Egeo in barca a vela – TURCHIA
Il mare ci offre anche oggi il dono della sua indifferente bellezza. Il golfo di Fethyie abbraccia quest’ultimo tratto di Mediterraneo che sta per diventare Egeo. Le montagne, non alte, ricoperte di conifere, scendono fino a toccare l’acqua. Laddove i crinali entrano in mare si formano penisole, i valloncelli si trasformano in cale, le valli in baie. In una di queste, protetta tanto da sembrare un lago alpino, entriamo a vele spiegate attraverso uno stretto, profondo canale tra due terre. Sulla nostra sinistra appare l’approdo, in fondo ad una stretta cala. Una taverna ed alcune barche ci accolgono. L’approdo è sereno ed invoglia alla pigrizia, ma siamo un equipaggio troppo ghiotto di conoscenze per restarcene a bordo. Così raccontiamo a Gino del villaggio poco lontano che tanto ci colpì, Marzia e me, per la sua misera semplicità e subito risvegliamo la sua curiosità. Dunque, ci incamminiamo attraverso ulivi e querce per un sentiero appena tracciato, ma siamo incerti sul percorso. Chiediamo ad un uomo e una donna che salgono dietro di noi la giusta via e l’ uomo ci invita a seguirlo. E’ gente semplice, di povera apparenza, camminano lentamente, l’uomo avanti, la donna alcuni passi dietro. Non si parlano, e nonostante tutto si avverte il profondo legame che li unisce al comune destino. Lui parla incredibilmente un buon inglese, lei tace sempre. Ci invitano nella loro povera casa fatta di lamiera e di cartoni e ci offrono il tradizionale tè. Seduti a terra su una stuoia incredibilmente pulita, mentre la donna tesse silenziosa l’immancabile tappeto (ho il sospetto che, come Penelope, di notte lo disfaccia per avere sempre qualcosa da mostrare ai turisti) e noi beviamo un improbabile thè di salvia, l’uomo ci racconta del figlio che studia medicina ad Ankara e della loro casa in Anatolia.
Veniamo anche a sapere che il proprietario della taverna alla Cala (organizzata quasi come un club) vive nella casa accanto, evidentemente sprovvista di elettricità e, certamente, di impianti igienici, incominciamo a vedere questa realtà con altri, sorpresi, occhi. Quasi ci dispiace che la povertà e l’arretratezza da noi identificata con la genuinità della nostra esperienza di genti e luoghi non sia che una scelta personale dei nostri ospiti. Per sdebitarci compriamo le solite collanine e braccialetti e torniamo alla barca che ci attende paziente e insonnolita al moletto di legno. Sdraiati sulla tuga ascoltiamo il sospiro del mare che accarezza gli scogli della riva e ci abbandoniamo al lusso di un “dolcefarniente” Si cena alla taverna e si va a in cuccetta.