Campania intima

Viaggio tra i panorami segreti del Sannio e dell'Irpinia
Scritto da: Francesco Cositore
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Giorno 1, Napoli – Fontegreca

Caricato anche l’ultimo bagaglio in macchina, finalmente siamo partiti. Un traffico insolitamente scorrevole ci ha risparmiato la cappa di calore di fine estate scortandoci fino all’imbocco della tangenziale, dove abbiamo abbassato i finestrini nella speranza che entrasse un po’ di vento.

Ad accompagnarci è una strana sensazione di sollievo misto a tristezza: una vacanza del genere non l’avevamo mai pensata, ma con una pandemia in corso ci sembra giusto non osare di più. E così abbiamo deciso di non andare troppo lontano, ma di esplorare bene il lato più nascosto della Campania, la nostra regione, visitando alcune delle sue località montuose in un ideale itinerario da nord a sud. L’idea, in realtà, è venuta a mia madre, ma il resto della famiglia (me incluso) l’ha accettata senza troppe esitazioni, anche perché valide alternative non ne avevamo.

La nostra prima meta è stata Fontegreca, una località per me ignota ma che grazie a Google Maps ho scoperto essere nella zona del Parco Regionale del Matese, a poca distanza dal confine con il Molise. Il viaggio è durato inaspettatamente poco, appena più di un’ora. Da Napoli abbiamo seguito la A1 in direzione Caserta, per poi proseguire fino a Caianello e da lì dritti fino alla destinazione passando per panoramicissime strade statali.

Siamo arrivati a Fontegreca alle 10:30 circa, abbastanza presto per cominciare subito la nostra visita, per ora senza preoccupazioni legate ai bagagli in macchina. Parcheggiata l’auto in una stradina poco distante dal centro storico, prendiamo una comoda navetta al costo di 1€ a persona verso quella che nel programma stilato da mia madre è la prima tappa del nostro tour tra i monti della Campania: la Cipresseta di Fontegreca.

Col senno di poi, posso dire che è stata una scelta davvero azzeccata: alla modica cifra di 3€ a persona, abbiamo avuto la possibilità di lasciarci avvolgere dall’ombra di questi cipressi e dal fragore ininterrotto del Sava, un piccolo torrente che crea cascatelle e pozze di gelida acqua cristallina. Il percorso risale il corso del fiume per poco più di un paio di km, con un dislivello in salita di almeno un centinaio di metri, resi agevoli dai continui attraversamenti del Sava tra guadi, ponti di legno e tronchi incastonati tra le due sponde. Si tratta di una passeggiata molto piacevole, lungo la quale ci sono diversi punti di sosta e di ristoro, alcuni gratuiti e altri utilizzabili previo pagamento di un prezzo più alto all’ingresso.

Il tempo lì è volato, e senza rendercene conto siamo rimasti oltre sei ore. A spingerci a uscire è stato l’abbassarsi delle temperature, perché il fresco della mattina ad un certo punto si è trasformato in freddo. Solo a quel punto siamo andati a recuperare la macchina, passando anche all’esterno del vicino Santuario della Madonna dei Cipressi, senza però riuscire a vederlo all’interno. Ci siamo quindi diretti verso il nostro affittacamere, posto pochi km fuori dal centro di Fontegreca in piena natura. Ad accoglierci è stata la proprietaria, la signora Emilia, che per poco più di 20€ a persona ci ha offerto una camera per la notte e diversi prodotti del suo orto che ci hanno saziati al punto da rendere non necessaria una cena.

Dopo qualche chiacchiera con questa dinamica vecchietta di campagna, ci siamo quindi diretti in camera per andare a dormire, anche se mentre scrivo queste ultime parole sento i miei genitori discutere fuori al balcone di costi complessivi del tour e delle tante mete progettate da mia madre.

Giorno 2, Fontegreca – Roccamonfina

Era da un bel po’ che non mi svegliavo così bene: canti di galli in lontananza segnalavano l’arrivo dei primi raggi di sole in un cielo dalle splendide tonalità rosa pesca. Fin da piccolo ho sempre amato l’alba molto più del tramonto. Forse perché è più raro riuscire a vederla o forse per quella tenuità di colori che un tramonto non sa rendere, quando vedo l’alba mi sento un privilegiato che può godersi la vita mentre gli altri dormono. D’un tratto, poi, mi ha raggiunto anche mio padre, che senza salutarmi si è seduto vicino a me fuori al balcone, e insieme abbiamo condiviso quella pace più spirituale che bucolica.

Poco dopo le 10, dopo una colazione bella abbondante e un’ultima chiacchiera con Emilia, ci siamo rimessi in macchina alla volta di Roccamonfina, una tappa aggiunta più per affetto che per effettiva attinenza col nostro itinerario. Appena arrivati dopo circa tre quarti d’ora di viaggio, subito incontriamo Federico e Rosaria, una coppia di amici dei miei genitori che hanno deciso di lasciare la vita di città per trasferirsi in campagna. Iniziamo quindi la visita del minuscolo centro storico (in tutto il comune fa poco più di tremila abitanti), che già inizia a riempirsi di bancarelle per la sagra della castagna e dei funghi porcini che qui si svolge ogni anno tra fine settembre e inizio ottobre. Si tratta di un appuntamento che richiama persone da diverse parti della Campania e che si spiega col fatto che tutto il territorio circostante è ricco di castagneti, che con l’avvicinarsi dell’autunno stanno già virando verso splendide sfumature arancio-marroni.

Il centro della sagra, ma anche della vita del paese, è rappresentato dallo snodo di via Napoli e piazza Nicola Amore, su cui si affaccia il palazzo sede del Comune e da cui si può godere di una vista panoramica davvero notevole. Roccamonfina, infatti, è adagiata in un antico cratere ormai spento, le cui pendici sono perfettamente visibili dalla città. Oggi, di quell’antica attività vulcanica resta solo un suolo fertilissimo (che ha appunto permesso il proliferare dei castagneti) e la presenza di acque talmente ricche di minerali da essere vendute in tutta Italia sotto diversi marchi commerciali. Che la qualità dell’acqua locale sia davvero molto alta lo testimoniano anche le numerose fontane sparse nel territorio comunale, oltre che le parole di Federico e Rosaria, che approfittano di una di queste fontane per dissetarsi dopo uno spuntino a base di castagnaccio.  Questo spuntino, però, non fa altro che stuzzicare il nostro appetito, convincendoci a cercare un posto dove mangiare. Sempre su suggerimento delle nostre guide personali, decidiamo quindi di andare in un agriturismo che serve specialità a base di castagna, dove io opto per una zuppa di castagne, patate e funghi. Mi viene servita una brodaglia marrone più liquida che densa dall’aspetto poco invitante, ma dal sapore decisamente squisito. Anche i miei genitori e mio fratello prendono delle zuppe e, pur apprezzandole, non hanno la mia stessa reazione.

Il pranzo si rivela un’ottima occasione per scoprire anche una leggenda sull’origine dei castagni locali, secondo la quale nei pressi del Santuario di Maria Santissima dei Lattani ci sarebbe un castagno “miracoloso”, nato dal bastone di san Bernardino da Siena, che si era recato qui in pellegrinaggio. Il frate francescano lo interpretò come segno della volontà divina, e decise quindi di fondare un convento e di favorire la nascita di interi boschi di castagni. Tuttavia, vera o meno che sia la leggenda, né Rosaria né Federico hanno saputo dirci se esista davvero un castagno così vecchio nell’area o se qualcuno abbia mai individuato questo presunto albero dei miracoli.  Tutto quello che abbiamo fatto è stato andare a caccia di castagne nei boschi per il resto della giornata fino al tramonto, riuscendo a raccogliere circa 1 kg di castagne, che è stata poi la base della nostra cena.

Giorno 3, Roccamonfina – Limatola – Airola – Circello

Stamattina si è ripetuta la stessa scena di ieri mattina: colazione al mattino presto (non a base di castagne) e poi, dopo aver ringraziato per l’ennesima volta Federico e Rosaria per averci ospitati per la notte, ci siamo rimessi in viaggio. Stavolta il tragitto è inaspettatamente lungo, anche perché ci porta a percorrere gran parte della Pianura Campana fino a Caserta, dove poi svoltiamo per entrare nella Provincia di Benevento e fermarci a Limatola.

Lo sguardo seccato di mio fratello in un primo momento mi ha stupito, ma poi ho capito perché mi ha guardato così: ormai Limatola la conosciamo già molto bene, visto che ci veniamo quasi ogni anno nel periodo natalizio, attratti come molti nostri corregionali dai mercatini che animano il castello del paese. «Ma non doveva essere un itinerario per vedere posti nuovi?» ha chiesto mio padre appena scesi dalla macchina, con una delle sue solite espressioni del viso. «Ci siamo sempre venuti di sera d’inverno, ma adesso è giorno ed è settembre, quindi è come se fosse un posto nuovo» gli ha risposto mia madre, parola più parola meno. Logica inattaccabile.

Limatola

Passato quel momento di smarrimento, ci siamo diretti verso il centro del paese, uno stupendo borgo medievale che si sviluppa intorno al Castello Normanno che dalla sua altura domina la vallata. Il caldo, davvero opprimente per il periodo, ci ha indotti quindi prima a fermarci vicino a una fontana per riempire le nostre borracce. Questa fontana, però, ha attirato la nostra attenzione, perché nelle nostre precedenti visite non l’avevamo mai notata prima: si tratta di una fontana che rappresenta un volto dalla cui bocca fuoriesce un getto d’acqua molto fresca. Un cartello lì nei pressi riporta addirittura il nome: Fontana di Margherita de Tucziaco. Non sapevo chi fosse, ma una rapida ricerca su Google mi ha subito dato la risposta che cercavo: cugina di Carlo I d’Angiò.

Giunti al castello, ci siamo subito resi conto di essere nella tappa più turistica del nostro itinerario, e quindi abbiamo deciso saggiamente di aggregarci ad un gruppo per una visita guidata comprensiva di un aperitivo per la cifra, tutto sommato più che giusta, di 10 euro a persona. Descrivere tutto ciò che abbiamo visto sarebbe impossibile, ma siamo stati tutti colpiti dalla capacità del castello di cambiare totalmente aspetto rispetto al periodo natalizio. Se, infatti, a dicembre è tutto un susseguirsi di bancarelle che vendono prodotti di artigianato, dolcetti da tutto il mondo e l’immancabile vin brûlé in un’atmosfera invasa da luci e musichette, d’estate ci si gode molto meglio le sale interne e la splendida vista sulla valle scavata dal Volturno proprio a due passi dal centro cittadino.

Mentre ci godevamo questo spettacolo della natura, la guida ci ha ricordati che questa è un’area molto importante per la Campania dal punto di vista non solo idrico, ma anche artistico-culturale: a un quarto d’ora di macchina dal Castello si trova, infatti, il celebre ponte dell’Acquedotto Carolino, che attraversa una strada provinciale nel territorio di Valle di Maddaloni in un punto talmente suggestivo da guadagnarsi il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO nel 1997.

La possibilità di guardare e riguardare il panorama di queste alture che dolcemente si aprono verso una lontana vallata, col sottofondo della spiegazione e con l’accompagnamento di un ottimo calice di Solopaca, mi ha fatto pensare per la prima volta che mia madre ci avesse visto giusto. Questo tour, con tappe scelte da lei secondo un criterio a noialtri ancora ignoto, inizia a piacermi davvero, perché mi sta facendo riscoprire cose che mai avrei pensato.

Airola

Credo però che la mia sensazione fosse condivisa, perché alla fine della visita guidata eravamo tutti e quattro stanchi ma felici. È stato a questo punto che siamo stati pervasi da un’irrefrenabile voglia di continuare le nostre esplorazioni. Inaspettatamente, quindi, non ci siamo fermati a Limatola (che comunque già conoscevamo), ma abbiamo ripreso la macchina per farci un’altra mezz’ora di strada, con un’altra destinazione mai sentita prima: Airola.

Arrivati, ci siamo subito accorti del vero padrone di casa: il Taburno Camposauro, troppo imponente per passare inosservato. Il suo aspetto grave e severo è accentuato dal fatto che si tratta di un massiccio isolato dalle altre montagne dell’Appennino per mezzo di piane e vallate di ampiezza variabile. Una presenza forse ingombrante, ma che sicuramente regala a questo piccolo paese del Beneventano uno sfondo naturale davvero incantevole.

Chi beneficia di questo sfondo, però, non è soltanto la comunità locale, ma anche la fauna ospitata nel Giardino segreto, il vero motivo della nostra tappa ad Airola. Si tratta di un piccolo parco botanico e zoologico decisamente all’altezza del suo nome, perché scarsamente conosciuto pur essendo pieno di tesori nascosti. Appena entriamo, infatti, il percorso ci porta tra ambienti naturali che si susseguono senza soluzione di continuità, facendoci passare dagli animali delle zone tropicali come i pappagalli alla perfetta ricostruzione di ambienti come il temibile outback australiano. Praticamente, un’armoniosa orchestra di biomi curata e gestita con un amore enorme per la natura.

Mi risulta difficile dire cosa mi abbia colpito maggiormente, ma posso affermare con certezza che tutti e quattro siamo stati inteneriti dalla colonia di porcellini d’India, che pur avendo grandi spazi a loro disposizione si ammassavano in gruppetti per tenersi compagnia. I loro manti, tutti diversi, creavano un effetto ottico davvero piacevole, oltre a ispirare una dolcezza davvero indescrivibile. Per non parlare poi degli aironi cinerini, che abbiamo potuto ammirare da vicino per la prima volta in un’ammirevole ricostruzione di uno stagno tropicale. Credo che quando siamo usciti le nostre facce parlassero da sole, almeno a giudicare dal sorriso con cui ci ha riaccolti il signore che lavora alla biglietteria, dal quale ci siamo fatti spiegare brevemente la storia del Giardino segreto. Alla fine, davvero estasiati per questo scrigno di biodiversità a pochi km da casa nostra, oltre ai 5 euro a persona pagati per entrare decidiamo di lasciare un bel contributo, come incoraggiamento e sostegno a iniziative come questa di cui una terra martoriata dai guai ambientali come la nostra bella Campania (ma più in generale il nostro povero mondo) ha davvero tanto bisogno.

Col cuore rinfrancato da questa bella giornata ci siamo quindi diretti nuovamente alla macchina, con l’unico obiettivo di raggiungere il nuovo B&B. Ed è stato così che ci siamo sobbarcati un’altra ora di macchina per arrivare fino a Circello, un’altra volta a pochi passi dal confine col Molise.

Giorno 4, Circello

Una nebbia insolita ci ha fatti risvegliare d’improvviso in pieno inverno. La prima mattinata nel nostro B&B a Circello, che mia madre ha conosciuto grazie a uno di quei pacchetti in promozione al supermercato che con meno di cento euro ti regalano una breve evasione dalla città con tanto di pernottamento e colazione, è stata un disastro. «L’estate ormai è agli sgoccioli» ci ha detto il proprietario mentre ci servivamo cornetto e cappuccino, quasi a volersi giustificare. «E poi adesso è presto, quindi può capitare: tra un paio d’ore ci sarà un sole bellissimo» ha poi aggiunto per rincuorarci. Effettivamente, la sosta a Circello è stata programmata a metà itinerario proprio per riprenderci dopo i primi tre giorni, per fare una sorta di mini-vacanza nel bel mezzo di un mini-viaggio. Niente visite, niente escursioni: solo relax a bordo piscina su una bella terrazza panoramica che guarda verso le valli dove scorrono il Tammarecchia e il Torti. Niente di tutto ciò: nebbia su tutti i fronti, visibilità forse sui 50 metri, forse anche meno.

Delusi, usciamo per visitare il piccolo centro, dove da questo mare grigio abbiamo visto spuntare la Torre di Sant’Angelo, che in realtà è ciò che resta del campanile di una chiesa distrutta dal terremoto del 1688, uno dei più violenti nella storia del Sannio. Oltre a questo, e oltre al castello ducale (che però in questo periodo non sembra essere aperto al pubblico), davvero poco.
Alla fine, però, dopo diversi giri, quasi all’ora di pranzo la nebbia si dirada del tutto, concedendoci: una vista impareggiabile, oggettivamente mozzafiato.

Troppo spesso la Campania viene ridotta a cartoline con vedute di golfi e di mari, dimenticando l’enorme patrimonio offerto dalle sue montagne. Ed eccolo lo scopo del nostro tour, finalmente confessato da mia madre apertamente: riuscire ad apprezzare anche l’altra Campania, quella più interna, più nascosta. Più intima, dice lei. Difficile darle torto davanti a certi panorami.
Più tardi, però, è stato difficile non credere che la natura avesse attuato nei nostri confronti una sorta di compensazione. Se il buongiorno ce l’aveva dato un mare grigio simil-invernale, a fine giornata invece siamo stati salutati da un sole fiammeggiante. Una luce forte, decisa, di tonalità così accese da ricordare certe savane africane nei tramonti migliori. Le pale eoliche, con le loro rotazioni monotone e ipnotiche, aggiungevano un tocco d’armonia inaspettato ma assai gradito.

Giorno 5, Circello – Monteverde

Sorto il sole e rimesse le valigie in macchina, ci siamo concessi una lunga colazione in terrazza per soddisfare non i nostri stomaci – ancora pieni delle deliziose pizze di ieri sera – ma i nostri occhi, estasiati da quella nitidezza della vista che in città è poco più di un miraggio.

Erano ormai passate le dieci e mezza quando ci siamo rimessi in macchina con tutta calma, pur sapendo che la nostra prossima destinazione sarebbe stata Monteverde, a oltre 100 km di distanza. Direi, però, che è stato un momento cruciale, per tutta una serie di motivi. Innanzitutto, stavamo per lasciare il Sannio per entrare in Irpinia, il che significava non solo un parziale cambio dei paesaggi ma anche, e forse soprattutto, l’avvicinarsi della fine del nostro breve viaggio dietro casa. Inoltre, ormai rinfrancati dal relax a bordo piscina tra qualche tuffo e un paio di aperitivi offerti dal gentilissimo proprietario del B&B, avevamo optato per un ritmo meno forsennato nelle nostre visite e nei nostri spostamenti.

E così, dopo un’ora e mezza abbondante di viaggio, arriviamo finalmente alla meta, a un tiro di schioppo dal confine tra Campania, Puglia e Basilicata, il più meridionale dei quattordici triplici confini tra regioni che ci sono nel nostro Paese. Monteverde, appunto, sorge nell’alta valle del fiume Ofanto, a meno di 10 km da questo confine molto particolare. Considerato uno dei borghi più belli d’Italia, effettivamente è una splendida cartolina d’ingresso per la nostra amata Campania.

Un giro per il centro del paese rivela subito l’ennesima grande bellezza di questo angolo di Sud: campi di grano tutt’intorno. Quando arriviamo, il paesino si presenta tutto arroccato intorno alla sua fortezza, immerso nel silenzio di un pomeriggio più grigiastro che azzurro.

Prima di visitare il centro storico, ci concediamo una sosta in una piccola locanda che attira la nostra attenzione. Qui assaggiamo, su consiglio del cameriere, un piatto di orecchiette fatte in casa (giusto per ribadire che ci troviamo a due passi dalla Puglia) con cicerchie, mentre per secondo i miei genitori e mio fratello provano alcuni insaccati tipici del luogo. Io, invece, pur essendo già sazio, mi concedo comunque più di un sorso di una birra prodotta da un birrificio agricolo locale, una blonde ale molto dolce e con forti note agrumate: una delle più buone che io abbia mai assaggiato.

Accortosi del fatto che fossimo turisti, il proprietario del ristorante al momento del pagamento ci consiglia di fare un salto al vicino lago artificiale di San Pietro, prima che cali la sera. D’estate, infatti, il lago ospita giochi di suoni e luci quasi ogni sera, ma vale comunque la pena visitarlo in qualsiasi momento dell’anno, soprattutto nella stagione del foliage. Decidiamo quindi di cogliere subito il suo suggerimento e, in pochi minuti, raggiungiamo il lago. Parcheggiamo la macchina in prossimità dell’area picnic, dove però troviamo poche persone a causa del tempo in rapido peggioramento. Nonostante il cielo plumbeo, riusciamo comunque a goderci per un po’ quest’oasi di pace, immersa in una splendida pineta. Se non fosse per l’imponente diga che vediamo in lontananza, niente farebbe pensare che l’uomo abbia messo mano a questo posto. Restiamo lì per mezz’ora abbondante, quando dai boschi delle valli vicine il vento porta l’odore di terra bagnata e di piante aromatiche. L’eco di un tuono tra le pareti dei monti ci invita a rientrare in paese al più presto.

Giorno 6, Monteverde – Sant’Angelo dei Lombardi

Il temporale di ieri sera ha abbattuto un paio di alberi nel paese, o almeno questo è quanto ci ha detto stamattina Michela, la figlia della proprietaria del B&B venuta a ritirare le chiavi prima della nostra partenza. In effetti, il vento ieri è stato così forte da spingerci a non uscire più una volta entrati nella nostra casa-per-una-notte. E anche stamattina, a dirla tutta, certe raffiche erano molto forti, ma soprattutto molto fredde, al punto tale da richiedere l’uso dei giubbotti nonostante la presenza di un timido sole. Una giornata uggiosa, in pieno allineamento col nostro umore, tipico di chi sa di essere ormai giunto al termine della vacanza. Dopo un ultimo giro di Monteverde, in cui vediamo rapidamente il castello e la cattedrale, partiamo alla volta dell’ultima tappa del nostro viaggio.

Dopo circa un’ora di macchina arriviamo dunque a Sant’Angelo dei Lombardi, dove ci fermiamo subito ad un bar nei pressi del municipio per comprare dei dolci destinati a Ludovica, la fidanzata di mio fratello che gentilmente ci ospiterà per quest’ultima notte. Studentessa di fisioterapia presso l’ospedale locale, Ludovica ci accoglie calorosamente per poi farci capire che vorrebbe restare un po’ col suo fidanzato.

Restiamo quindi solo i miei genitori e io, costretti a esplorare questo tranquillo borgo senza un membro della banda. Camminando, ci imbattiamo in una serie di murales che attirano la nostra attenzione, ma di cui non riusciamo a capire il significato. Andando avanti, giungiamo in prossimità del castello, che scopriamo essere chiuso al pubblico da anni. Fortunatamente, però, lì vicino c’è un piccolo belvedere, dal quale la vista raggiunge livelli sublimi.

In lontananza riconosco Nusco, paese di provenienza di un mio caro amico dell’università. Ricordo di averlo sentito paragonare il panorama di Nusco a certe cartoline della Svizzera, e le conseguenti prese in giro di molti di noi. Davanti a quel panorama, però, ammetto che mi sono dovuto ricredere. Certo, tirare in ballo la Svizzera forse è eccessivo, ma credo che in pochi, davanti a queste montagne così verdi con le cime già imbiancate dalle prime precocissime nevi, crederebbero di trovarsi in Campania.

Poco distante, nascosta tra gli alberi, si intravede una casa abbandonata, in rovina. Mio padre e io notiamo che mia madre la fissa intensamente, quasi trascurando tutto il resto. Quella casa, dice, le ha risvegliato un ricordo: alle ore 19:34 del 23 novembre 1980, le storie di molte vite e di molte comunità cambiarono per sempre. “Ho visto morire il Sud”, scrisse Alberto Moravia all’epoca: il terremoto dell’Irpinia colpì effettivamente gran parte del Sud, ma ebbe origine proprio tra questi monti. Sant’Angelo dei Lombardi, pur non essendo l’epicentro, fu definita “la capitale del terremoto” a causa dei danni particolarmente ingenti che subì, quasi cancellandola.

Tutti, in Campania e non solo, ricordano cosa stessero facendo quella domenica a quell’ora, ma mia madre più di altri. Più di altri perché suo padre – cioè mio nonno – all’epoca lavorava per il quotidiano “Il Mattino” come tipografo, e fu proprio tra le sue mani che passò quel celebre “FATE PRESTO” che è entrato nella storia del giornalismo e che un artista del calibro di Andy Warhol ha reso eterno con le sue opere d’arte. Quel titolo, enfatico ma sincero, esprimeva bene la gravità della calamità naturale e il dramma dei ritardi nei soccorsi. Nei primi giorni dopo il sisma, l’Italia trattò quella come una tragedia minore, cosa che l’allora Presidente della Repubblica Pertini condannò fermamente. Le case si possono ricostruire, ma certe ferite un popolo difficilmente le dimentica.

Io non ho avuto la fortuna di conoscere mio nonno, eppure tramite quel ricordo di commozione mista a rabbia in qualche modo sento di conoscerlo. Mio nonno sapeva che quel titolo avrebbe fatto la storia, e la storia gli ha dato ragione, senza però aspettare che lui potesse vederlo. La morte non ha voluto.

Percepisco l’enorme malinconia di mia madre, e resto in silenzio, così come mio padre. Dura poco. Un’esultanza da lontano ci riporta alla realtà: è domenica, il Napoli ha segnato. Già… il Napoli, Napoli, casa. Rientriamo quindi da Ludovica per preparare qualcosa per la cena.

Giorno 7, Sant’Angelo dei Lombardi – Napoli

Prima di partire per tornare a casa, stamattina poco dopo l’alba ci siamo concessi un’altra passeggiata per il borgo, scattando anche qualche foto davanti al Duomo, da cui pure si gode di un’ottima vista. Il giro per il centro, però, ci ha fatto bene, perché abbiamo potuto osservare come può rinascere un paese dopo una catastrofe. Quella di Sant’Angelo dei Lombardi – e dei comuni limitrofi – è una storia di resilienza, che fa bene all’Irpinia e alla Campania tutta.

Il lungo viaggio di rientro, di circa un’ora e mezza, trascorre per gran parte in silenzio, un po’ per la stanchezza e un po’ perché mia madre sembra impegnata a conteggiare tutte le spese di questi giorni. Di queste spese ci farà poi un accurato resoconto appena tornati a casa. Finalmente giunti alla meta finale, neanche il tempo di riposarci e arriva l’elenco delle spese sostenute. Il costo complessivo del viaggio risulta quindi aggirarsi intorno ai 1.000€, suddivisi così:

  • circa 90 € sono le spese relative agli spostamenti con l’auto, di cui 7,30 € sono relativi ai pedaggi, mentre il resto è stato speso per il carburante; chiaramente, i pedaggi sono stati così “economici” perché, laddove possibile, abbiamo preferito percorrere strade statali o provinciali, invece delle autostrade;
  • circa 450 € sono le spese relative alle strutture in cui abbiamo pernottato e fatto colazione; anche in questo caso, le spese sono state relativamente basse perché in ben due circostanze siamo stati ospitati in casa di nostri conoscenti;
  • circa 310 € sono le spese relative all’alimentazione, tra cene sostanziose al ristorante e pranzi più frugali al sacco;
  • infine, circa 150 € se ne sono andati tra biglietti d’ingresso, souvenir e piccoli capricci personali.

In definitiva, quindi, con circa 1000 € ci siamo regalati una vacanza alternativa per una famiglia di quattro persone, che ci ha permesso di riscoprire la nostra regione e alcuni dei suoi angoli più intimi. Siamo stanchi ma felici, ma soprattutto sicuri che è un’esperienza che tutti dovrebbero fare. Spesso si hanno autentici tesori a breve distanza da casa, e non servono mappe per scovarli.

Basta un po’ di curiosità, che è quella che speriamo di avere noi anche l’anno prossimo, per scoprire ancora nuovi mondi a breve distanza dalla nostra vita quotidiana.

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