Cracovia e Auschwitz: luci e ombre della vecchia Europa
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Sul sito della Ryanair acquisto i voli Bologna/ Cracovia a/r a 32,00 euro circa. L’areoporto Balice Giovanni Paolo II dista solo una decina di km dalla città che si può raggiungere comodamente con l’autobus 292 o col treno a prezzi irrisori. Io opto per il comodo trasporto che mi propone il mio hotel per arrivare prima possibile in città, spendendo una ventina di euro. Ho prenotato su www.booking.com un monolocale al Pod Sloncem Main Market Square, direttamente sulla bellissima Piazza del Mercato, a 120,00 € per quattro notti: ottima la posizione e lo spazio, meno l’angolo cottura polveroso e mal funzionante ed i quattro piani di scale.
Dopo la prenotazione lo staff mi propone via mail delle escursioni. Io scelgo quelle alle Miniere di Sale e ad Auschwitz: 135 PLN circa 30,00 trasporto e ingresso con visita guidata. Ne approfitto al fine di ottimizzare i tempi e perché molte visite in italiano o francese, lingua che conosco bene, durante la stagione invernale non sono previste. In tutta la città ho notato vari chioschi dove si vendono tour delle principali attrazioni a prezzi stracciati, soprattutto in inglese.
Prima di partire temevo che il rigido inverno polacco ostacolasse i miei movimenti; per fortuna ho avuto bel tempo e temperature identiche a quelle italiane. La Polonia fa parte dell’U.E., la moneta corrente è lo zotly, pari circa a 4,35 euro: i prezzi sono convenienti, sia per gli alloggi che per il resto: si può cenare bene al ristorante con una dozzina di euro e gli ingressi ai musei costano in media 3/4,00 euro.
Cracovia è una città relativamente giovane, se paragonata alle nostri centri di fondazione antica. Risale circa al VII secolo e le sue origini sono ammantate dalla famosa leggenda del drago, simbolo onnipresente in città. Per tre secoli capitale delle Polonia, nel 1595 deve cedere il titolo a Varsavia. Rispetto a questa, ricostruita in gran parte dopo l’ultimo conflitto mondiale, Cracovia ha conservato però un centro storico intatto e originale.
Appena scesa dal taxi, la Piazza del Mercato, Rynek Główny, si apre, spettacolare e fastosa, davanti a me. Vivace baricentro della città, Rynek è uno spazio immenso, dove si sposano diversi stili architettonici, il tutto ammantato dal tipico fascino dell’est. Mi trovo nel cuore della Città Vecchia o Stare Miasto, dichiarata patrimonio UNESCO già nel 1978. Chiusa al traffico, è facile e piacevole da esplorare a piedi; solo qualche tram circola in un paio di vie a sud della piazza. La perfetta armonia della zona non è frutto del caso; infatti la città fu ricostruita ex-novo dopo la terribile invasione dei Tartari, che la saccheggiarono, radendola al suolo nel 1241. Poco dopo la Città Vecchia fu riedificata dai superstiti, tenendo a modello l’ordinata disposizione del castrum romano, con spazi ampi ed ariosi. Nell’Ottocento, per sostituire la vecchia cinta muraria distrutta dagli Austriaci, il Planty, un magnifico anello verde, viene inserito a circondare Stare Miasto.
Guardandomi intorno noto l’eleganza degli edifici che incorniciano la piazza, una raffinata teoria di architetture dai toni pastello e dai diversi stili, in cui si evidenzia la particolare grazia di tetti e contrafforti. Risaltano, per contrasto, le sagome scure di alberi dai rami nodosi, piantati qua e là davanti agli edifici. Spogli e severi, conferiscono un tocco dark alla visuale, mentre la sera si vestono di allegre luci natalizie.
Protagonista indiscussa della piazza è la maestosa Basilica di Santa Maria, uno dei simboli di Cracovia. Detta semplicemente Mariacki, si tratta di un’imponente chiesa gotica in mattoni rossi, risalente al Duecento, che, sul lato frontale, mostra orgogliosa le sue due poderose torri di diversa altezza. La più bassa è un campanile sormontato da cupola rinascimentale, mentre l’altra, con guglia e torrette, fungeva da torre di guardia. Di qui proviene ogni ora il malinconico suono del hejnal, lo squillo di tromba, antico segnale di allarme per i cittadini. La melodia si interrompe bruscamente a ricordo di un episodio tragico, quando la guardia di vedetta fu colpita a morte da una freccia dei Tartari. Oggi le cinque tristi note vengono suonate dai vigili del fuoco in costume, rendendo ancor più struggente la bellezza del luogo.
Le decorazioni natalizie, tra le quali spicca un altissimo albero che fronteggia la chiesa, regalano alla piazza lo charme di una cartolina romantica. Tante carrozze bianche con belle cocchiere in divisa, come in una favola Disney, sono allineate di fronte alla Basilica. I cavalli, bardati di tutto punto con sonagli, frange e quant’altro, sono belli da vedere, anche se non approvo questo modo di sfruttarli, facendoli sostare al freddo per ore in attesa di scarrozzare i classici turisti “non per caso”.
Di fronte alla chiesa, l’altro lato della piazza è occupato da un edificio allungato e un po’ bizzarro, il Sukiennice o Fondaco dei tessuti. Da centinaia d’anni luogo di scambi e commerci, era nato come un semplice tetto gotico sopra i banchi di stoffe agli inizi del XIV secolo. E’ stato più volte modificato passando allo stile rinascimentale, fino alle aggiunte di portici neogotici nell’Ottocento.
Dopo essermi liberata delle valigie, scendo di nuovo in piazza ed entro al Fondaco, attirata dall’allegra confusione che lo popola al piano terra.Tante bancarelle si susseguono lungo la galleria, proponendo i souvenirs più diversi, come prodotti di artigianato locale: gioielli in ambra del Baltico di cui Cracovia è grande produttrice o presepi in legno. Al piano superiore del palazzo invece è ospitata la Galleria di Pittura Polacca del XIX secolo, che decido di visitare più avanti. A sud-ovest del Fondaco si trova una maestosa torre, quello che resta dell’antico municipio del 400’.
La piazza, in questi giorni di festa, come tutti gli anni è ravvivata della presenza del Mercatino di Natale, pieno di colori ed affollato. Oltre a ninnoli e decorazioni ci sono interessanti artigiani old-style, come un fabbro dall’aria un po’ truce o un fabbricante di candele fatte con la cera d’api. Trovo anche riproduzioni artistiche di belle cartoline d’epoca, con signorine vestite alla moda degli anni 20’ che si aggirano nelle strade della Città Vecchia.
Mentre passeggio tra i banchi del mercatino vengo rapita dagli odori forti ed invitanti della cucina polacca, rivelatasi poi una delle migliori d’Europa; in alcune casette di legno con tanto di tetto spiovente si vendono prelibatezze tipiche. I pierogi, che ho già gustato in Russia, sono dei ravioli con vari ripieni, come patate, funghi o cavolo e mi vengono serviti su di un piattino di carta; fumanti e deliziosi, li consumerò voracemente sui tavoli della piazza come fanno tutti. Sperimento anche la zuppa di funghi con crostini e la torta di mele calda, dolce tradizionale polacco. Uno street food da favola per circa 4,00 euro di spesa! Io ho scelto piatti vegetariani, ma ci sono moltissimi stands che vendono carne alla griglia e che godono di gran successo tra i clienti.
Continuo le mie esplorazioni e noto, incastonata infondo alla piazza come una pietra preziosa, la minuscola Chiesa di S. Adalberto, la più antica della città. Fondata nel XI secolo, questa piccola gemma dal tetto verde presenta all’interno un spazio rotondo in muratura, particolarmente intimo e raccolto, che accoglie la statua del santo omonimo. La sera qui si tengono concerti, come in tante altre chiese ed edifici storici della città. La musica classica è un elemento centrale della vita di Cracovia, che soffonde di un’atmosfera magica gli innumerevoli scorci pittoreschi. Questi miei primi passi in città infatti sono stati accompagnati dalle note di un pianoforte, provenienti da uno degli eleganti caffè sotto ai portici.
L’Ufficio Turistico della Piazza del Mercato si trova sotto al porticato del Palazzo dei tessuti ed il personale parla in inglese. Qui m’impossesso di diversi depliants su musei, escursioni ed eventi.
Visto che sono in zona, opto per la visita del Mercato Sotterraneo, rivelatasi un’esperienza appassionante. Spesso c’è la fila all’ingresso ed è consigliabile la prenotazione direttamente alla biglietteria o sul sito www.podziemiarymku.com.
L’entrata il martedì è libera e non trovo file. Noleggio l’audioguida al costo di 5 PLN; è disponibile in molte lingue, compreso l’italiano, funziona con un gps che si attiva man mano che ci si muove nel percorso di visita.
La storia di Cracovia è una scusa per approfondire gli aspetti sociali del periodo, con un approccio innovativo ed accattivante, degno dei migliori musei d’Europa; non a caso il museo trabocca di orde di ragazzi in gita scolastica.
Inizio il mio viaggio in un universo sotterraneo che mi riporterà indietro nel tempo, fino all’epoca medievale. Brani di antiche architetture e reperti archeologici sommersi dal tempo sono stati riportati alla luce. Ologrammi e filmati coinvolgono il visitatore nelle “capsule del Tempo”, facendo rivivere usi cracoviensi o eventi storici particolari, mentre diversi touch screen propongono una visita interattiva in lingua inglese o polacca. Scopro così che la città è stata nel medioevo un vivace centro commerciale, che importava dall’oriente merci da scambiare e rivendere all’ovest.
D’un tratto mi ritrovo a passeggiare su di un vetro trasparente, che lascia intravedere ciò che si trova di sotto: un vampiro. Non si tratta certo di Nosferatu, bensì di uno scheletro rannicchiato in posizione fetale, in una buca sassosa del terreno, lì dove è stato ritrovato.Si deduce che fosse un vampiro, almeno secondo l’opinione dei suoi contemporanei, da indizi come la posizione particolare dello scheletro, che obbediva ad un preciso rituale scaramantico; sembra inoltre che i polsi del poveretto siano stati legati.
In zona ci sono stati anche molti ritrovamenti di scheletri decapitati, con il teschio appoggiato sopra alla bara, dove giaceva il resto del corpo.
In un età ricca di superstizioni e d’ignoranza si poteva essere accusati di vampirismo a causa delle cose più sciocche, come le sopracciglia folte ed unite o la carnagione tendente all’arrossamento. Pensare che sarebbero bastate un paio di pinzette o un po’ di buon fondotinta!
Una delle zone più appassionanti del museo è l’esposizione permanente “ Il commercio e la vita quotidiana nella Piazza di Cracovia”, che immerge il visitatore nelle vivaci atmosfere di un tempo, facendolo camminare attraverso le antiche strutture degli esercizi commerciali, tra il vociare caotico di venditori e clienti. Riconosco, in mezzo a questi echi del passato, anche le grida di richiamo di molti italiani, venuti qui a vendere le loro stoffe.
Negli espositori di questa sezione ci sono oggetti quotidiani ritrovati in piazza, che vanno dai chiavistelli, alle scarpe ed ai gioielli. Tutto viene spiegato con chiarezza, soffermandosi anche sui dettagli delle mode dell’epoca. Scopro ad esempio che per essere cool nel 300’ o giù di lì si dovevano portare mazzi di grosse chiavi tintinnanti appese alla cinta..
La sera, dopo un’altra bella infornata di pierogi e il vin brulè aromatizzato ai chiodi di garofano, mi regalo, al prezzo di 60 PLN, neanche 15,00 €, un concerto alla Chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Questi eventi sono molto pubblicizzati e troverete delle brochures un po’ ovunque; in genere iniziano presto la sera, intorno alle 20.00. La chiesa dei Santi Pietro e Paolo è una delle poche dall’aspetto occidentale, la prima interamente barocca eretta dai gesuiti condotti in epoca controriformistica.
La raggiungo percorrendo la movimentata ul.Grodzka, parte dell’antica via reale che collega la Piazza del Mercato alla Collina di Wavel, dove si trova il famoso castello della città. Lungo la via oggi ci sono negozi, un paio di alimentari, molti ristoranti e bar. La cosa che più mi colpisce, giunta difronte alla chiesa, è la schiera di statue degli apostoli che sono collocate lungo le alte mura d’ingresso, copie degli originali del XVIII secolo.
lo spettacolo dei cinque concertisti, nella semioscurità degli interni severi della chiesa, è emozionante; prevede esecuzioni di autori classici come Pachelbel, Mozart, Chopin e Vivaldi. Per fortuna mi sono vestita bene, perché in chiesa fa quasi più freddo che all’esterno.
Al ritorno approfitto del comodo orario d’apertura notturno degli alimentari, rifornendomi di caffè e altri alimenti per la colazione. I prezzi sono molto bassi, ma credo che i migliori affari si possano fare fuori dal centro.
Nelle viscere della terra: Miniere di Wielizcka
L’escursione alle Miniere di sale di Wielizcka (www.kopalnia.pl) è un must del viaggio a Cracovia. Il sito si trova a 14 km a nord est del centro di Cracovia. Si esplora l’itinerario turistico lungo circa 2 km, con 22 grotte collegate da gallerie. Per organizzarsi da soli si raggiungono le miniere con il bus urbani 204 e 244; la visita guidata di 2h è comunque obbligatoria e dovrete attendere che si formi un gruppo. Si effettua in diverse lingue: quelle in italiano sono previste solo d’estate.
Il complesso di cave sotterranee è localizzato in nove livelli ad una profondità che va dai 64 ai 327 metri. L’estrazione del sale, sciolto nelle acque marine milioni d’anni fa poi, cristallizzato sedimentato, iniziò nel duecento e continuò per nove secoli, fino al 1996. Il sale era preziosissimo, a causa delle sue capacità insaporenti e conservative nel campo alimentare e, grazie al suo commercio, la città ha potuto prosperare; le cave infatti appartenevano, fino all’arrivo degli Austriaci, alla casa reale di Polonia.
Le miniere, che hanno attratto nei secoli schiere di illustri visitatori, si snodano sotto la superficie della città in una dimensione onirica e ricca di mistero, fatta di grotte, laghi e cappelle sotterranee, ricolme di sculture forgiate dalle mani di minatori autodidatti.
A spingerli forse fu la necessità di affrancare lo spirito durante il duro lavoro nelle profondità della terra. Le sculture a volte sono decisamente naif, oppure in pesante stile sovietico; alcuni ambienti, invece, lasciano decisamente senza fiato.
La scoperta di giacimenti di salgemma, come ogni cosa importante nella vita cittadina, affonda le radici nella leggenda: si narra di una principessa ungherese, Kinga, di un voto e di un anello magico ritrovato nelle viscere della terra. Le statue della sotterranea Grotta Janowice raffigurano il mito (1967).
Scendiamo con la nostra guida, una bionda dall’aria annoiata, che ci fa percorrere i parecchi gradini del Pozzo Danilowicz, fino al livello I a 64 mt di profondità. Attraversiamo poi lunghi tunnel dai soffitti bassi, interamente ricoperti di grossi tronchi d’abete, sbucando nelle prime sale, tra le quali spicca la Grotta di Copernico; l’astronomo polacco, studente all’Accademia di Cracovia, visitò la miniera nel 1493.
La parte più suggestiva delle miniere è la Cappella di santa Kinga o Cunegonda, situata al livello II, alla profondità di 100 mt. Uno spazio stupefacente, lirico e grandioso, ricavato dall’estrazione di un gigantesco blocco di salgemma verde. Nel vuoto lasciato da quest’ammasso salino i minatori crearono un cappella, lavorando dal 1896 al 1963 e sostenendola con vaste opere di carpenteria.
C’è da aspettarsi quasi l’apparizione della principessa Kinga, col suo bianco corteo di fantasmi, tanto è surreale l’atmosfera del luogo. L’ambiente, ricco di poesia, è vasto la bellezza di 74×17 mt. Dagli alti soffitti pendono sontuosi i lampadari, che sembrano fatti di cristallo. Il pavimento è reso straordinariamente lucido dal calpestio continuo dei piedi di visitatori e alle pareti si trovano bassorilievi di grande pregio, come quello dell’Ultima cena, copia dell’opera leonardesca, scolpito negli anni 40’. Su di un lato intravedo anche la statua di Giovanni Paolo II, l’unica la mondo interamente di sale, creata nel 1999.
Continuiamo ad aggirarci nell’incanto di questi luoghi, lasciando la cappella e attraversando, sui ponti di legno, vasti laghi salati sotterranei: tuffarsi sarebbe un suicidio, data la percentuale di salinità dell’acqua. L’aria che si respira è invece purissima tanto che, nella grotta del Lago Wessel, funziona il Centro sotterraneo di terapia e riabilitazione per curare malattie respiratorie. Dopo qualche acquisto nei negozi, in cui farò incetta di fantastici sali da bagno e cristalli salini, risalgo alla luce. Per chi volesse mangiare, c’è anche un ristorante, sempre sottoterra, off course.
Una fetta di Francia in Polonia
Nel pomeriggio cambio radicalmente prospettiva e mi dedico all’arte francese. Una brochure presa all’ufficio turistico mi ha svelato una mostra imperdibile, ospitata in una delle sezioni del Museo Nazionale di Cracovia, www.mhk./pl in Piazza Szczepanski. (int. 12 PNL) . Da Rynek Główny imbocco ul. Szczepańska e svolto a destra fino alla piazza. Il punto di riferimento suggeritomi è il Caffe’Tribeca, un bar all’americana, che si trova nello stesso immobile del museo, un elegante edificio a due piani adiacente al Teatro Stary e al Palazzo delle Arti.
Il Museo Nazionale di Cracovia si suddivide in molte sezioni sparse per la città e con i rinnovamenti recenti non trovo esatti riscontri sulle mie guide, mentre il sito è sempre aggiornato. La sede principale si trova fuori dalla Città Vecchia ed ospita la Galleria d’Arte Polacca del XX secolo, la Collezione di armi ed uniformi ed il Museo di Arti Decorative. La sezione delle esposizioni temporanee è in un continuo mutamento, il che vi farà abbandonare l’idea che a Cracovia ci sia poca vitalità artistica e culturale.
La Casa Szolayski, dove mi sto dirigendo, risale al XV secolo e ospita un’esibizione che comprende 300 lavori di artisti attivi in Francia in quel magico periodo che va dall’ultimo quarto del XIX secolo all’inizio del XX. Le opere appartenevano aI collezionista Feliks Jasienski, pittore lui stesso e critico di fama, nonché uno dei principali benefattori del museo che oggi gli è intitolato.
Appesa alle pareti, l’atmosfera della Parigi di fine secolo c’è tutta: le donnine salottiere e pettorute delle pubblicità di J.Chéret, le piccole lavandaie di P. Bonnard, i signori con sigaro e cappello e le ballerine di Touluse-Lautrec. Emozionante il profilo del poeta maudit per eccellenza, C. Baudelaire, tracciato dalla svelta matita di E. Manet.
Al secondo piano invece sono esposti preziosi tappeti orientali, antiche tuniche e ceramiche; a sorpresa mi ritrovo poi immersa nei paesaggi del Giappone di K. Hokusai e U. Hiroshige o nelle tenebre spagnole evocate dai Capricci di F.Goya.
Prima di ritornare in appartamento, faccio due passi nell’affascinante quartiere universitario, che si trova proprio qui. Uscendo dalla Piazza, percorro ulica Jagiellonska fino al n.15, dove sorge il Collegium Maius, suggestivo edificio gotico, sede dell’antica Università Jagellonica. Ancora oggi Cracovia è popolata di studenti, a proseguire una tradizione universitaria cominciata nel 1364 , quando Casimiro III il Grande fondò l’Accademia.
E’ stata una giornata magnifica e la concludo con una cena al Magnes (www.magnes.cracow.pl), ristorante dai pavimenti scuri, antichi e sconnessi, con una surreale vecchia carrozza posta al centro del locale. Si trova in ulica sw.Tomasza 15, vicino al mio alloggio. Concludo con un dolce al vicino Caffè Camelot, bello e fiabesco come il suo nome: candele, statue di angeli, e un’atmosfera incantata racchiusa da mura duecentesche. Da non perdere.
Auschwitz e il nazismo a Cracovia
In una livida alba dicembrina, mi accomodo sul pullman che mi porterà al Campo di Concentramento di Auschwitz-Birkenau (http://auschwitz.org), situato nella regione sud occidentale dell’Alta Slesia, ad un’ora di viaggio da Cracovia.
Erano anni che volevo visitare questo luogo. Nonostante la grande quantità di persone che vi si reca solo per dire di esserci stati, secondo me resta prioritario preservare la memoria di ciò che è accaduto. Non a caso l’Unesco ne ha riconosciuto l’importanza, inserendo nel 1979 il sito del Campo nella sua lista di patrimoni dell’umanità da proteggere; solo nel 2015 ci sono stati 1,72 milioni di visitatori.
L’entrata è gratuita e si può effettuare la visita sia da soli, che a pagamento con una guida specializzata. La visita guidata da aprile ad ottobre è obbligatoria negli orari di massima affluenza ed i posti sono limitati. Il modo migliore di raggiungere da Cracovia la località di Oświęcim, nome odierno di Auschwitz, è l’autobus o, in alternativa, il treno.
Mentre attraversiamo i boschi spettrali della Slesia, ammantati del gelo del mattino, in pullman si proietta il documentario della liberazione sovietica del Campo, avvenuta nel gennaio 1945. Giunti a destinazione, mi presentano Anneta, una guida specializzata che ho la fortuna di avere tutta per me: il resto del mio gruppo farà la visita in inglese, io in italiano. Ho già visitato Il campo di Dachau in Germania, dove non è rimasta che l’impronta sbiadita della tragedia. Qui, al contrario, si può toccare con mano ciò che è stato.
La prima parte comprende il Campo di Concentramento di Auschwitz I, fondato nel 1940 dai tedeschi, che utilizzarono caserme polacche già esistenti; inizialmente destinata a prigionieri politici polacchi, inseguito la zona divenne il primo vero campo di sterminio.
Si inizia il percorso varcando l’agghiacciante cancello con la scritta Arbeit macht frei, non originale; dopo il furto del 2009, la vera scritta, recuperata e restaurata, oggi è custodita negli archivi. A destra, poco dopo l’ingresso, si trova l’edificio davanti al quale suonava funerea l’orchestra di prigionieri, mattina e sera.
I blocks sono una trentina di edifici rossastri in muratura, dall’aria sinistra e all’interno di alcuni, sono allestite aree espositive. Qui si trovano fotografie dell’epoca ed i resti dei prigionieri: montagne infinite di capelli, protesi, vasellame, scarpe, valigie con le scritte dei nomi, date di nascita e indirizzi. La mole e la povera umanità di questi resti produce un effetto forte. Sbalorditi ed increduli, si rimane colpiti prima di tutto dalla loro vastità, tanto che la mente fatica a focalizzare: si parla ad esempio di 110.00 paia di scarpe e di 3.800 valigie. Guardando quei macabri cumuli di oggetti inizialmente si stenta a capire, solo dopo qualche tempo si realizza che ciascuna cosa apparteneva ad un individuo, una persona reale, che è vissuta e morta qui.Un rotolone di stoffa, simile alla tela di sacco e fabbricata con i capelli umani, è esposto in una teca, in tutto il suo orrore.
Diversi contenitori di Zyklon B, il famoso gas utilizzato per lo sterminio, si possono osservare da vicino. Il gas scendeva come una pioggia di ghiaia azzurra, sassolini che a contatto con l’aria sprigionavano la sostanza letale: l’agonia durava circa 30 minuti.
Visitiamo l’edificio più temuto dai detenuti, il n.11; era il carcere generale del campo e qui si verificavano le torture più spietate, di stampo medievale, come venir rinchiusi in bui pertugi di muratura senza finestre. Fuori, sul muro delle fucilazioni, sono stai portati fiori freschi.
Il piazzale dell’adunanza, teatro di scene drammatiche, mostra ancora i pali delle impiccagioni e la torretta in legno della guardia delle SS.
Nella seconda parte della visita raggiungiamo in pullman Auschwitz II o Birkenau, distante 2 km, il vero e proprio Campo di Sterminio.
Fu costruito più tardi, nel 1941-42 col preciso intento di eliminare ebrei, rom e altri nemici del nazismo; qui fu realizzato il più gran numero di uccisioni. All’arrivo di Primo Levi, nel febbraio 1944, la costruzione dei binari non era ancora terminata: il suo treno si fermò davanti all’ingresso che ora sto varcando e lui dovette raggiungere a piedi l’interno del campo, dove venne registrato col numero con il numero 174.517.
I lunghi binari, le torrette, i vasti campi con le baracche circondati dal filo spinato: la strana sensazione di familiarità con questi luoghi, eco di tanti film, libri ed i documentari, si fa qui più intensa e potente.
Il Campo è diviso in due parti: quella femminile e quella maschile. La parte riservata alle donne è quella meglio conservata, perché in muratura. Entrata in una delle baracche, posso osservare le cuccette a castello in legno ed i pavimenti sterrati, rimanendo impressionata dallo squallore e dall’angustia degli spazi.
Penso ad una delle mie scrittrici preferite, l’ebrea russa lrène Némirosvky, donna dalla sensibilità non comune, che dal suo mondo aristocratico si è trovata precipitata in questo fango, finendo nella camera a gas nell’agosto del 1942. Anche Anna Frank è passata di qui, prima di trovare la morte per tifo a Bergen Belsen, nel 1945. Le condizioni di lavoro erano le stesse degli uomini, per cui la maggior parte delle donne (se non eliminate subito) non è sopravvissuta.
Mi soffermo con la mia guida nella zona che divide le due parti del Campo, vicino ai binari, Al nostro fianco si trova ancora la baracca dell’amministrazione delle SS. Qui davanti si procedeva alle tristemente note selezioni, stabilendo chi mandare alla camera a gas e chi ai lavori. L’ ingrandimento di una fotografia dell’epoca, posto in questo punto esatto, mostra cosa avveniva qui, settant’anni fa: le SS che selezionano e le file di prigionieri, per lo più ignari e confusi, appena scesi dai treni.
Un vagone di quelle vetture della morte è stato riportato al Campo e collocato sui binari. Si tratta di uno dei pochi superstiti, ritrovato da un ex-prigioniero ungherese che era stato deportato ad Auschwitz con suo padre. Il vagone è stato lasciato sui binari nel punto in cui il padre fu fucilato, appena sceso dal mezzo.
Ci voltiamo verso la torretta d’ingresso: guardando verso destra, in lontananza, si scorgono gli edifici della fabbrica di Monowitz, situata nella zona del campo chiamata Auschwitz III, dove lavorò Primo Levi come chimico.
Percorriamo poi il cammino fino ai resti delle camere a gas e dei forni, fatti saltare in aria dai nazisti in ritirata, perché non ne restasse traccia. Tra le rovine dei crematori I e II si trova il Monumento internazionale alle vittime del nazifascismo, del 1967.
Prima di terminare la visita chiedo ad Anneta cosa successe dopo l’arrivo dei sovietici. Lei, che riporta l’esperienza diretta dei suoi nonni, mi confessa che è stato peggio. “Se ne sono andati solo nel 1989.” aggiunge. Quest’ultima frase mi lascia sgomenta: una cosa è leggere la storia, ma sentire queste parole dal vivo fa tutt’un’altro effetto.
Continuo la giornata rimanendo sullo stesso tema, perché mi sarebbe impossibile fare qualsiasi altra cosa.Tornata in città col pulmino, mi faccio lasciare dall’autista ad un incrocio vicino al Castello. Costeggiando la Vistola, solcata da uno sciame bianco di cigni, ammiro il paesaggio della Collina di Wavel, maestosamente protesa sul fiume.
Salgo su una delle tante vetturette elettriche parcheggiate in zona che offrono tours della città, contrattando con l’autista un giro nel quartiere ebraico di Kazimierz e nel ghetto: mezz’ora per 30 PLN. Mi farò poi lasciare in via Lipowa 4, al Museo Schindler.
Kazimierz, a sud del Castello, fu fondato come municipio indipendente da Casimiro III il Grande e ospitò per secoli la vivace comunità ebraica. Qui si trovano chiese e sinagoghe, oltre ai musei ebraici ed al cimitero di Remuth. Oggi è un quartiere trendy e molto interessante, dove ci sono anche ottimi ristoranti.
Attraversiamo il ponte Powst Slaskich, che gli ebrei percorsero nel 1941, quando furono costretti a lasciare le loro case per essere rinchiusi nel Ghetto, del quale rimane un pezzo di muro, dall’aria oscura e bituminosa, subito a sud della piazza principale.
In queste strade vissero ammassati più di 15.000 ebrei di ogni estrazione sociale, fino al marzo del 1943, quando i nazisti ne decisero la liquidazione, compiendo stragi e deportazioni di massa. La Piazza degli Eroi del Ghetto, Plac Bohaterov Getta, con le sue 70 sedie vuote a simboleggiare le persone strappate alla vita ed alla loro comunità, è pervasa ancora di un’aria cupa. All’angolo c’è la Farmacia dell’Aquila, oggi un museo, dove Tadeusz Pankewicz aiutò molti ebrei, rischiando la sua stessa vita.
Sta cominciando a piovere e a scendere la sera, quando varco la soglia dell’ex Fabbrica di Oscar Schindler a Podgorze, il quartiere industriale. La storia del carismatico imprenditore tedesco non sarebbe forse giunta a noi se lo scrittore australiano Thomas Kenneally non avesse conosciuto uno degli “ebrei di Schindler”; dal suo romanzo prese poi spunto l’indimenticabile film di S.Spielberg del 1993, Schindler’s list.
All’interno della fabbrica, oggi un museo, è allestita l’esibizione permanente “Cracovia sotto l’occupazione nazista”, vibrante affresco di quel periodo drammatico. I visitatori entrano nel tunnel del tempo e l’immersione è totale: se ne esce turbati, vinti dall’emozione.
Effetti sonori, centinaia di immagini, manifesti e filmati ricreano il clima torvo di quegli anni. Sono esposte armi, divise ed un carro armato polacco, affiancati dalle ricostruzioni di ambienti, come il tram riservato ai tedeschi o le sovraffollate stanze del ghetto. Da brivido le immagini che ritraggono il famigerato Amon Göth, “il boia di Cracovia”, interpretato da Ralph Fiennes nel film di Spielberg. L’ufficiale nazista, comandante del campo di concentramento di Płaszów, vicino a Cracovia, sarà impiccato dopo il processo di Norimberga.
Della vecchia fabbrica di oggetti smaltati purtroppo è stato conservato solo l’ufficio di Schindler e della sua segretaria; l’unico pezzo originale sembra essere la cartina dell’Europa, appesa dietro la scrivania dell’imprenditore.
Uscita dal museo, dato che piove ancora, faccio ritorno con un’altra vettura elettrica verso il centro. Mi fermo a sorseggiare un tè al Caffè Camelot, riflettendo sulle cose viste in questa giornata.
Dopo essermi rinfrescata ceno all’ottimo Induus tandoori (http://www.indus.pl) in ul.Slawkowska, il miglior ristorante etnico della città secondo la Lonely planet. Senza scadere in una vuota retorica, sinceramente mai come stasera la cena mi sembra un grande, meraviglioso privilegio.
L’incanto di Wawel
L’ultima giornata del mio viaggio la dedico alla visita di Wawel (www.wawel.krakow.pl), sull’omonima collina che sovrasta la città. Luogo simbolico per eccellenza, sede per secoli del potere ecclesiastico e secolare, il complesso comprende il Castello e la Cattedrale. Dopo le diverse occupazioni da parte di popolazioni straniere, oltre ad un paio di grossi incendi, è stato difficile conservare gli ambienti intatti; molti sono stati ricostruiti con opera paziente, sovvenzionati dalla collettività tra le due guerre.
La Cattedrale ed il variegato insieme di edifici del Castello, risalenti a periodi diversi, si dispongono intorno ad un armonioso parco. La visita però è resa spiacevole dall’organizzazione turistica: è suddivisa in sezioni per ciascuna delle quali occorre acquistare un biglietto (int. dai 25,00 ai 18,00 PLN), con specificato l’orario e durata di visita. Non è possibile fare pause, col risultato che si è troppo stanchi per godersi le ultime sezioni. Sul pannello a lato della biglietteria troverete i vari luoghi visitabili, coi relativi prezzi: attenzione perché i posti sono limitati.
Io evito gli Appartamenti reali, per i quali è prevista una visita guidata obbligatoria in lingua polacca o inglese ed inizio la giornata con Wawel Perduto, la parte più antica del complesso, che trovo deserta. Ospitata nelle antiche cucine reali, espone i suggestivi resti della primitiva chiesa, la Rotonda dei Santi Felice e Adaulto, del X secolo ed alcuni reperti, come deliziose formelle di ceramica colorata con l’immagine del drago.
Al piccolo Museo di arte orientale, retaggio di contatti commerciali e militari con l’Asia e la Turchia, sono esposti antichi drappi, splendidi vasi della dinastia cinese ming, armature e vessilli turchi.
Entro finalmente nel celebre Cortile del castello, dove posso ammirare la zona più scenografica e sontuosa del luogo. Un pentagono ampio ed irregolare è chiuso da ariose logge, che traggono ispirazione dalle case fiorentine del 400’; infatti l’autore di questa meraviglia rinascimentale è un italiano, Francesco Fiorentini. I colori chiari e le eleganze mediterranee, sposate ad un contesto nordico, conferiscono un fascino speciale al castello.
Passeggiando tra le Camere di Stato, quasi tutte percorse da magnifici fregi istoriati sulla parte alta delle pareti, i visitatori si torcono tutti il collo giunti nella Sala dei Senatori: alzando lo sguardo al soffitto si scopre un’impressionante serie di teste. Dai vari riquadri di legno infatti, come emerse dalle nebbie del tempo, sporgono una trentina di facce scolpite, una diversa dall’altra. In particolare spicca la testa inquietante di una donna con la bocca bendata…
Non è del tutto chiarito il mistero di queste figure, che in origine erano ben 194; è una carrellata di volti appartenenti a borghesi, scienziati, cortigiani e re leggendari. Concepito per impressionare i visitatori, fu creato da Sebastian Tauerbach verso la metà del 500’. L’opera non ha eguali in Europa ed esprime bene tutta la vena immaginifica e teatrale che percorre la cultura polacca.
La preziosa collezione di Arazzi fiamminghi del re Sigismondo II Augusto, risalenti al 500’, sedurrà anche chi non è appassionato del genere: da non perdere il vasto arazzo della costruzione della Torre di Babele, bello come un dipinto.
E’ giunto il momento più emozionante della mia visita, l’incontro con la splendida Dama con l’Ermellino (1488). L’opera è ospitata al castello dal 2012, per via delle ristrutturazioni al Museo dei Principi Czartoryscki, sua sede abituale.
Si trova negli ex appartamenti della regina Bona, dove è sorvegliata a vista da un poliziotto. La Monnalisa rappresenta il termine di paragone più frequente con l’opera, trattandosi ambedue di intensi ritratti femminili usciti dal pennello di Leonardo da Vinci. Mentre la Gioconda è stata vista e riprodotta in milioni di volte, perdendo molto della sua aura, questa dama, pur essendo celebre, conserva ancora una buona dose di mistero e di freschezza, anche se è un po’ più vecchia della sua rivale.
Cecilia Gallerani fu la giovane amante del duca milanese Ludovico il Moro, che ne commissionò il ritratto a Leonardo. L’ermellino, riferimento simbolico e dotto al cognome di Cecilia in lingua greca e al soprannome del committente, è un bizzarro animaletto bianco, dalle zampette muscolose e possenti.
La ragazza, nello splendore acerbo dei suoi sedici anni, distoglie pacata lo sguardo da chi la osserva; con grazia tiene in braccio l’ermellino, facendo mostra di una mano affusolata e bianchissima. Affacciata verso lo spettatore da uno sfondo nero che ne enfatizza il mistero, ricorda sotto questo aspetto anche un’altra dama altrettanto famosa, la Ragazza con l’orecchino di perla di Veermeer. Dopo la morte di Cecilia, il ritratto scomparve per secoli, per riapparire poi nell’Ottocento, quando fu acquistato dal principe Czartoryski come dono a sua madre. Il suo fascino elegante sedusse ed incuriosì molti potenti, tra cui Adolf Hitler, che la voleva per la sua collezione privata.
Con grande stanchezza concludo la mia visita al Castello percorrendo le sale dell’Armeria della Corona e del Tesoro, dove la famosa spada usata per le incoronazioni mi delude un po’ per la sua semplicità.
Prima di recarmi in cattedrale, mi concedo un coffee-break rigenerante al bar che si trova nella zona della biglietteria e del bookshop di Wavel. Un posto pieno di tentazioni, soprattutto dolci: latte al caramello, cioccolata aromatizzata, torte e frullati.
L’ingresso alla Cattedrale (www.katedra-wawlska.pl) è gratuito: a parte si pagano, se lo si desidera, la visita alla Cripta Reale alla Campana di Sigismondo (int.12,00 PLN).
La chiesa assunse l’appellativo di reale con l’unificazione della Polonia nel 1320 ed inseguito ospitò tutte le incoronazioni e le sepolture dei re, poi allargate anche agli eroi nazionali, come poeti ed artisti, ad esempio Chopin.
Lo spazio esterno è caotico e complesso per le diverse aggiunte architettoniche succedutesi nel tempo, in un variare sontuoso di colori, forme e materiali; tra tutti emerge la fastosa cupola dorata della rinascimentale Cappella di Sigismondo.
All’interno, l’impianto gotico a tre navate della chiesa trecentesca, circondato da cappelle, è letteralmente invaso e soffocato da sarcofagi e monumenti sepolcrali, eretti per gli imperatori e le loro famiglie. Una sequenza pomposa e vagamente inquietante: e proprio qui sta il suo fascino, in quell’atmosfera dark, fantasiosa e un po’ teatrale, che è tipica di Cracovia. La sensazione tenebrosa è aumentata dal look alla Harry Potter del personale: lunghe tuniche nere col cappuccio e con al petto un piccolo stemma ricamato.
Il mutare delle fogge dei sepolcri riflette portentosi cambiamenti di gusto e stile: dalla tomba di Casimiro Jagellone in marmo rosso d’Ungheria col re disteso sotto un baldacchino, fino alla semplicità del monumento di Santa Edvige, candido e sobrio come la defunta regina cui è dedicato, particolarmente venerata dai polacchi. Ne leggo la breve biografia sul pannello esplicativo a lato della tomba: nata nel 1374, regina nel 1384, sposa due anni dopo e morta nel 1399… all’epoca si bruciavano le tappe!
Al centro della cattedrale si trova la Confessione di Stanislao, vescovo di Cracovia: un pesante sarcofago d’argento con baldacchino. Scendo nella Cripta, dove l’atmosfera si fa sempre più sinistra, col susseguirsi asfissiante di sepolture dalle bare enormi e di altre orribilmente minuscole, che dovevano ospitare bimbi e neonati.
Per riprendermi salgo le anguste scale di legno della torre, ben 70 gradini male illuminati, fino a raggiungere l’enorme Campana di Sigismondo risalente al 1520, che tocco visto che porterebbe fortuna in amore.
La grande finestra del campanile si apre sul panorama dei tetti di Cracovia, una distesa magnifica tra cui spiccano le sue grandi chiese.
Lo sfarzoso caffè J.Noworolski, che ha mantenuto le atmosfere dei primi del Novecento, mi accoglie per un pranzo tardivo. Si trova sotto il Portico del Fondaco e ha una fantastica vista sulla Piazza. Qui gusterò un camembert alle mandorle sulle note di Chopin suonate dal pianista, osservando dalle vetrate i giocolieri della piazza.
Nel pomeriggio seguo, partendo da Rynek Główny, ul.Slawkowska e, dopo qualche minuto, giro a destra in ul.Bastzowa. Ecco finalmente il Barbacane, medievale struttura difensiva che pare uscita da un libro di favole. Due passi a sud est si trova la Porta San Floriano. Il maestoso ingresso introduceva alla strada reale, che portava al castello regnanti ed ospiti illustri. Ancor oggi la via si snoda su ul.Florianska e ul.Grodzka, fino alla Collina di Wawel.
Tornata nella Piazza del Mercato, salgo al primo piano del Fondaco dei Tessuti per esplorare la Galleria di Pittura Polacca del XIX secolo www.muzeumniepolomice.pl (int.12,00 PLN). Il museo è minuscolo e non vi porterà via molto tempo: in compenso si potranno vedere opere interessanti. Suddivisa in quattro sale, con stili riconducibili alla pittura storica monumentale, realismo e romanticismo, fino alle opere influenzate dallo stile impressionista. Qui potete vedere gli interni di Mariacki com’era nell’Ottocento, prima di essere affrescata col cielo blu, nel dipinto ad olio del 1875 di S.Swierszynski. Dolcissima la ragazza di Bronowic (1893-94 di A. Giermryski), in costume tradizionale: l’espressione dello sguardo e la delicatezza dei tratti si possono trovare ancora tra le strade di questo paese e mi appaiono come l’emblema del suo popolo mite e gentile.
Visito l’interno della Basilica di Santa Maria (www.mariacki.com), per concludere ad effetto il mio soggiorno in Polonia. Il biglietto (int.6,00 PLN) si fa nell’edificio che si trova sul lato est della chiesa, nella bella Plac Maracki, che fino al XIX secolo era un camposanto. Piccola e raccolta, la piazzetta è permeata di una malinconica poesia.
Entro nella Cattedrale dall’ingresso laterale riservato ai turisti che conduce al coro e al presbiterio. Purtroppo una parte della chiesa, l’ingesso principale e tutta la parte anteriore, non è visitabile, perché riservata ai fedeli. Entrati, è inevitabile alzare gli occhi al soffitto per ammirare l’azzurro oltremare, trapuntato di stelle d’oro, che ricopre come un manto favoloso gli archi acuti, protesi verso altezze celesti.
Mi dirigo vicino all’altare barocco. Sopra di esso, la grandiosa pala scolpita in legno di tiglio da Veit Stoss mi appare come un’opera visionaria e realistica allo stesso tempo. Quasi fossimo a teatro, davanti a me prende vita la scena centrale della Dormizione della Vergine, in una roboante visione di oro, porpora e azzurro. I panneggi dei manti degli apostoli, le espressioni intense ed i loro visi realistici, quasi strappati dalle strade della Cracovia quattrocentesca: tutto è fatto per colpire l’immaginazione del credente. Il pentittico, risalente al 1489, è monumentale e si guadagna il primato per le dimensioni tra tutte le opere d’arte medievali.
Mentre osservo la pala, una giovane coppia entra in tutta fretta sorridendo, s’inginocchia sotto l’altare e prega, tenendosi per mano. Poi un bacio e via, di corsa fuori dalla basilica. Forse dai tratta di fidanzati che stanno per sposarsi; in Polonia la religione cattolica è molto sentita e praticata anche tra i giovani.
Un’altra bella serata tra le bancarelle del mercato e, tra una tazza di vin brulé e un piatto di pierogi, sta terminando il mio viaggio. Più tardi, mentre preparo la valigia, degli scoppi improvvisi interrompono la quiete ed il silenzio del mio appartamento al quarto piano. D’istinto apro la finestra…niente terroristi, per fortuna; invece, sopra alla distesa scura dei tetti, scopro la notte di Cracovia che si accende di fuochi d’artificio, come se la città mi stesse salutando, tra sciabolate d’oro e una pioggia di stelle colorate.
Se uno dei compiti principali di un viaggio è quello di stimolare lo spirito e la mente, Cracovia è riuscita perfettamente nell’intento, a giudicare dalla quantità di libri e documentari che ho noleggiato in biblioteca al mio rientro, soprattutto sulla seconda guerra mondiale. Impresse nella memoria, sono le luci e le ombre della vecchia Europa: la dolcezza di Cracovia, la tenebra di Auschwitz.