Giappone, misterioso fascino nipponico
Tokyo, vecchio nome Edo, è vivace e stimolante, un mosaico di tradizioni e di modernità. E’ una metropoli verticale con grattacieli futuristici e angoli tradizionali, una miscela ricca di sfumature che dona al visitatore un’esperienza fantastica. Noi ci fermiamo soltanto un paio di giorni per assaporare il primo contatto con la vita giapponese, ma ci ritorneremo alla fine del nostro tour. Difficile descrivere questa metropoli tecnologica con 12 milioni di residenti che si muovono soprattutto in metropolitana, una rete di 882 stazioni e una musica diversa che a ogni fermata identifica il rispettivo quartiere. I giapponesi hanno investito sui mezzi pubblici e quindi il traffico in città è sostenibile e l’aria è respirabile, mentre le mascherine antismog sono indossate come protezione verso gli altri. L’antico Giappone s’intreccia con quello moderno, infatti talvolta vediamo persone in abiti tradizionali, kimono lei e yukata lui, che si recano nei templi o si scattano “selfie” nei giardini. Noi decidiamo di andare alla scoperta di qualche quartiere per vedere le mode e le ultime tendenze che caratterizzano la città.
In metropolitana andiamo nel quartiere popoloso Shinjuku ricco di centri commerciali e di grattacieli. Molti grattacieli hanno terrazze panoramiche che si raggiungono in ascensore gratuitamente e dalle quali, nelle giornate limpide, è possibile scorgere il monte Fuji. Saliamo anche noi sul Shinjuku NS Building ed effettivamente si delinea all’orizzonte il profilo della vetta più alta del Giappone: è la classica cartolina che famosi pittori e poeti hanno immortalato in tutti i modi. Spicca anche la Tokyo Tower (330 m) che si ispira alla tour Eiffel ma è dipinta in rosso e bianco per essere avvistata dagli aerei. Quando è accaduta la tragedia degli attentati a Parigi è stata dipinta in bianco, rosso e blu come i colori della bandiera francese quale omaggio alle vittime. Riprendiamo la metropolitana e decidiamo di fare un salto al Museo Nazionale di Tokyo, il museo più grande del Giappone che ospita la più vasta collezione di arte giapponese del mondo. Ci sono quattro gallerie. Nella sala principale troviamo sculture, bellissime lacche, spade luccicanti e opere calligrafiche per noi misteriose. Nella Galleria delle Antichità Orientali troviamo reperti archeologici provenienti dal continente asiatico, mentre la terza galleria ospita reperti rinvenuti esclusivamente in Giappone. La parte più interessante per noi è stata la Sala del Tesoro di Horyuji dove abbiamo ammirato capolavori d’arte buddista provenienti da tutto il Paese. Il primo giorno a Tokyo termina con una tipica cena vicino al nostro albergo. Siamo circondati da grattacieli che oltre al centro commerciale ospitano ai piani alti una serie di locali per tutti i gusti e per tutte le tasche. Al 47° piano ammiriamo le luci della città e attraverso le grandi vetrate ci appare la Tokyo del futuro.
Non si può lasciare Tokyo senza visitare il più grande mercato al mondo del pesce Tsukiji. Il pescato del giorno viene messo all’asta alle h 5.00 del mattino e noi ci andiamo il giorno seguente prima dell’alba anche perché ci dicono che soltanto 120 persone vengono ammesse all’asta ogni giorno. Ci rendiamo subito conto che non è il classico mercato del pesce che si trova in altre parti del mondo: qui tutto è organizzato in modo efficiente con pesci di ogni tipo rovesciati ordinatamente sui banconi, non c’è la consueta “puzza” e il pesce viene sezionato con maestria da… chirurgo. L’unica avvertenza è non dare troppo fastidio a chi sta lavorando tra i banconi. All’uscita ci fermiamo in un locale a fare colazione con toast e caffè e riprendiamo il nostro girovagare un poco più svegli.
In metropolitana visitiamo il quartiere Harajuku per assistere allo “show” di ragazze che si ritrovano sulla via pedonale Takeshita dori. Queste ragazze si truccano in modo vistoso e indossano parrucche e look pittoreschi copiati dai manga (fumetti giapponesi), dai videogiochi o dai cartoni animati. E’ ancora presto e non incontriamo nessuna di queste ragazze. Quasi perdiamo le speranze quando incrociamo una ragazza vestita completamente di rosa con lo zaino a forma di coniglio sulla schiena e un grande fiocco in testa. La particolarità è che l’abitino è come quelle delle bimbe con la sottogonna bianca che spicca dall’orlo, le calze bianche corte e le scarpette alla baby di vernice. Credo sia un travestimento da lolita. Un gruppo di ragazzi e ragazze ci viene incontro e spiccano kimono punk, giubbini rosa con cerniere metalliche, gonne luccicanti e sandali con la zeppa. Una ragazza davanti a un negozio di dischi è salita sul palco e improvvisa un concerto. Canta musica rock ma è vestita con un abito corto di pizzo con fiori, perline e pupazzetti fissati sulla gonna. Anche lei è una bambola che però canta e balla benissimo.
I passanti rallentano perché lo spettacolo è stravagante e divertente e tutti scattano foto e applaudono. Qualcuno balla al suono della musica rock molto ritmica. Le luccicanti vetrine delle case di moda occidentali non ci sorprendono, ma nelle stradine laterali notiamo piccoli laboratori di stilisti orientali e negozi di articoli di seconda mano più caratteristici. Le curiosità sono così tante che si potrebbe trascorrere l’intera giornata guardandosi intorno in questo paesaggio “umano” multicolore. Ci sembra di essere piombati in un film di cartoni animati bizzarri e dagli effetti speciali.
Dopo il primo assaggio di Tokyo, il giorno seguente prendiamo il treno diretti a Hiroshima, dove inizia il nostro tour in Giappone. I trasporti sono ben organizzati e i treni JR spaccano il minuto. Noi abbiamo prenotato il posto anche se qualche carrozza è lasciata senza prenotazione, ma se il treno è affollato non si sale perché è proibito viaggiare in piedi. Si attende il treno al binario giusto, davanti al numero della propri carrozza, e quando arriva si attende qualche minuto che il personale addetto pulisca i vagoni. Il treno corre attraverso un paesaggio rurale dove la ricca vegetazione copre le pianure e i rilievi. La coltivazione del riso, che in Giappone risale a oltre 2000 anni fa, ha un ruolo centrale: ora non si vedono ancora le file delle piantine di riso nei campi che stanno per essere riempiti di acqua. Qua e là spiccano alberi fioriti bianchi rosa e rossi: sono ciliegi, susini e camelie. Verso mezzogiorno arriviamo a Hiroshima, tristemente famosa per essere stata il primo obiettivo della bomba atomica il 6 agosto 1945. In memoria di quel tragico giorno è stato creato il Parco della Pace dal quale si accede alla cupola della bomba atomica, lo scheletro dell’edificio che prima di essere colpito era un Centro Espositivo Industriale. Tutte le persone al suo interno sono decedute e questa cupola è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1996. Il cenotafio riporta i nomi di tutte le vittime accertate della bomba e incornicia la Fiamma della Pace che verrà spenta soltanto quando l’ultima arma nucleare verrà distrutta. Bisogna ammettere che tutta l’area è di grande effetto e fa riflettere sulla tragedia accaduta e che non vogliamo si ripeta in nessuna parte del mondo. Commovente è la storia della bimba ammalata di leucemia, Sadako, che nel 1955 aveva 11 anni e decise di fare 1000 gru di carta convinta di guarire se fosse riuscita nel progetto. Purtroppo non terminò in tempo e da allora molte persone appendono gru di carta davanti al monumento a lei dedicato. La gru in Giappone è simbolo di felicità e longevità. Oggi Hiroshima è una città vivace e internazionale situata su alcune isole nel delta del fiume Ota-gawa e racconta bene il carattere di questo popolo fiero che ha avuto la forza d’animo di rialzarsi.
Nel pomeriggio andiamo in gita sull’isola Miyajima, inserita nel Patrimonio dell’Umanità. Al porto il traghetto, incluso nel prezzo del biglietto del treno, ci porta su quest’isoletta sacra, dove il santuario scintoista di Itsukushima del VI secolo spicca in tutta la sua bellezza. Questo tempio ha la caratteristica di essere costruito su palafitte e un imponente “torii” rosso (portale) circondato dal mare sembra galleggiare sull’acqua quando c’è l’alta marea. Passeggiamo sino al Monte Misen e lungo il percorso incontriamo tanti cervi che girano liberi. In cima alla collina troviamo il Senjo-kaku un padiglione enorme con diversi dipinti appesi e appoggiato su enormi travi e colonne portanti.
Accanto sorge una pagoda a cinque piani decorata a colori vivaci risalente al 1407. Sull’isola si trovano molti templi buddisti. Noi visitiamo il Daigan-ji dedicato alla dea della fortuna hindu Saraswati e il Daisho-in, tempio Shingon ricco di ruote della preghiera, di Buddha e demoni e una grotta contenente numerose statue. Pernottiamo in un albergo a Hiroshima vicino al Parco e ceniamo in un locale di cucina classica giapponese. E’ abbastanza semplice scegliere cosa ordinare perché in vetrina sono esposti piatti di plastica che rappresentano le vivande ma il menu in inglese è indispensabile per capire gli ingredienti. Il riso bollito è servito al posto del pane, che in Giappone non usa, e si condisce con diversi sfiziosi sughi vegetali serviti in ciotole. Il pesce crudo o arrostito sta alla base del pranzo. L’acqua potabile è sempre offerta gratuitamente e spesso il tè verde accompagna ogni menu.
Il giorno successivo sulla strada per Osaka sul percorso dello “Shinkansen” (treno) ci fermiamo al castello Himeji, primo sito giapponese inserito nel Patrimonio dell’Unesco nel 1993. E’ il più bel castello del Giappone: maestoso, integro, chiamato “airone bianco” per la sua elegante sagoma bianca che a noi sembra piuttosto una grossa meringa. Costruito nel 1580, e in seguito ingrandito, fu la residenza di 48 signori feudali nei secoli successivi. Dalle numerose feritoie della fortezza i difensori versavano acqua o olio bollente su chi cercava di scalare il muro di cinta rendendo il castello inespugnabile. Il percorso obbligato dura quasi due ore e bisogna seguire l’itinerario segnato dalle frecce. Visto dall’esterno sembra che il castello abbia cinque piani ma all’interno i piani sono sette di cui sei sopra e uno seminterrato. L’interno, spoglio, è di legno scuro e i piani sono decrescenti con scale molto ripide e gradini stretti. All’esterno notiamo da vicino i primi ciliegi in fiore che fanno da cornice al castello. Tutti si fermano a scattare foto sotto i rami fioriti e qualcuno osa anche una macro-fotografia dei ciuffetti di fiorellini. Un leggero alito di vento fa staccare i petali e sembra che nevichi rosa.
Riprendiamo il viaggio in treno verso Osaka, città moderna sul mare rinata dopo la guerra, famosa per la buona cucina. Dopo aver lasciato i bagagli in hotel, in centro visitiamo il castello Osaka-jo, una fortezza di granito costruita in tre anni da 100.000 operai e terminata nel 1583. L’edificio attuale risale però al 1931 perché negli anni precedenti fu distrutto. All’ottavo piano, da una piattaforma panoramica ammiriamo una veduta a 360 gradi di Osaka e dintorni. Attraversiamo un portale che immette nel grande parco con ciliegi fioriti in questa stagione che circonda questo castello ricco di storia. L’area è vasta e si esce in diversi punti nella città. Noi andiamo in metro nella zona di Kita, il cuore di Osaka, dove notiamo subito numerosi centri commerciali, un gran numero di ristoranti e il singolare Umeda Sky Building, un edificio avveniristico con torri gemelle, dalla cui cima ammiriamo il panorama che si accende dopo il tramonto. Si paga un modico biglietto d’ingresso, ma ne vale la pena. Ci sono due piattaforme, una aperta sul tetto e l’altra al coperto, alle quali si accede prendendo la scala mobile nella galleria vetrata che sale gli ultimi cinque piani. Sicuramente non è adatta a chi soffre di vertigini! Per finire la serata andiamo a Dotonbori che è la zona con la vita notturna più vivace di Osaka e una serie di ristoranti, locali e negozi tutti molto vistosi e scintillanti. Dopo cena a base di pesce, zuppa di alga e riso, facciamo una passeggiata sul ponte Ebisu-bashi nella zona pedonale per contemplare le luci che brillano intorno a noi.
Il giorno successivo finalmente arriviamo a Kyoto, meta assolutamente indispensabile in un viaggio in Giappone. Anticamente fu capitale del Giappone per oltre mille anni e rappresenta esattamente l’immagine popolare che gli occidentali hanno del Giappone: giardini e tranquilli laghetti, viali di ciottoli, templi dorati e portali rossi. Ha ben 17 siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità, oltre 1600 templi buddisti e 400 santuari scintoisti. Contiamo in tre giorni di permanenza di visitarne una buona parte. La primavera con la fioritura dei ciliegi è veramente uno spettacolo di colori e profumi. Il tradizionale giardino giapponese è totalmente diverso da quello zen. Qui è un trionfo di piante e fiori talmente curato da diventare un’opera d’arte, dove nulla è lasciato al caso. Secondo i giapponesi la bellezza educa l’uomo perché “chi apprezza l’armonia del giardino diventerà più armonioso”. Iniziamo con la visita al castello Nijo costruito nel 1603 come residenza del primo shogun del periodo Edo. E’ sfarzoso e dotato di un portale imponente che introduce in un complesso di cinque edifici con numerose stanze ciascuno. La curiosità è che fece costruire i pavimenti “usignolo”, cioè scricchiolano sotto i passi degli eventuali intrusi, e alcune nicchie nascondevano le guardie del corpo. Era comunque impenetrabile con le sue mura concentriche e i fossati. Il Tempio di Kiyomizu sorge in cima alla collina e domina da lassù con la sua inconfondibile pagoda dai tetti spioventi. Un portico con centinaia di colonne si affaccia sulla collina che ora è un tripudio di fiori di ciliegio rosa. Più in basso scorre la cascata Otowa-no-taki: alle sue acque sacre sono attribuite proprietà terapeutiche. Il santuario shintoista Kamigamo-Jinja è uno dei più antichi del Giappone. Costruito nel 679 è dedicato al dio del tuono. Due “torii” (portali) introducono al santuario da un lungo sentiero e due grandi coni di sabbia bianca raffigurano le montagne da dove gli dei possono scendere sulla terra. Un altro interessante santuario è il Fushimi-Inari-taisha dedicato alle divinità del riso e del sakè, incastonato nella montagna, famoso per i suoi centinaia “torii” che si snodano su un sentiero di 4 km che conduce al tempio, formando un tunnel rosso che sembra scomparire nell’aldilà. Ai lati decine di volpi di pietra decorano il percorso perché è un animale considerato sacro dai giapponesi. La chiave in bocca alla volpe è quella che apre i magazzini del riso. Passeggiare tra questi santuari è piacevole e suggestivo e dopo il tramonto regala momenti da brivido per le numerose tombe e templi in miniatura sparsi lungo il percorso. Il tempio zen Tenryu-ji (drago celeste) fu costruito nel 1339 dopo che un monaco sognò il drago che sorgeva dall’acqua del fiume. Un bosco di bambù si estende intorno e conferisce al luog0 un fascino mistico. Il famoso Kinkaku-ji “Padiglione d’oro” è uno dei più suggestivi. Sorge sulla riva di un laghetto, costruito nel 1397 come residenza di uno shogun fu poi trasformato in tempio da suo figlio. Nel 1950 un giovane monaco impazzito incendiò il tempio che fu in seguito ricostruito esattamente come l’originale ma la copertura di foglie d’oro zecchino fu applicata anche sui piani inferiori. Forse per questo motivo è proibito fumare all’aperto in molte strade di Kyoto e ovunque vicino ai templi. Tutta quest’area si dice rappresenti la Terra di Buddha in questo mondo ed effettivamente è una cartolina irreale completata da quattro geisha che stanno scattando foto, e per un attimo mi sento immersa nella storia di questo Paese.
Il complesso di To-ji, 15 minuti a piedi dalla stazione di Kyoto, fu fondato nel 794 come struttura difensiva della città. In seguito fu consegnato al fondatore della scuola buddista Shingon. La struttura più grande è la Kodo, la sala degli insegnamenti, che contiene 21 immagini di un mandala del buddismo esoterico, mentre la sala principale, la Kondo, custodisce alcune statue del Buddha guaritore. Nel giardino svetta la pagoda a cinque piani più alta del Giappone (55 m.), chiusa al pubblico, ed è famosa per resistere ai terremoti perché ogni piano è indipendente e assorbe le vibrazioni con un movimento detto “la danza del serpente”. Lasciamo scorrere il tempo che passiamo a Kyoto lentamente, passeggiando e assaporando la calma che circonda questa città malgrado i tanti turisti. Il quartiere storico di Gion ha stradine strette e tipiche case tradizionali in legno (machiya) ed è l’antica Kyoto. In alcuni negozi si può noleggiare un kimono e passeggiare nei vicoli immaginando di essere in un’altra epoca. Nel mercato di Nishiki è possibile trovare tutte le stranezze culinarie dal pesce ai biscotti e altri cibi difficili da identificare per noi. Curiosiamo tra le bancarelle: è tutto confezionato dai sottaceti, ai dolci, ai salatini che, prima di acquistare, si possono assaggiare prendendo il bocconcino da una ciotola messa a proposito. Il motto è: “provare per scegliere” e noi comperiamo un sacchetto di biscotti e uno di piccoli dolci al tè mancha. E’ un ottimo modo soprattutto per noi stranieri che spesso non sappiamo di che cibo si tratti. A venti minuti di treno da Kyoto visitiamo il bosco Arashiyama, un corridoio di canne di bambù altissimo, molto diverso dai nostri boschi e assolutamente imperdibile. Restiamo affascinati dalla compostezza di questo popolo in ogni occasione, ma soprattutto nei templi buddisti di un’eleganza discreta con tante statue di Buddha, al contrario dei santuari scintoisti maestosi ed immersi nella penombra di un bosco. Lo scintoismo è l’antica religione indigena nazionale associata al culto degli antenati e all’armonia con la natura, mentre il buddismo, arrivato in Asia nel XVI secolo, è il risveglio spirituale e la rinascita dell’uomo. In questi luoghi magici è facile dimenticarsi della realtà contemplando un giardino zen come il Ryoan.ji, Patrimonio dell’Unesco. Realizzato nel 1499 è un rettangolo di ghiaia bianca “a onde” con 15 rocce particolari che sembrano alla deriva nel mare di sabbia, protetto da un muro di argilla. Sembra un quadro astratto e sicuramente non è un luogo fisico, ma mentale, essenza della semplicità che invita alla meditazione.
Il giorno successivo decidiamo di dedicare una mezza giornata a Nara, prima capitale permanente del Giappone con otto siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità, raggiungibile da Kyoto in mezz’ora di treno. Il motivo per cui fino al VII secolo il Giappone non aveva una capitale fissa è dovuto ai tabù scintoisti per cui la capitale doveva essere trasferita dopo la morte dell’imperatore. Con l’avvento del buddismo questa usanza fu abbandonata e nel 646 il Giappone divenne un Paese imperiale. Nara restò capitale per 75 anni soltanto e Kyoto subentrò in seguito per oltre mille anni. L’itinerario del nostro giro si snoda tra i boschi del Nara-koen e si arriva al Kofuku-ji originariamente composto da 175 edifici ma rimasti soltanto una decina. Due pagode di tre e cinque piani spiccano in altezza. Da un portale in legno si entra nello splendido giardino Isui-en con un incantevole laghetto dove sguazzano sinuosamente enormi carpe colorate. Il monumento più famoso è il Grande Buddha (Daibutsu) che si trova nell’imponente tempio Todai-ji, il più grande edificio di legno al mondo. Il Grande Buddha è una gigantesca statua in bronzo del 746, alta oltre 16 metri. Raffigura il Buddha cosmico dal quale sono nati tutti gli altri e la testa è stata rifatta un paio di volte perché l’originale andò perduto o danneggiato.
Sul retro della statua c’è un grosso pilastro di legno con una cavità alla base: la leggenda racconta che chi riesce a infilarsi dentro e passare oltre raggiungerà l’illuminazione. Una fila di giovani sta provando ad entrare e si scattano foto. Per chi è piccolo e magro è più facile e la tecnica è di tenere le braccia tese sopra la testa. Per la loro fisicità i giapponesi sono ovviamente facilitati. Noi rinunciamo perché non abbiamo le dimensioni giuste.
All’interno del parco corrono liberi eleganti cervi selvatici. Sono circa 1200 e sono considerati messaggeri degli spiriti divini, kami. Si racconta che quando fu fondato il santuario Kasuga Taisha dalla famiglia Fujiwara invitarono un potente dio che arrivò a Nara su un bellissimo cervo bianco. Da allora sono rispettati e protetti dalla popolazione locale. Oggi i visitatori possono offrire loro i biscotti/crackers speciali che si acquistano sul posto. Attenzione che non sono commestibili per l’uomo! Lungo il tragitto attraversiamo il portale Nandai-mon con due divinità guardiane Nio dall’aspetto feroce, forse cani o draghi. Sono due statue molto verosimili che sembrano animarsi da un momento all’altro. La zona del tempio è recintato e un sentiero lastricato in salita conduce allo spiazzo su cui si affacciano il Nigatsu-do e il Sangatsu-do. Il primo sorge in cima alla collina e il suo porticato si affaccia sul panorama di Nara. A sud si trova il Sangatsu-do, il più antico edificio del complesso Todaj-ji che custodisce statue del periodo in cui Nara era capitale. Seguendo le indicazioni arriviamo al grande santuario scintoista Kasuga, eretto nel 768 e di un bel rosso brillante che crea un contrasto sorprendente con la vegetazione circostante. Lungo il muro di cinta del santuario sono disposte 1800 lanterne di pietra e altre 1000 sono appese nei suoi corridoi. Sembrano in attesa di esibirsi durante la festa che ha luogo ogni anno a febbraio e ad agosto. Peccato non esserci perché dicono sia un evento di grande richiamo, molto suggestivo. Noi possiamo soltanto ammirare le foto e lavorare di fantasia. Il profondo legame che i giapponesi hanno con l’ambiente ha una radice religiosa dovuta all’antica religione autoctona, lo scintoismo, che venera ogni oggetto, fiore, animale, montagna o mare, sede di un kami, gli spiriti divini che vivono in ogni cosa. Sulla via del ritorno ci fermiamo in una sala con vista sul giardino Isui-en per bere una fumante tazza di tè verde giapponese. Passeggiare in questi giardini tra templi e santuari, alberi e laghetti, pagode e cervi ci sembra di essere proiettati in un classico dipinto giapponese su carta di riso o seta.
Dopo aver trascorso tre giorni a Kyoto riprendiamo il nostro viaggio diretti a Koya-san, un altopiano circondato da fitte foreste dove pernotteremo in un… monastero buddista. E’ la sede centrale della scuola Shingon di buddismo esoterico e ci consente di entrare in contatto con le antiche tradizioni della vita monastica giapponese. Il viaggio è avventuroso: il treno serpeggia in strette vallate ornate da ripide pareti rocciose e dopo circa due ore il vertiginoso tratto finale si conclude in funicolare, cinque minuti e prezzo compreso nel biglietto del treno. Arrivare in funicolare è la cosa che assomiglia di più alla salita in un altro mondo. Tutto intorno è intriso di spiritualità e l’aria è carica di magia. Noi pernotteremo in una foresteria di un tempio (shukubo) gestita dai monaci che accolgono soltanto i visitatori che hanno prenotato e l’orario di chiusura la sera è alle ore 21.00. Lasciamo i nostri bagagli presso di loro e iniziamo il nostro giro del Monte Koya.
La scuola Shingon, fondata dal monaco Kobo Daishi nell’816 al ritorno dalla Cina, annovera 10 milioni di seguaci e quasi 4000 templi in tutto il Paese. Koya-san ha oltre 110 templi e numerosi monaci vivono qui. I seguaci credono che Kobo Daishi non sia morto ma riposi nella tomba del cimitero Oku-no-in in attesa dell’arrivo del Buddha futuro (Miroku). L’accesso delle donne al Koya-san fu vietato sino al 1872. All’Associazione Turistica acquistiamo il biglietto cumulativo per i vari siti. Kongobu-ji del XIX secolo è la sede della scuola Shingon e residenza dell’abate di Koya-san. Nella sala principale colpiscono i paraventi dipinti e riccamente ornati con motivi floreali del XVI secolo. Il giardino roccioso è curioso per la sua composizione che sembra un gruppo di fedeli intorno a un monaco. L’ingresso comprende una consumazione di tè verde e dolci di riso serviti in salone davanti al giardino. Il Garan è un complesso di templi con varie sale e pagode. Nella Dai-to (Grande Pagoda) ammiriamo la statua del Buddha cosmico e quattro Buddha minori. Si dice che questa pagoda sia al centro del mandala a forma di loto formato dalle otto montagne che circondano Koya-san. Il tempio-cimitero Oku-no-in è veramente speciale. Per entrare si attraversa il ponte Ichino-hashi e si percorre un vialetto acciottolato orlato da fitti cedri e da migliaia di tombe. Una nebbiolina leggera rende l’atmosfera suggestiva. I fedeli buddisti lasciano i capelli o le ceneri dei morti per garantire loro un posto privilegiato in attesa dell’arrivo del Buddha futuro. Notiamo molte statue che indossano bavaglini rossi per Jizo Bosatsu colui che protegge i bambini nell’aldilà. Questa usanza è tanto popolare che noi abbiamo visto altrove statue buddiste così abbigliate. Il colore rosso esprime la vita, l’amuleto, il simbolo del potere a seconda dei casi. Per questo nei templi buddisti si vedono spesso oggetti di questo colore. Il Monumento alle Termiti è una curiosità: è stato costruito da un’azienda di pesticidi dopo aver sterminato questi insetti perché probabilmente si sentiva in colpa. A nord troviamo il Toro-do, sala con centinaia di lanterne che ardono incessantemente da oltre 900 anni. Il ponte Mimyo-no-hashi attraversa il fiume. Alcune targhe di legno sul fiume sono in memoria dei bimbi morti annegati e i fedeli raccolgono acqua dal fiume per versarla sulle statue lì vicino. Troviamo un piccolo edificio in legno che contiene il Miroku-ishi. Si devono infilare le braccia nell’apertura, prendere un grande masso e appoggiarlo sullo scaffale. Il peso della pietra varia a secondo dei nostri peccati. Per noi è stato impossibile sollevarlo! Il monte Koya è stato una deviazione sul nostro viaggio, ma è valsa la pena di sostare in questo luogo irreale e suggestivo trascinati da un’atmosfera spazio/tempo indefinita.
Ritorniamo al monastero. Come sempre in Giappone, esclusi gli alberghi “occidentali”, si lasciano le scarpe all’ingresso su appositi scaffali e si indossano ciabatte. Si ha l’impressione di entrare in una casa privata perché è consuetudine per i giapponesi togliersi le scarpe prima di varcare la soglia di casa. Dopo averci mostrato la camera rigorosamente in stile giapponese con tatami (tappeto) di paglia a terra, un tavolo basso, un piccolo armadio e poco altro, il monaco ci spiega le regole della Casa e ci mostra l’intera struttura. Alle sei del mattino potremo assistere al loro rito religioso, ma senza scattare foto. Nella sala della scrittura potremo provare a copiare qualche mantra in giapponese. Bisogna parlare sottovoce e non fare rumori molesti. Indossiamo il kimono e prima di cena, servita in camera, andiamo nell’onsen, divisi uomini e donne perché si entra in acqua completamente nudi. Ci si rilassa e si trascorre così del tempo che aiuterà un buon riposo notturno.
Il rituale degli onsen consiste, dopo essersi ben lavati, nell’immergersi in acqua termale bollente, separati uomini e donne, in religioso silenzio. Il vapore avvolge le vasche, dove l’unico rumore è lo scorrere dei getti di acqua. Sembra proprio che il concetto moderno di Spa sia stato creato dai giapponesi anticamente, ma non dimentichiamo i nostri antichi romani che sapevano bene come godere delle proprietà delle acque termali. Già al momento della prenotazione della camera abbiamo dovuto scegliere il menu vegetariano per la cena in base alle fotografie e non vediamo l’ora di gustare la sorpresa. La cucina giapponese cura moltissimo l’estetica del piatto. La cucina tradizionale giapponese non è una semplice arte culinaria, ma l’armonia del cibo. Ogni piatto deve avere cinque colori: rosso, giallo, verde, nero e bianco per l’equilibrio nutrizionale e cinque sapori: salato, acido, dolce, amaro e piccante per il palato. Gli ingredienti sono freschi e stagionali e vengono preparati senza troppi condimenti e con metodi di cottura semplici. Ci portano due vassoi/tavolini a testa con ciotole coperte e un fornelletto che accendono davanti a noi, che siamo seduti sul pavimento. Ci spiegano quello che mangeremo: verdure cotte e crude, pesce crudo e gamberi, zuppa di miso e alghe e sul fornello acceso sta bollendo latte di soia e tofu che sarà pronto quando la fiamma si spegne. Una ciotola abbondante di riso, salse varie, una gelatina dolce e tè verde completano il tutto. Assaggiamo con curiosità le pietanze e ci scambiamo le ciotole quando c’è qualcosa di diverso. Alla fine della cena siamo soddisfatti. Qualcosa piace e qualcosa non incontra il nostro gusto, ma va bene così. Andiamo a passeggiare nella struttura che contiene opere d’arte religiosa buddista e troviamo anche un piccolo punto vendita di oggetti monastici; tutti gli ospiti girano in ciabatte e kimono e sono molto rilassati. Quando si entra nelle rispettive camere si lasciano le ciabatte in anticamera. Al ritorno in camera ci hanno preparato il futon (materassino giapponese) srotolato a terra per la notte. Le pareti di pannelli scorrevoli in carta di riso, shoji, fanno filtrare la luce biancastra e all’esterno le piante intorno al piccolo giardino zen riflettono le proprie ombre sulle sottili pareti. Il giardino zen è molto particolare perché raffigura la natura in forma astratta. I monaci rastrellano la sabbia in “onde” del mare, i sassi sono le montagne, mentre una zolla di muschio è un’isola nell’oceano. Non si entra, non si calpesta, ci si siede a contemplarlo e a meditare.
La mattina seguente a malincuore ripartiamo diretti a Kanazawa, costruita intorno a un castello, affacciata sul mare e circondata da risaie. Dai campi di riso, che stanno in questo periodo riempiendosi d’acqua, sale una leggera nebbiolina che sembra sfumare i contorni creando un confine tra reale e ultraterreno. In centro visitiamo il magnifico giardino del XVII secolo che faceva parte del castello e sul quale si affacciano gli antichi quartieri delle geisha e dei samurai, templi e numerosi musei. Il castello del 1580 e veniva chiamato “il castello di 1000 tatami” per le sue dimensioni. La torretta a forma di diamante, le feritoie per il lancio di pietre contro gli invasori e l’armeria sono le prerogative principali. Il parco Kenrokuen, che significa “giardino delle sei qualità combinate” si riferisce alla definizione della dinastia cinese Sung secondo la quale un giardino per essere perfetto doveva avere sei caratteristiche: posizione appartata, ampiezza, artificiosità, cioè copia fedele della natura, antichità, abbondanza d’acqua e ampio panorama.
A nord del castello sorge il Quartiere Orientale delle Case da Tè, Higashi Chaya-gai, un quartiere di strette vie del XIX secolo dove le geisha intrattenevano gli uomini d’affari nelle loro case di legno. L’atmosfera è molto romantica e cogliamo l’occasione per visitare la più celebre che è quella di Shima del 1820. E’ una serie di piccole stanze disadorne con pareti scorrevoli distribuite su due piani. Sale d’attesa si alternano alle sale degli ospiti che venivano intrattenuti con musica, danze e cerimonia del tè. Mi colpiscono in una vetrina gli oggetti personali della geisha, il cofanetto con i pettini, i trucchi e i kimono. In una sala sono esposti gli strumenti musicali a tre corde, tamburelli e un grande gong troneggia in un angolo. Sembra una casa ancora abitata e noi la visitiamo in punta di piedi aspettando che la geisha rientri da un momento all’altro. Un piccolo giardino quadrato racchiuso al centro della casa mi dà l’impressione opprimente di una gabbia dorata per donne bellissime, ma non libere.
Negozietti di artigianato locale sembrano usciti da una foto in bianco e nero del periodo Edo (1603-1868) quando la potente famiglia Maeda governava la città: lacche nere su legno di castagno giapponese; ceramiche Ohi con l’estetica minimalista wabi-sabi utilizzate dai maestri della cerimonia del tè; porcellane Kutani dai colori vivaci rosso, blu, giallo e verde decorate con uccelli, fiori e paesaggi; tintura della seta con la tecnica Kaga Yuzen per tingere i kimono con colori sgargianti e fiori; lamine di foglie d’oro tagliate in quadratini di circa 10 cm per rivestire pareti, dipinti, lacche e ceramiche. Ci limitiamo ad ammirare queste vere opere d’arte perché il piccolo bagaglio che ci accompagna non ci permette divagazioni sul tema “acquisti”. Ci spostiamo col “Loop Bus” che compie un circuito di 45 minuti con fermate nei punti turistici interessanti della città. Il quartiere Nagamachi era invece abitato dai samurai. E’ un luogo affascinante, racchiuso da due canali e le vie tortuose corrono tra muri di fango ocra sormontati da tegole. Dietro questi muri secoli di storia stanno dormendo dolcemente. Visitiamo la casa del samurai Nomura al servizio della famiglia Maeda e siamo subito trasportati nel periodo Edo lontano dai rumori della città. Questa sofisticata residenza ha un bellissimo giardino con alti alberi e perfino una cascata che si getta in uno specchio d’acqua ricco di carpe. Ci colpisce l’architettura raffinata di questa dimora, le pitture sui muri e i soffitti decorati meravigliosamente nelle numerose stanze che svelano il ritmo di vita del ricco samurai. Entriamo in un’antica farmacia giapponese, la Shinise Kinenkan dove al piano superiore vendono prodotti tipici. Ci viene la voglia di assaggiare qualche dolce giapponese specialmente gli wagashi, tradizionali dolcetti giapponesi che vengono serviti col tè verde. Un discorso a parte richiedono i dolci giapponesi che non sono come i nostri dolci perché gli ingredienti sono costituiti da pasta di fagioli rossi (azuki), pasta di riso, farina di soia, semi di sesamo nero, estratto di alghe col risultato che sono dolci molto leggeri e … poco dolci. Bisogna assaggiarli senza essere prevenuti e qualcosa che piace si trova. Il quartiere di Teramachi è ricco di templi e sorge in collina. Il Myoryu-ji situato vicino al fiume, fu creato nel 1643 come nascondiglio in caso di attacco, ha scale nascoste, camere segrete, vie di fuga, tunnel nascosti e finte porte. Viene chiamato popolarmente Ninja-dera alludendo ai legami del tempio coi ninja, che erano spie e mercenari del Giappone feudale.
Il giorno seguente l’altra città che ci attende è Takayama, “culla spirituale dei giapponesi” famosa per le case col tetto di paglia a doppio spiovente, gassho-zukuri, i templi, le abitazioni dei mercanti e la cucina. Antiche locande, vecchi negozi e distillerie di sakè hanno preservato tutto il fascino del Giappone antico. Lo stile di vita rilassato, i vivaci mercati e i santuari in collina rendono questa città una meta irrinunciabile del nostro viaggio. Alla stazione ci attende il gentile proprietario della pensione, dove abbiamo prenotato, per ritirarci il bagaglio e venirci a prendere più tardi nel pomeriggio.
Inoltre oggi, il 15 aprile, si svolge la Takayama Matsuri, la festa della primavera che inizierà alle ore 16 con la sfilata dei carri allegorici a più piani, yatai, risalenti al XVII secolo, con sculture dai colori vivaci e particolari laccati. I carri di legno sono addobbati con lanterne accese, bambole, tendine colorate, sculture dorate e la musica sacra giapponese fa da colonna sonora. Sfilano strumenti a corde simili a liuti e cetre, strumenti a fiato importati dai monaci tibetani e tamburi enormi e tanto pesanti che richiedono una prestanza fisica notevole. Le processioni partono nelle viuzze del centro e attraversano tutta la città. I residenti consegnano il loro obolo in buste bianche perché questo Festival è nato nel XVI secolo soprattutto per implorare gli dei per un buon raccolto e pace durante l’anno. Si svolge in primavera perché a Takayama, una piccola città in mezzo ai monti innevati, questa stagione simboleggia il risveglio della natura. Assistiamo a spettacoli di marionette, karakuri, che saltano e fanno acrobazie ad opera di abili artisti che le muovono per mezzo di dozzine di fili. Anche queste esibizioni sono dedicate agli dei, legate ad antiche leggende giapponesi e molto simili al famoso teatro Noh, che unisce elementi di danza, dramma, musica e poesia. Molti spettatori assistono a questo Festival e sono soprattutto giapponesi provenienti da altre regioni. La pensione dove pernotteremo è una piacevole sorpresa. E’ situata nel bosco in collina e il figlio del titolare con la moglie parlano italiano perché hanno vissuto una decina di anni nel nostro Paese dopo aver frequentato la scuola di cucina giapponese. Hanno ristrutturato questa grande casa-chalet nel bosco e preparano un menu ispirato all’Italia con prodotti locali biologici di questa regione (Hida). Prima di cena ci concediamo un bel bagno nell’onsen situato al pianoterra e, per la prima volta, possiamo chiudere a chiave e farlo privatamente noi due soltanto. Oggi questo bagno ci voleva proprio per togliere la stanchezza di tanto girovagare. Abbiamo mangiato benissimo dall’antipasto al dolce con prodotti ottimi e bevuto birra giapponese. Finalmente un pasto con ingredienti a noi conosciuti, ma con la raffinatezza giapponese.
La mattina seguente in autobus raggiungiamo Shirakawa-go, distretto dichiarato Patrimonio dell’Umanità. Questa regione montana è caratterizzata da rustiche fattorie con tetti di paglia circondate da campi di riso e i villaggi rurali furono riposizionati nella sede attuale dopo la costruzione della diga che rischiava di sommergerli. Molti sono i turisti in visita in questo periodo, ma il fascino dei luoghi resta comunque intatto. Dopo aver lasciato i bagagli nel deposito alla stazione degli autobus, iniziamo il nostro giro. Entriamo nel Gassho-zukuri Minka-en, un museo a cielo aperto, dive troviamo 26 case riposizionate qui. Un filmato ci mostra la vita dura che i contadini di questa regione avevano anche perché la neve raggiunge i due metri in inverno.
Un mulino funzionante attinge acqua perché questi villaggi erano sempre costruiti vicino ai ruscelli. Visitiamo la più grande casa Wada-ke di una ricca famiglia di mercanti di seta nel periodo Edo. Al piano superiore sono esposti gli utensili per l’allevamento dei bachi e al piano inferiore una bella collezione di lacche giapponesi rende l’idea del benessere di questa famiglia. Un’altra casa Nagase-ke era quella dei medici come vediamo dagli strumenti di medicina esposti. La grande casa Kanda-ke è invece vuota e permette così di ammirare l’architettura interna. In un’altra casa vediamo gli utensili della famiglia esposti, finimenti dei cavalli, slitte, bracieri e madie. Adesso il villaggio ricostruito è idilliaco, ma queste case raccontano la storia della vita dura e della cultura di un tempo antico. Questo luogo ci offre la possibilità di immaginare come fosse la vita quotidiana su queste colline nei secoli scorsi. In grandi magazzini veniva conservato il riso che serviva per il pagamento delle tasse. Ci spiegano che le case tipiche hanno tetti di paglia a doppio spiovente per reggere le forti nevicate in inverno e in genere sono retti da pilastri in cedro per maggiore stabilità. Il sotto-tetto era adibito all’allevamento dei bachi da seta, altra risorsa della zona.
Raggiungiamo il villaggio di Ogi-machi attraversando un ponte sospeso sul fiume Shokawa. Questa località, dichiarata Patrimonio dell’Umanità, ha una popolazione di 600 abitanti e conserva oltre 110 edifici gassho-zukuri circondati da piccole risaie e da orti fuori casa. Sono stati aperti locali e negozi di souvenir perché la regione ha un posto speciale nel cuore dei giapponesi. Questo villaggio è comunque uno spaccato autentico di vita rurale in Giappone. Noi pernotteremo in un ryokan. Sono locande tradizionali, hanno un numero basso di posti letto e le pareti sono di carta di riso e porte scorrevoli mentre sul pavimento di legno un tatami di paglia completa l’arredamento minimalista. Il “letto” consiste nel futon arrotolato nell’armadio. Gli ospiti girano in abiti tradizionali: gli uomini indossano uno yukata (kimono leggero di cotone) e le donne un semplice kimono e gustano la classica cena servita su un basso tavolino con tante ciotole e piattini. Noi abbiano già fatto “pratica” quando abbiamo cenato al monastero sul monte Koya. La tradizione vuole che un pasto sia caratterizzato da un menù fisso con pietanze servite in piccole porzioni. Gli ingredienti sono stagionali e freschi. Ci vengono servite una decina di porzioni tra cui zuppa di miso, sashimi, pesce crudo, vegetali crudi e in salamoia e un dessert. Ogni piatto è preparato secondo una tecnica diversa, in salamoia, crudo, alla griglia, fritto, a vapore, per cui si ha modo di apprezzare i sapori degli ingredienti originali.
In questa regione ci sono diversi onsen e prima di cena sera ci godiamo un ristoratore bagno all’aperto con sauna. Gli onsen sono l’equivalente delle nostre terme. Fonti termali naturali di acqua caldissima e ricca di minerali, che sgorga dalla terra vulcanica giapponese. Furono citati nelle leggende sin dalla fine del VII secolo. I giapponesi hanno trasformato il semplice gesto del bagno in un rito di benessere, quasi una religione da condividere tutti insieme. Toglie la fatica e dona benessere, ma bisogna non sciacquarsi subito per lasciare i minerali sulla pelle.
Terminato il nostro soggiorno nell’antica regione Hida montuosa e suggestiva, il giorno seguente ritorniamo in treno a Tokyo per i nostri ultimi giorni in Giappone. In Italia avevamo prenotato una guida in italiano sul sito dell’Ufficio del Turismo Giapponese e il 18 aprile alle ore 9.00 la signora Sayako Koike è venuta a prenderci in albergo. Il servizio è gratuito e termina alle h 16.00. Noi le paghiamo molto volentieri il biglietto giornaliero della metropolitana di Yen 600 valido 24 ore e il pranzo. A suo tempo ci aveva proposto un itinerario che avevamo confermato adattandolo ai nostri interessi. Nel quartiere storico Asakusa si trova il tempio buddista Senso-ji che custodisce la statua dorata della dea Kannon trovata da due pescatori nelle acque del fiume nel 628 d.C. La statua però non è esposta al pubblico. Attraversiamo la Porta del Tuono, Kaminari-mon, e ci troviamo sulla via Nakamise dove si trovano bancarelle con oggetti di artigianato. A sinistra dell’ingresso si trova la celebre pagoda a cinque piani più fotografata a Tokyo. Per accedere al Tempio si sale una scalinata sulla quale i devoti s’inchinano e battono le mani secondo il rituale. Sull’altare sono appesi i bigliettini dei desideri dei fedeli. Poi davanti al grande braciere compiono riti di purificazione perché, secondo la tradizione, il fumo dell’incenso dona buona salute. Dalla terrazza del Centro di Cultura si può vedere in prospettiva il tempio Senso-ji attraverso il tronco di un albero potato appositamente. Entriamo in un ufficio turistico e saliamo in ascensore ai piani alti per ammirare il panorama di Tokyo di giorno dove svetta coi suoi 634 m. l’imponente Tokyo Sky Tree, torre per telecomunicazioni. A piedi arriviamo al ponte Azuma sul fiume Sumida che attraversa Tokyo. E’ di un bel colore rosso brillante e fu costruito nel 1931.
Riprendiamo la metropolitana per spostarci nel quartiere di Ueno, ultima roccaforte dall’atmosfera antica. Attraversiamo il parco pubblico famoso per essere il luogo migliore per godere lo spettacolo della fioritura dei ciliegi. Sembra che ce ne siano circa 8000 in tutto. Sul grande viale i rami degli alberi formano un tetto di petali rosa e foglioline verdi e lo spettacolo è garantito. In cima a una piccola collina scorgiamo il tempio buddista Kiyomizu-Kannondo suggestivo immerso nel verde. Più avanti troviamo il santuario scintoista Toshogu, noto come “Tempio d’oro” perché decorato con lamine d’oro. L’edificio risale al 1651 ed è miracolosamente sopravvissuto a terremoti, incendi e alla guerra. Purtroppo oggi è chiuso al pubblico e non possiamo visitarlo. Ci accontentiamo di ammirare il grande portone interamente ricoperto da foglie d’oro, le pareti rosse e oro, il corridoio che corre sui tre lati e il doppio tetto che ci dicono siano caratteristiche architettoniche del periodo Edo. Nel parco troviamo anche 48 lanterne di bronzo e 200 di pietra che fanno da cornice ai lati di un viale. Un tranquillo giardino con ingresso a pochi Yen ci permette di ammirare peonie fiorite in mille sfumature. Un paradiso di colori e profumi curato da esperti giardinieri giapponesi. Altro punto interessante è lo stagno Shinobazu in gran parte coperto da un letto di fiori di loto. E’ un oasi invernale per gli uccelli migratori e l’isola centrale ospita il santuario dedicato alla dea della felicità Benzaiten o Benten.
Sulla riva dello stagno ci sono alcuni monumenti di granito: la nostra attenzione è attirata da quello dedicato agli occhiali che neppure la nostra guida ci ha saputo spiegare. Una serie di torii (portali) rossi, che formano una linea unica, conduce ai piccoli santuari Hanazonoinari, che protegge dalle malattie e Gojoten-jinjya, che porta fortuna in amore e in affari. Ci fermiamo per il pranzo a base di ottimo sushi in un piccolo locale dove parlano soltanto giapponese e dove due cuochi dietro un bancone preparano sotto gli occhi dei clienti le pietanze. Abbiamo gustato il miglior sushi mai mangiato prima, accompagnato da una zuppa di vongole.
In metropolitana ci spostiamo a Omotesando, un largo viale alberato a due corsie coi caffè e locali all’aperto che ci ricorda molto un quartiere parigino. In fondo a questo viale troviamo sulla destra un enorme portale (torii) in legno. Attraversandolo ci troviamo nel territorio del Meiji-jingu, il più maestoso santuario scintoista in legno di cipresso immerso in un bellissimo parco. L’area è una foresta sempreverde di migliaia di alberi donati dal popolo giapponese quando il santuario fu edificato nel 1920 e ricostruito dopo la guerra nel 1958. Camminiamo nel parco tranquillo e lussureggiante. Lungo il percorso troviamo un’esposizione di decine di barili di sakè e poco più avanti barili contenenti vino di Borgogna donati al santuario nel corso degli anni. Questo parco è un’isola di pace in pieno centro città, usato sia come luogo di culto che come spazio per passeggiare e rilassarsi. Lo scintoismo ama il rapporto con la Natura e per questo motivo i santuari sono sempre immersi in paesaggi piacevoli. Da qui si arriva al famoso incrocio di Shibuya, l’attraversamento pedonale celebre per la quantità di persone che lo attraversa a tutte le ore dalle quattro direzioni senza scontrarsi mai. La curiosità è che negli incroci i giapponesi tracciano le righe pedonali in obliquo senza dover attraversare in ogni singola via. Lasciamo la nostra guida giapponese verso le ore 16.00 dopo un buon caffè insieme, scattando foto per immortalare l’incontro. E’ stata molto carina e gentile. Con lei abbiamo visto molto di Tokyo guadagnando tempo negli spostamenti.
Ritornando al nostro albergo ci fermiamo a Ginza che è il quartiere dello shopping. Un po’ sofisticata e un po’ snob, si può curiosare in vetrine, gallerie d’arte e musei di grafica e design. Curiosiamo qua e là e ci imbattiamo nel Sony Building che espone gli ultimissimi gadget e aggeggi elettronici alcuni non ancora in commercio che gli appassionati possono toccare e provare. Il Leica Ginza Salon invece è una bella galleria fotografica che espone lavori di fotografi emergenti e di professionisti affermati.
Riassumendo l’esperienza del nostro viaggio in Giappone possiamo dire che in Giappone si sente ovunque la presenza della natura che è apprezzata e rispettata da tutti. In primavera la tanto attesa fioritura dei ciliegi (hanami) è sempre festeggiata dai giapponesi e richiama molto turisti. “Hanami” è l’usanza di andare ad ammirare gli alberi in fiore soprattutto i ciliegi. Tutti gli anni gli abitanti di Tokyo in primavera si radunano per un picnic sotto gli alberi fioriti ad ammirare lo spettacolo: i petali cadono e formano un tappeto rosa e la sera sono illuminati dalle tradizionali lanterne. Nei giardini i sentieri sono tinti di rosa o bianco e i boccioli galleggiano sull’acqua dei laghetti. L’inebriante fioritura di susini e ciliegi segna l’inizio del momento di rinascita e della celebrazione della natura e dell’uomo.
L’artigianato è ancora vivo: la fabbricazione della carta ha una storia che risale a 1300 anni fa, la produzione di spade risale al tempo dei samurai e oggi si creano coltelli da cucina famosi nel mondo e la seta giapponese stampata o dipinta a mano sono i simboli della tradizione.
Per assaporare l’anima di un Paese la cosa migliore è il cibo. Per scelta noi abbiamo gustato la cucina giapponese e, per la verità, a volte senza sapere esattamente cosa mangiavamo, ma comunque raffinata e leggera. Per iniziare a scoprire la grande varietà della cucina giapponese si può stare nei dintorni delle stazioni ferroviarie o nei centri commerciali perché in questi luoghi i locali offrono piatti tradizionali a prezzi molto accessibili. Le ottime condizioni igieniche, gli ingredienti freschissimi, la presentazione accurata dei piatti/ciotole fanno della cucina giapponese una delle più ricercate al mondo. I menu sono fotografati o espongono persino le riproduzioni in plastica dei piatti che, per noi che non conosciamo il giapponese, sono molto utili. Non si mangia soltanto tempura, sushi e sashimi, ovviamente migliori di quelli che troviamo in Italia, ma piatti di verdure e pesce con alghe e funghi dal sapore particolarmente delicato. I soba sono tagliolini di grano saraceno e gli udon sono preparati con farina di grano serviti in brodo o conditi con salse diverse. Per inciso, quando si gusta una ciotola di ramen, lunghissimi tagliolini in brodo fatti a mano, occorre sorbirli rumorosamente per mostrare il nostro apprezzamento.
Gli Izakaya sono birrerie in stile giapponese con cucina semplice, i cui prezzi sono molto accessibili e rimangono aperti fino a notte inoltrata. Al termine del lavoro i manager giapponesi si recano lì per mangiare qualcosa e bere birra o sakè, socializzando e parlando del più e del meno. Anche noi abbiamo provato scegliendo però la saletta “non fumatori” e abbiamo mangiato molto bene. Per inciso è proibito fumare in strada e quindi hanno creato delle sale per fumatori, vere camere a gas, nelle stazioni e nelle metropolitane dove chi fuma può rinchiudersi e sfogarsi. Le pareti di vetro opaco lasciano intravvedere le sagome dei fumatori.
Secondo noi non si deve mancare di assistere alla cerimonia del tè del buddismo zen. Come gli ideogrammi e il buddismo anche il tè arriva dalla Cina. All’inizio lo bevevano soltanto i monaci buddisti come medicinale, poi fu scoperto dalla gente comune alla fine del XVI secolo. In seguito i maestri del tè fondarono una scuola nel XVII secolo per preservare questa tradizione in futuro. Il rito è molto formale e può durare a lungo. Gli ospiti entrano nella sala da tè e, dopo aver consumato qualche dolcetto, wagashi, fatti con ingredienti naturali estratti da piante, bevono una tazza di tè forte, koicha, e una di usucha, tè leggero. Alle pareti rotoli dipinti, fiori disposti con eleganza (ikebana)e gli utensili da tè usati dal maestro con bravura rendono questo rito molto suggestivo anche se molto lento.
Il nostro tour in Giappone è terminato e siamo molto soddisfatti del viaggio. Se chiudiamo gli occhi e pensiamo al Giappone vediamo geisha, giardini in fiore e giardini zen curatissimi, treni ad alta velocità efficienti e città supermoderne, ma arrivando in Giappone si è travolti soprattutto dall’originalità del Paese. Suoni e odori sono diversi, quello che scorre dal finestrino di un treno ad alta velocità rivela un mondo alternativo fatto di felici contrasti: città moderne con grattacieli di acciaio e vetro e villaggi pittoreschi formati da casette di legno. La contrapposizione di modernità e tradizione millenaria è forse il fascino segreto di questo Paese.
Malgrado la densità della popolazione tutto è pulito: strade, bagni pubblici, treni e stazioni. Credo che la precisione e la pulizia sia nel DNA del popolo giapponese. E’ risaputo che hanno creato un WC con l’asse riscaldata a diverse temperature e con un sistema di bidet incorporato per lavarsi e per guadagnare spazio. Sarebbe il caso di commercializzarlo in Paesi che non conoscono il bidet … I treni sono perfettamente in orario e una volta ci hanno avvisato che, a causa del vento sulla linea, avrebbero avuto un ritardo … si è trattato di tre minuti! Durante il nostro tour a volte abbiamo chiuso i nostri bagagli negli appositi armadietti alla stazione per comodità di movimento. Penso che tanto rigore e organizzazione derivi dalla loro ricerca dell’armonia in ogni cosa e si sa che la pulizia e l’ordine esterni sono legati alla spiritualità dentro ognuno di noi. E’ una civiltà complessa, ermetica e incomprensibile. Non sanno dire di no, non si sa se per cortesia o per cultura, ponderano prima di rispondere e sembra che scelgano le parole per non scontentare l’interlocutore. La cosa più difficile è capire i giapponesi. Non è soltanto un fatto di lingua, quando non si comunica in inglese, ma di mentalità. La gentilezza nei comportamenti è la prima cosa che notiamo: cedono il passo e si mettono in file ordinate ovunque, non parlano molto e non alzano mai la voce, ma sono socievoli e in compagnia ridono spesso. Si fermano e aiutano il turista in difficoltà, arrivando persino ad accompagnarlo alla meta. I taxi hanno le portiere che si chiudono automaticamente e i rumori anche nelle città sono ovattati. L’inchino è il saluto classico, mai stringere la mano. Forse dipende dalla loro sensibilità ermetica, dove le parole non sono necessarie. Un chiaro esempio sono le concise poesie giapponesi (haiku) composte soltanto da tre strofe, ma dal significato profondo. Se qualcuno pensa che la cultura occidentale abbia contaminato il Giappone deve ricredersi perché l’anima profonda di questo popolo ha continuato a vivere secondo le sue tradizioni adattandole alla realtà, fondendo passato e presente nella cultura giapponese odierna e progettando il futuro. Tra l’altro quest’anno si festeggiano i 150 anni del “Trattato di amicizia e commercio” tra Italia e Giappone con un ricco programma di manifestazioni in molte città italiane. Stupisce che il Giappone, capace di costruire robot, sia ancora legato alle tradizioni più antiche in un contesto dove il tempo sembra essersi fermato. Ma forse in questo risiede la grandiosità della cultura nipponica. E’ un Paese certamente molto intrigante da visitare più volte per conoscerlo meglio.