Florida & New Orleans
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La Florida è uno stato perfetto per una vacanza on the road, visto che le sue dimensioni la rendono molto facile da attraversare sia da una costa all’altra (un paio d’ore possono bastare) sia da Nord a Sud (in una giornata circa). Il nostro intento è vedere il più possibile e, se riusciamo, arrivare fino a New Orleans percorrendo tutta la Gulf Coast.
In base all’esperienza di precedenti viaggi itineranti, prenotiamo solo le prime due notti a Miami e altre due nelle Keys, poi decideremo di giorno in giorno dove pernottare. Una bozza d’itinerario è già stata definita. Non ci resta che dare inizio l’avventura!
16/12/2015: MIAMI
Arrivo a Miami alle 15.30 da Malpensa con America Airlines in perfetto orario di marcia. In aeroporto il disbrigo delle pratiche e dell’Esta è abbastanza veloce e le code trovate lo scorso anno, in transito verso Cancun, sono un lontano ricordo. Al terzo piano dell’aeroporto si trova il settore Rental Cars dove ci facciamo consegnare l’auto prenotata dall’Italia (Alamo; 380€ per 15gg), accertandoci che sia provvista di navigatore e Sun Pass (indispensabile perché in alcune autostrade si può pagare solo con questa specie di Telepass). La strada verso Miami Beach, nonostante l’ora di punta, è scorrevole. Superstrade a quattro corsie e sopraelevate regolano il traffico e in meno di mezzora raggiungiamo il nostro hotel a due passi da Ocean Drive. L’Essex House Hotel (201€ a camera per due notti) è abbastanza fatiscente. Aria condizionata a paletta, moquette, colazione con piatti e posate di plastica ma personale gentile e professionale. Per abituarci al jet lag di 6 ore, facciamo un giro per Ocean Drive e ceniamo al Bolognese che per una House salad con pollo, una Caesar salad e una frittura di calamari accompagnata da due bicchieri di vino, ci presenta un conto di 90$. Capiamo che al prezzo del menù occorre aggiungere il 28% rappresentato da tasse e mancia e che a Miami rischi di spendere una fortuna anche al McDonald’s!
17/12/2015: MIAMI
A Miami solo pochi quartieri si possono visitare a piedi: la zona art déco di South Beach, Coconut Grove, Downtown e il Design District. Nelle altre zone è essenziale muoversi con un mezzo di trasporto. A sud si trovano le zone balneari, e ad ovest quelle paludose con fauna ricca e svariata. Miami Beach è sicuramente la prima delle dieci cose da vedere. La famosa spiaggia, lunga 35 miglia, che va da South Beach a Sunny Isles, è frequentata da una variegata gioventù sportiva, che ama la tintarella e predilige muscoli scolpiti. Avendo schedulato solo un giorno a Miami decidiamo di acquistare, direttamente in hotel, due biglietti per il City Sightseeing: 45$ (a ticket). Questo ci permette di ottimizzare la nostra visita e di non muoverci in macchina, visto che i parcheggi sono carissimi. Abbiamo a disposizione tre circuiti, spendibili in due giorni, per un totale di 5 ore, se non si scende mai dal pullman. Noi saltiamo il tour proposto dalla Purple Line, quello al Seaquarium per mancanza di tempo. I bus passano nelle relative fermate ogni trenta minuti e sono provvisti di simpatiche guide che illustrano i vari quartieri. Prendiamo, vicino all’hotel, la Red Line: Art decò, South beach, Miami Beach, Bayside. Qui scendiamo per una limonata fresca seduti pacificamente davanti al porto, aspettando la barca che abbiamo prenotato per il tour con Island Queen di un’ora e mezza (25$) nella baia di Biscayne, che ci porterà a Jungle Island, Fisher Island, Key Biscayne, Star Island, Palm Island, Ibiscus Island. Isole artificiali dove risiedono star e miliardari e dove le spese condominiali si aggirano intorno ai 250.000$ l’anno. Da qui si può ammirare un fantastico skyline di Miami.
Riprendiamo il City Sightseeing, la Blue Line, per passare davanti al Vizcaya Museum, Coconut Grove, Coral Gables, Little Havana. Qui scendiamo per un late lunch da “La esamina della fama”, ristorantino caratteristico, modalità self service, personale cordiale, vecchio cantante cubano ma caro per la tipologia di locale. Cibo da osteria, prezzi da 3 stelle Michelin! Passiamo la fase digestiva girellando per le due vie principali: SW 8th Street e Cale Ocho. Qui si respira la cultura cubana: musica, colori, cibo, giocatori di domino, murales.
Il tour ci permette di godere della tranquillità di Coconut Grove e Coral Gables, quartieri immersi nel verde con le classiche villette americane con prati all’inglese senza recinzione. Torniamo a South Beach con la Blue Line, venendo inghiottiti dai grattacieli di Down Town. Passeggiata per Espanola Way e Lincoln Road, vivaci e piene di negozi. Cena di pesce da Altamura. Buono ma caro per due main courses, un’insalata e due bicchieri di vino (135$).
18/12/2015: ISLAMORADA – KEYS
Lasciamo Miami dando un ultimo caloroso sguardo alla bianca e immensa spiaggia di Ocean Drive dove gli sportivi impazzano facendo jogging o skateboard, pattinando o sfruttando le palestre a cielo aperto e i campi da beach volley.
Lungo il percorso per le Keys decidiamo di fermarci al Biscayne National Park. L’entrata del parco presso il Dante Fascell Visitor Center si trova a Homestead, a meno di un’ora di macchina da South Beach, lungo la Florida Turnpike. Questo è il Convoy Point, dove si possono trovare varie imprese di noleggio d’imbarcazioni, un museo e il Jetty Trail, un sentiero di circa 400 metri da percorrere per avere una stupenda vista della Biscayne Bay fino a Elliott Key, l’isolotto più a nord delle Florida Keys, che si estendono a sud per circa 259 chilometri.
Percorriamo la piacevole discesa verso sud, con il tempo in cambiamento e un vento potente. Le 113 isole sabbiose ricoperte da mangrovie ci accompagneranno una dopo l’altra, ponte dopo ponte, durante tutto il tragitto.
Il cielo coperto non ci permette di apprezzare appieno le acque turchesi che si estendono a perdita d’occhio a destra e sinistra ma il colore acquamarina e la sabbia bianca non lasciano dubbi sulla spettacolarità che avrebbe il paesaggio se baciato da qualche raggio di sole.
Arriviamo a Islamorada nel primo pomeriggio e dopo un pranzo veloce allo Smugglers Cove, il motel dove passeremo la notte, perlustriamo la zona fino a Marathon. Lungo la strada ci fermiamo al Robbie’s Marina, ben più di una semplice banchina per le imbarcazioni, in quanto ospita un pacchiano mercatino delle pulci e un vivaio di mare per tarpioni enormi che vengono sfilettati davanti ai nostri occhi e i cui resti vengono gettati in mare per soddisfare l’ingordigia di pellicani affamati. Il tutto è costruito con legname di recupero trasportato a riva dalla corrente.
La seconda tappa è Anne’s Beach, definita una delle più belle spiagge della zona. Rimaniamo un po’ perplessi ricordando l’enorme estesa di sabbia bianca di Miami ma diamo la colpa all’altra marea che sicuramente è causa di quella sottile riga di sabbia che riduce la spiaggia ad uno spazio quasi impraticabile.
Marathon si trova giusto a metà strada tra Key Largo e Key West e presenta grandi centri commerciali e poche migliaia di abitanti. Anche qui, la pesca è l’attività più diffusa e si vedono più lenze che turisti. L’ora del tramonto è vicina e sfruttiamo l’ultima luce per restare incantati dalla preziosa Sombrero Beach, classica spiaggia con palme e sabbia bianca. Dicono che sia anche una delle poche senza mangrovie delle Keys. Infatti, chi viene qui con l’aspettativa di trovare belle spiagge dove crogiolarsi al sole, rimarrà un po’ deluso, sebbene tutto il resto ne valga assolutamente la pena.
Lungo la strada del rientro ceniamo da Bayside Gourmet, una tipica trattoria locale con aria condizionata a mille e servizio take away. Popolata da gente del posto e con ottime recensioni su Tripadvisor, offre piatti tipicamente e pesantemente americani.
La suite che abbiamo riservato allo Smugglers è spaziosa ed accogliente. Si affaccia sul grazioso porticciolo che ospita chiatte e piccole imbarcazioni.
Ci fermiamo per l’ultimo drink nel bar sottostante, gestito da un’arzilla signora che s’intrattiene e versa da bere agli ospiti della serata, tutti molto bizzarri, dall’armadio di duecento chili allo smilzo dal lungo capello grigio e il naso aquilino, alle ragazzine poco più che diciottenni che trangugiano un cocktail dopo l’altro. Tutti conversano con tutti, come se si conoscessero da una vita, anche si sono visti da cinque minuti. È questo il bello della popolazione del posto, sempre con il sorriso e il saluto pronto, sempre ansiosi d’indicarti una strada o darti consigli e preziose informazioni.
19/12/2015: KEY WEST
Il jet lag fa ancora il suo effetto e la sveglia biologica è verso le sei. Il sole filtra prepotente tra le nuvole e ci concediamo qualche ora di sbraco in una Sombrero Beach praticamente deserta. Durerà poco perché un fronte nuvoloso spezzerà il nostro sogno di riscaldare le membra al sole.
Riprendiamo verso sud dove c’imbattiamo subito nello spettacolare 7 mile bridge, un ponte lungo 11 km, affiancato dal vecchio ponte ferroviario ora meta di pescatori e turisti. Da lì a poco si arriva al Bahia Honda State Park (4,5$) la cui maggiore attrattiva, oltre alla spiaggia (anche qui accusiamo la marea di averne mangiato una grossa fetta), è il vecchio Bahia Honda Rail Bridge, un ponte ferroviario che offre ottime vedute delle isole circostanti. Ai margini della spiaggia, sotto i gazebo di legno, si affollano famigliole che sfruttano i barbecue, gentilmente offerti dal parco, per cucinare salsicce e costate il cui profumino scatena un certo appetito. Ci accontentiamo di un sandwich al bar e percorriamo il trail delle farfalle, delle quali però non c’è traccia. Evidentemente siamo fuori stagione e loro hanno ancora le sembianze di bruchi.
Il tempo non accenna a migliorare e ci riteniamo fortunati ad essere scampati al nubifragio che evidentemente ha colpito qualche minuto fa queste zone. Il prossimo obiettivo è la ricerca dei cervi delle Keys, delle stesse dimensioni di un cane di grossa taglia. Questi cervi abitavano un tempo il continente, ma rimasero confinati sulle isole durante il processo geologico che portò la formazione di queste ultime. Per adattarsi alle condizioni del nuovo habitat, gli animali incominciarono a diminuire di dimensioni e a partorire un solo cucciolo. Non è matematico vederli, quindi ci dirigiamo verso la No Name Key, un’isola residenziale che riceve un esiguo numero di visitatori. È qui che inaspettatamente, con la coda dell’occhio, vediamo su una stradina laterale, muoversi qualcosa. È una dolce mamma con il suo cucciolo che ci guardano incuriositi e si lasciano fotografare e ammirare rendendoci eccitati come bambini. Lungo la stessa stradina ne avvistiamo altri. Saranno gli ultimi del resto del percorso.
Arriviamo a Key West verso le 16.00. Facciamo il check in all’Ibis Bay Motel, abbastanza decentrato ma a ridosso di un grazioso canale. Il motel é carino ma la stanza è molto piccola, non ce ne preoccupiamo, tanto rimarremo giusto per la notte. Riprendiamo la macchina, attraversiamo quartierini semi-deserti, delicati e tranquilli con bellissime case stile coloniale color pastello e raffinate decorazioni natalizie. In dieci minuti arriviamo in Whitehead rd. Da qui si sviluppa il centro di Key West, l’isola più splendidamente strana degli Stati Uniti. Il posto é davvero bizzarro, aperto e anticonformista. Le case caraibiche hanno un’aria così romantica e mesta che ammirandole non si può fare a meno di emettere un sospiro. Mai e poi mai avremmo pensato di fare incontri così particolari, come il numero smisurato di galli dal piumaggio incantevole che razzolano lungo le strade, i giardini, le piazze.
Tra un po’ il sole calerà e si avvicinerà il rito del tramonto festeggiato con un bicchiere in mano nella famosa Mallory Square, dove prestigiatori, acrobati, addestratori di gatti, cantanti e musicisti si contendono i vari angoli della piazza e fanno a gara per accaparrarsi il numero più alto di curiosi. Purtroppo non possiamo godere della vista di un bel tramonto perché nuvole dispettose offuscano il cielo.
Ci fermiamo al Hog’s Breath, un pub all’aperto con musica dal vivo che richiama la nostra attenzione. Ci sediamo per una birra e finiamo per consumare una discreta cena. L’allegria è alle stelle e questo pub, tipicamente americano, resterà nei nostri ricordi per la buona musica e la festosità dei suoi ospiti.
20/12/2015: KEY WEST e EVERGLADES CITY
Ci alziamo di buonora per visitare minuziosamente Key West. Il tempo continua ad essere inclemente ma almeno non piove. Percorriamo la lunga Duval Street, dove negozi kitsch, ristoranti e pub s’intervallano, proseguiamo per Whitehead rd dove visitiamo la dimora di Hemingway, una splendida casa coloniale in stile spagnolo, suggestiva e ricca di phatos. I famosi discendenti dei gatti a sei dita dello scrittore girano indisturbati per la casa e il rigoglioso giardino, accettando senza scomporsi le carezze dei turisti. Si respira un’energia particolare e la pace che vi regna non viene intaccata dall’orda di persone che si aggirano quasi invisibili nelle varie stanze, il cui arredamento è rimasto immutato. Non si fatica a comprendere come questo luogo possa essere stato fonte d’ispirazione delle opere più famose di Hemingway.
Ultima tappa al cimitero della cittadina, un labirinto gotico sinistro e affascinante, situato nel punto più alto di Key West (ben 5 mt!). Conchiglie e merletti adornano le lapidi, una attaccata all’altra per lo spazio ridotto. Quella più famosa e bizzarra riporta l’iscrizione: “Te lo avevo detto che stavo male!”.
Verso mezzogiorno ripartiamo. Prossima meta: Everglades!
Arriviamo a Everglades City, percorrendo il Tamiami Trail, dopo cinque ore. Definirla una città è un eufemismo. Belle casette in legno nei colori pastello ravvivano qua e là la monotonia di estesi e curatissimi prati all’inglese, palme e strade a quattro corsie per niente trafficate. Anche qui si respira un’aria pura e sorniona.
Soggiorniamo all’Everglades City Motel, ottimo rapporto qualità/prezzo, camera spaziosa, provvista di tutto l’essenziale, anche del ferro da stiro. Consigliato!
A Everglades City non c’è molto da fare, non esiste un centro e tanto meno negozi, quindi ci incamminiamo lungo i sentierini ai limiti dei prati e arriviamo da Camellia Street Grill dalle ottime recensioni. Il posto è molto kitsch ma si affaccia su un canale costellato di mangrovie. Si ordina alla cassa dove ti viene consegnato un numero. Scegliamo pesce alla griglia, ma ancora una volta rimaniamo delusi dal riscontrare che la qualità della cucina italiana, che in maniera semplice riesce ad esaltare i gusti di qualsiasi cosa, non ha rivali. Il riso che accompagna un pesce completamente insapore, è una poltiglia collosa che mal si amalgama con la banana fritta e il brodino di fagioli neri.
21/12/2015: EVERGLADES NATIONAL PARK
Le previsioni meteo per nostra gioia cannano, solo qualche nuvola bianca e pannosa sporca il cielo terso. Dopo una pessima colazione al bar a una ventina di metri dal motel (confezione di cereali con un dito di polvere e scaduta da sei mesi, cameriere sgraziate e corrucciate, fetta di prosciutto immangiabile e toast in ritardo clamoroso), ci dirigiamo verso il porticciolo dove un ranger di Captain Jacks ci attende su un overboat per uno spassoso e spettacolare giro tra i labirinti di mangrovie delle Everglades. Il tour dura un’ora e anche se l’attrazione è molto turistica, i 30$ cad risulteranno ben spesi. Volendo provare l’ebrezza di un giro in canoa con guida, ci fermiamo all’entrata del parco delle Everglades ma qui noleggiano kayak solo a persone esperte. Meglio evitare… Ci sono anche molti tour per le 10.000 Islands ma a noi rimane il pallino di fare un qualcosa in autonomia. Facciamo un ultimo tentativo da un Kayak Rental lungo la strada ma la cifra che sparano per quattro ore di kayak con guida, insieme ad altre 5 persone, è improponibile (115$ cad).
Rinunciamo e ci orientiamo su qualcosa di più accessibile al nostro portafoglio. Alla Shark Valley noleggiamo due bici (9$ all’ora cad) e non potevamo prendere decisione migliore. Una pista ciclabile lunga 27 km è l’unica cosa che ci separa da una natura eclettica. Sembra di essere all’interno di un acquerello: ciuffi di paglia gialla, mangrovie, estesi fiumi d’erba, paludi di acqua dolce, alligatori immobili lungo la strada, cicogne, tartarughe, falchetti tutto enfatizzato da un cielo blu intenso e da spumose nuvolette bianche che sembrano accarezzare l’orizzonte. Un panorama dove la vista si perde nell’immensità. Le bici hanno un piccolo particolare: sono senza freni! O meglio, si frena pedalando all’indietro. Quindi attenzione!
Rientriamo a Everglades City seguendo il percorso alternativo Pinecrest, una stradina isolata, immersa nella vegetazione, che nella parte finale diventa sterrata. Ad un certo punto scorgiamo delle macchie nere sulla carreggiata. Ci avviciniamo e le sagome diventano orribili uccellacci che si avventano senza tregua sulla carcassa di un alligatore. Sembra di essere sul National Geographic Wild!
Soddisfatti della giornata, concludiamo con una cena a base di alligatore fritto e shrimp salad al Oyster House, dove l’ennesima cameriera, brutta come il peccato, ci parla con uno slang incomprensibile.
22/12/2015: NAPLES
Come definire Naples: la città della perfezione. Tutto è estremamente ordinato e pulito, splendide ville si nascondono educate dietro la lunghissima spiaggia bianca. Tanto verde, prati all’inglese ovunque, perfettamente curati. Ci stupiamo di non aver mai visto giardinieri all’opera, visto che per falciare tutta quest’erba occorreranno svariate ore al giorno (successivamente scopriremo che i lavori vengono fatti all’alba fino a quando il sole non diventa troppo caldo). Sul lungo Pier, file di pescatori si sfidano alla caccia del pesce più grande che puliranno in zone attrezzate di lavatoio e canne d’acqua.
Usciamo dalla città per dirigerci a Delnor-Wiggins Pass State Park, un bel parco che si estende per circa 1,5 km dalla foce del Cocohatchee River. Ha una splendida spiaggia bianca, soggetta a tutela durante la stagione in cui le tartarughe depositano le uova (da maggio a ottobre). Anche qui facciamo un incontro strano. Ci avviciniamo ad un bidone per buttare la spazzatura e sentiamo dei rumori sospetti. Lo apriamo e facciamo un balzo all’indietro. Spunta fuori un procione, meglio conosciuto come orsetto lavatore, che più spaventato di noi ci guarda terrorizzato e si dà alla fuga!
Torniamo a Naples per non perderci l’ora del tramonto, quando il cielo si tinge prima di giallo e poi di rosa mentre i delfini danzano nell’acqua piatta della baia e i pellicani si tuffano a picco alla ricerca della loro cena.
La nostra la consumeremo a ridosso del porticciolo del Fish Bone Grill, ristorantino di fronte al Quinta Inn & Suites. Buono!
Un voto otto va a questo hotel che offre ampie stanze, piccola palestra, piscina e buon servizio ad ottimi prezzi per il suo standard (100$). Unica pecca, la colazione con piatti e posate di plastica e abbastanza povera.
23/12/2015: SANIBEL – VENICE
Partiamo da Naples in prima mattinata. Sanibel è ad un’ora di distanza ma oggi inizia il periodo di ferie degli americani e le strade rischiano di essere affollate. Arriviamo sull’isola attraversando l’ennesimo, lunghissimo ponte e ci fermiamo a Lighthouse beach. Su tutta l’isola i parcheggi sono piccoli e a pagamento (4$ l’ora) e tutte le spiagge sono provviste di tavoli e panchine all’ombra, servizi igienici e docce. Sanibel è famosa per le conchiglie ma appuriamo di averne viste di più a Naples, in compenso assistiamo a una cosa più unica che rara: una famiglia di delfini si spinge quasi a riva, a una decina di metri dai nostri piedi e rimangono lì, imperturbabili e star assolute del momento, per almeno dieci minuti. Uno spettacolo unico e un’emozione mozzafiato!
Purtroppo il sole non dura molto e delle tre ore pagate al parcheggio ne sfruttiamo solo la metà. Decidiamo quindi di proseguire verso l’isola limitrofa: Captive. La natura rigogliosa e le selvagge spiagge bianche sono simili, ma questa è una zona residenziale quindi quasi priva di parcheggi pubblici. Ville spettacolari con l’accesso diretto al mare s’intravedono tra la fitta vegetazione. Anche qui tutto perfettamente in ordine, spiagge pulitissime, proprietà pubbliche ben tenute, case che sembrano state appena imbiancate (queste sono caratteristiche comuni a tutta la Florida).
Ci fermiamo per un cheeseburger e godiamo dell’ultimo pallido sole, leggendo nell’assoluta tranquillità della natura, interrotta solo dal garrito dei gabbiani.
Riprendiamo l’unica trafficatissima via che da Sanibel porta sulla terraferma e in un’ora e mezza giungiamo a Venice. È già buio e ad accoglierci ci sono le multi colorate illuminazioni natalizie che decorano i contorni di ogni casa, le ghirlande e i rami di ogni albero. Sembra che le villette si contendano il Guiness dei primati delle decorazioni più originali.
Facciamo il check-in al Ramada, ottima scelta, prenotata per strada via Booking (100$). L’hotel gode di tutti i confort; stanze ampie, piscina e gym ben accessoriato, nonché proprio quello che ci serviva…una laundry self service a disposizione degli ospiti (proprio di fronte alla nostra camera!). Con 7$ acquistiamo detergente, ammorbidente, lavaggio e asciugatura. Il tutto dura un’ora e usciamo per cena alle 21.00. Peccato che quasi tutti i ristoranti chiudano a quell’ora!
Miracolosamente, lo Sharky’s On the Pier è aperto fino alle 22.00 e godremo di un’ottima cena a base di salmone e gamberi (85$) e musica americana dal vivo. Penso che, casualmente, siamo capitati nell’unico posto con un po’ di vita di tutta Venice, visto che è una cittadina da pensionati e gente tranquilla. Alle 22.00 le luci all’interno delle case sono già spente e tutti a letto. Venice a quest’ora è una città fantasma.
24/12/2015: SIESTA BEACH
Oggi, il nostro itinerario, ci porta a Siesta Beach, a un’ora da Venice verso Sarasota. Siesta Key è la spiaggia più famosa della Florida, vincitrice per diversi anni del premio di spiaggia più bella (l’ultima volta nel 2011). Non è difficile capire il perché: è immensa! Sembra di essere nel deserto: una sabbia finissima, impalpabile, bianca, infinita: dall’inizio della spiaggia al mare bisogna fare 5 minuti di orologio! La spiaggia è libera ma sono presenti i bagnini ed è attrezzata come sempre. Sul lungomare incrociamo molte donne e bambine con una tunica azzurra e delle cuffiette. Sembrano uscite da un film. Leggiamo sulla guida che la vicina Clearwater è il centro più importante della comunità di Scientology. Anche questa è America!
Nel pomeriggio proseguiamo verso nord e ci fermiamo all’Old Pier di Siesta Key, davvero vecchio e pericolante. Ormai non ne è rimasto niente, ci sale solo qualche pescatore, ma da qui si possono godere un tramonto e una vista spettacolari.
Lasciamo quindi Siesta Key e Sarasota Bay, facendo i soliti ponti sull’oceano, molto belli (e tutti gratuiti) e dopo un’ora e mezza arriviamo a Clearwater Beach. Una cosa curiosa è vedere gli enormi cartelloni pubblicitari che si susseguono a iosa reclamizzando studi di avvocati a cui rivolgersi in caso di incidenti stradali, come se a Clearwater il rischio fosse altissimo. Facciamo i dovuti scongiuri e tocchiamo ferro almeno 50 volte…
A Clearwater Beach, palazzoni e hotel si affacciano sulla spiaggia e l’inquinamento visivo è fastidioso. Eravamo troppo abituati alla discrezione, alle casette non invadenti e al rispetto per l’ambiente. Purtroppo qui sembra di essere sulla riviera adriatica dove il turismo è di massa e si pensa solo al business.
Anche l’hotel, dove nel frattempo abbiamo prenotato, il Westmont Inn (95$) si rivela al di sotto delle aspettative. Stanza ampia ma dall’odore nauseabondo. Molta umidità e phon che mi abbandona proprio mentre cerco di asciugare la mia massa ribelle di capelli.
Ci salviamo solo con l’ottima cena al Clear Sky Beachside Café, dove mangiamo dell’ottimo pesce alla griglia e french chips tagliate a mano a forma di riccioli.
25/12/2015: CLEARWATER e SEASIDE
E finalmente è Natale! Quale modo migliore che trascorrere qualche ora in spiaggia. Attraversiamo la strada e già ci siamo. È presto, quindi ci godiamo un paio di ore di passeggiata e sole. Sabbia bianchissima accecante e i soliti gabbiani in cerca di cibo.
Nel frattempo studiamo come programmare i prossimi giorni. L’obiettivo è andare a New Orleans ma arrivarci in giornata é impossibile, quindi decidiamo di spezzare le ore di viaggio e fermarci in prossimità di Fort Walton, che si trova a sette ore da qui.
Lasciamo la spiaggia ormai affollatissima di bambini, cappelli di Babbo Natale e corna di renne e incrociando Harleysti, tutti rigorosamente senza casco (evidentemente in Florida non vige l’obbligo), arriviamo a Panama City Beach che è ormai sera. Fortunatamente qui è un’ora indietro perché considerando a che ora chiudono i ristoranti, che è la sera di Natale e che in giro non c’è anima viva, rischieremmo di rimanere senza cena o di dover consumare l’interna confezione di Oreo (famosissimi biscotti simili ai Ringo), pacco famiglia, per toglierci la fame. Durante il lunghissimo tragitto percorrendo una monotona e interminabile strada tra i boschi, prenotiamo un motel a Panama City Beach che sembra essere l’unica località un po’ più assortita di strutture turistiche. I nostri tentativi di prenotazione a Seaside o Grayton falliscono miseramente per mancanza di alloggi.
Lungo il tragitto scorgiamo cartelli che avvertono di fare attenzione all’attraversamento degli orsi. ORSI?!? In effetti, qualche giorno fa le news avevano fatto vedere tre orsi che vagavano nel pieno centro di Naples!
Il Motel Beachside Resort ci offre una camera enorme, quasi un appartamento, con una vista-mare esaltante a pochi metri dalla spiaggia. Il prezzo è ottimo ($75) e il dolce borbottio del mare ci terrà compagnia tutta la notte. Ceniamo nell’unico ristorante aperto della zona, frequentato esclusivamente da locali, il Sandbar, dove ordiniamo dell’ottimo pesce annaffiato da una caraffa di birra.
26/12/2015: SEASIDE – NEW ORLEANS
Ci svegliamo all’alba per fruttare appieno la giornata. Al di là delle tende la nascita del sole ci lascia senza parole per la sua spettacolarità. L’oceano, lungo la riva, crea una nebbia surreale e si tinge di giallo e arancio.
Sulla terrazza della nostra camera ci concediamo dieci minuti di contemplazione, lasciandoci accarezzare dalla brezza salmastra e sorseggiando la nostra tazza di caffè solubile.
Ci rechiamo nella vicina Seaside, utilizzata come set per il film “The Truman Show”, che narra la storia dell’involontario protagonista di un reality show che vive in una cittadina perfetta. Uno dei miei film preferiti! Cerchiamo di individuarne qualche luogo familiare ma non ci riusciamo. In compenso, restiamo ammaliati dalla lunghissima e selvaggia spiaggia borotalco che fa da cornice a ordinate casette che si affacciano sul mare.
Percorrendo una noiosissima strada dritta come un fuso, attraversiamo l’Alabama, il Mississippi e dopo cinque ore arriviamo in Louisiana.
Lo skyline di New Orleans ci appare quasi in una visione mistica, tra il grigio fango del Mississippi e il bianco appannato dei grattacieli. Arriviamo nel French Quartier in un battibaleno, la viabilità è eccellente e il famoso quartiere si trova proprio all’entrata della città. Lasciamo la macchina al parcheggio ($38 al gg) dell’hotel Courtyard Marriott ($159) e non la prenderemo più fino al giorno successivo. Abbiamo deciso di trattarci bene e scegliere un hotel leggermente decentrato da Barbour Street, la via più caotica di tutta New Orleans, dove gli schiamazzi notturni sono una prassi.
Il tempo è brutto e deve aver piovuto da poco perché le strade sono bagnate. A pochi metri dall’hotel ci immettiamo nella strada della perdizione dove assistiamo allo spettacolo che rende famosa questa via. Turisti americani si mescolano a travestiti, uomini sandwich, signorine poco vestite sugli usci dei locali, bambini neri che ballano il tip tap, lustrascarpe, musicisti improvvisati seduti sui marciapiedi, barboni che chiedono la carità, ubriachi sdraiati per terra, intrattenitori comici, giocatori di scacchi, breakdancers, ragazze che gettano collane dai balconi a chi gli fa il miglior sorriso, neri, bianchi, asiatici, tutto si mescola e si amalgama nella ricetta che rende così pazza, caotica, frastornante, colorata e unica questa città. Insegne al neon, musica proveniente da tutti i locali, gente che balla per strada con ampolle verde fluo in mano contenenti chissà quale intruglio alcolico, bande di musicisti jazz accompagnati da polizia in Harley con scarichi aperti, lettori di tarocchi e della mano, completano l’opera.
Girelliamo per un paio di ore nel quartiere francese, il più antico nucleo della città. Lo stile coloniale e vittoriano si mescolano a costruzioni più recenti, ma immancabili sono le illuminazioni natalizie che contribuiscono a dare colore alle vie. Facciamo una passeggiata a Jackson Square fino al French Market, dove per sedersi al Café Du Monde, uno dei migliori bar di New Orleans, c’è una coda interminabile. Arriviamo sugli argini del Mississipi, immenso e misterioso, dove un ragazzo dorme indisturbato nel suo sacco a pelo mimetico. Da qui passa il famoso tram di St. Charles; venti chilometri di rotaie per un dollaro e mezzo a corsa! Se avessimo più tempo, questo sarebbe il modo migliore per muoversi e ammirare lo splendore della città fuori dal quartiere francese.
La fame e la sete si fanno sentire e, richiamati dalla musica dal vivo di un locale in Frenchmen Street, ci concediamo un’ora d’improvvisazione musicale da parte di tre ragazzi con pianola, batteria, chitarra e voce. Il pub è tipicamente americano con un enorme bancone con sgabelli, tavolini tondi, luci soffuse, bottiglie di alcol in bella vista, schermi al plasma con immagini di sport, cameriere minigonnate con almeno venti chili in più rispetto al peso forma. Ci ributtiamo nella calca che è quasi ora di cena; la musica per le strade è ancora più diffusa e cacofonica, gli schiamazzi sono già iniziati e assistiamo ad un tentativo di pestaggio tra due rasta. Il tasso alcolico è già alle stelle e sono solo le 20.00!
I ristoranti consigliati dall’hotel sono pienissimi e l’attesa si concentra in lunghe code. Senza possibilità di scelta, ne affrontiamo una e ci ritroviamo seduti al ristorante Oceana, dove consumiamo una cena frugale, già sazi dal cibo assunto al pub.
La nostra nottata a New Orleans si conclude prestino, fermandoci ogni tanto ad ascoltare musica o a commentare scene di pazzia e ilarità.
27/12/2015: LOUSIANA – FLORIDA EAST COAST (on the Road)
Altre numerose ore di macchina ci attendono per attraversare nuovamente parte della Luisiana, il Mississippi, l’Alabama, una grande fetta della Florida e arrivare in qualche cittadina della East Coast, dove pernottare. Andare a New Orleans solo per qualche ora è stata una follia, ma una città così alternativa richiede anche gesti pazzi e inconsueti. Siamo contenti della scelta fatta e orgogliosi di poterla raccontare.
Impostiamo il Tom Tom che ci indica 650 km alla prossima curva, nonché deviazione. Oh my God!
Dopo 11 ore di strada e più di 1.000 km. arriviamo a Daytona Beach.
Sono le 21.00 e decidiamo di andare direttamente a cena. Daytona Beach non è come ce l’aspettavamo. Abituati alle tranquille e coloniali cittadine del Golfo, rimaniamo sorpresi di trovarci davanti a una vera città, con palazzi, grandi hotel e luci psichedeliche. Lasciamo la macchina in un parcheggio vuoto, nei posti riservati ad un negozio chiuso, per raggiungere al di là della strada, il Bubba Gump che offre cibo alla griglia. Abbiamo entrambi una sensazione strana, quasi di pericolo e portiamo con noi lo zainetto, dove conserviamo i documenti, lasciando tutto il resto in macchina. Usciamo dopo dieci minuti per verificare lo stato della macchina ma lei è ancora lì. Ci tranquillizziamo e ci avventiamo sul cibo. All’uscita rimaniamo sconcertai. La macchina non c’è più e con lei tutti i nostri bagagli!
Dopo qualche minuto di panico, ci accorgiamo di un cartello posto sul muro del negozio con la scritta: Tow Away Zone, che indica che i veicoli non autorizzati verranno rimossi! Sotto, in piccolo, un numero da contattare. Chiamiamo e ci viene dettata, in maniera scortese, solo la via. Chiediamo aiuto ad un tassista che miracolosamente è parcheggiato poco distante. Ci prende a cuore, telefona per accertarsi che la nostra macchina sia effettivamente lì, ci avvisa che si può pagare solo in contanti e ci accompagna prima ad uno sportello bancomat e successivamente dal carro attrezzi che dista 15 minuti dal luogo in cui ci troviamo. Gli lasciamo una lauta mancia e paghiamo i 125$ di multa. Tutto è bene quel che finisce bene.. Almeno non ci hanno rubato la macchina e tutti i nostri averi. Una lezione ce la portiamo a casa: affidarci alle nostre sensazioni e leggere bene i cartelli.
Qui le regole le fanno rispettare, volenti o nolenti.
A mezzanotte riusciamo a raggiungere il motel “La bella”, sulla Atlantic Ave. Speravamo di concludere la serata decentemente, invece la scortesia dell’uomo indiano alla reception, lo squallore della camera e le lenzuola giallognole ci inducono a spegnere subito la luce e sperare che arrivi in fretta mattina.
28/12/2015: KENNEDY SPACE CENTER
Dopo un’annusata al mare e una lunga occhiata all’infinita spiaggia (non così candida come le precedenti), lasciamo con sollievo il motel e ci avviamo al Kennedy Space Center.
Le Restroom che si trovano lungo tutte le Highway, nelle Rest Areas, sono enormi (30 bagni, 12 lavandini) sempre pulite e fornite di tutto il necessario. All’uscita, in bacheche apposite, sono esposte decine di foto di persone scomparse, soprattutto adolescenti femmine, con descrizione dell’ultima volta che sono state viste e ricostruzione della foto di quella che potrebbe essere l’attuale fisionomia, se scomparse da tanto tempo.
Arriviamo al Visitor Center dopo circa un’ora e mezza. Nonostante siano solo le 10.30 l’immenso parcheggio è già affollato. Paghiamo 50$ cad e ci mettiamo in coda per prendere il bus che ci farà da guida turistica e ci condurrà in prossimità di tutte le diverse rampe di decollo delle varie missioni spaziali che si sono succedute.
Giungiamo, quindi, nel fulcro del polo d’attrazione. Tutto è studiato per stupire, informare, esaltare e commuovere. Molti filmati, effetti speciali, interviste, colpi di scena, montaggi scenografici degni di un regista; la ricostruzione della sala di controllo di fronte alla rampa di lancio, è teatro dello spettacolo dove abbiamo vissuto la partenza dell’Apollo 8, prima missione spaziale che ha portato degli esseri umani nell’orbita lunare con successo.
Successivamente, assistiamo al primo sbarco sulla Luna con l’intervista a Neil Amstrong, capitano della missione, con tanto di effetti speciali in 3D, che ti fanno quasi sentire l’effetto di gravità. Le immagini di repertorio ti riportano a quel 21 luglio del 1969, alla tensione del centro di controllo che perdeva spesso la connessione, all’emozione dei primi passi sulla Luna, ai balletti dei tre goffi astronauti, all’acclamazione della folla.
Devo dire che gli Americani in queste cose sono proprio dei geni!
Riprendiamo il bus per tornare al punto di partenza dove, alle tre del pomeriggio, code interminabili attendono il loro turno per tutto.
Scappiamo via sollevati di aver concluso il tour e ci complimentiamo con noi stessi per essere arrivati ad un orario decente.
Una raccomandazione: prendete dei punti di riferimento su dove parcheggiate perché è un attimo dover impiegare mezz’ora per ritrovare la macchina!
Altre due ore e mezzo ci dividono dalla prossima meta: Boca Raton.
29-31/12/2015: BOCA RATON
Trascorriamo gli ultimi tre giorni nella vivace e raffinata cittadina di Boca Raton, nata negli anni ’20 e poi teatro di diverse trasformazioni per mano dell’architetto Addison Mizner, che sulla scia del suo amore per lo stile spagnolo realizzò una cittadina all’insegna dell’estrema eleganza.
Una costa selvaggia, quella del South Beach Park, con onde oceaniche sulle quali impazzano surfisti di tutte le età. La spiaggia, anche qui, è lunghissima e poco affollata; comunque attrezzata di docce, restroom e di baywatch che richiamano i bagnanti più sprezzanti del pericolo.
Non esiste un vero e proprio centro, sebbene i ristoranti si concentrino nella zona del Pier. Noi ne abbiamo provati due: il Whale’s Rib (dove si mangia il delfino. Noooo!) e l’altro il Flanigan’s, ottimo rapporto qualità prezzo e vivamente consigliato.
Il nostro rifugio notturno è l’Ocean Lodge, distante dal centro ma non troppo, distante dai Mall ma non troppo, distante dai ristoranti ma non troppo. In compenso vicinissimo al mare, al di là della strada, delle palme e delle dune, dove correre o camminare, inalando iodio e ammirando gli eleganti pellicani che sorvolano il cielo formando una V.
E’ il 31 dicembre, ultimo giorno dell’anno e anche della nostra vacanza.
Il nostro pellegrinaggio è giunto al termine. E così, dopo 4.300 km, più di 50 ore di macchina, dopo aver percorso tutta la costa della Florida, attraversato l’Alabama, il Mississippi e la Louisiana, dormito in 12 alloggi differenti, visto posti incredibilmente affascinanti, goduto di albe e tramonti, di corse sulla spiaggia e cibo pesantemente americano, per festeggiare la fine di questo 2015 e accogliere il nuovo anno, l’unica cosa che ci rimane da fare è… Volare!