Haarlem, perdersi nella città dei fiori

Una giovane famiglia. Una bimba di sei mesi. Un viaggio in un Olanda periferica e accogliente. Una sorpresa inaspettata. Una scoperta eccezionale
Scritto da: GaVaMa
haarlem, perdersi nella città dei fiori
Partenza il: 21/09/2012
Ritorno il: 24/09/2012
Viaggiatori: 3
Spesa: 500 €

Haarlem. Perdersi nella città dei fiori

È raro che, organizzando un soggiorno in Olanda, l’attenzione si focalizzi su Haarlem, la nostra prossima destinazione, una cittadina olandese a 20 km da Amsterdam. Ci arriviamo davvero per caso e il caso dobbiamo ringraziare perché rimaniamo affascinati da questa città, dalle sue piazze accoglienti e vivibili, dalla gente ospitale e dall’effervescente vita all’aperto. Haarlem si rivela accogliente e a misura di persona e di famiglia. Siamo in tre: io, mia moglie Valentina (entrambi intorno ai trenta anni) e la piccola Gaia, sei mesi e già viaggiatrice. La mèta, quando prenotammo, sarebbe dovuta essere la più famosa e attrattiva (ma non necessariamente attraente) Amsterdam, ma i costi degli alberghi ci hanno spinto a valutare altre ipotesi in destinazioni comunque prossime alla capitale. Mai risparmio fu più fortunato! Se siete tra chi pensa che Amsterdam possa diventare eccessiva e caotica come una festa di addio al celibato o nubilato su scala urbana, dovete organizzare una fuga in questa cittadina per riscoprire un’Olanda autentica e tranquilla che non deluderà e, anzi, rilasserà.

Haarlem e Amsterdam: tra canali e appellativi ultramarini

Haarlem è ben collegata alla capitale e facilmente raggiungibile. Infatti il treno connette le rispettive stazioni in 15 minuti, mentre dall’aeroporto di Schipol il mezzo più veloce è l’autobus, che permette di evitare il passaggio per la stazione ferroviaria di Amsterdam Centro. Le pensiline si trovano di fronte all’uscita dell’aeroporto. Prendiamo il bus numero 300. In perfetto stile olandese il collegamento è rapido e organizzato. I mezzi, infatti, partono ogni 15 minuti e il viaggio Schipol-Haarlem ne dura 45. Il biglietto si può acquistare direttamente a bordo e costa 6 euro a persona (fate attenzione ad arrivare preparati: non si può pagare con banconote da 50 euro o superiori). Per raggiungere il centro cittadino dove si trova il nostro hotel, scendiamo alla penultima fermata del percorso: Centrum//Verwulft.

Haarlem e Amsterdam sono da sempre unite, vincolate. Un canale, l’Haarlemmertrekvaart, connette le due città dal XVII secolo; allora il trasporto avveniva attraverso imbarcazioni e rimorchiatori che solcavano le acque dei canali e dei fiumi, riadattati per collegare i due centri urbani e mercantili, come autostrade acquatiche. Ancora oggi è conservata la porta delle mura difensive che si affacciava sul canale di collegamento: l’Amsterdamse Poort, uno dei pochi resti visibili delle difese cittadine. Il legame era talmente inscindibile da traslocare anche in terre ultramarine: nel 1658 Peter Stuyvesant, Direttore Generale della Colonia di Nieuw Nederland e, probabilmente, nostalgico del vincolo creatosi in patria, fondò l’insediamento di Nieuw Haarlem nel nord dell’isola di Manhattan come avamposto di Niew Amsterdam, situata nella punta a sud. Dopo che gli inglesi ebbero conquistato Nieuw Nederland nel 1664, cambiarono il nome della colonia in New York, ma lasciarono il nome Haarlem immutato per l’avamposto settentrionale; la pronuncia moderna inglese ha trasformato la parola in Harlem, vibrante culla della cultura afro-americana negli States.

Stravaganza e creatività orange

Quando si racconta, si può, tra le diverse possibilità, resocontare o canonizzare. Non sono le uniche alternative, certo, ma vorrei provare a canonizzare, piuttosto che descrivere, un tragitto che ci ha affascinato, un viaggio possibile attraverso Haarlem. Partiamo, subito dopo colazione, dal Joops Hotel che ti consigliamo per l’ubicazione nel cuore del centro cittadino a pochi passi dalla piazza centrale, per la cortesia del personale sempre disponibile (e con una bambina di 6 mesi le esigenze possono essere molte) e per il rapporto qualità-prezzo (www.acc-hotel.nl). La reception si trova di fronte alla cattedrale, presso l’Ambassador City Center Hotel. In breve raggiungiamo il fiume Spaange, urbanizzato e trasformato in maestoso canale. Attraversiamo il ponte Lange Brug, ci inoltriamo nel quartiere a oriente del fiume e, dopo aver attraversato un piccolo canale, erriamo tra Houtmarkt, che costeggia il fiume, e le stradine interne, su cui si affacciano botteghe, scuole e asili da cui fluiscono file di bambini disposte con olandese precisione. La scena mi riporta alla mente le prime immagini rubate attraverso il finestrino dell’aereo, la prima percezione di ordine di questo paese: verdi campi di grano, azzurri canali, distese di fiori arancioni e gialli e recinti di fattorie disposte secondo un impeccabile schieramento di linee parallele e perpendicolari. Come se l’intero paese, abitanti e oggetti, si fosse organizzato per riprodurre forme cromatiche copiate da un quadro di Mondrian. Riemergendo dalla piacevole suggestione, scopriamo case ordinate, armonicamente simili eppur rese uniche, tanto all’esterno quanto all’interno. Grosse finestre, larghe quasi quanto la facciata stessa, svelano, senza alcun pudore, gli interni e, attraverso di essi, la peculiarità dei propri abitanti. Scorgiamo oggetti stravaganti. M’impongono di immaginare chi ci vive: una collezione di stetoscopi antichi mi fa supporre sia qualcuno che, o è medico, guaritore o, per lo meno, si propone come tale. Pochi passi dopo, nuove case e nuovi indizi: tavoli e strumenti di lavoro di un architetto forse in cerca di città possibili da immaginare. Poco oltre appaiono foreste in miniatura, ficus e felci da appartamento, da cui affiorano giocattoli sparsi, disseminati nella stanza come fossero bandiere piantate da esploratori di un nuovo mondo ultramarino da conquistare; e poi, proposti senza apparente soluzione logica, che non sia l’adesione a canoni fantastici: acquari, più o meno esotici, piante, libri, dischi e parrucche. Infine, librandosi, improbabile come materia onirica, una rana volante orange, che si libera da abissi visionari, rapendomi nel proprio flusso immobile che m’impone di seguirla come fosse il coniglio bianco per Alice. Camminiamo incantati, attratti dai colori vivaci degli oggetti appesi a pareti in mattone, o dai fiori e dalle piante che anticipano e circondano l’uscio delle case, come tunnel floreali da attraversare. Non ti puoi annoiare. L’esterno delle case è curato nei minimi dettagli, come si trattasse di scenari dipinti per la rappresentazione di una fiaba urbana cui partecipiamo entusiasti. Facciamo una scoperta davvero inaspettata: le facciate dei palazzi sono puntellate di panche e panchine, disposte in modo da vivere gli spazi comuni come il molo dei canali, le strade o le piazze. In Olanda la via non è solo uno strumento per far circolare le macchine (anzi) ma uno spazio pubblico, nel senso più profondo. Rimaniamo sbigottiti osservando quest’aspetto che svela un Europa continentale molto meno introversa e chiusa di quanto ci potessimo immaginare.

È piacevole vedere coppie, giovani o meno che siano, sedute fuori di casa, sulla strada, leggendo o rilassandosi, dialogando o, come testimoni silenziosi, osservando una collettività libera di agire entro limiti che, per noi, sono decisamente tolleranti. Il nostro percorso prosegue tra immagini da cartolina di case galleggianti abitate da gemelle che nutrono papere e cigni che invadono l’angolo di fiume come fosse il loro giardino, e piste ciclabili affollate qualunque sia il clima. Seguendo il canale raggiungiamo il mulino De Adriaan, da secoli elemento distintivo dello skyline di Haarlem. Costruito nel 1779 sulle fondamenta di una delle torri difensive annesse alle mura che proteggevano la città: la Goede Vrouwtoren o Torre della Comare. Bruciato nel 1932 è stato ricostruito nel 2002. È’ oggi completamente funzionante e ospita un museo, che è possibile visitare per vederne gli ingranaggi all’opera (http://www.molenadriaan.nl). È messo in funzione per i turisti soprattutto il fine settimana.

Un vecchio e un bambino

Attraversato il ponte Catharijnebrug c’è un’azione imprescindibile: riporre qualunque cartina, gps satellitare o altro strumento a vostra disposizione e perdersi puntando il campanile della cattedrale di Saint Bavo, in Grote Markt. Perdersi è un atto volontario, come mangiare o capire. Perdersi è un gesto culturale, una scelta, un modo e un metodo per trovare, cercando, incocciando. Si può incocciare in negozianti che non parlano inglese (e, in un certo qual modo, la cosa ci fa sentire un po’ meno alieni in un paese che parrebbe quasi anglofono per la competenza linguistica media) ma che pur di esserci di aiuto e onorare l’ospitalità, convocano timidi nipoti per fargli tradurre tutto lo stradario da loro conosciuto. In questo quartiere residenziale si può scoprire un’Olanda vivibile, accogliente e rilassata, tra case eleganti, stradine che costeggiano canali e musei. Per gli appassionati d’arte moderna in questa zona si trova il Frans Hals Museum, dedicato al pittore di Haarlem i cui quadri, qui esposti, furono per Toulouse Lautrec l’unico bel ricordo dell’Olanda. Spicca, con coinvolgente sarcasmo e dissacrante iconoclastia protestante, un’opera che merita di essere vista (la potete vedere anche sul sito web del museo): The Monk and the clerk di Van Haarlem.

Bloemenstad

Via via che ci si avvicina alla piazza centrale riceviamo diversi segnali che ci mostrano l’approssimarsi della meta. All’improvviso l’aria fresca e aggressiva dell’oceano, convogliata tra viottoli e canali, si riempie di profumi di pane, di formaggio e di fiori. Iniziamo a incontrare donne con fiori da regalare o da regalarsi e uomini con fiori, forse da regalare o da regalarsi. La piazza grande appare all’improvviso e scopriamo la materia degli aromi, invitanti come sirene, che abbiamo seguito come fossero invisibili fili d’Arianna. Profumi e promesse di cibi e di formaggi, di salsicce, di patatine fritte, di torte e di tulipani che s’infiltrano nell’aria tersa e pungente dell’Oceano, diventano materia compatta, che si ammassa nella piazza centrale della Città dei Fiori, come fosse il cuore vitale e pulsante che nutre la città stessa. Ci troviamo in un labirinto di bancarelle accerchiato da biciclette appoggiate ad alberi, appoggiate a mura di chiese coperte di fiori, o ad altre biciclette, fino a formare un corpo unico, come fosse un serpente immobile in attesa di muscoli cui attingere vitalità. Siamo nel cuore della Città dei Fiori. Haarlem è soprannominata Bloemenstad, che significa appunto la città dei fiori, perché capoluogo del distretto della coltivazione dei tulipani. Haarlem è necessaria il sabato mattina, quando in Grote Markt si tiene il mercato ai piedi della maestosa cattedrale gotica. Saranno i colori a esercitare una propensione ipnotica, ma si sovrappongono suggestioni letterarie a straordinarie immagini di realtà. Straordinarie, extra-ordinarie per chi, come noi, è assuefatto ad acquistare in ipermercati grottescamente travestiti da promenade, illuminati al neon e disposti secondo la rigida e monotona logica dei freddi e razionali scaffali in alluminio. Non riesco a non provare l’impressione che sia così che ci si libera dalla schiavitù del mito della Caverna per come lo interpretò un meraviglioso scrittore portoghese. Decidiamo di lasciarci trascinare dall’inevitabile appetito e mangiamo, liberi e rilassati, all’aperto. Ci sono, infatti, diverse possibilità per pranzare a prezzi contenuti. Incuneandosi nel dedalo di bancarelle troviamo: torte salate o dolci, salumi, rustici e verdura fresca di stagione. Noi optiamo per un’ottima pizza turca, accompagnata da abbondanti porzioni di patatine fritte, avvolte nel tipico cartone arrotolato. Di fronte a noi una coppia priva di voglia di comunicare che non sia una banale inferenza del tipo: buon appetito o arrivederci, probabilmente imbarazzata di fronte alla nostra latina espansività, che ci porta a cercare un contatto comunicativo. Attraversando la piazza, che la sera si riempie di persone che affollano i bar e i ristoranti che la circondano con i loro dehors, si incoccia nella statua di un cittadino di cui Harlem è orgogliosa: Laurens Coster, inventore, insieme al più celebre Gutemberg, della stampa a caratteri mobili, ma rimasto ingiustamente nell’ombra, come la fama turistica di questa città.



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