Fly and Drive in California e West Usa

Un tour tra città e natura
Scritto da: paolof
fly and drive in california e west usa
Partenza il: 08/10/2011
Ritorno il: 23/10/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Partenza il giorno 8 ottobre per quindici giorni nel west degli Usa. Viaggio preparato con cura da circa un anno, già prenotati l’auto a noleggio e i pernottamenti (tramite naar, ottimo servizio!). Viaggio di andata con Air France (anche se il biglietto acquistato è Delta Airlines), volo Pisa-Parigi e poi Parigi-San Francisco per un totale di circa 15 ore. Il volo transatlantico è lungo ma non spiacevole, l’aereo ben attrezzato (ognuno ha un video su cui può vedere film in libertà, anche in italiano, io mi faccio alcuni classici come La vita è bella, Nuovo cinema Paradiso e Divorzio all’italiana), bellissimo il panorama in volo della Groenlandia (peccato non essere seduti vicino al finestrino). Arrivo a Frisco alle 13 locali, veloci formalità doganali e ritiro bagagli, poi prendiamo la rete Bart per il centro città (l’auto la ritireremo solo il terzo giorno), al prezzo di 8 dollari a testa. Il nostro albergo è in Union Square, il famoso e storico Westin St Francis: stanchi morti (sarebbero le due di notte sul nostro fuso orario), andiamo dritti a letto e ci svegliamo prestissimo la mattina dopo, domenica, per uscire alle prime luci del giorno. Alle 7,30 siamo praticamente soli in strada e ci godiamo come primo approccio lo sferragliare dei cable-car sulle famose ripidissime strade della città. Diamo un’occhiata alla city, deserta visto il giorno e l’ora, alla Transamerica Pyramid, al quartiere italiano e ci dirigiamo verso Lombard Street per ammirare, fotografare e filmare la strada più tortuosa del mondo. Nel frattempo la città si sta animando soprattutto di turisti, raggiungiamo il mare e ci soffermiamo a vedere le manovre manuali per invertire il senso di marcia dei vagoni dei cable-car, poi girovaghiamo per i moli e in particolare restiamo a lungo a vedere i leoni marini al Pier 39. Alcatraz incombe davanti a noi, ci informiamo per la visita ma è tutto pieno anche per il giorno successivo che scopriamo essere festivo (Columbus day), e ci rammarichiamo di non avere prenotato dall’Italia come consigliato da tutte le guide. Nel frattempo la zona si anima sempre più e scopriamo che nel primo pomeriggio è prevista una manifestazione aerea; il cui clou è l’esibizione dei “blue angels”, equivalenti alle nostre frecce tricolori. Mangiamo su una bancarella, e restiamo in zona per vedere lo spettacolo mentre passeggiamo verso il rosso “Golden Bridge”. Torniamo poi verso la città attraversando Nob Hill e Chinatown, e rientriamo in albergo per poi uscire a cenare in un anonimo ristorante cinese.

La mattina dopo pioviggina e il maltempo ci accompagnerà tutto il giorno rovinandoci il programma stabilito (ma consolandoci per il mancato giro ad Alcatraz, visto che la baia è immersa nella nebbia). Riusciamo a vedere la cattedrale di Saint Mary (niente di che..), ci rifugiamo al Japan Centre per sfuggire alla pioggia incessante e fare colazione in un ambiente interessante (luogo di incontro e di vita della comunità nipponica locale), riusciamo a vedere le affascinanti “six sisters” (case vittoriane) di Alamo square, poi rientriamo verso l’albergo e ci facciamo un bel giro da Macys per alcuni acquisti e un pranzo veloce a base di “clam chowder”, la classica zuppa di granchio californiana. La sera decidiamo di andare a vedere il quartiere di Castro (per la prima volta prendiamo la rete metropolitana Muni, finora eravamo sempre andati a piedi) e ceniamo da “Harvey’s”, locale a suo tempo frequentato dal leader della comunità gay interpretato da Sean Penn nel bel film “Milk”: forse non è più un ambiente trasgressivo come qualche decennio fa, ma merita comunque una visita. È la nostra ultima sera a Frisco, purtroppo ci siamo persi qualcosa (in particolare Mission e Haigh-Ashbury) ma pazienza…

Martedì mattina di buon ora siamo a ritirare l’auto all’agenzia Alamo di O’Farrell Street, a due passi dall’albergo. Abbiamo acquistato la formula “Gold”, più cara ma completa di tutto, e il navigatore satellitare; il personale è cortese, anche se ovviamente cercano di rifilarci un modello più grande e costoso che rifiutiamo. Prendiamo quindi la nostra Hyundai Accent e partiamo, raggiungendo velocemente l’autostrada in direzione sud e abituandoci gradatamente al cambio automatico, alle miglia e ai limiti di velocità, in realtà non così bassi come si dice: in genere 75 miglia sulle autostrade e 65 sulle superstade (rispettivamente 105 e 120 km), mentre ci sono limiti davvero bassi (anche 15 miglia) solo nelle aree urbane, nei parchi naturali e nelle zone scolastiche, e vengono rispettati da tutti. Il tempo è ancora incerto ma migliora nel corso della giornata, quando raggiungiamo la costa per ammirare Monterey e Pacific Grove (purtroppo le farfalle non sono ancora arrivate e ne vediamo solo pochissimi esemplari), oltre alla meravigliosa costa oceanica con annessa fauna: pellicani, cormorani e gli onnipresenti leoni marini. Il pernottamento è a Morro Bay, in un bellissimo lodge vista mare (Inn at Morro Bay), per cena ci facciamo un “fish and chips” , e la mattina dopo veniamo svegliati dall’ “abbaiare” dei leoni marini, e affacciandosi alla finestra li vediamo nuotare pacificamente a pochi passi da noi: fantastico!

È mercoledì, c’è il sole che non ci abbandonerà più per tutto il resto della vacanza. Ripartiamo da Morro Bay e ci cimentiamo senza particolari problemi con il primo rifornimento di benzina. Bisogna pagare in anticipo, ma il costo del carburante è decisamente conveniente rispetto ai nostri standard, circa la metà. Ancora direzione sud, destinazione Los Angeles.

La strada è abbastanza monotona, e facciamo qualche sosta sperimentando i supermercati americani, sempre ben forniti e a prezzi convenienti. Una sosta a Santa Barbara, poi attraversiamo Malibù e raggiungiamo Santa Monica. Siamo decisamente fuori stagione e la spiaggia è poco affollata, ma passeggiamo volentieri nei dintorni del luna park, poi andiamo a cercare l’albergo prenotato e ci imbattiamo nel primo maxi ingorgo delle famose “freeways” di L.A. L’hotel è extra lusso per i nostri canoni, e soprattutto carissimo è il garage, comunque siamo a Beverly Hills e non possiamo fare i pidocchiosi!

Per cena raggiungiamo forse l’unica isola pedonale della città, la 3th street di Santa Monica, e passiamo una piacevole serata californiana.

È giovedì e il programma è tutto cinematografico: Hollywood e gli Universal Studios (questa volta il biglietto lo abbiamo già acquistato on line prima di partire dall’Italia!!). A Hollywood troviamo addirittura da parcheggiare gratis, e ci facciamo a piedi la walk of fame con le stelle dei divi, scorgiamo in lontananza la scritta Hollywood sulla collina, ci vediamo le impronte dei divi (con foto di rito a quelle di Sofia Loren e Marcello Mastroianni), gironzoliamo un po’ in giro e poi ce ne andiamo per raggiungere gli Studios. Qui sembra di essere in una Gardaland a sfondo cinematografico, ma comunque passiamo una bella giornata. Molto gradito il giro con pulmino per vedere i set cinematografici (abbiamo fatto il tour in spagnolo ed era molto meno affollato e quindi più comodo): molte sitcom americane a noi sconosciute, ma anche film noti come Lo squalo, Psycho, Jurassic Park o la serie di Jessica Fletcher… Abbiamo poi visto praticamente tutti gli spettacoli, e quelli che ci sono piaciuti di più sono Shrek 3D, Animal actors e Terminator, mentre il consiglio se volete vedere Water world è di non sedersi nelle prime file: c’è anche un avviso ma noi l’abbiamo visto troppo tardi e ci siamo inzuppati tutti… La sera ancora a cena in zona Santa Monica, e la mattina dopo un rapido giro alla zona residenziale di Beverly Hills e poi via sulle freeways verso il deserto.

Il paesaggio cambia rapidamente e iniziamo a trovare appunto molte zone desertiche e lunghe strade dritte circondate dal nulla. Con una breve deviazione raggiungiamo Rengsburg, piccola “ghost city” che a mezzogiorno di un venerdì di ottobre è proprio un paese fantasma. Vediamo il saloon e altri edifici d’epoca, e anche se probabilmente nei week end il paese si trasforma in un mercatino di antiquariato, nella pace odierna sembra decisamente di essere tornati all’epoca della corsa al west. Proseguiamo per la nostra meta odierna che, non avendo potuto trovare alloggio nella Death Valley, è la piccola cittadina di Lone Pine, apparentemente anonima ma che poi scopriamo essere location di moltissimi film western e non, per la bellezza e l’impervietà del paesaggio che la circonda. Il piccolo museo del cinema contiene molti cimeli, e merita una visita. Ambientazione cinematografica anche al Mt Whitney restaurant, dove ceniamo accanto alla gigantografia di John Wayne. Ottimo l’albergo, il Best Western Frontier. Durante la giornata abbiamo avuto modo di scoprire la realtà delle cittadine americane, in cui le zone residenziali sono un agglomerato di case tutte uguali molto diverse dal nostro concetto di area urbana: non una piazza, un vero e proprio centro, e nessun negozio e servizio, che sono tutti concentrati in grossi centri commerciali alla periferia. Inevitabilmente la gente si sposta solo in auto e, a parte le principali città, in due settimane non abbiamo praticamente visto nessuno attraversare la strada a piedi!!

Al sabato mattina partiamo per la valle della morte, ovviamente con un bel pieno di benzina. Il paesaggio si fa sempre più arido e spettrale, prima si superano le montagne poi si scende nella valle vera e propria che arriva fin sotto il livello del mare. Si dice sia il posto più caldo del pianeta, ma è ottobre e si arriva “appena” a 40 gradi. Molte soste per le foto di rito, mangiamo qualcosa a Furnace Creek dove è in atto addirittura una gara ciclistica amatoriale, poi proseguiamo per lo spettacolare Zabriskie Point e nel pomeriggio ci muoviamo in direzione Las Vegas dove arriviamo verso le 19. Abbiamo la prenotazione al Planet Hollywood, enorme hotel-casinò, il parcheggio è molto lontano dalla reception ma sarà un ottimo punto di riferimento perché quando rientreremo nella notte sarà l’unico modo per ritrovare la strada della nostra camera. La città è assurda e surreale, comunque vediamo le principali attrazioni dalle fontane del Bellagio alle gondole del Venetian, al vulcano del Mirage dove mangiamo al buffet: ottimo, abbondante ed economico. In giro molta gente, sempre musica ad alto volume, nelle strade un continuo offrire volantini con numeri telefonici di prostitute. Un ulteriore giro dopo cena e poi a letto.

Domenica, via da Las Vegas per un’attrazione molto molto più emozionante: il parco nazionale dello Zion. Entriamo nello Utah (c’è una differenza di un fuso orario, passiamo dall’ora del Pacifico a quella delle Montagne Rocciose), e verso mezzogiorno siamo all’ingresso del parco dove lasciamo l’auto al centro visitatori e prendiamo una delle comode navette che ci consentiranno di arrivare nei punti più panoramici e suggestivi. Il parco è affollato ma c’è comunque modo di passeggiare in tranquillità, e ci facciamo diversi percorsi anche se ovviamente non molto impegnativi visto il poco tempo a disposizione. È un posto assolutamente fantastico, col senno di poi avremmo preferito stare qui per due giorni, ma purtroppo verso le 17 dobbiamo riprendere l’auto, anche perché viene buio presto (uno degli inconvenienti di ottobre, anche se il tempo continua ad essere magnifico). Ottima sorpresa è l’albergo, lo Zion Mountain Ranch subito dopo il parco in direzione est, davvero un ranch isolato, in mezzo ad una natura selvaggia, con recinti di cavalli e bufali e tante casette in legno ben attrezzate con camera, bagno, terrazza, cucina con microonde, riscaldamento (la notte fa freddino, siamo a oltre mille metri). C’è anche il ristorante (anche perché per molte miglia attorno non c’è assolutamente niente), e dopo cena ci facciamo una passeggiata per tornare alla nostra casetta, sotto un grandioso cielo stellato.

Al mattino dopo passeggiamo ancora nel ranch, poi ci spostiamo verso il Lake Powell, in Arizona dove arriviamo nel pomeriggio. Passiamo due notti in un lodge sul lago e visitiamo i dintorni, dalla diga sul Glen Canyon ai vari punti panoramici sul lago (artificiale ma grandioso), e soprattutto l’Horseshoe Band, spettacolare ansa del fiume Colorado con veduta mozzafiato, e l’Antelope Canyon dove arriviamo accompagnati da guide navajo che ci forniscono accurate spiegazioni anche su cosa e come fotografare, per riuscire a catturare al meglio gli spettacolari giochi di luce di questa meraviglia della natura. Pomeriggio e sera nella cittadina di Page, niente di particolare ma vediamo dal vivo i moderni indiani navajo che gestiscono varie attività commerciali convivendo serenamente con la minoranza bianca. Facciamo rifornimento di viveri al supermercato, ed un lavaggio di biancheria ad una lavanderia a gettone gestita da una signora navajo che pazientemente ci aiuta nelle operazioni. Accanto alla lavanderia c’è anche un barbiere navajo che taglia i capelli per 13 dollari: sarebbe conveniente ma non mi fido, ci tengo al mio scalpo di viso pallido (ovviamente sto scherzando).

La sera sperimentiamo le abitudini e gli orari di queste cittadine: pur arrivando a cena prima delle 20 siamo (e lo stesso si verificherà nelle sere seguenti) inesorabilmente gli ultimi a sedersi, e presto rimaniamo soli nel locale con la cameriera che ci porta il conto mentre stiamo ancora mangiando, attende impaziente il pagamento, e poi comincia a mettere in ordine il locale e fare pulizie costringendoci ad alzarci ed uscire prima delle 21!

Mercoledì mattina lasciamo il lago e in un paio d’ore arriviamo al Navajo National Monument, area protetta di importanza culturale e naturalistica. C’è un centro visitatori con la storia dei nativi americani, e con un breve percorso a piedi raggiungiamo il belvedere di fronte a Betatankin, antico villaggio scavato nella pietra che possiamo ammirare col cannocchiale. Siamo praticamente soli, e il luogo è grandioso. Scopriamo che il territorio navajo ha un orario diverso da quello dell’Arizona, quindi rimettiamo ancora l’orologio e via verso la meta forse più attesa, la Monument Valley. Ancora territorio navajo, e sembra davvero di essere in un film western. Avevo letto che per percorrere la strada accidentata (circa 25 chilometri) occorreva un Suv o una 4×4, in realtà si può fare anche con la nostra utilitaria, basta andare piano e fare attenzione soprattutto nella discesa iniziale (e salita finale). Lo spettacolo è assolutamente il più emozionante finora visto. Ovviamente facciamo moltissime foto, restiamo fino al tramonto e poi raggiungiamo l’hotel, il Goulding’s lodge, appena fuori dal parco ma con vista eccezionale specialmente all’alba. Siamo sui 2000 metri di altitudine, la sera è freddo e c’è poco da fare (anche stasera ci buttano fuori presto dal ristorante, dove non servono neanche alcoolici), giusto vedere dove (anche qui) alloggiava John Wayne quando girava i suoi film in zona.

Giovedì mattina partenza per l’altra e ancor più grandiosa meta: il Grand Canyon.

Arriviamo all’entrata est verso le 12, e sfruttiamo tutto il pomeriggio e la mattina seguente nei vari itinerari che partono dal visitor center, sfruttando le comode e frequenti navette. Il panorama è eccezionale soprattutto quando il sole cala e i colori si accendono verso il tramonto, e si resta con il fiato sospeso. Facciamo anche una breve discesa sul percorso dei muli, giusto una mezzora per poi risalire lungo il faticoso pendio. Siamo alloggiati al Maswik lodge, e nonostante l’affollamento di turisti, rientrando dopo cena siamo circondati da cerbiatti e scoiattoli.

L’ultima tappa ci riporta a Las Vegas. Ci facciamo un tratto della route 66 storica in un paesaggio quasi completamente desertico, attraversando un paio di squallide cittadine e costeggiando la ferrovia dove viaggiano mastodontici treni merci con carichi di container a due piani: ho misurato un treno lungo oltre 1,6 miglia… Tornati sull’autostrada, dopo Kingman il percorso è talmente monotono che addirittura la prima curva la si incontra dopo circa 50 chilometri! Purtroppo un ingorgo ci fa ritardare, ma comunque arriviamo verso le 20 per prendere alloggio al Luxor, albergo-casinò a forma di piramide di oltre 4mila camere… Un giro notturno in questa parte della strip che la scorsa settimana avevamo volontariamente omesso, ci guardiamo l’acquario del Mandalay Bay, il New York New York (comoda la navetta gratuita su monorotaia), e poi a letto.

Sveglia presto il sabato mattina, riconsegna dell’auto, procedure di imbarco (ce la caviamo bene anche con il check-in automatico), e volo Delta Airlines per New York: stavolta siamo vicino al finestrino e ci vediamo dodici Stati dall’alto, e l’emozionante sorvolo di Manhattan. Giusto un paio d’ore al Jfk per l’imbarco successivo, sempre con Delta, e alle 11 di domenica mattina siamo di ritorno a Pisa dopo due settimane indimenticabili.

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