamo sulla navetta Transtur che in 5 minuti ci porta all’Hotel Colony, dove in compagnia dei tedeschi Hardy e Biggi ci rilassiamo con un tuffo in piscina ed un buon mojito, fino ad assaporare un arancione sole che gioca a nascondino tra le fronde delle palme prima di tuffarsi in mare, per poi gustarci un ottima pina e crollare in camera.

10° giorno (24 Maggio)

“Another day in Paradise for you and me…”

Le meraviglie di Playa Francese ci sono rimaste davvero nel cuore così anche questa mattina, dopo aver fatto colazione, aspettiamo insieme alla coppia tedesca la navetta che ci riporterà a “Marina di Siguanea”, dove alle 09:20 salperemo nuovamente per “Punta Francese” accompagnati da “Another day in Paradise di Phill Collins”. Anche oggi sotto un caldissimo sole, attraversiamo Punta Pedernales lungo il canale di rigogliose mangrovie, mentre strani pesci grigi affusolati guizzano e saltano sulla superficie dell’acqua accanto ad una vegetazione sorvolata da ogni sorta di uccelli, per poi giungere alle 11:10 circa, sulle note di “Sacrifice di Elton Jhon” (già che sacrificio!!!) a Playa Francese. La barca ci lascia come il giorno precedente sul lungo pontile lambito da splendide e trasparenti acque, avvisandoci di minacciose e nerissime nubi all’orizzonte, prevedendo che tra un ora sicuramente avrebbe piovuto. Scarichiamo in fretta le cisterne d’acqua per le guardie ecologiche ed un secchio di ghiaccio, per poi dirigerci al loro capanno di paglia intenzionati a portarci a casa un autentico ricordo di questo meraviglioso luogo. Incontriamo nuovamente Pedro, che ci informa che non sarebbe riuscito a finire il grande pirata ed a sagomare una tavoletta di cedro con i contorni geografici del “Isla de la Juventud” entro le 14:00 (orario in cui la barca ci avrebbe recuperato) e che saremmo dovuti tornare anche l’indomani per ritirare il tanto ambito ed autentico souvenir. Ci godiamo anche oggi queste verdi-azzurre acque nella più totale pace della natura (anche oggi siamo solo noi!) tra granchi e pesci trombetta, conchiglie cipree e piccole cobo, finché purtroppo alle 13:15 inizia una forte e battente pioggia tropicale che ci costringe a ripararci nel capanno delle guardie, senza luce né acqua corrente, in compagnia di infestanti moschitos, sino all’arrivo della barca alle 14:00. Sotto una persistente ed intermittente pioggia percorriamo il lungo pontile fino alla barca dove un uccello marrone dal becco giallo si riposa per niente infastidito dalla nostra presenza tanto da permetterci di toccarlo, per poi pranzare a bordo con due ottime aragoste. Alle 15:20 la pioggia si ritira in favore del sole; lasciamo Punta Francese per dirigerci in mare aperto, dove la coppia di tedeschi effettuerà un’altra immersione mentre noi ci diletteremo facendo snorkeling dall’alto di un fondale di circa 12 mt, una vera prateria di gorgogne gialle e viola, pesci balestra blu e lunghi barracuda che si avvicinano incuriositi, tra scie lasciate sulla sabbia dalla marcia di grandi cobo rosa e tantissimi altri pesci colorati. Saliti a bordo e recuperati i sub, alle 16:20 solchiamo un calmissimo mare per un’ora e mezza per poi attraccare alla Marina alle 18:00 dove la nostra consueta navetta ci riporterà in hotel costringendoci a rinchiuderci purtroppo in camera, data la miriade di moschitos e l’imminente diluvio delle 19:30. Lampi e fulmini illumineranno a giorno la baia, persistendo per tutta la notte sino alla mattina seguente, dove verremo svegliati all’alba da alcuni granchi di terra, che cercano riparo arrampicandosi sui vetri del nostro bungalow.

11° giorno (25 Maggio)

“Il recupero del pirata Francois Lecler”

Oggi mentre aspettiamo la navetta delle 09:00 per la Marina insieme ad Hardy e Biggie, sopraggiunge frettolosamente nella hall dell’hotel una camionetta di militare che entra chiedendo informazioni alla receptionista Yamilà, per poi diversi fra i servizi e gli edifici del complesso alberghiero. Giunti al porto partiamo per Punta Francese, ma stavolta oltre ai soliti amici tedeschi, con noi ci saranno un altro istruttore di sub cubano e due giovani fratelli finlandesi venuti da Nueva Gerona sin qui con la guagua del personale di servizio. Il percorso si articola come i giorni precedenti tra splendide mangrovie e sfreccianti uccelli sotto un tipico sole caraibico, sino ad attraccare alle 11:15 al lungo pontile di “Playa Francese”, ogni volta meravigliati da questo incantevole e paradisiaco luogo come fosse la prima volta. Sentiamo in lontananza lo scalpellare di Pedro che senza fermarsi un istante ci dice di aver lavorato tutta la notte per delineare la nostra isola ormai pronta, mentre il pirata è visibilmente in fase di terminazione. Oggi non ci sono ne Carlos ne l’altra guardia ecologica, chiediamo informazioni a Pedro che ci spiega che stamattina la polizia li ha avvisati della presenza di uno scafista ricercato ormai da 7 gg nascosto nella fitta vegetazione (tratta di persone con il Messico), armato di pistola, ma senza acqua né cibo, probabilmente poco distante dal capanno, così gli altri sono andati a scovarlo insieme alla polizia. Ora intuiamo il perché della visita della polizia in mattinata, stava cercando gli altri eventuali tre complici perlustrando il nostro hotel. Lasciamo Pedro lavorare e ci tuffiamo ahimè per l’ultima volta in questo eden marino, anche oggi soli tra le onde di questo limpido e caldo mare incorniciato da una fitta vegetazione di diverse palme e sabbia bianca. La mattinata trascorre rilassante nonostante un accenno di pioggia subito destituito da un limpido e torrido sole caraibico, quando però in lontananza vediamo arrivare ed attraccare la nostra barca, ma sono solo le 13:00!Raggiungiamo l’imbarcazione dove pranzeremo anticipatamente con un ottimo cerdo e pollo con patate, pasta e riso, oltre a frutta e verdura, deliziando ancora una volta con i nostri avanzi i colorati pesci attorno al pontile. Tranne il capitano, tutti scendiamo dalla barca per riposarci o rilassarci al sole sul pontile lasciandosi abbracciare da Morfeo, quando però improvvisamente ci accorgiamo che la barca ha mollato gli ormeggi e si sta allontanando, ma siamo tutti qui…! Il capitano appisolato si sveglia immediatamente ai nostri richiami ed attracca prontamente al pontile. Sono le 14:00 e Pedro sta ancora lavorando, nel frattempo perlustriamo il fondale con lo snorkeling nelle vicinanze della barca, fra branchi di pesci gialli ed argentei, grandi stelle marine rosse e qualche conchiglia farfalla, per poi imbatterci in una grandissima e coloratissima conchiglia tritone intenta in una lenta marcia verso una prateria di alghe verdi (l’ingresso del mollusco è arancione e nero intenso). Sono le 15:00 e Pedro è riuscito a terminare il nostro pirata, una scultura di cedro cubano adagiata su un piedistallo a forma di Isola de la Juventud, un vero capolavoro; si tratta di Francois Lecler, il primo gambadilegno nonché il suo corsaro preferito. Ora possiamo purtroppo mollare gli ormeggi e partire verso il mare aperto, non distogliendo mai lo sguardo da questo meraviglioso luogo, riempiendoci il più possibile gli occhi di immagini dai vividi colori per l’ultima volta, che rimarranno per sempre impresse nella nostra memoria. Dopo un ulteriore immersione da parte degli altri turisti, mentre noi ci godiamo in relax il sole di questa splendida isola nel nostro ultimo giorno di permanenza, alle 16:30 riprendiamo la via del ritorno incrociando un vecchio ed arrugginito peschereccio, per poi attraccare al porto alle 18:00, dove la navetta ci porterà in hotel per purtroppo preparare la valigie, poiché l’indomani ci aspetta il volo per l’Habana.

12° giorno (26 Maggio)

“Intensa giornata alla scoperta del quartiere Centro dell’Habana”

La nostra giornata inizia molto presto, circa alle 06:00, mentre il sole rende solo un po’ più chiare le immagini scure della notte, chiudiamo per sempre il nostro bungalow nel silenzio più assordante (tutto tace: i tedeschi dormono ancora, in lontananza solo 3 guardie di sorveglianza e qualche pescatore di frodo con grandi granchi), alla reception salutiamo Yamilà, che ci ha fatto preparare la colazione da portar via (biscotti e sandwich al jamon y cheso) volgendo un ultimo sguardo all’Hotel Colony. Stiamo per lasciare questa vacanza d’evasione ed in parte un po’ avventurosa, per raggiungere Nueva Gerona percorrendo i soliti 46 km: il sole deve ancora sorgere ed un falco ci guarda dall’alto di un traliccio elettrico, mentre per strada gli zoccoli di magri cavalli lambiscono già l’asfalto pronti a tornare nei campi, fioche luci di case compaiono tra la fitta vegetazione mentre un contadino governa già un aratro trainato da buoi. Lungo i pochi agglomerati di case di “La Melvis” e “El ronco” le bambine orgogliose della divisa scolastica rossa, blu e bianca sono già sul ciglio della strada in attesa che un carro o una guagua possa dar loro un passaggio sino a Nueva Gerona. Molte persone s’incamminano a piedi già alle prime luci dell’alba e percorrono interminabili chilometri con disarmante normalità per giungere al lavoro o semplicemente reperire cibo ed acqua. Alle 06:40 arriviamo a Nueva Gerona in calle 39 al Rent a Car della “Cubacar” per consegnare l’auto e sbrigare le pratiche del caso, (una vera comodità data la mancanza di autobus e treni sull’isola), poiché è impossibile per noi arrivare autonomamente in aeroporto. E’ considerato zona militare con tanto di recinzione e posto di blocco della polizia dove ci viene richiesto il passaporto all’ingresso dell’area nonostante ci accompagnasse il titolare del noleggio, che gentilmente aveva anticipato per noi l’apertura alle 06:30 anziché alle 9. Alle 06:50 siamo al check-in dell’ “Aeroporto Rafael Cabrera Mustelier”, un’unica stanza con due postazioni per il ritiro biglietti ed un piccolissimo negozio in cuc con i soliti articoli di prima necessità, mentre enormi condizionatore congelano tutti i presenti. Lasciate le valigie, un addetto ci comunica di posizionarci nella sala accanto da dove entreremo direttamente in pista senza prima però aver effettuato un primo controllo del bagaglio a mano e corporeo con metal detector per accedere all’unica entrata della piccolissima sala ed un ulteriore perquisizione singola del bagaglio stesso, per accedere nel piazzale di cemento che ospita il nostro vecchio aereo l’Antonov-24 russo degli anni ’50-’60 della Cubana de Aviacion”. Alle 08:36, in anticipo di 4 minuti, le ruote del carrello si ripongono direttamente solo le ali del vecchio aereo salutando per sempre questa splendida e selvaggia isola che fino all’ultimo ci appare nel suo splendore regalandoci bassi fondali verdi, piccoli isolotti disabitati ed una verde vegetazione dell’Arcipelago de los Canarreos. Alle 09:00, dopo soli 24 minuti di volo, atterriamo all” Aeroporto Josè Martìdell’Habana, dove subito entriamo in possesso delle nostre valigie e siamo pronti a contrattare una corsa in taxi che ci porti nel quartiere “Centro” allo storico “Hotel Sevilla” per 20 cuc. Sfrecciamo letteralmente fra l’innumerevole traffico di auto colorate di ogni epoca lungo la “Av. de Indipendecia” passando per la “Ciudad Deportiva” (un’area olimpionica anche se un po’ datata”), il “Cerro”, “Plaza de la Revolucion”, “Univ. dell’Habana”, calle “S. Lazzaro” e “Colon” sino al n°55 di calle “Trocadero” alle 10:00 circa (ang. Paseo y Agromonte).

Entriamo nell’”Hotel Sevilla” dove due leoni marmorei a guardia di una piccola scalinata c’introducono nella immensa hall, una lobby dorata con stucchi spagnoli in stile moresco dalle tipiche piastrelle blu (azuleyos) e soffitti lignei decorati, un gioiello coloniale del 1908, ovunque salottini con mobili antichi, tappeti e statue femminili di marmo, dove sembra di essere all’ Alhambra di Granada. Sbrigata velocemente la registrazione alla reception, passando accanto ad un fresco e grazioso patio Sevillano interno con fontana in marmo, due velocissimi nuovi ascensori ci porteranno al 7°piano nella nostra camera coloniale, la n°702. La luce penetra da due finestre ortogonali incorniciate da sontuose tende arancioni che ci regalano viste splendide dall’alto dell’ Habana, del mare verso il “Castillo dei 3 Re Magi del Morro” e della parte Vieja sino al porto, al centro un grande letto la cui testata è decorata con Azuleyos, ovunque stampe antiche di suggestivi angoli cittadini mentre una vecchia lampada a petrolio troneggia su una scrivania coloniale con savonarola, nell’angolo uno scrittoio con specchiera e porcellane blu precedono una bergerè di pelle con poggiapiedi, mentre la porta specchio del bagno, grazioso con ulteriore vista sulla città, incornicia i nostri volti. Rinfrescati e riposti i bagagli nelle due piccole cabine armadio, decidiamo di visitare l’hotel, vero e proprio gioiello storico e coloniale, dove Graham Green vi ambientò il romanzo “Il nostro agente all’Havana”, dapprima curiosando al 9° piano nel Mirador. Una fresca brezza aleggia nel lungo corridoio accompagnato da grandi viste sulla città, soffitti sontuosi e pareti decorate con piastrelle blu, antiche sedie di ciabattini e cucchiaini d’argento, foto in bianco e nero di attrici e personaggi famosi che banchettarono nel “Roof Garden”, il grande salone-ristorante alla fine del corridoio con pianoforte nero a coda le cui enormi finestre bianche incorniciano il Capitolio, per poi terminare in quella che fu la suite del primo proprietario dell’hotel poco distante dal rilassante bar Habana. Scendiamo a pian terreno dove una piccola galleria fotografica in bianco e nero testimonia la storia della costruzione dell’hotel, antiche vedute dell’800 della città e personaggi famosi che vi soggiornarono fra cui il mafioso “Al Capone”, che affittò tutto il 6°piano, fra cui la stanza n°615, oltre a Caruso ed Hemingway (immancabili le foto di Castro e Chè Guevara). La mostra termina vicino ad una delle due entrate dell’hotel, quella che attraversa una lunga galleria interna con negozi di ogni tipo, di abbigliamento e calzature, una farmacia, una cadeca, una casa dell’habano, un alimentari ed una profumeria. Decidiamo però di uscire dall’hotel passando dall’altro ingresso che volge su via Trocadero, non prima di aver dato una rapida occhiata alla verdeggiante area interna con grande piscina, che si rivelerà un vero toccasana dalla calura della città dopo le fatiche della sua esplorazione, con bar, centro medico, solarium e gimnasio.

Alle 12:50 c’incamminiamo a piedi da soli lungo via “Agromonte “passando accanto al “El Orbe”, svoltiamo a sx su via “Animas” ammirando solo esteriormente il sontuoso e moderno palazzo che ospita la “Coleccion de Arte Cubanoper poi proseguire su “Av. de los Missiones” e “San. Juan de Dios” vicino al “Cine Actualidades” verso lo splendido “Edificio Bacardi”, un palazzo art decò rivestito con granito, arenaria e mattoni multicolor sulle tonalità dell’arancione che culmina con la statuetta nera del famoso pipistrello, simbolo della famosa famiglia produttrice di rum. Siamo ritornati qui dopo 6 anni e tutto ci torna famigliare, i luoghi sono ricchi di storia e mantengono sempre il loro fascino, ma l’impatto è stato molto diverso rispetto alla tranquillità che regnava nel 2005, a differenza anche dei più tranquilli e puliti quartieri del Vedado e Miramar, qui i cubani sono molto insistenti, cercano d’attirare l’attenzione nei modi più svariati, senza recepire un educato “no grazie”. Usanza comune è chiamarci con fischi insistenti che da noi si usano per i nostri fedeli amici cani, chiedere l’ora o la nazionalità per poi cercar di venderci qualcosa sottobanco inseguendoci per svariati isolati, vecchiette che salutate con un buongiorno non rispondono, ma impongono la mano di fronte al nostro viso ordinandoci di darle un cuc, mah!Le cose sono veramente cambiate, ma con una buona dose di faccia tosta ed indifferenza alla fine desistono e noi quasi ci abituiamo. Arriviamo di fronte al blu quasi elettrico dell‘eccentrico “Hotel Telegrafo”, risalente al 1888, all’angolo nord-occidentale del “Parque Central”, vicino all’omonimo e lussuoso hotel; un piccolo giardino contornato da 28 palme reali al cui centro svetta la statua in marmo bianco di “Josè Martì”, alcuni cubani riposano all’ombra dalla calura della mattina su arrugginite panchine mentre discutono animatamente di baseball vicino a splendide auto orgogliosamente restaurate (detta” Esquina Caliente”, i Los Industriales sono i favoriti!) mentre agli angoli venditori ambulanti di arancione guarapo e giornali, cercano di attirare la nostra attenzione rapita dal più antico hotel della città, il barocco coloniale “’Inglaterra(del 1875 con stucchi bianchi nonché preferito da Josè Martì). Sul lato nord dietro alla statua di Josè Martì ammiriamo il sontuoso ed eclettico, nonché imponente ed in stile neobarocco, bianco edificio del “Centro Asturiano”, che ospita il “Museo Nacional de Bellas Artes”, ma che noi non visitiamo. I nostri occhi non sanno più dove guardare data tanta contemporanea meraviglia architettonica, poiché sul lato sud del parco è impossibile non notare un altro splendido enorme edificio neobarocco, il “Gran Teatro dell’ Habana Garcia Lorca”, ex “Centro Galego”, che fu costruito attorno al Teatro Tacon nel 1838, dove ci dicono Meucci inventò il telegrafo parlante e vi cantò persino Caruso, oggi sede del balletto nazionale di Alicia Alonso. Uno splendido bianco e spumeggiante edificio, vero e proprio tripudio in stile barocco di balconi e balaustre, archi su pilastri, statue e tre torri con 3 glorie alate come vedette. Un’interminabile fila di gloriose e colorate Chevrolet, Ford e Dodge parcheggiate frontalmente al teatro, fungono da spartitraffico tra coches de caballo ed infiniti chiassosi risciò che si muovono al ritmo reggaeton, mentre sul lato opposto una vecchia insegna americana anni ’50 “Cine Payret”, ex teatro lussuoso inaugurato nel 1877 con la Favorita di Donizetti ed ora cinema, svetta imponente vicino alla palestra “Kid Chocolate”, intitolata in onore del famoso pugile. Fronte a questa sala polivalente, in uno spazio contornato da statue ed alte palme reali immerse in una ricca vegetazione, c’e lui, il “Capitolio Nacional”, il nostro edificio preferito, per il quale bramavamo nel poterlo rivedere e soprattutto visitare.

Un colosso rinascimentale del 1926 che richiama un po’ l’ Antica Roma, riproduzione del Campidoglio di Washington Dc, imponente e splendidamente vestito di granito ed arenaria bianca, introdotto da una grandiosa scalinata con a guardia due alte statue bronzee di 15 tonnellate, colonne doriche greche e l’imponente cupola in pietra dalla cui altezza di 62 mt. svetta Mercurio, visibile da ogni angolo dell’Habana, regalando indimenticabili e pittoreschi scorci di vita quotidiana. Iniziamo ad immortalare questa meraviglia non prestando attenzione alla mancanza di turisti, accanto a venditori ambulanti di noccioline e biscotti casalinghi, tra fotografi di strada muniti di vecchie macchine con tripiede e flash separato, eredi di quelli che ritraevano i passanti in epoca coloniale, che spariscono dietro ad un drappo nero, uno splendido monumento che felicemente ci regala un book fotografico. Delineato in più parti l’esterno, c’incamminiamo per visitare il museo interno dove c’è molta Italia, desiderosi di vedere i reperti preistorici della Cueva dell’Este, il “Salon de los Pasos Perdidos” tra marmi policromi e specchi con pareti affrescate e l’enorme statua delle Repubblica Cubana con scudo e lancia, che ricoperta d’oro poggia su di un piedistallo di onice egiziano, nonché il famoso diamante della corona dell’ultimo zar russo incastonato nel pavimento sotto alla cupola, da dove si calcolano tutte le distanze km dalla città, insomma tutte le meraviglie che contiene, ma ahimè l’amara sorpresa che ci stroncherà l’umore: è chiuso!!!!Riguardiamo meglio la facciata e notiamo che degli operai stanno montando un’impalcatura attorno ad una delle due imponenti statue esterne, le biglietterie sono inspiegabilmente serrate e non è il giorno di chiusura, straniti c’incamminiamo verso una guardia all’ingresso del museo quando ci accorgiamo di un enorme cartello raffigurante il Capitolio, che ingenuamente abbiamo ritenuto pubblicitario, con scritto : “Opera en Restauro” !Ci prende letteralmente un colpo data la conoscenza degli interminabili tempi cubani, cosa che ci viene confermate da una guardia di vigilanza che purtroppo ci spiega che è chiuso da 3 mesi e forse lo sarà per anni, che non è possibile visitarlo parzialmente, nemmeno ahimè sotto serrata corruzione.

Desistiamo e proseguiamo poco dietro al Capitolio in calle Industria, vicino a un vecchio deposito di smessi treni a carbone del 19°sec., alla scoperta di un’ edificio rosso e bianco con la scritta nera “Real Fabrica de Tabaco Partagas”, una delle fabbriche simbolo più antiche e famose della città che dal 1845 produce sigari manualmente come Cohiba e Montecristo grazie ai suoi 400 torceadores, è visitabile, ma noi ci accontentiamo di sbirciare dall’esterno continuamente assediati da insistenti venditori illegali di sigari rubati dalle fabbriche stesse. Su via Dragones costeggiamo ed attraversiamo il “Parque de la Fraternidad”, nato 1927 per commemorare lo sbarco spagnolo, tra grandi spazi verdi contornati da arancioni flamboyan fioriti e vari busti marmorei sino ad arrivare alla rotonda di fronte al colonico “Hotel Saratoga”, vicino all’ “Associacion Cultural Yorubaed alla “Fuente de India” in via Economia, una scultura-fontana in marmo bianco scolpita da Gaggini, che raffigura una indigena seduta reggente una cornocopia e lo stemma della città, purtroppo recintata e non funzionante in quanto ulteriore opera in restauro. Che fortuna oggi!!! Attraversiamo l’intenso storico fiume colorato d’auto che affolla Av. Simon Bolivar per proseguire lungo “Calle Cardenas”, una piccola via tagliata fuori dai soliti circoli turistici, dove incontriamo un trasporto eccezionale di piccoli risciò carichi di materassi, ragnatele di panni stesi tra cubani che si chiamano da palazzi diversi, alcuni giocano a domino all’ombra delle case mentre bambini si rincorrono per strada, improvvisati meccanici rinvigoriscono le loro auto facendo miracoli, altri provocano il movimento di bottiglie scaccia mosche dalla carne di cerdo posta su improvvisati banconi lignei a bordo marciapiede, tra caffetterie casalinghe, cubane con i bigodini e spogli banchetti di frutta. Una passeggiata in questo scorcio di vita autentica tra splendide, ma purtroppo il più delle volte decadenti, dimore borghesi colorate in stile art-nouveau e decò, fra cui lei, la “Torta Nuziale”, una graziosa casa bianca e rosa pastello, all’angolo con Calle Apodoca e Cardenas, appena uscita dalla favola di Hansel e Gretel, dove strani stucchi ed archi rosa sormontati da colonne, sembrano bastoncini intrecciati di lecca lecca, con decori di meringhe al posto delle finestre, pronta per esser mangiata. Svoltiamo a dx per un breve tratto su calle Apdoca per poi giungere lungo calle Cienfuegos sino via Maximo Gomez al “Supermercado Isla de Cuba(in moneta forte) ed immetterci su Av. Simon Bolivar, una lunga via a tratti porticata con palazzi storici intervallati da altri malconci e parzialmente crollati, dove ovunque vi sono cubani in fila per la Panaderia, per l’autobus o per comprare un’ottima pizza de queso dalle innumerevoli grate-finestre delle case cubane (a 10 pesos vicino calle rayo, è buonissima!). Altri al banco de ahorro (risparmio) o alle infinite caffetterie casalinghe, tra improvvisati mercatini e qualche panno steso che sgocciola dai balconi mentre tutti sono controllati da sguardi sfuggenti di qualche cubano che dalla propria sedia a dondolo passa il tempo ammirando il mondo oltre alla propria soglia di casa. Proseguiamo per altri 3 isolati su Av. Bolivar, passando accanto al piccolissimo“Jardin Aldamae al “Parque Currita”, per ammirare all’angolo con Calle Campanario un condominio strano, non segnalato, con grandi e forse un po’ troppo vistosi decori, ma pur sempre belli, attribuiti a designer cubani ispirati da Gaudì, lo fotografiamo e dopo una breve occhiata esterna alla “Iglesia del Sagrado Corazon de Jesus”, splendida in marmo bianco con un gran campanile, ci addentriamo in calle Campanaro, poi a dx su calle Salud, a sx su calle San. Nicolas sino a calle Cuchillo, vero cuore del “Barrio Chino”, il colorato e vivace quartiere cinese dell’ Habana. Lungo calle Dragones e Cuchillo, vie principali strette e in parte pedonali, spiccano lanterne rosse e blu tonde appese agli stendini tra i palazzi e qualche cinese, forse discendente di avi portati qui nell’800 per lavorare in schiavitù, compaiono gli immancabili ristoranti come il “Chi Tack Tonged “El Dragon”, qualche mercatino lungo i marciapiedi vicino il piccolo ufficio dove si stampa ancora il giornale cinese e l’unico antico palazzo asiatico rimasto, bianco e rosso con grandi scritte in simboli. Torniamo indietro su calle Aguilar e poi a sx su calle Barcelona sino ad Av. Italia, una larga strada in questo grande distretto a scacchiera, intercalata da piccole viuzze malconce e ricche di vita quotidiana, palazzi in parte crollati e densamente affollati dove non vi sono spazi tra gli edifici d’abitazione ed il pian terreno, che protetto da un lungo porticato, ospita negozi con scarne vetrine e scaffali vuoti. Poco dopo l’incrocio a dx con calle San. Raffael, ricca e colorata via di botteghe e ristorantini sia in moneta forte che pesos (che visiteremo nei prossimi giorni), ci fermiamo in una improvvisata casalinga “finestra snack”, vicino al primo negozio da sposa che incontriamo, dove uno sposo agitato e una schiera di parenti attendono che la futura consorte esca dall’ateliè (forse si usa vestirsi direttamente lì, mah!) dove gustiamo un ottimo panino con cotolette di cerdo (per soli 40cent. di cuc). Sempre sulla nostra dx, lungo Av. Italia, una grande insegna americana tipica degli anni’20 troneggia su un grande grattacielo art decò bianco e verde, costruito per ospitare negozi e appartamenti, è il “Teatro America”, vicino a la “Casa de la Musica Centro Habana”. Proseguiamo ancora su questa arteria poco trafficata per altri 2 isolati, dove sulla nostra sx appare un gigante di 9 piani del 1926, è l” Hotel Lincon”, famoso per il rapimento del campione Fangio nel 1958 ad opera di esponenti castristi del M-26-7 alla vigilia del Gran Premio di Cuba, dove sotto il suo porticato un gruppetto di anziani con tanto di tifosi a seguito, è scrupolosamente intento in una partita di domino. Proseguiamo per altri 4 isolati tra dimore e palazzi coloniali purtroppo abbandonati a sé stessi, tra cui uno verde con stucchi bianchi che ci ha colpito particolarmente, ma in declino, poiché oggi il “Centro” si trova in uno stato di abbandono e sfacelo maggiore di quando la abbiamo visto noi nel 2005, dove quasi ogni giorno crolla una parte di qualche edificio, basta osservare come e dove camminano i cubani, mai sui marciapiedi, ma al centro della via e spesso con il naso all’insù. L’Habana forse è l’unica città ispanoamericana che abbia preservato il suo patrimonio artistico, architettonico e culturale dalle speculazioni estere, da un lato pagando un caro prezzo, dovendo fare i conti con l’azione del tempo rischiando comunque di vanificare gli sforzi fatti fin qui (le opere di restauro sono solo visibili nel centro storico, purtroppo una goccia d’acqua in questo splendido oceano architettonico). Giunti all’incrocio con il “Malecon”, accanto all’ “Hotel Deauville“, grattacielo kitsch sull’oceano ex covo di mafiosi e giocatori d’azzardo, svoltiamo a dx su questo immenso viale lungomare costruito nel 1900 spazzato dalle onde, percorrendolo sino al “Castillo de San. Salvador de la Punta”, tra splendidi palazzi colorati ma consunti dalla salsedine, in stile eclettico, neoclassico e art neueau, illuminati dal sole, purtroppo intervallati da spazi mancanti dovuti a crolli o occupati da sporgenti impalcature nel vano tentativo di contenerne il decadimento. Tra questi, all’incrocio con il Prado, spicca l’edificio quasi in stile egizio con 4 cariatidi scolpite a guardia, del “Centro Ispanico Americano de Cultura”. Arriviamo al “Castillo de San. Salvador de la Punta”, fortezza costruita nel 1600 da Antonelli da cui ogni sera una lunga catena chiudeva il porto congiungendosi con il “Castillo de los Tres Reyes Magnos del Morroche svetta sul lato opposto della baia, ammirandolo solo esteriormente. Sul suo piazzale svetta la “Statua di Hermano de Soto”, marito di Isabel de Bombadilla, la Girardilla simbolo della città, tra disegni pavimentali delle piantine interne di tutte le fortezze della baia e un gruppetto di vecchietti cubani che intona “Guantanamera”. Passando accanto al “Memorial a los Estudiantes de Medicina“, in onore degli 8 studenti fucilati a caso nel 1871 come rappresaglia per la profanazione dalla tomba di un giornalista spagnolo, poco distante dal bianco monumento equestre innalzato su di un tempietto della “Statua di Maximo Gomez”, eroe dominicano che nel 1968 combatté per l’indipendenza di Cuba, arriviamo al “Parque de los Enamorados”. In questo spazio contornato da panchine in ferro battuto dove giovani coppiette si incontrano accanto alla fontana campeggiata da una grande statua raffigurante 2 innamorati abbracciati e da spazi verdi all’ombra di palme reali, fotografiamo i resti di due piccole “Cellette della prigione Tacon”, che nel 1939 ospitò Josè Martì, accanto ad una minuscola chiesetta bianca. Nel lato sx delle cellette, su di un edificio che sembra una torta nuziale bianca e rosa arricchita di particolari art nouveau ed eclettici nonché barocchi, svetta una grande bandiera spagnola, è il “Palacio Velasco”, oggi sede della rappresentanza diplomatica spagnola.

Iniziamo ad esser un po’ stanchi di questa immensa odierna passeggiata, oltretutto siamo svegli dalle 5 per prendere il volo interno, così decidiamo d’incamminarci verso l’Hotel Sevilla lungo “Pradoscoprendone comunque le sue meraviglie. Il Prado o Paseo de Martì, la cui costruzione risale al 1770 come strada per carrozze, ci appare come un grande viale all’europea, una sorta di grandioso boulevard parigino che ricorda la Ramblas di Barcellona, un largo spazio pavimentato in marmo su cui passeggiare con ai lati grandi leoni di bronzo ed originali lampioni in ferro battuto, inoltre al centro panchine di marmo rialzate su muretti e grandi alberi delimitano il confine con le strade laterali. Questo lungo viale è incorniciato lateralmente sia da facciate mezze diroccate dei palazzi coloniali, alcune sventrate e munite d’impalcatura solo nella parte frontale, ma con sempre gli immancabili panni stesi, sia dallo sfarzo dell’ex casinò espagnol, oggi “Palacio de los Matrimoniosall’angolo con calle Animas, dalla cui porta socchiusa sbirciamo prima che ci becchi una guardia, ammirando un grande scalone monumentale in marmo e sfarzosi lampadari, sia dalla “Casa de lo Scientifico” al n°212, elegante in stile coloniale con balconcini e colonne, purtroppo con impalcatura di restauro ed infine il barocco “Teatro Faustovicino al neoclassico colonnato edificio della “Escuela Nacional de Balletdi Alicia Alonso. Alle 17:00 ormai esausti per gli interminabili km percorsi sempre a piedi, giungiamo all’ “Hotel Sevilla”, dopo una rapida occhiata alla galleria interna di negozi, per concederci un rilassante e meritevole tuffo rigenerante dalla torrida calura nell’impagabile piscina. Alla sera, dopo aver immortalato l’Habana dall’alto della nostra camera a ritmo di flamenco proveniente dal patio dell’hotel, che di notte si illumina molto parsimoniosa, cediamo al sonno cullati dalle dolci noti di “Chan Chan” e “Comandante Che Guevara”.

13° giorno (27 Maggio)

“Museo de la Revolucion e tesori nascosti di Plaza Vieja con tramonto sul Malecon”

Alle 09:15, approvato il buffet della colazione dell’hotel, semplice ma abbondante, usciamo dal Sevilla su calle Trocadero sino calle Agromonte, ignorando i continui richiami dei cubani, per visitare un altro capolavoro storico terminato nel 1920, il palazzo presidenziale oggi “Museo de la Revolucion”, uno splendido e maestoso edificio bianco con ricchi balconi e balaustre, in stile art nouveau e barocco, con 7 altissime vetrate che risplendono sotto il torrido sole. Parte del palazzo è cinta da una grossa e vistosa impalcatura, così reduci dalla precedente esperienza del Capitolio, chiediamo informazioni ad una guardia che ci spiega che il palazzo è in restauro e lo sarà per molto tempo, ma che tuttavia è l’unico museo che ne consente ugualmente la visita, sollevati decidiamo di entrare. Lasciati obbligatoriamente gli zaini al deposito (ingresso di 6 cuc a testa + 2cuc x fotografare) e attraversato un cortile interno dove vi è insolitamente in corso una graziosa mostra di bonsai, decidiamo di procedere alla visita dal 3° p. fino a terra, percorso obbligato dati i lavori interni di restauro, suddividendone così l’esposizione in diversi piani: 3°p. regime socialista, 2°p. salone degli specchi ed appartamenti presidenziali, 1°p. scalone marmoreo; non visitabile l’area precolombiana . Al 3°p. iniziamo la visita tra una infinita successione di sale didattiche e celebrative, teche di vetro ricolme di oggetti relativi all’assalto alla Caserma Moncada, la famosa toga di Fidel utilizzata nel celebre monologo “la storia mi assolverà”, divise beige sporche di sangue tra fucili e stivali di ogni tipo, persino un cannone accanto a modellini di campi di guerra e mappe di battaglie, antichi mirini bersaglio, oggetti del Che come il tipico basco e consunte foto in bianco e nero di tutti i protagonisti della rivoluzione, parate e folle applaudenti uscite da vecchi articoli di giornale, antiche radio e codici segreti tra cui una bambola giocattolo utilizzata come mezzo di comunicazione, insomma un santuario storico per i nostalgici che culmina con le statue di cera del Ché e Fidel. All’improvviso da una finestra socchiusa che lascia intravedere uno splendido scorcio della città, odiamo trombe che intonano dapprima il silenzio e poi l’inno cubano, seguiti da ordini militari e suole al passo di marcia, ci affacciamo e sorpresi assistiamo ad una commemorazione dei caduti per la patria in presenza dei ministri di stato ed un anziano reduce di guerra che commosso pone una corona di fiori in onore dei compagni caduti. Al 2°p. visitiamo il maestoso e fastoso “Salone degli Specchi”, mentre la cappella è inspiegabilmente chiusa, costruito sul modello dell’omonimo salone di Versailles, soffitti affrescati che riflettono su enormi specchi dorati tra pavimenti di marmi policromi ed enormi portoni lignei accanto a un nero pianoforte a coda. Continuiamo su questo piano con la visita agli “Appartamenti Presidenzialidi Batista e successivamente di Fidel, arredati da Tiffany di New York (ingresso extra di 1 cuc a testa), dove si entra da una piccola porticina che conduce ad uno stretto corridoio culminante in una grande sala da pranzo affrescata, presidiata da un’ovale tavolo di mogano accompagnato da sedie consunte e quadri presidenziali, in un angolo l’immancabile bandiera cubana. Poco distante vi è il bagno, molto moderno, tutto in marmo grigio e bianco con acqua corrente e persino sanitari preziosi per l’epoca; un altro corridoio, celante una stretta porta nascosta da una lastra di vetro, via d’uscita che salvò la vita al mancato tentativo di omicidio di Batista nel 1957, conduce ad uno studio con mobili lignei antichi, dove portadocumenti e portapenne d’oro troneggiano su una lucida scrivania accanto ad un vecchio telefono e orologi da mobilio ottocenteschi d’oro. Giungiamo al 1°p. per scendere lungo un immenso scalone a doppia via di marmo colmo di buchi lasciati da fucili, sottostante ad una grande e snella cupola finemente affrescata ed attorniato da colonne intercalate da busti marmorei presidenziali. Alle 11:20 usciamo dal palazzo presidenziale dal retro, per dare una rapida occhiata ad un’altra scala marmorea con segni di spari, che nel marzo del 1957 fu utilizzata da Echeverria ed i suoi studenti nel tentativo di assassinare Batista, per poi proseguire la visita del museo nell’area esterna dedicata ai veicoli impiegati nella lotta alla tirannia. Al centro di un area verdeggiante colma di alte palme, sotto un grande padiglione sorvegliato 24h su 24h da una guardia, si erge una enorme teca di vetro contenente “l’imbarcazione Granmadi 18 mt. a bordo del quale Fidel e 18 compagni lasciarono il Messico durante la rivoluzione per approdare nella Baia dei Porci a Cuba nel dicembre del 1956. Il Pavillon Granma è inoltre attorniato da veicoli d’epoca di ogni tipo, come vecchi furgoncini rossi e svariati modelli d’auto come quelle utilizzate dai gangster, molti velivoli militari armati fra cui perfino parti di aerei americani caduti, ma di cui mai ammesso l’esistenza, insomma un ode a tutti mezzi utilizzati nelle rivoluzione.

Lasciamo questa interessante area esterna del museo alle 11: 45 circa per dirigerci a piedi lungo Av. De Misiones verso la “Iglesia del Santo Angel Custodiopoco distante dal “carro armato sovieticosau-100 utilizzato da Castro nella Battaglia dei Porci e qualche frammento, tra cui una piccola garrita detta dell’angelo, dell’antica “cinta murariadella città (alta 10 mt. e spessa 1,5mt. con 11 porte) che fino al 1863 delimitava la parte Vieja dell’ Habana con Av. Misiones e Av. Belgica, anno che segnò l’inizio di una lenta e progressiva demolizione per problemi di densità. La Iglesia poggia sulla piccola altura del “Peno Pobre” (picco povero) poi definito dosso dell’angelo ossia “Loma del Angel”, è bianca piccola e compatta, costruita primariamente nel 1846 e ricostruita dopo un terribile uragano in uno splendido stile neo-gotico rappresentato al meglio dalle lunghe frastagliate guglie che si protendono verso il cielo. Una piccola bianca scalinata ci permette di visitare questo luogo sacro e silente, fra cubani preganti che nella penombra ci osservano incuriositi, in cui nel 1853 fu battezzato Josè Martì e dove Villaverde ambientò il suo famoso romanzo “Cecilia Valdes”, popolare come i nostri Promessi sposi, dove la protagonista Cecilia, stufa dell’eterno ruolo di amante, fece accoltellare Leonardo sulla scalinata della chiesa nel giorno del suo matrimonio combinato con Isabel, scoprendo poco dopo d’esserne la sorellastra, rimarrà in carcere mentre Isabel si farà suora.

Lasciamo questo luogo sacro attraversando “Plaza 13 de Marzosino ai piedi della bianchissima “Statua Equestre del generale Maximo Gomeznel desolato e brullo “Parque Martires del ‘71”, accanto al “Palacio Velasco”, sede dell’Ambasciata Spagnola sul cui marciapiede una fila composta e silenziosa, tra venditori ambulanti con ogni sorta di cibo casalingo e perentori slogan propagandistici sui muri, attende di poter entrare. Sul lato opposto di questa piazza un alto ed anonimo palazzo moderno di cemento si contrappone allo splendido barocco spagnolo, se non fosse per la tre facce bronzee del Chè, Cienfuegos ed un altro eroe rivoluzionario, che nella notte prendono vita illuminandosi sontuosamente. Decidiamo di metterci alla ricerca di una fabbrica di tabacco che non compare nemmeno sulle più aggiornate cartine della città, ma che ci ricordiamo di aver comunque letto da qualche parte, consapevoli che non dovesse esser molto distante da dove ci troviamo ora. Passeggiamo tra palazzi consunti di strette e brulicanti vie tra le immancabili gocce d’acqua dei panni stesi come aquiloni al vento chiedendo invano informazioni ad alcuni cubani, finché un simpatico vecchietto si offre di portarci sino ai piedi dell’edificio della “Real Fabrica de Tabaco la Corona”, esattamente accanto al Museo de la Revolucion tra Prado e Agromonte. Un imponente e maestoso edificio grigio in stile neoclassico retto da una serie di colonne con capitello ionico, sprovvisto di finestre e purtroppo parzialmente nascosto da una impalcatura, è sorvegliato da una guardia che ci raggiunge spiegandoci che ora non è più visitabile in quanto i torceadores si sono trasferiti in un altro palazzo a lui sconosciuto.

Alle 12:30 siamo diretti verso l’ H. Sevilla, lungo Prado poco distante dal “Palacio de Los Matrimonios”, per procurarci le preziose bottiglie d’acqua e pranzare in quello che diventerà il nostro sazia languori sino a fine vacanza, cioè un chiosco casalingo dalla cui grata un burbero cubano distribuisce per 8 pesos nac. ottime pizze de queso, oltre a spaghetti e panini con l’onnipresente jamon (quasi come il busto di Martì) oltre a refrescos, tra Av. Misiones angolo Animas. Sazi ci incamminiamo lungo Av. Juan de Dios, poi a dx su calle Habana per immetterci in calle Obispo, la prima via con illuminazione pubblica e telefono, una stretta e pedonale area colma di gente in ogni angolo, in un susseguirsi di negozi, gallerie d’arte, bar e piccoli mercati artigianali. Tra cubani che cercano di richiamarci in tutti i modi, compreso l’immancabile ed inconfondibile richiamo sonoro di due claves di legno che vengono animate solo al passaggio di un turista, tra venditori ambulanti e chioschi casalinghi, negozi alimentari in moneda nac. di cerdo e stretti portoni di casa aperti per accogliere mercanzia artigianale di ogni tipo non senza le interminabili file accanto al punto telefonico Ectesa, incorniciate da innumerevoli dipinti esposti sui marciapiedi e purtroppo l’immancabile odore di fogna dovuto alla presenza di cloache a cielo aperto, ammiriamo solo esteriormente il “Museo 26 Settembre dei Cdr“, dedicato al comitato della difesa della rivoluzione, mentre di fronte due colonne maestose sorreggono l’edificio neoclassico del “Museo de Numismaticoricco di monete e banconote da tutto il mondo. Poco distante dal museo, una grande e ben rifornita a due piani “libreria Jamisattrae la nostra attenzione e decidiamo di visitarla rapidamente stroncati dalla forte aria condizionata, per poi proseguire sempre su calle Opispo, sino al “Cafè Parigi”, storico bar famoso per la musica dal vivo sino al “Cafè Santo Domingopoco distanti dalla famosa “Farmacia Taquel”, dove entriamo per ammirare questa sorta di museo funzionante in cui un lungo bancone di legno serve ancora medicinali tra vecchi alambicchi e vasetti di vetro, scaffali di mogano ricolmi di speziali (ossia vasi dipinti di ceramica), pavimenti in marmo policromi ed ogni sorta di oggetto farmaceutico d’antiquariato.

Al termine di via Obispo angolo Mercaderes un imponente edificio rosa pastello, “l’Hotel Ambos Mundos”, ci appare nuovamente in tutto il suo splendore, nostra vecchia conoscenza del 2005, ospitò lo scrittore statunitense Hemingway dal 1932 al 1939 in una piccola e stretta stanzetta ancora oggi visitabile, la n°511. Attraversiamo la sua aperta e grandiosa lobby contornata da ampie finestre ed arredata con mobili d’epoca coloniale, piccoli salottini accanto al famoso bar in cui Hemingway sorseggiava i suoi cocktail preferiti seguiti dalle melodie dello splendente pianoforte nero a coda ora accarezzato da un suonatore cubano anziano, tra pareti ricolme di foto in bianco e nero dello scrittore a pesca e con Fidel, dove il portiere di un vecchio ascensore con grate di ferro chiudibili a mano, ci accompagna al piano della “stanza n°511(2 cuc a testa + 2 per fotografare). Un piccolo ingresso sorvegliato da una vestaglia cinese, un paio di stivali e qualche camicia stipati in un minuscolo ripostiglio a vista, conduce ad una angusta stanzetta con finestra sui tetti della città, colma di cimeli personali di una piccola mostra dedicata a ciò che piaceva allo scrittore (caccia, donne e pesca) riposti su di un corto letto bianco, il modellino dello yacht pilar accanto al suo passaporto, libri consunti e pareti piene di foto in bianco e nero delle donne importanti della sua vita. Lasciamo il passato per colmarci gli occhi con la splendida vista a 360°sui tetti dell’Habana, le vie brulicanti di gente ed il puzzle colorato delle auto d’epoca della caotica Vieja, che ci offre la verdeggiante terrazza del raffinato ristorante all’ultimo piano dell’Hotel Ambos Mundos.Scendiamo nuovamente in strada dove ci attende la rincarnazione di Hemingway, un capello da marinaio nasconde un brizzolato e corputo signore cubano in divisa beige piena di medaglie appuntate al petto e l’immancabile sigaro in cerca di un facile guadagno in ricordo del compianto scrittore statunitense.

Proseguiamo sempre lungo calle Obispo sfilando il “Museo de Pintura Mural”,ora nella casa del Mayorazgo al n°117, la più antica della città con balconata in legno azzurro accanto ad un’altra splendida casa con decori in marmo bianco, oltre al “Museo de la Orfebreria”, nella casa dell’antico argentiere Gregorio Tabares sino al retro del “Palacio de los Capitanes Generales” dove su un fianco cerchiamo la “targa bianca in onore di Giuseppe Garibaldi”. Fu portata da Roma nel 1982 con incise le parole dedicatagli da Josè Martì quando il 18-19 novembre ed 1-2 dicembre del 1850 fece scalo all’Habana prima di ripartire per Panama, però si mormora che Garibaldi non scese mai dalla nave Georgia. Calle Obispo culmina in “Plaza de Armas” dove decidiamo di rimandare la nostra attenzione alle bellezze storiche che essa riserva al giorno successivo per proseguire, dopo una rapida occhiata al suo famoso “mercato dei libri usati sino alla Cadeca, accanto all’unico piccolo rivenditore ambulante di fiori recisi fra cui rose, garofani e girasoli, di “Plaza de San. Francisco”, uno splendido spazio ristrutturato con selciati e palazzi coloniali, a cui riserveremo maggior attenzione l’indomani. Sono circa le 15:30, fa molto caldo, ma noi proseguiamo imperterriti a piedi in calle Brazil dove siamo gli unici turisti, un frate in saio grigio dell’ “Hostal los Frailesci guarda assonnato dall’atrio finemente decorato, uno scorcio della “Zanja Real”, l’acquedotto in pietra costruito nel 1592 da Antonelli che servì la città per 243 anni sino al 1835, fronteggia il “Bar la Marinae prosegue accanto all’Aquariume alla “Camara Oscura”, visitata nel 2005, alta 35 mt. che offre vedute panoramiche con una speciale lente d’ingrandimento. Accompagnati dalle dolci noti del son provenienti dalla “Taberna del Benny”, dedicata al famoso cantante Benny Morè e luogo che ospitò nel’700 il primo caffè avanese, percorriamo tutta calle San. Ignacio. Tra sguardi sfuggenti da porte socchiuse, un bancone di carne all’aperto tra decrepiti palazzi coloniali ed impalcature malferme, muretti provvisori e fili elettrici mezzi calcificati da una ruggine arcaica arriviamo sino al “Mercado de San. Josè”. Sono le 15:40 quando entriamo nel più affollato, caotico e rifornito mercato artigianale di tutta l’Habana, tra grida di venditori accaniti e benevolenze insistenti volte ad attirare la nostra attenzione, ci dedichiamo imperterriti alla ricerca dei nostri souvenir.

Alle 16:30 lasciamo questo immenso e rettangolare ex capannone navale che si affaccia sulla baia limacciosa dell’Habana percorrendo nuovamente tutta calle San. Ignacio sino all’incrocio con calle Muralla, dove un quartetto di musicisti cubani ci rapisce con dolci melodie e così decidiamo di rilassarci alla “Taberna Plaza Vieja”, ex taberna Muralla. Robuste panche di legno e tavolini in ferro battuto bianco, alti tubi di plastica con dispencer colmi di birra fresca e morbida fatta in casa escono da un enorme silos di rame della sala interna, un grande grill all’aperto colmo di carne e le note di “Chan Chan”, “El Bodeguero” ed “il Quarto de tula”, sono solo alcune prerogative di questo pub situato nell’angolo di Plaza vieja, aperto nel 2004 da una società austriaca, dove gustiamo un ottimo ed abbondante “pollo brasado al romero”, una grande “Jarra de cerveza” e il tipico cocktail “habana vieja” (rum, azucar, cerveza, hierba buena) per soli 12 cuc. Alle 18:00 lasciamo la taberna per ammirare le bellezze architettoniche di “Plaza Vieja”, nata nel 1587 come teatro di feste e mercati, un vero gioiello coloniale rettangolare selciato e finemente restaurato, al cui centro si erge una fontana in marmo di carrara ricostruita da Massari, attorniata da dimore di cittadini facoltosi completamente porticate dalle cui facciate brillano splendidi mediopuntos in vetro policromi (finestre a mezzaluna tipiche cubane). In particolare sulle note di “Dos Gardenias” ammiriamo in un angolo il palazzo della “Fototeca de Cuba(galleria fotografica), il “Palacio Cueto”, (del 1908 esempio di art nouveau), il settecentesco palazzo con archi su colonne, portone blasonato con loggie e mediopuntos del “Conde de Jacuro”, l’antico “Cafè el Escoriale la “Casona Centro de Arte(sede di mostre personali), molte delle quali permettono la vista della piazza dall’alto di uno dei suoi balconi (basta chiedere ad una guardia di sorveglianza ed il gioco è fatto).

Alle 18:30 riprendiamo calle San. Ignacio sino “Plaza della Cattedral”, che visiteremo meglio nei prossimi giorni, per un rapido sguardo alla “Galleria Victor Manuel”, un taller (negozio) artigianale di giovani artisti, per poi proseguire lungo calle Empredado, la prima via ad avere una pavimentazione, sino alla famosa “Bodeguita del Medio”. Lungo una stretta via ci appare l’inconfondibile insegna gialla con scritta azzurra del più celebrato bar trattoria tappezzato dell’Habana, conosciuto in tutto il mondo per i suoi ottimi mojitos e per gli ospiti illustri che vi erano soliti soffermarsi come Hemingway, Salvador Allende, Fidel Castro, Herry Belafonte e Nat king Cole, ovunque scritte lasciate sui muri dai turisti, dove al piano superiore mentre servono cucina creola, compaiono anche i nostri nomi accanto a foto in bianco e nero degli illustri personaggi. Ci accomodiamo in uno dei 6 sgabelli lignei del corto bancone e mentre osserviamo il barista prepararci due mojitos d’obbligo (4 cuc. l’uno), ripensiamo alle scene del film “Miami Vice” con Collin Farrel girate qui nel 2006 che contribuirono a celebrare questo piccolo luogo, che grazie ad un stretto corridoio di soli 60cm. ed una ripida scaletta, si distribuisce su 3 minuscoli livelli. Poco oltre la “Bodeguita del Medio”, sempre lungo calle Empredado, osserviamo un edificio del 1809 con uno stupendo balcone sospeso sopra ad uno stretto patio, che ora ospita la “Fondacion Alejo Carpentier”, scrittore e diplomatico del ‘900, ma dobbiamo sbrigarci se vogliamo immortalare il tramonto dal Malecon e così da Empredado svoltiamo su Animas, Prado sino al “Castillo de San. Salvador de la Punta”.

Alle 19:30 percorriamo il lungo argine con marciapiede e slarghi del “Maleconsu cui ci soffermiamo per ammirare i palazzi coloniali color pastello rosicchiati che prendono vita alla luce del tramonto mentre il sole si bagna in mare, tra richiami di venditori ambulanti con cestini colmi di arachidi tostati avvolti in coni di carta ed altri ricolmi di fiori finti per romantiche coppiette sedute sui parapetti, le urla giocose di ragazzini che si divertono a tuffarsi dalle rocce sottostanti e il dolce suono di qualche tromba volta malinconicamente vero la Florida accanto ad anziani pescatori. Le onde, simbolo dell’ira di Yemayà dea del mare, s’infrangono sui muretti dove alcuni cubani cercano di placarla offrendogli cibo e fiori, gettando in mare noci di cocco, oppure quasi finendo in acqua pur di omaggiare la dea con una torta rosa ricolma di panna montata o offrendole un mazzo di fiori dopo averlo fatto girare per ben 3 volte attorno alla testa, il busto ed i piedi. Mentre i palazzi scemano nella notte illuminandosi a fatica e parsimoniosi lasciando il posto a timide stelle, regalandoci splendide cartoline notturne dell’Hotel Nacional, tra richiami e fischi di famiglie a spasso in cerca di aria fresca e salata, oltre ai consueti poliziotti ad ogni angolo, all’improvviso vigilanti in moto sbarrano la strada a protezione di un corteo di 5 imponenti auto nere presidenziali, di cui una munita di bandierine ai lati del cofano, che si fermano davanti al “Rist. Rancho Coquitodove i flash impazziscono. Inizialmente un poliziotto ci conferma che si tratta del Presidente del Suriname in visita a Cuba da Raul Castro per poi finir con il chiederci di visionare le ultime foto della nostra digitale ed i passaporti per annotarsi i nostri nomi in quanto in possesso di una videocamera (mah!). Alle 21:30 lasciamo questo luogo quasi a sé rispetto al centro della città dove ognuno fa finta di non vedere quando in realtà tutti guardano incuriositi, per rientrare esausti all’Hotel Sevilla lungo Av. Prado.

14° giorno (28 Maggio)

“Alla scoperta delle altre 4 piazze dell’Habana con relative cartoline notturne”

Alle 09:15 circa ci incamminiamo lungo calle Empredado percorrendola in tutta la sua lunghezza, mentre il caldo torrido inizia a farsi sentire, sino a calle Tacon costeggiando il “Parque Luz Caballero(ex Fiera de Artesana) dove svoltiamo a sx su Cachon y Tejadillo, per ammirare uno degli alberghi coloniali più straordinari della città, l’ “Hostal Palacio O’Farrill”. Un vero trionfo di stile neoclassico e decori d’epoca di fine XVIII suddiviso su tre livelli con verdi piante che si pavoneggiano in uno splendido cortile interno, appartenuto ad un nobile mercante di sigari cubano, Don Ricardo O’Farrill.

Finito di fantasticare nel passato, lungo calle Cuba y Empredado giungiamo in un altro straordinario angolo coloniale pedonale perfettamente restaurato, un ode al barocco del 1700, la lastricata “Plaza de la Cattedral”(1). Dopo esserci districati dalle insistenti pressioni di pseudo guide cubane e di finti damerini d’epoca muniti di panciotto ed abito da cerimonia, con l’immancabile mega sigaro, sempre pronti ad improbabili foto pur di ottener qualche cuc, cerchiamo di gustarci l’architettura di questa piccola piazza racchiusa da graziosi palazzi coloniali. Sul lato nord svetta imponente e curvilinea la facciata barocca ed asimmetrica del XVIII sec. della “Catedral de San. Cristobal de la Habana”, dove due campanili di differente altezza, muniti di grandi campane, incorniciano una cupola in pietra accanto ad una finestra a quadrifoglio. I suoi grandi portoni lignei sono stranamente aperti nonostante non vi sia in corso la santa messa (celebrata qui per la prima volta da un papa, Giovanni Paolo II, nel 1998), li oltrepassiamo per visitare altari neoclassici devoti alla Immacolata Concezione, ma anche a San Cristoforo (qui riposarono infatti le ceneri di Colombo dal 1795 al 1898) percorrendo una lunga navata attorniata da 8 piccole cappelle, cosa che non ci era riuscita nel 2005. Usciti ci sediamo sul lato est, all’ombra di una grandissima pianta fiorita di bouganvillea rosa, che imperterrita si arrampica lungo le pareti della “Casa de Lombillo”, un ex ufficio postale del 1741 con un grande mascherone in pietra bianco ancora oggi usato come cassetta delle lettere, (tipo la nostra bocca della verità) e il “Palazzo del Marchese di Arcos”, con archi e vetrate a tutto sesto, oggi sede della conservatoria del patrimonio storico, uniti da un lungo porticato colonnato, accanto ad una sconosciuta statua bronzea a grandezza naturale di un viandante che scruta la piazza. Di fronte a noi, sul lato ovest della plaza, un ombreggiato patio in stile andaluso e una graziosa balconata in ferro battuto incorniciano uno splendido palazzo in pietra del 1760, oggi sede del grazioso “Rist. El Patio”, ossia il “Palacio de los Marques de Aqua Clara”, poco distante dalla ex “Casa de Banosoggi sede della Galleria Victor Manuel, ricca di artigianato locale economico. Invece alla nostra sx, nel lato più meridionale, un grazioso edificio in pietra con infissi azzurri del 1720 ospita il “Museo de Arte Colonial”, ricco di oggetti delle classi abbienti ed ex dimora del governatore Luis Chacon, ossia il “Palacio de los Condes de Casa Bayona”, che però noi non visitiamo. Mentre un gruppetto improvvisato di anziani cubani all’ombra del Museo di Arte ci delizia con note di son, alle 10:45 lasciamo questa piazza coloniale alla volta di un’altra meraviglia storica ed architettonica, percorrendo l’artigianale e colorata calle S. Ignacio e O’Reilly.

Una salsa ritmata suonata da trovadores del “Rist. La Minaaccanto all’ “Agua la Tina(dove un simpatico vecchietto incontrato nel 2005 vende ancora acqua clorata) ci accompagna in un antica e grande piazza costruita nel 1520, “Plaza de Armas”(2), attorniata da grandi palazzi coloniali di pietra al cui centro, in un grazioso parco di alte palme reali incorniciate da recinti di ferro battuto e fontane in pietra, svetta l’imponente “Statua in marmo bianco di Cespedes”. Alle nostre spalle, ad ovest, archi a tutto sesto e immense colonne di pietra, coperti da una precaria impalcatura, reggono il maestoso edificio barocco settecentesco del “Palacio de los Capitanes Generales“, Museo de la Ciudad visitato nel 2005 che ospita una grande ed interessante collezione di mobili, oggetti e carrozze del 1800, appartenuti ai capitani generali spagnoli che vi risiederono, mentre poco distante, sul lato nord, una brillante e ben restaurata pietra calcarea grigia risplende nel “Palacio del Segundo Cabo”, oggi sede di una antica libreria purtroppo in restauro. Attraversiamo il verdeggiante parco tra il tipico e ben rifornito mercatino di libri usati che caratterizza questa piazza vicino al moderno Museo Nacional de Historia Natural, tra cubani stesi all’ombra e mamme con bambini, dove sul lato est opposto al Museo de la Ciudad, si erge un piccolo tempio recintato in stile greco con portico colonnato dorico, “El Templete”. Secondo la tradizione è sede di fondazione della città, il 16 novembre del 1519 vi fu celebrata la prima messa ai piedi delle imponenti radici di una ceiba, sostituita ultimamente nel 1960, che invade la colonna in marmo bianco commemorativa che vi riposa accanto. Ai piedi della ceiba, sacra per i culti sincretici afrocubani, notiamo offerte votive floreali e alimentari, mentre alcuni cubani vi compiono 3 giri intorno, usanza per chiedere grazia a San. Cristoforo, soprattutto ogni mezzanotte del 15 novembre sino per le 24 ore successive. Poco distante sul lato verso il mare, si erge il “Castillo della Real Fuerza”, che oggi ospita il Museo della Ceramica Artistica Cubana che non visitiamo, un massiccio forte in pietra con il fossato del 1558 più antico di tutte le Americhe, dove sulla torre svetta imponente una copia della statua della Girardilla, posta nel Museo della Ciudad; rappresenta Isabel de Bobadilla, nobildonna che aspettò invano il marito partito per Florida nel 1539 dove morì di febbre. Un altro gioiello coloniale barocco che ammiriamo solo esteriormente è il settecentesco “Palacio de los Condes de Santoveniapoco distante dal templete, dove un portico colonnato regge colorate vetrate mediopuntos dagli infissi azzurri ed imponenti balconate, oggi sede del raffinato e prestigioso “Hotel Santa Isabel”. Poco distante da questo splendido albergo, in calle Baratillo, visitiamo la “Casa del Caffè”, un grazioso e profumato negozio autorizzato con ogni tipo di sigaro e rum, dalla cui vetrata, tra cannoni neri delimitanti la zona pedonale, si scorge una strana mucca in ferro battuto che sosta nel piccolo parchetto recintato fronte alla bottega (ha spodestato il Sancho dell’Habana, ossia Pancio Villa, una statua posta qui sino al 2005 che ora dimora in calle Obispo).

Alle 11:30 in calle Obispo ci immergiamo nel piccolissimo, grazioso e caotico mercatino artigianale (tutti i giorni tranne il mercoledì), un piccolo androne delimitato dai palazzi diroccati e dalla strada, dove coloratissime e stipate bancarelle offrono ogni tipo di souvenir, poco distante dalla scultura del “Sancho dell’Habanaal n°406 di calle Obispo. Lasciamo questi colori e profumi di quotidianità percorrendo tutta Obispo, tra una miriade di cubani che brulicano nella calle, passando davanti all’ “Hotel Florida”, un gioiello coloniale restaurato dove archi e pilastri circondano uno splendido verdeggiante cortile interno, giungendo all’incrocio con Av. De la Misiones per un rapido sguardo al “El Floridita”, un edificio rosa pastello sede del famoso bar dove Hemingway inventò il Daiquiri, attorniato da fiammanti auto d’epoca. Svoltiamo in una piccola calle dietro al Capitolio, poco distante dal barocco “Palacio Asturiano”, dove assaporiamo il vero “Mercado Agropeculiar della città, per nulla turistico, dove mucchi di brune patate accanto a trecce bianche di aglio, ciuffi curiosi di ananas e verdi caspi di platani, striminzite piante da appartamento e qualche utensile casalingo troneggiano su precarie bancarelle contadine direttamente sull’asfalto, tra gli sguardi scrutanti di cubani in cerca del miglior prezzo nacional.

Facciamo una piccola deviazione, percorriamo calle Lamparilla per un breve tratto sino alla poco turistica ed ancora sottovalutata “Plaza del Cristo”(3), che a noi ci è piaciuta molto, poiché non avendo ancora beneficiato dei progetti di restauro, conserva immagini di autentica quotidianità. Un giardinetto verdissimo con palme reali e panchine in ferro battuto precedono un brullo spazio polveroso dove due torri stranamente esagonali in pietra, collegate da un balconcino a metà facciata della “Iglesia Parrochial del Santo Cristo del Buen Viajedel 1755, svettano accanto ad un grande albero (i marinai vi chiedono protezione per i viaggi in mare). Tutt’intorno nessun turista, palazzi diroccati e stinti con vecchie insegne lignee, dove cavi elettrici e panni stesi hanno preso il sopravvento, grida giocose di alunni della scuola accanto alla chiesa rinchiusi in un dismesso, arrugginito e recintato campetto da basket, sotto il sole cuocente di mezzogiorno, cercano di richiamare la nostra attenzione, alcune ragazze chiedono insistentemente cuc. in cambio di una loro fotografia mentre una Dodge rossa si allontana rumorosamente.

Lasciamo questo autentico angolo cubano in direzione Av. de la Misiones dove ci fermiamo dal nostro amico habanero, che dalla grata della finestra di casa ci delizia con un’ottima pizza de queso (ne porteremo via altre 4 per soli 32 pesos nac.) per poi rifornirci di acqua in bottiglia nel solito negozio del Prado, dove è in corso una mostra-mercatino di coloratissimi quadri e dipinti di autori locali fra l’esibizione festosa di alcuni ballerini di salsa. Son circa le 13:30 e decidiamo di eludere il caldo torrido con un rilassante e rinfrescante tuffo nella piscina del nostro hotel, per poi alle 20:00 incamminarci nuovamente lungo calle Oficios sino a “Plaza de la Catedral”, dove la fioca luce di parsimoniosi e rari lampioncini a parete, tremolanti candele su regali tavolini vestiti a festa e musica classica dal ristorate il Patio, ci offrono una magica e suggestiva cartolina notturna della Cattedrale ed i suoi palazzi. Proseguiamo il nostro tour notturno delle 4 piazze, escludendo quella del Cristo, lungo Mercaderes y O’Reilly, dove camerieri muniti di menù cercano di pubblicizzare in strada il loro ristorante, nessun cubano per le calli, tutti davanti alla consueta telenovelas, vera passione nazionale (ora in onda “la cara oculta de la luna”), per poi immortalare gli splendidi palazzi coloniali di “Plaza de Armas”.

Lungo calle Oficios ci perdiamo nella coloniale “Plaza de San. Francisco”(4), luogo di attracco di galeoni spagnoli ed ora dal suo “Terminal Sierra Maestradi gigantesche navi da crociera, questa piazza selciata e completamente restaurata brilla di luce propria, attorniata da splendidi palazzi coloniali come la “Lonja del Commercio”, un edificio con cupola sormontata da una piccola statuetta danzante del 1909, ex centro alimentare ed ora sede di uffici stranieri, al cui cospetto ogni giorno sfila un’interminabile coda di cubani, accanto ad una panchina di bronzo con la “Statua di Chopin”, vicino allo storico e raffinatoCafè de Oriente”. Sul lato opposto, accanto alla “Fuente de los Leonesin marmo bianco del 1836 costruita dal Gaggini e restaurata sotto i nostri occhi, riposa la bronzea “Statua del Caballero de Paris”, un viandante colto degli anni ’50 che ogni giorno si recava al porto con un mazzo di fiori in ricordo dell’amata parigina naufragata e successivamente internato dove morì, che si pone a guardia di quella bronzea del santo patrono della barocca e sconsacrata “Iglesia de San. Francisco(visitata nel 2005, all’ingresso vi sono antiche campane di bronzo).

Proseguiamo nella penombra lungo calle Brasil, tra botteghe artigianali ancora deserte per l’assenza di turisti, accompagnati dalle ritmate note de “il Quarto de Tula” che un gruppetto di giovani vecchietti suona dal vivo alla “Taberna del Benny”, per poi esser rapiti dal son di un altro quartetto alla “Taberna Muralla”, in “Plaza Vieja”, dove gustiamo due ottime pinte di birra gelata e papas fritas (solo 5 cuc in tutto!) immortalando gli splendidi palazzi illuminati dalla luna. Alle 22:00 c’incamminiamo lungo la stretta calle Mercaderes sempre al ritmo di musica, ma stavolta veniamo attirati da uno spettacolo di flamenco (Tablaos) che si tiene alla taverna spagnola “Meson de la Flotatra girevoli spiedoni ricolmi di polli e calde tapas che spuntano dalle porte lignee in stile saloon. Giunti in calle Obispo, ci dilettiamo ad immortalare caratteristici angoli habaneri che l’oscurità rende diversi nascondendo le imperfezioni del giorno, al ritmo di salsa proveniente dal gruppetto cubano della “Lluvia de Oro”. Alle 22:45 arriviamo all’Hotel Sevilla dove nel patio interno è in corso un altro spettacolo di flamenco che lascerà il posto alle dolci noti del “El Bodeguero” sulle quali cediamo alla stanchezza.

15° giorno (29 Maggio)

“Visita al Museo della Farmacia Habanera y de Naipes sino al Mercado de S. Josè”

Dopo una colazione flash, alle 08:00 cerchiamo disperatamente un canale televisivo che sia in grado di farci vedere il Gp di F1 di Montecarlo (siamo patiti e non ne perdiamo mai uno!), ma nulla da fare, qui purtroppo molte emittenti satellitari sono inesistenti o vengono censurate dei vari programmi, quando all’improvviso compare il canale Fox spagnolo che ci salva, per poi sparire definitivamente un minuto dopo la fine della gara. Alle 11:00 soddisfatti della nostra visione, cosa che non ci era riuscita il 22 sull’isola della Juventud, attraversiamo Plaza del Cristo percorrendo tutta la non turistica calle Brasil sino all’angolo con calle Compostela dove visitiamo il “Museo della Farmacia Habanera(è gratis). Sul gradino marmoreo bianco dell’ingresso è incisa la scritta “Sarrà”, nome del catalano Josè Sarrà che la fondò nel 1886, facendola diventare una delle farmacie più famose per l’epoca che tutt’ora serve ancora i cubani del rione. Entriamo per ammirare gli splendidi soffitti lignei affrescati e stuccati appesantiti da enormi lampadari, che si contrappongono a pavimenti marmorei su cui poggiano immensi scaffali scuri di legno a parete colmi di vasi per speziali, oggetti d’antiquariato e strumenti del mestiere, teche di vetro piene di antichi libri ed alambicchi, disposti nelle diverse sale interne aperte che culminano in un verdeggiante patio. Alle 11:30 continuiamo lungo calle Brasil sino a “Plaza Vieja”, sbirciando nelle calli laterali Compostela, Habana e Aguilar dove purtroppo stracci e bacinelle, muretti improvvisati e grovigli di cavi arrugginiti, cartelli di cartone con scritte e latrine a cielo aperto per la mancanza di fogne, balconi ricolmi di ogni tipo di oggetti e straripanti di panni fra forti grida di gente in strada, mettono in evidenza il degrado e la povertà di questa parte decadente del quartiere. In “Plaza Viejaentriamo nel curioso “Museo de Naipes(ingresso gratuito) accanto alla “Casona Centro de Arte”, dove svettano alte teche di vetro ricolme di colorate e di diverse dimensioni carte da gioco, alcune stranamente rotonde, dedicate al rum, alle rock star ed ai personaggi storici sulle note di Hero di E. Iglesias (qui molto gettonato).

Alle 11:50 lungo calle S. Ignacio e successivamente Sol, tra Cuba e Santa Clara, arriviamo alla “Residencia Academicia Convento de Santa Claradel 1644, un ex immenso convento bianco di suore oggi sede dei restauratori del centro storico, dove è possibile visitare l’ampio chiostro o pernottare nelle sue celle, ma che noi osserviamo solo esteriormente. Ritorniamo su calle Sol in direzione del mare sino all’incrocio con calle San. Pedro, fronte all’immenso capannone della Dogana del porto, per un rapido sguardo esterno all’inflazionato e molto turistico “Museo del Rum(caro e pieno di pulman turistici) per poi fotografare il famoso “Bar Dos Hermanos”, marinaro e un po’ malconcio nonché poco turistico caffè, frequentato dal poeta Garcia Lorca nel 1930 oltre che a Hemingway. Poco distante svetta brillante ed imponente la cupola dorata della bianchissima e bellissima chiesa russo-ortodossa consacrata nel 2008 da Raul Castro, la “Catedral Ortodoxa de Nuestra Senora de Kazan(purtroppo chiusa e non visitabile), accanto al molo “Muelle Luz” dove chiediamo informazioni sui vaporetti-barconi che partono per Regla y Casablanca (ogni 15 min. al costo di 10 centavos di cuc. muniti di passaporto per poter attraversare la baia dell’Habana). Alle 12:00, appiccicati dall’umidità del caldo torrido, percorriamo ormai sempre a piedi la trafficata San. Pedro, costeggiando la bruna e limacciosa baia dell’Habana, tra capannoni dismessi e mucchi di macerie, sino al “Mercado de San. Josè(aperto tutti i dì, 10-18) per terminare l’acquisto dei souvenir, per poi proseguire lungo calle San. Ignacio ed Armagura sino in calle Oficios alla “Casa dell’Habano”, dove compriamo ottimi sigari per arricchire la nostra collezione. Alle 13:00 svoltiamo in calle Obra Pia passando accanto all’imponente e neoclassico “Palacio de la Bolsa Habanasino all’incrocio con calle Aguilar dove ammiriamo una splendida chiesa chiara non segnalata sulle cartine, lOratorio San. Felipe Neri. All’angolo con calle Villega ci facciamo tentare, dato l’orario, da un’ottima pizza de queso (10 pesos nac.) acquistata da una stretta ed angusta stanza di un’anziana signora cubana, per poi fare il bis, una volta giunti in Av. Belgica, dal nostro ormai solito amico cubano a cui compriamo altre 2 pizze (qui 8pesos nac., lun-dom. sino alle 17). Alle 14:15 arriviamo all’Hotel Sevilla dove anche oggi decidiamo di goderci il meritato relax nella verdeggiante piscina, per poi concederci una passeggiata lungo il viale del Prado fra gli innumerevoli dipinti del mercatino accompagnati dall’unico, ma buono, gelato confezionato della Nestè (fresa y vanilla) trovabile in città. In serata decidiamo di non recarci in centro, ma di ammirare comodamente la città che si addormenta dall’alto della nostra camera.

16° giorno (30 Maggio)

“Tesori nascosti di Calle Mercaderes nell’Habana Vieja”

Alle 08:45 c’incamminiamo lungo calle Animas sino a “Plaza de la Catedralper una rapida fotografia ricordo della statua del viandante ed il 1° mascherone porta lettere poco distante, per poi esplorare le bellezze di uno degli assi nord-sud che tagliano il centro storico, l’acciottolata e pedonale, nonché ricca di musei, calle Mercaderes (via dei mercanti). Accanto al “Museo della Pintura Mural”, sulla sx, poco distante da un atipico negozio di oggetti etnici-indiani, spicca l’ottimo e ben restaurato “Cafè de los Infusiones”, il più rifornito di caffè, quasi di fronte alla “Maqueta dell’Habana Vieja”, un modellino in scala della città che non visitiamo e che sembra chiuso. Passiamo oltre e sulla sx transitiamo sotto un carico di mattoni retti solo dalla corda di un operario mentre gli altri osservano comodamente sdraiati sulle panchine in ferro della Maqueta, stanno restaurando la “Casa de Asia”, sede di sculture e dipinti cinesi e giapponsi che eclissiamo e proseguiamo sino all’incrocio con Obrapia, dove l’omonima casa la n°158 brilla di sfarzo coloniale ottocentesco. La “Casa de Obra Piaè una splendida dimora aristocratica del 1665, che attrae esteriormente per la sua facciata gialla con portone ricco di decori barocci chiari, dove ringhiere in ferro battuto, tipici infissi e portoni azzurri spiccano sui suoi muri. Lì accanto, quasi di fronte, una grande dimora giallo-verde dagli immensi portoni lignei aperti, mette in mostra un ampio salone retto da colonne che corre attorno ad un ricco cortile interno, ricolmo di oggetti africani santeri come statue e ricurve sedie, sculture e maschere strane, è la “Casa de Africa”. Dopo questa piccola deviazione ritorniamo su calle Mercaderes all’altezza della bronzea “Statua di Simon Bolivar”, liberatore dell’America latina, vicino alla “Casa de Mexico di Benito Suarez”, che visioniamo solo esteriormente, poiché vi sono solo opere d’arte messicane non inerenti a Suarez ed è decisamente più interessante il lussuoso patio colonnato che s’intravede dal portone dell’immensa dimora. Lungo Mercaderes, all’angolo con calle Obrapia, curiosiamo nell’antico negozio di profumi artigianali “Habana 1791”, che in realtà sembra un museo in attività, dove vecchi alambicchi di vetro e colorate bottigliette di diverse misure, precedono un laboratorio sul retro nel quale vengono realizzate a mano le fragranze tropicali e dove si essiccano i fiori utilizzati (annusiamo al cocco, jasmin, vaniglia, caffè, mango, ananas, cacao ed altre profumatissime fragranze). Usciti dal negozio, transitiamo dinnanzi al “Museo Simon Bolivarsino all’”Hostal Condes de Villanueva”, una vera perla coloniale poco distante dall’Armeria de Cuba”, un albergo di lusso finemente restaurato dove rossi mattoni spiccano accanto a graziosi balconcini in ferro battuto, fronte al piccolo verdeggiante e munito di fontana “Parque Guayasamin”, oggi stranamente invaso da carrelli colmi di prodotti e malconce sedie di legno occupate da cubani desiderosi di un taglio di capelli nel bel mezzo del giardino, in bella vista!. Giungiamo all’angolo con calle Armagura (dell’amarezza) dove sulla sx ci appare una fila interminabile di habaneri, pazientemente allineati accanto ad un piccolo edificio verdino pastello, incuriositi ne capiamo il motivo, si tratta del “Museo del Chocolate”, un caffè con tavolini di marmo attorniati da teche di vetro contenenti cimeli relativi alla fabbricazione del cioccolato, dove tartufi e torte vengono fatte interamente sul posto. Decidiamo di ripassare un altro giorno nella speranza di non trovar fila.Proseguiamo sino “Plaza de S. Franciscoper una foto ricordo nella panchina bronzea della “Statua di Chopin”, al dolce suono degli zoccoli dei cavalli trainanti turistiche carrozze e del cantare di un gallo, che scopriamo esser rinchiuso in una gabbia nel balconcino sopra le nostre teste, dove dal 1° piano un’ indaffarato cubano cala una corda con cestino, per farvi riporre le provviste appena portate.

Lasciamo la piazza lungo calle Oficios sino all’incrocio con calle Churruca, poco distante dallo splendido e neoclassicoPalacio dei Rappresentanti o de Gobierno”, dove tra i palazzi, ci appare una grande carrozza ferroviaria bianca e verde adagiata su un lungo binario rialzato, il “Coche Mambì”. Proviamo ad entrare, ma alcuni operai intenti nel ripararne le persiane, ci informano che il treno è in restauro e non si sa per quanto tempo (la solita fortuna, nemmeno nel 2005 riuscimmo a visitarlo), ma che potevamo chiedere alla vigilanza del palazzo accanto. Una bassettina ed in carne signora cubana traballante sulle sue alte zeppe, ci mostra ciò che si trovava all’interno del treno, ci porta in una piccola sala dove teche di vetro contenente argenteria da cucina ed intarsiate sedia di legno, testimoniano la sfarzo di questa carrozza presidenziale costruita negli Stati Uniti nel 1900 ed importata qui dodici anni dopo. Ma noi non desistiamo ed insistendo copiosamente nonché quasi disperatamente, riusciamo a strapparle una dettagliata e personale visita di questo palazzo su due ruote (cosa non riuscita alla gita di turisti dopo di noi!), partendo dagli ingegnosi letti lignei a ribalta, la camera dei bambini con tanto di armadio e scrivania, la camera verde della first lady e quella presidenziale con bagno privato annesso che nulla invidia ai nostri moderni (vasca e pareti in marmo grigio e dettagli in acciaio). Più avanti una moderna ed attrezzata cucina tutta in acciaio compresi lavelli, celle frigorifere e forno (ancora oggi i cubani non se lo possono permettere) anticipa una grande sala da pranzo per le cerimonie ufficiali dove un tavolo ovale circondato da credenze vetrate e sedie in legno oscurate dalle persiane, poteva esser rinfrescato con un sistema di ventilatori a ghiaccio, un vero lusso per l’epoca.

Ringraziamo con una mancia questa paziente signora e lungo calle Oficios, passando accanto alla settecentesca “Casa de los Arabes”, un museo islamico con piccola mosche e rist. Al Medina, e vicino all’edificio rosa pastello con balconi in ferro battuto dell’ “Hostal Valencia”, taverna spagnola dove si aggirano i fantasmi di Don Chisciotte e Sanchio Panza, giungiamo al “Museo dell’Automovil(che visiteremo in seguito in quanto giorno di chiusura). Alle 11:00 imbocchiamo calle Obispo, concedendoci una cremosa pirucca di gelato cioccolato e vaniglia dall’unico venditore automatico manuale della strada, ma sempre pieno di cubani, per solo 1 pesos nac. (non cuc!) prima di fermarci nel grazioso ed affollato piccolo mercatino artigianale. Proseguiamo in compagnia di un ottimo, rinfrescante e monopolizzante gelato in barattolo della Nestlè da 400ml (a 1, 30 cuc) per attenuare la calura, sino in Av. de las Misiones dal nostro amico cubano che ci prepara 4 ottime pizza queso (8 pesos nac. l’una), per poi rifornirci di acqua in bottiglia nel consueto negozio del Prado. Alle 13:00 torniamo al nostro hotel dove optiamo per un pomeriggio rinfrescante in piscina, prima di riuscire verso la 18:00 per immergersi nella magica atmosfera del Malecon e gustarci uno splendido tramonto sul mare in compagnia di autentiche scene di vita cubane, tra tuffi in mare di ragazzi ed estrosi venditori ambulanti, per poi ritornare in camera verso le 21:00.

17° giorno (31 Maggio)

“Santeria al di là della baia habanera: alla scoperta di Regla y Casablanca”

Alle 09:15 sotto un caldissimo ed umido sole, c’incamminiamo tra i panni stesi di Av. Villegas sino alla desolata Plaza del Cristo, poi lungo la chiassosa calle Armagura arriviamo nella turistica Plaza de S. Francisco e lungo calle Oficios raggiungiamo il molo “Muelle Luzalle 09:50, dove ogni 15min. parte un barcone per Regla y Casablanca (10 centavos di pesos nac. a testa per tratta, ma noi li diamo in centesimi di cuc.). All’ingresso di un piccolo capannone marittimo, due poliziotti ci visionano i passaporti e perquisiscono gli zaini (procedura anomala per una semplice attraversata delle città, ma comunque standard) facendoci avanzare sino ad un terzo collega che ci controlla il corpo con una paletta detector, per poi farci aspettare in fila tra cubani provvisti di borse di viveri (unici turisti). Queste procedure si sono fatte più severe e scrupolose da quando nel 1994 un gruppo armato di cubani cercò disperatamente di dirottare un traghetto alla volta della tanto sognata Florida. Alle 09:55 saliamo lateralmente su un piccolo barcone cabinato arrugginito e aggrappati ai pali della vuota stiva come negli autobus, tra la brezza del mare ed il forte rumore del motore sotto i nostri piedi, in soli 10 min. solchiamo le acque scure ed increspate della baia, lasciandoci alle spalle il profilo urbano della capitale, alla nostra sx l’imbocco dell’insenatura, mentre frontalmente, tra grandi navi mercantile ormeggiate, gru all’orizzonte e cantieri navali, nonché sbuffi neri delle ciminiere del nikel, arriviamo alla piccola cittadina di pescatori di “Regla”. Scendiamo fotografando la compatta sagoma dell’Habana che risplende al sole, ma subito una guardia ci interrompe in quanto siamo ancora in area militare vietata alla riprese (di che cosa non sin sa!ma questo è solo uno dei tanti anomali misteri di Cuba) per poi incanalarci in un percorso transennato che costeggiando le basse acque della baia, ci porterà nella stradina principale. Questa piccola cittadina è letteralmente fuori dalle mete turistiche, in quanto sede di magazzinieri, carpentieri ed operai navali, noi oggi siamo i soli in circolazione, ma nonostante ciò ci attrae per esser il centro dell’autentico culto religioso afro-cubano, tra cui la segretissima e maschile società Abakuà. A pochi passi dall’attracco del traghetto ci avviciniamo alla ottocentesca “Iglesia de Nuestra Senora de Regla”, che sorge su di un piccolissimo promontorio, dove un basso campanile quadrato accanto ad una semplice facciata neoclassica sormontata da una cupola rossa, incorniciamo questa semplice chiesa bianca con finestre azzurre (la regla del nome sarebbe la regola monostica agostiniana). Tra bambini che giocano sul vialetto acciottolato e qualche mendicante, entriamo nell’unica navata centrale bianca della silenziosa chiesa, con al centro panche lignee occupate da anziane signore intente nella preghiera, grandi statue policrome di santi nelle nicchie di entrambi i lati, mentre sullo sfondo appare lei, la pomposa bianca ed azzurra Madonna nera di Regla su di un altare dorato, nonché sincretismo santero della dea del mare Yemayà, spirito dell’oceano e patrona dei marinai. Una leggenda narra che Agostino l’Africano fece scolpire nel 5°sec. una Madonna nera, che divenne la protettrice dei marinai quando l’imbarcazione incaricata di metterla al sicuro in Spagna dai barbari scampò ad una tempesta nei pressi di Gibilterra. Una copia della Madonna fu portata a Cuba dal pellegrino Manuel Antonio che costruì nell’odierna chiesa una cappella per proteggerla, diventando così nel 1714 protettrice della baia dell’habana a cui i cubani chiedono grazia prima di partire su zattere di fortuna per la Florida, specialmente nel famoso pellegrinaggio annuale dell’8 Dicembre. Curiosiamo sul lato sx della navata centrale, ci appare una piccola cappella dedicata alla Madonna nera con la corona in capo e 7 gonne azzurre e bianche, qui chiaramente la dea Yemayà, attorniata da oggetti sacri richiamanti il mare ed offerte votive floreali ed alimentari poste ai piedi della statua. Alle 10:15 lasciamo questa strana chiesa pervasa da un’aurea magica dove il credo cattolico si sovrappone alle tradizioni africane e ci incamminiamo lungo la strada principale, ossia calle Martì, una stretta via dove circolano ancora i vecchi autobus Camellos (che al di là della baia hanno ormai lasciato il posto ai nuovi fiammeggianti mezzi cinesi) attorniata da basse casette ad un piano sia lignee che costruite con materiali di fortuna, tutte con un piccolo patio esterno recintato dove s’improvvisano mercatini di preziosi oggetti casalinghi (nulla di souvenir, solo ogg. locali di utilizzo quotidiano, come cinture, spazzole, pentole, scope…). Tra gli sguardi incuriositi dei passanti, bassi palazzi coloniali e case con le tipiche grate alle finestre, qualche caffetteria casalinga e profumate panaderie, un piccolo mercato agro peculiare ed un unico chiosco fast food che vende pollo fritto, dove tutto scorre più lento che nella capitale, arriviamo nel verdeggiante e ben curato “Parque Guaiacanamarcon panchine e statue in marmo, accanto all’unico cinema di Regla e a quel che resta del rosso barocco-neoclassico “Teatro Cespedes”. Pochissime auto in circolazione e molti calessi trainati da cavalli, persone a piedi nelle piccole e povere, nonché ben pulite e dignitose viuzze brulicanti di vita quotidiana, stranamente senza gli innumerevoli fili elettrici e panni stesi dell’Habana, né i cattivi odori del centro storico, ci accompagnano in questa tranquilla e serena cittadina per 1km e mezzo in salita verso una piccola altura, poco distante da un rio attorniato da verdeggianti banani. Alle 10:55 siamo ai piedi della “Collina Lenin”, dove una volta una gigantesca scala sopraelevate di metallo portava direttamente sulla cima, ma ora diroccata con accesso sbarrato, dove arriviamo grazie alle indicazioni di alcuni anziani cubani, percorrendo ancora un po’ di strada lateralmente alla Sierra, per poi inerpicarsi accanto ad abitazioni private, su di una ripida scala di cemento attorniata da arancioni Flamboyan. Alle 11:00 arriviamo in un grande spiazzo di cemento, dove due poliziotti sdraiati nella loro vecchia Lada ci guardano incuriositi ed assonnati, mentre stanno presidiando, in questa torrida desolazione, una grande maschera bronzea di Lenin attorniata da 10 piccoli bianchi bimbi protesi al suo cospetto. Questo monumento a Lenin fu voluto nel 1924 dall’allora sindaco di Regla, il Sig. Borsch, che piantò un ulivo sulla sommità del volto ora attorniato da 7 sagome bianche e flesse. La vista che si gode da questa piccola collina è spettacolare, spazia a 270° dalle pseudo favelas di Regla, arroccate su di una piccola collina dove una ripidissima brulla scala di cemento s’inerpica tra Barbacoas (piano superiore di fortuna di un’abitazione già esistente) dai tetti piatti in lamiera, ricolmi di colorate cisterne e spoglie finestre, panni stesi e cavi elettrici, sino all’agglomerato della cittadina dove in lontananza fa capolino la sagoma del Capitolio, per poi lasciar spazio alle ciminiere dei cantieri navali e del porto, terminando con Casablanca al di là della baia. Lasciamo questa vista diretti verso il porto, dove tra piccoli mercatini casalinghi nascosti in decrepiti spazi interni di palazzi, sguardi curiosi da porte spalancate e l’ inverosimile tranquillità dei cubani, alle 12:00 terminiamo questa piacevole passeggiata arrivando al punto d’imbarco dei traghetti.

Svolte le solite procedure di perquisizione e controllo passaporti, solchiamo le acque della baia diretti a “Casablanca”, non prima però di aver fatto tappa obbligata all’Habana (10 centavos di pesos), dove arriviamo alle 12:30 nuovamente sbrigando tutte le procedure del caso ed essendo sempre gli unici turisti in circolazione. Appena scesi dal traghetto ci appare un’ agglomerato tranquillo, di piccole e basse casette bianche ben curate con giardini di banani, palme reali, flamboyan arancioni e buganvillee rosa, sotto un silente sole torrido dove non c’è nessuno in circolazione se non un cameriere dell’unico ristorante-tienda de divisa accanto all’attracco e qualche cubano sceso dal barcone. Sulla nostra sx c’è la silente, piccola ed azzurra “Stazione ferroviaria di Casablanca”, capolinea dell’unica ferrovia elettrica di Cuba costruita nel 1917 dalla Hershey Chocolate Company della Pennsylvania diretta a Matanzas, per nostra fortuna con in sosta il verde-bianco ed arrugginito “501”, uno dei 5 treni giornalieri monocarrozza ancora in uso. C’incamminiamo solitari verso la sommità della città, attraversando un piccolo spiazzo cementato verdeggiante attorniato da panchine in ferro battuto arse dal sole ed alti alberi di flamboyan fioriti, lungo una tortuosa, irta, deserta e brulla strada di collina, che in 10 minuti ci porta ai piedi della maestosa “Statua del Cristo(completamente avvolto in una impalcatura metallica e recintato in quanto opera in restauro, … anche questa!). Una scultura di 320 tonnellate di marmo bianco, alto 15mt e secondo in America solo a quello di Rio de Janeiro, visibile dal porto dell’Habana Vieja, che dalla scogliera domina una splendida visuale del profilo della capitale, dal Castillo de S. Salvador de la Punta a Regla, tra splendide cupole dorate e palazzi coloniali che svettano tra l’azzurro del cielo e le acque della baia. Fu inaugurato nel Natale del 1958 poco prima della vittoria rivoluzionaria, si dice promesso al presidente Batista dalla moglie, dopo esser scampato all’attentato del Marzo 1957 ad opera di Echeverria e dei suoi studenti (ne abbiamo visto le prove nel Museo del Palazzo Presidenziale). Posizionato in anonimi, ma ben curati giardini verdeggianti con tanto di panchine, che terminano accanto all’ “Observatorio Nacional(non aperto ai turisti) la cui tondeggiante cupola bianca è visibile dalla camera del nostro Hotel Sevilla, poco distante dalle mura del “Parque Historico Militar Morro-Cabanae da una piccola casina bianca ora ospitante il “Museo del Chè”, questo monumento è l’attrazione serale di giovani cubani. Alle 13:00 lasciamo questo panorama rilassante per ritornare al molo dei traghetti, non prima di esserci fermati nell’unica Escuela materna della cittadina per lasciare qualche giocattolo ai bambini, dove prendiamo il traghetto per l’Habana. Alle 13:20, scesi dal barcone arrugginito, percorriamo via S. Clara sino all’incrocio con Av. Oficios, passando accanto allo splendido “Palazzo dei Rappresentantied alla “Casa di Humbotsino calle Obispo, dove ci concediamo due ottime pirucche gelato bigusto per solo 1 pesos nac., prima di saziarci con due ottime pizze queso dal nostro solito casalingo amico cubano in Av. de la Misiones. Dopo un breve rifornimento di acqua in bottiglia lungo Paseo de Martì, alle 14:30 ritorniamo nel nostro hotel per rilassarci in piscina con un rinfrescante gelato Nestlè, per poi decidere di trascorrere la serata in albergo, accompagnati dalle dolci note musicali provenienti dal sottostante patio sevillano.

18° giorno (1 Giugno)

“Museo dell’Automovil con shopping in S. Rafael e cena a lume di candela in Lamparilla”

Ennesima colazione-pranzo e siamo pronti per una nuova scoperta, alle 10:00 usciamo dall’Hotel Sevilla lungo l’ormai solcata calle Obispo, brulicante di negozi e quotidianità, sino all’incrocio con calle Oficios dove all’angolo con calle Justiz, ci appare un’ edificio basso e bianco, largamente aperto, con grandi portoni lignei, è il Museo dell’Automovil”. Visitiamo questo piccolo spazio interno del palazzo ora adibito a salone, ma che in realtà è un garage sul cui retro un anziano cubano cerca di sistemare il motore di un vecchio bolide, tra circa una trentina di auto d’epoca degli inizi del primo novecento, dove in un angolo fa capolino una lucente auto nera del 1930 tipica dei gangster accanto ad uno strano furgoncino arancione, fra tante altre curiose autovetture (1, 50 cuc a testa, ma non 5 cuc x fotografare). Lasciamo calle Oficios dopo aver comprato il Gramna dei giorni precedenti per aver un ricordo della visita dei presidenti del Suriname e del Brasile (Lula) all’ Habana, per poi immetterci in calle Armagura dove all’ angolo con calle S. Ignacio ci appare l’Hotel Raquelpronto per esser esplorato. Uno splendido palazzo bianco del 1908 ricco di decori e balconate con finte colonne, al cui interno risplende di eleganti ed antiche statue in marmo finemente poste accanto ad imponenti e grandiose colonne che sorreggono un soffitto di vetro policromo, tra decori art nouveau e numerosi oggetti d’antiquariato posti su pavimenti di marmo, questa reception è un vero capolavoro antico di raffinatezza. Proseguiamo lungo calle Compostela tra antiche auto parcheggiate a bordo strada e piccole “cafeterie casalinghe” sino ad immetterci nuovamente in calle Obispo dove visitiamo il rifornito, ma caro, “negozio di musica Longinae la “Tienda Religiosa Omi Oni”, un piccolissimo curioso negozio non turistico che espone abbigliamento, oggetti e colorate bambole relative al culto santero, dove invano cerco una statuetta della dea Yemayà. Terminata calle Obispo, attraversiamo il vivace “Parque Central”, tra venditori ambulanti di arancione Guarapo e cubani in siesta all’ombra di alte palme reali, sino all’Hotel Englaterra.

Proseguiamo lungo “Calle S. Rafael, una larga e cementata via pedonale, vero e proprio tripudio di Tiende de Divisa, negozi ancora in moneda nacional e grandi magazzini in stabili anni’50, con qualche sala cinematografica accanto ad innumerevoli ambulanti cubani, provvisti di carrelli del supermarket ricolmi di biscotti glassati fatti in casa ed arachidi, patatine ed imbustati pop corn, immancabilmente agli angoli delle calli sotto un soffocante sole. Alle 11:15 curiosiamo nella “Tienda de Divisa Artehabana Plaza Cultural(in cuc), un’ immenso negozio, inconsueto qui a Cuba, il cui interno è suddiviso in diversi reparti, da quello musicale con veri strumenti e moderni cd, a quello dedicato ai libri accanto ad una rifornita cartoleria piena di penne colorate (la prima che vediamo), dove un angolo di souvenir artigianali precede un bar oscurato dalle teche vitree del reparto porcellane. Proseguiamo lungo calle S. Rafael popolata di turisti, ma anche molti habaneri, concedendoci una breve pausa nell’unto e colorato chiosco “Hamburguesa El Tolditoper un ottimo panino imbottito tipo Mc Donald (12 pesos nac.). Finiamo per curiosare nel fitto artigianale e caotico (proprio come piace a noi) nonché coperto e permanente mercatino delle pulci, tra grida e tentativi di richiamare la nostra attenzione, dell’ “Area de Vendedores de Cuenta Propiadove si trovano pareti di dipinti fronte souvenir artigianali, cinture di pelle e bigiotteria locale, nonché vecchi libri e statue lignee accanto ad abbigliamento cinese (solite canottiere e minigonne per le donne mentre canotta e pantaloncini corti per gli uomini), pappagalli veri e colorate cocorite in gabbia accanto a perline santere e statuette dei vari dei, dove finalmente troviamo la tanto cercata dea Yemayà (Virgin de Regla). Usciti da questo stupefacente caos, alle 12:45 proseguiamo fino all’ incrocio con Av. de Italia, dove calle S. Raffael termina in un grazioso “parco verdeggiantecon panchine colorate in ferro battuto occupate da mamme con bambini, frontemente disposte a sgargianti auto d’epoca ed all’unico immenso (per qui) magazzino edile-ferramenta della città, dove visitiamo un altro piccolo mercatino artigianale all’aperto, prima di ritornare indietro lungo la calle. Alle 13:00 facciamo nuovamente una breve sosta nel “El Toldito” per gustarci un altro ottimo hamburger per poi immetterci in calle Industria, percorrendola tutta sino al “Capitolio”, dove ci soffermiamo tristemente sotto il cartello” cerrado por obras de restauracion” ad ammirare nuovamente la meraviglia della sua imponente architettura (ne sono attratta!cerco sempre di vedere la cupola da ogni angolo della città). Giriamo tutt’intorno a questo stupefacente monumento riempiendoci gli occhi forse per l’ultima volta, sino a risalutare la “Real Fabrica de Tabaco Partagas”, dove ci defiliamo dall’ennesimo cubano che ci sussurra all’orecchio: “sigari, sigari.. sigari cubani, coiba, bamba…” cercando di venderci merce di contrabbando e qualche tassista che cerca di richiamarci con fischi. Passeggiamo lungo Paseo de Martì-Prado accanto agli splendidi edifici coloniali del “Teatro Nacionaled ’Hotel Englaterraquasi per salutarli non con un addio, ma con un arrivederci, tagliamo attraverso il “Parque Centralin direzione Av. De las Misiones per concederci la consueta ed immancabile pizza de queso dal nostro amico cubano, ormai tappa fissa quotidiana, per poi rinfrescarci nella piscina del nostro hotel, prima di cercare un ristorantino per cena.

Alle 20:30 usciamo a piedi dal Sevilla diretti verso l’Habana Vieja alla ricerca di un ristorantino tranquillo, le luci fioche e rade della quasi deserta calle Obispo ci accompagnano sino calle Oficios e la silenziosa Plaza S. Francisco, raggiungiamo anche la musicale e vivace Plaza Vieja guardando i menù esposti, per poi decidere di ritornare indietro lungo S. Ignacio e Mercaderes accanto al rocambolesco Mason de la Flota per poi fermarci al “Cafè Lamparilla” nell’omonima calle. Una stretta via pedonale interamente occupata da tavolini e sedie in ferro battuto a lume di candela, che sul minuscolo marciapiede della calle lasciano a malapena uno strettissimo passaggio, per qualche venditrice ambulante con il suo cesto di wimini colmo di fiori finti e peluche cinesi. Un ristorante tranquillo con un ottimo rapporto-qualità prezzo che ci consente di gustare con meno di 20 cuc in tutto, un buonissimo Arroz con pollo ed Arroz conchorizo y bacon al curry, una bistecca di pollo con mega contorno di verdure fresche, accompagnati da due birre da 450ml e due mojitos, incluso il servizio e come sottofondo un rilassante son cubano. Alle 23:00 c’incamminiamo verso l’Hotel notando la mancanza di turisti incontrati fin ora, saranno stati al max una decina e sopratutto l’inesistenza della tipica vivacità notturna rispetto alla caoticità del giorno, nonché la chiusura di quasi tutti i negozi compresi molti d’artigianato locale.

19° giorno (2 Giugno)

“Habaneggiando”

Alle 09:45 usciamo dall’Hotel Sevilla passando accanto allo sgargiante blu elettrico dell’ Hotel Telegrafo, con l’intenzione di goderci l’Habana non propriamente come turisti in cerca dell’attrazione storica segnalata sulla mappa della città, ma senza un itinerario ben preciso e facendo più attenzione ai particolari della quotidianità e della gente locale, come si suol dire “Habaneggiando “fra le calli. C’incamminiamo lungo la chiassosa e commerciale calle Obispo sino al mercatino artigianale che si trova vicino al distributore di coni gelato a 1pesos. nac. per gli ultimi acquisti, accompagnati dalla solita interminabile fila cubana al punto telefonico Ectesa ed al Supermercado Moneda Nacional, alcuni con in mano la tessera di razionamento, per poi proseguire sino alla fine della strada pedonale e fotografare al n°117, nella casa più antica dell’Habana, il “2° Mascherone casetta delle lettere o Buzon”, bianco ed inquietante, notato per caso ammirando un ligneo balcone azzurro, differente dal precedente. Proseguiamo lungo calle Obispo sino Plaza del la Cattedral dove improvvisati anziani suonatori riposano all’ombra delle imponenti colonne del Palacio del Marques de Arcos, all’Hotel Ambos Mundos un gruppetto di colorati acrobati cubani in costume santero, balla sui trampoli al ritmo scandito da differenti tamburi a clessidra detti Batà, poi lungo calle Oficios sfioriamo Plaza de S. Francisco lodata dall’alto di un terrazzino dal solito magro galletto, sino calle Mercaderes ed ai raddrizzatori di ferro recuperato da muri decadenti dei palazzi di San. Ignacio, un povero secco pollo incatenato lungo il marciapiede polveroso della calle ci guarda incuriosito mentre arriviamo al caotico e colorato “Mercado de S. Josè”. Usciti dal mercato, sulle grida di una venditrice ambulante di biscotti casalinghi, riprendiamo calle S. Ignacio mentre un anziano signore sbuca dal cofano della sua Dodge, curiosando attraverso le vetrine di grandi marche internazionali di abbigliamento di Plaza Vieja (Paul&Shark e Benetton), passeggiamo accanto ai pulitori di marmo della Fontana dei Leoni di Plaza S. Francisco, incrociamo il solito anziano che dalla sua minuscola casetta ogni giorno porta vasetti ricolmi di floride piante su sostegni del portone e sul marciapiede della calle per poi ricoverarle ogni sera, attraversiamo Plaza de la Cattedral sino calle Mercaderes (tra Empredado y O’Reilly) dove sulla sx fotografiamo splendide case pastello con il “3°Mascherone Buzon del correo cubano”, un altra differente bianca faccia-cassetta delle lettere. Svoltiamo a dx ammirando lo splendido boschetto di Euforbie e Flamboyan del giardino tropicale del Castillo de la Real fuerza, mentre antichi cannoni neri delimitano la stretta e pedonale calle Tacon, alcuni operai stanno montando un ponteggio ligneo accanto al Gabinete Archeologico, sotto i colpi elargiti da anziani falegnami sulle loro malconce barche tirate in secca dal porto, accanto alle antiche dimore, oggi negozietti artigianali, dei Sen. Juana Carvajal e Lasa Josè Calvo de la Puerta, su cui sventola la bandiera cubana che ci porta in Plaza de Armas. Ci ricordiamo di aver visto nei giorni precedenti, il logo della locale fabbrica di ceramica di Imola (la nostra città) un’ape gialla sul vetro di un piccolo negozio ora chiuso, stupiti decidiamo di cercarlo per una foto ricordo, dato che indossavamo proprio la sua maglietta sponsor e dopo qualche giro a vuoto lungo le calli del centro, l’abbiamo scovata ed immortalata, si trovava in calle Armagura. Alle 13:00 c’incamminiamo verso l’hotel, passando accanto ad una sconosciuta “chiesa baroccacon annesso piccolo cimitero fronte all’antica “Academia de Ciencias”, per poi gustarci l’immancabile ottima pizza de queso dal solito amico cubano in Av. De la Misiones e curiosando nella Casa de Tabaco della “Galleria del Sevillariforniamo la nostra collezione di sigari con le marche non trovate in centro (son 32), prima del solito tuffo in piscina, riparatrice dall’afosa calura della città. Alle 20:00, mentre il sole si nasconde dietro le nuvole adagiate sul mare, colorando tutto di arancione, c’incamminiamo lungo la deserta e fioca calle Obispo sino Plaza del la Catedral dove una dolce melodia classica avvolge i pomposi e regali tavolini del Rist. El Patio agghindati con insolite vettovaglie, sino al “Cafè Lamparilla”, nell’omonima calle. Ritornati dove avevamo cenato la sera precedente, per gustarci un ottimo arroz con pollo e crema de queso a lume di candela con sottofondo di son cubano, mentre un piccolo nero ed esile gattino ripulisce un nostro osso prima di esser derubato dal cagnetto di turno. Alle 21:30 c’incamminiamo verso il nostro hotel dove alle 22:00 avrà inizio l’elegante “Festival Francese del Cinema”, una rassegna cinematografica a bordo piscina, interamente abbellita per l’occasione con tavolini in ferro battuto illuminati da candele, numerosi bicchieri di Havana Club colmi di rum e cartelloni dell’Air France accanto alla “207 cc” della Peugeot, uno dei tanti sponsor della serata.

20° giorno (3 Giugno)

“Addio anzi arrivederci Habana!”

Oggi sveglia prima del solito alle 07:00, perché ci aspetta l’ultima giornata nella capitale cubana, vogliamo godercela ed assaporarcela con assoluta calma, senza la solita frenesia che si respira nelle partenze organizzate. Alle 08:50 usciamo dall’Hotel Sevilla sotto un sole splendente, tra bigodoni in bella mostra su altezzose teste cubane all’incessante sventolio di panni stesi e sguardi curiosi lungo calle Agramonte sino all’Hotel Parque Central(fronte all’omonimo lussureggiante giardino e la cui piscina sul tetto si illumina ogni sera a lato della nostra camera), un ottimo albergo di livello internazionale, con un’immensa lobby al cui centro svetta un imponente scalone marmoreo riccamente adornato da alte piante tropicali di banano e palme, sotto una luminosa copertura piramidale di vetro e specchianti pavimenti marmorei, dove approfittiamo dell’ottimo collegamento internet e sopratutto della rara possibilità di stampare i biglietti aerei. Alle 09:15 lungo Paseo de Martì veniamo attirati da una forte musica proveniente dalla pedonale e stretta calle San. Miguel, dove azzurri e rosa edifici pastello incorniciano una grande bandiera cubana, sotto la quale sono radunati milizie verdi per una sconosciuta festa di polizia, accanto ad un azzurro e giallo cartello “Paseo de Consulado”. Gente chiassosa tra ambulanti venditori e vetrine spoglie di negozi ancora chiusi di calle San. Raffael, accompagnano la nostra ultima passeggiata sino al colorato “Parco San. Raffaelall’incrocio con Av. de Italia, dove su stinte panchine assaporiamo scene di vita quotidiana prima di ritornare indietro e soffermarci nel negozio “Tienda Habanaper ultimi nostalgici acquisti. Ci districhiamo nel colorato e caotico traffico di auto d’epoca lungo Prado per attraversare il Parque Central all’altezza dell’Hotel Telegrafo, passando accanto alla stazione dei Bomberos, sino ad arrivare alle 10:45 nel nostro hotel dove prepariamo con calma i bagagli, dato che abbiamo prolungato l’uso della camera sino alle 17 anziché le 12 (con 30 cuc), per poi uscire nuovamente alle 12:30 lungo AV. de la Misiones e gustarci l’ultima pizza queso salutando con un arrivederci il nostro amico cubano. Ci concediamo le ultime ore prima della partenza rilassandoci nella verdeggiante piscina dell’albergo, per poi assaporare dall’alto della nostra camera ultimi sguardi del Castillo del Morro sferzato dal mare e della città, con i suoi tetti disadorni carichi di cisterne e terrazzi ricolmi di cianfrusaglie, al suono di una dolce classica melodia proveniente dal Parque accanto alla teca del Gramna, dove è in corso una ricorrenza forse militare a noi sconosciuta. Alle 17:15 saliamo sul taxi che per 20 cuc ci porterà in aeroporto, regalandoci le ultime immagini della capitale, attraversando il cinese Barrio Chino sino Av. de Indipendencia, sfiorando Plaza de la Revolucion e proseguendo per circa 1km sino alla Città Deportiva, dove ad ogni incrocio grandi cartelloni propagandistici recitano artefatte frasi: “Martì es y siempre sarà”, “Vamos Bien”, “Si, se puede”, “Cuba no necessita de elettricidad”, “En Cuba no crisi como nel mundo”, “Viva el Chè”. Alle 17:45 effettuiamo il check-in stranamente nell’area “A” della Cubana de Aviacion, spedendo con l’Air France le valigie direttamente a Bologna nonostante lo scalo a Parigi, paghiamo la tassa di uscita di 25 cuc a testa per la “targheta de immigracion” ed effettuiamo il controllo del bagaglio a mano, per poi alle 18:45 curiosare fra i nuovi negozi dell’AeroportoJosè Martì”. Alle 19:25, dal gate 11, iniziamo in orario le procedure d’imbarco per l’aeromobile, alle 20:20, dai posti 12k/L del boeing 777, salutiamo la buia Habana, fiduciosi di poterci ritornare per almeno visitare il Capitolio. Il volo A3539 atterra a “Parigialle 12:10 del 4 Giugno in perfetto orario e con 6 ore di fuso di differenza, sbrighiamo le formalità con un breve intoppo di perquisizione del bagaglio a mano causa acqua in bottiglia concessa alla partenza da Cuba e sospetto accessorio fotografico, per poi percorrere frettolosamente ed a piedi, le immense distanze che collegano il terminal 2E con il 2C dell’Aeroporto “Charles de Gaulle”, dove ci attende il volo per Bologna. Alle 13:05, dopo esser finalmente giunti al gate del volo AF1828 e subito imbarcati nell’ultimo gruppo diretto all’aeromobile, dai posti 8°A/B sorvoliamo l’immenso aeroporto parigino formato da diversi terminal il cui spazio aereo è incredibilmente trafficato da vettori provenienti da tutte le parti del mondo, mentre scorgiamo in lontananza la sagoma della “Tour Eiffel” per poi atterrare in anticipo all’Aeroporto “Marconi” di Bologna alle 14:32, dove purtroppo termina la nostra intensa e meravigliosa vacanza.

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