Cinque giorni in Terra Santa
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2 GENNAIO
Giornata interamente dedicata agli spostamenti. Il nostro volo (da Roma) con la compagnia Sun D’Or è alle 13.00 ma trattandosi di una destinazione particolare è necessario essere in aeroporto tre ore prima. I controlli sono lunghi e pesanti al punto che, prima dell’imbarco, abbiamo solo il tempo di comprare una bottiglietta d’acqua. Arriviamo a Tel Aviv alle 17.30 ora locale (una in più rispetto all’Italia) e prendiamo il pullman in direzione di Nazareth (circa 100 km). Sistemati i bagagli al Tabar Hotel ceniamo nella sala ristorante dell’albergo. E’ previsto il buffet e il cibo non è niente male. Rimaniamo colpiti in particolare dagli agrumi, sia dalle dimensioni che per il sapore: giganteschi e succosi. Siamo in un punto molto lontano dal centro , per cui è difficile arrivare verso qualcosa di importante a piedi. La voglia però di iniziare a scoprire dove siamo è tanta e cominciamo a camminare. La prima cosa che osserviamo è la luna: sembra diversa da come la vediamo in occidente,da l’idea che stia per cadere. Effettivamente immaginando però lo spicchio è la stessa posizione che troneggia sulle moschee. Ci troviamo a metà tra la parte nuova detta Nazareth alta e la città vecchia. La prima, costruita dagli ebrei, è caratterizzata per lo più da abitazioni realizzate in pietra bianca. Singolarmente carine anche se ai nostri occhi nel complesso appare un po’ come un caos architettonico ma forse è solo questione d’abitudine. La parte bassa, che vedremo meglio domani, è invece cristiano-mussulmana. Entrambe le zone sono autonome in quanto governate da due sindaci diversi ma sembra comunque esserci una serena convivenza pacifica.
3 GENNAIO
Inizia di buon mattino il nostro primo vero giorno in Terra Santa. Visitiamo per prima la chiesa di S. Giuseppe: la tradizione qui vuole sia vissuta la Sacra Famiglia. I loro parenti , divenuti cristiani, la trasformarono poi in luogo di culto. E’ stata rinvenuta infatti un’antica fonte battesimale ma gli scavi hanno riportato alla luce anche grotte dell’originario villaggio. Vedendo queste e soprattutto i resti archeologici che si trovano fra la chiesa e il Santuario dell’Annunciazione ci si rende effettivamente conto di come poteva essere strutturato l’agglomerato urbano ai tempi di Gesù. E’ chiaro che si trattava di un centro agricolo, sono state infatti rinvenute cisterne, mulini, presso i per il vino e vecchi frantoi. Con un po’ di fantasia sembra ancora di vedere la vita di tutti i giorni che si anima per le lontane vie. Ogni singola grotta era parte integrante delle abitazioni. Venivano infatti sfruttate per conservare alimenti e proteggere il bestiame, rappresentando l’unico ambiente fresco quando era il caldo a farla da padrone. In riferimento a quanto detto ci viene precisato di abbandonare l’idea che Giuseppe e Maria nel recarsi a Betlemme bussarono a tutte le porte per trovare un posto dove fermarsi. Entrambi erano infatti originari di quelle parte ed avevano parenti in grado di ospitarli. L’organizzazione della casa prevedeva che i letti fossero messi uno accanto all’altro. In occasione del censimento le persone che arrivarono furono talmente tante che la fila di brande arrivava proprio fino alla grotta. Ecco perché a Maria toccò partorire in quella che da sempre definiamo mangiatoia. Ci rechiamo poi alla maestosa Basilica dell’Annunciazione, all’interno della quale scendendo pochi gradini si arriva al punto più venerato ossia La Grotta dell’Annunciazione. Essa rappresenta la parte posteriore, scavata nella roccia, della casa di Maria e che sia stata proprio questa si dice ci siano prove certe. Sono state ritrovate rocce risalenti a quel periodo con incisioni che ne facevano specifico riferimento. Una bella emozione. Riprendendo il percorso non possiamo non ammirare le immense coltivazioni. Ogni singola parte di superficie ospita un albero da frutto ed è incredibile vedere come non ci sia nulla fuori posto nonostante gli ettari di terreno siano davvero sconfinati. La meraviglia arriva soprattutto perché, pesando ad Israele, ho sempre avuto l’immagine di una terra povera e arida dimenticando che, nella Bibbia, è definita invece come luogo dove “scorre latte e miele”. Ora ne comprendo il motivo. Arriviamo al sito storico di Cafarnao dove si trasferì Gesù dopo aver lasciato Nazareth. I resti sono quelli dell’antica sinagoga e della casa, che da testimonianze, si identifica con quella di S. Pietro. Si tratta di una zona sismica, le pietre che facevano parte della città sono tutte laviche ed è probabile che sia stata distrutta da un terremoto. Non fu mai ricostruita, Gesù da parte sua la maledisse dicendo che sarebbe sprofondata agli inferi, perché nonostante tutto non riuscì a convertirla. I popoli che vennero dopo, per timore di quanto detto, preferirono non riportarla a nuova luce. Vicinissimo sorge il lago Tiberiade. Lungo ventuno chilometri e largo undici rappresenta una meraviglia della natura. Nulla ha mai alterato il paesaggio, rimasto così come lo era duemila anni fa. Di per se basterebbe solo questo a suscitare una particolare suggestione. Se aggiungiamo però un sole che, nonostante gennaio, scalda con tutta la sua forza, le cime dei monti intorno, talmente dolci che sembrano essere disegnate dalle dita di una mano e l’azzurro scintillante dell’acqua che fa da tutt’uno con quello del cielo non è possibile non respirare un’intensa sensazione di pace e benessere, a prescindere, sono convinta, che si creda o meno. Qui si sono svolti molti degli episodi ricordati dai Vangeli: dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci alla camminata sulle acque, dalla tempesta calmata alla pesca miracolosa. Proseguiamo per una breve tappa a Gerico, e acquistiamo creme fatte con i Sali del Mar Morto. Personalmente ho provato soprattutto quelle per mani e devo dire che sono eccezionali. Una veloce sosta sotto al Monte delle Tentazioni dove in un mercato compriamo squisiti datteri e croccanti noccioline. Ci inoltriamo poi nello spettacolare deserto roccioso di Giuda. Sarà il tramonto che ne accentua i colori ma quel che colpisce di più del paesaggio sono proprio le sfumature rosso e ocra che segnano ogni singola roccia. Particolare e bellissimo. Incontriamo famiglie beduine che fanno di questo luogo la loro casa. Il rispetto che hanno della natura gli impone di non alterarne neanche un frammento. Vedendo le loro arrangiate capanne si ha un’idea un po’ triste di come debba essere la loro vita anche se per un attimo, ho quasi invidia della loro situazione di isolamento. Forse perché sono amante dei luoghi tranquilli ma pensandoci bene, la situazione politica di queste zone non è esattamente tale, è stata però questa la strana sensazione che ho avuto passando di qui. In serata siamo a Gerusalemme, il tempo di sistemarci in albergo e siamo pronti per la cena.
4 GENNAIO
Saliamo in cima al Monte degli Ulivi e la vista di Gerusalemme è incredibile. Entriamo nell’orto detto Getsemani ossia pressoio per olio. In una grotta era infatti sistemato un frantoio. Qui spesso si ritirava Gesù con i discepoli e nella poco lontana Basilica dell’Agonia è conservata la grande pietra dove pregando, prima dell’arresto, sudò acqua e sangue. Visitiamo la vicinissima Grotta del Getsemani, luogo del tradimento e della cattura. Un po’ buia e di forma irregolare fu trasformata in chiesa dai primissimi cristiani. Un’idea di quante confessioni religiose ci siano solo qui, l’abbiamo varcando la soglia della Tomba della Madonna. Si tratta di un posto stranissimo. L’odore di incenso mischiato a quello delle lampade ad olio, appese ovunque, inebria pian piano che si scende la lunga scalinata buia. La confusione arriva al massimo nell’ascoltare i canti che si sovrastano l’un l’altro per il fatto di celebrare in contemporanea due o forse anche tre messe diverse. I riti sono armeno e greco ortodosso. Per quanto bello possa essere immaginare la condivisione di un unico spazio per professare ciascuno il proprio credo è evidente purtroppo la presenza di un’aria di sfida. Saranno inoltre diversi gli esempi che vedremo dove, pur di non assecondarsi, luoghi simbolo vengono purtroppo lasciati in stato di semi abbandono. In breve penso sia interessante capirne il perché. Con le crociate si consolidò il controllo dei cristiani in Terra Santa. La conquista di Gerusalemme da parte di Saladino decretò però che solo le comunità cristiane orientali (siriani, armeni, copti) avrebbero potuto officiare nei santuari e nelle chiese dietro pagamento di un forte tributo. Duecento anni dopo l’intervento dei reali di Napoli diede la possibilità ai Francescani di poter finalmente officiare con le altre comunità nei punti cruciali per la cristianità. L’impero Ottomano tentò di strappare a quest’ultimi quanto conquistato per conferirlo nelle mani dei greci ortodossi, sostenuti successivamente anche dalla Russia. A tutt’oggi resta valido il decreto del sultano Abdul-Majid che mise fine ai disordini sancendo lo Statu Quo: ognuno resta proprietario di ciò che ha al momento dell’ emanazione del suddetto decreto. Ciò ha imposto una situazione di comproprietà e reciproci diritti. Ogni cambiamento deve essere preso di comune accordo, senza alcun intervento esterno. Ed è lampante quanto non sia semplice. Continuiamo la nostra visita nella Dominus Flevit dove Gesù pianse alla vista di Gerusalemme, da questo punto ancora più strepitosa. Un bel mosaico di una chioccia con i suoi pulcini ricorda la vicenda. Nel Vangelo di Luca è scritto infatti che pregando Cristo disse:”… Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quanto volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto….”. La zona vista fino adesso si trova fuori le mura.
Nella città vecchia
Attraversata la porta di Giaffa siamo invece nella città vecchia. Le strade sono strette e tortuose, talora a forte pendenza o a gradinate. E’ divisa in quattro quartieri: cristiano, armeno, mussulmano ed ebraico. Sarebbe ora di pranzo ma preferiamo dare un’occhiata in giro. Ammiriamo la celebre Torre di David parte integrante della cittadella che fu palazzo di Erode. Qui ricevette i Re Magi. C’è molto traffico per cui è preferibile inoltrarsi nei vicoli. Un signore ci invita a salire sui tetti da un’apposita scaletta: sono tutti comunicanti e rappresentano il modo migliore per vedere Gerusalemme, senza il trambusto delle macchine e dei suq presenti in tutti i quartieri. Effettivamente da quassù è tutto più silenzioso ma il tempo è tiranno e dobbiamo proseguire verso il monte Sion. Qui visitiamo la chiesa della Dormizione. Nella notevole cripta c’è una statua che rappresenta Maria addormentata nell’attesa del trapasso. Entriamo nel cenacolo luogo di importanti vicende legate alla storia di Gesù e degli apostoli, prima fra tutte l’ultima cena. Veniamo avvisati del divieto di dire anche una sola preghiera in quanto ormai trasformato in moschea. Sotto c’è l’edificio dove avvenne la lavanda dei piedi, oggi sito caro agli ebrei per la presenza della tomba de re David. Si tratta però solo di un simbolo senza alcuna base storica. Proseguiamo nel quartiere ebraico dove notiamo un certo rigore: gli uomini indossano abiti neri con tanto di enorme cappello da cui spuntano lunghi boccoli, le donne invece gonne a pieghe nere, calze nere e scarpe bassissime, chiaramente nere. Li seguiamo fino ad arrivare al punto per loro più sacro: il Muro del Pianto. Rappresenta l’unico rudere rimasto della cinta del maestoso tempio di Erode. La prima costruzione fu fatta da Salomone e ha rappresentato da sempre il più grande simbolo del popolo ebraico, centro e anima di tutta la sua storia religiosa e politica. Distrutto dai Caldei di Nabucodonosor fu ricostruito sontuosamente per l’appunto da Erode ai tempi di Gesù. La sua distruzione definitiva fu opera delle soldatesche romane di Tito. Vano fu ogni tentativo di ricostruzione. Gli arabi, una volta giunti qui, ritennero che sulla roccia del Moriah, dove poggiava originariamente il tempio, avesse pregato Maometto. Divenne pertanto punto focale anche per il mondo islamico che lo consacrò con la costruzione della magnifica Cupola della Roccia. Agli ebrei non rimane altro che “piangere” davanti a ciò che resta del loro edificio più solenne. Vederli fa un grande effetto. Si percepisce l’intensità delle preghiere dagli sguardi e dai loro movimenti. Obbligatoriamente separati uomini e donne si allontanano rispettosamente senza mai dargli le spalle. La sera veniamo accompagnati a Betlemme in una cooperativa che produce graziosissimi oggetti in legno l’olivo. Qui compreremo la maggior parte dei souvenir da riportare a casa ma al di là dello scopo promozionale di questa piccola gita in notturna, quello che colpisce è la presenza davanti a noi di una delle peggiori divisioni viste finora: il muro che separa Israele dalla Palestina. La storia è segnata da un susseguirsi di grandi speranze, tensioni e sofferenze che hanno visto i due popoli alla ricerca di una soluzione che gli permettesse di vivere pacificamente all’interno di frontiere certe e sicure. Una svolta importante si ebbe nel 1994 con al firma del trattato di pace tra Israele e l’Olp (organizzazione per la liberazione della Palestina). Da quello che vediamo la strada però è lunga e tortuosa. I palestinesi, ossia arabi cristiani e mussulmani, sono gente estremamente povera, non hanno regole e linee guida. Ogni tanto si vedono insediamenti ebraici in terra palestinese che nessuno ha la forza di respingere. Si tratta di invasioni che, per quanto pacifiche, rimangono pur sempre invasioni. Per entrare non ci sono granchè controlli, cosa che non succede per ritornare in Israele. L’attesa alla frontiera è molto lunga e quando è il nostro turno sale sul pullman un ragazzo che non avrà avuto neanche diciotto anni, con un mitra più grande di lui. Sorride timidamente e ci lascia passare quando l’autista gli spiega che siamo italiani in pellegrinaggio. Noi quindi facciamo relativamente in fretta ma il mio pensiero va a chi deve passare da qui ogni giorno: un’umiliazione continua. Un cartello recita “Benvenuti in Israele”, vista così questa accoglienza non è proprio il massimo.
5 GENNAIO
All’ingresso della Basilica del Santo Sepolcro le persone pregano di fronte alla Pietra dell’Unzione dove il corpo di Gesù fu cosparso di unguenti prima di essere avvolto nella Sindone. Toccandola sentiamo che nelle mani resta un buon odore, evidentemente continuano ad ungerla con oli profumati. Proseguiamo fino a trovarci di fronte all’edicola del S. Sepolcro. Siamo fortunati: normalmente la fila per entrare è di circa due ore , oggi non c’è nessuno. Si passa tre alla volta. Non ci sono parole per descrivere ciò che si prova varcando quella porta. Non c’è nulla di tutto ciò che abbiamo visto e di quello che vedremo che sarà in grado di suscitare tanta trepidazione. Il mistero è rinchiuso lì dentro. Che Gesù sia realmente esistito è difficile da non riconoscere ma il fatto che sia Risorto è una questione strettamente legata al cristianesimo e ai cristiani. Per me che mi definisco tale anche se magari nella vita di tutti i giorni spesso lo dimentico, trovarsi di fronte a questa Pietra ha voluto dire far parte, anche se per soli cinque secondi (il tempo che permettono di rimanere), dell’evento più incomprensibile per l’intera umanità. E’ come toccare con mano quella fede che c’è ma che a volte è un po’ in bilico, che a tratti sembra sparire, proprio perché non si vede, ma che in quel preciso istante si concretizza con tutta la sua potenza. Triste è l’impalcatura che sorregge l’edicola: avrebbe bisogno di un restauro ma non si trova un accordo per sistemarla. Discorso già fatto. Salendo pochi gradini si arriva al Calvario composto da due Cappelle. Una ricorda punto esatto dove furono messi i chiodi e l’altra dove fu innalzata la Croce. Un’impressionante roccia mostra la fenditura che si produsse al momento della morte. Roccia che ricerche hanno confermato risalire a più di duemila anni fa. Scendendo si arriva invece alla Cappella del ritrovamento della Croce. In un’antica cisterna romana, furono ritrovati gli strumenti per la crocifissione di Gesù e i due ladroni. L’improvvisa guarigione di un morente fece capire quale fosse quella di Cristo. Domani saremmo dovuti andare alla Basilica della Natività ma il sei gennaio si festeggia il Natale ortodosso per cui preferiamo cambiare programma per evitare la sicura baraonda del giorno dopo. Eccoci quindi nuovamente a Betlemme. Prima passeggiamo nel campo dei Pastori, all’interno del quale si visitano le grotte dove questi vissero e a cui è dedicata una chiesa dalla cupola molto particolare. E’ composta da tanti piccoli cerchi di vetro in modo che osservandola dia sempre l’impressione, sia di giorno che di notte, di guardare un cielo stellato. A tre chilometri si trova la Basilica della Natività. Prima di scendere alla grotta attendiamo nella parte superiore della chiesa e non possiamo non osservare come anche qui sia tutto un po’ trascurato, non a caso si stanno svolgendo due messe dal rito diverso. Scese le ripide scale ci troviamo da una parte la Mangiatoia di proprietà dei Francescani e dall’altra la Grotta, proprietà dei greci ortodossi. Una stella a quattordici punte indica il luogo preciso della nascita. Ci sediamo un attimo e spontaneamente si alza il canto di “Tu scendi dalle stelle”. Di ritorno a Gerusalemme c’è spazio per un pò di tempo libero ma quasi tutti siamo d’accordo nel fare la Via Crucis. Per me è stata la prima a cui ho partecipato e sarà difficile dimenticarla. Attraversiamo tutta la Via Dolorosa passando sotto l’arco dell’ “Ecce homo” dove Pilato presentò Gesù ai Giudei e via via per tutte le stazioni. Il fatto che più impressiona di tutto questo è pensare a quest’uomo già abbastanza martoriato obbligato ad attraversare un punto di assoluto disordine . Adesso come allora c’è un lunghissimo mercato il che vuol dire scontrarsi con gente che urla, che spinge e soprattutto gente pronta a deridere, umiliare ed insultare. E’ una delle immagini che più amareggiano, a mio parere, di tutto il percorso. Le ultime stazioni si trovano all’interno della Basilica del Santo Sepolcro per cui le recitiamo nel cortile. Nello stesso momento il Muezzin richiama dal Minareto i fedeli Mussulmani alla preghiera. Se pensiamo che non lontano c’è il Muro del pianto con gli ebrei che fanno altrettanto, abbiamo un bellissimo esempio di come si possa stare insieme senza che nessuno infastidisca l’altro. E’ questo il lato di Gerusalemme che preferisco ricordare, perché è quello che dovrebbe sempre accadere con il rispetto che non dovrebbe mai mancare.
6 GENNAIO
Di buon mattino ci rechiamo ad Ain Karem, luogo della nascita di Giovanni Battista. La prima tappa è la casa e poi la Chiesa della Visitazione, dove Maria incontrò Elisabetta. Due dolcissime statue di bronzo le raffigurano con una leggero pancione. Anche queste zone sono sotto la protezione dei francescani a cui sentiamo di dire grazie per il grosso lavoro svolto. Senza di loro probabilmente tutti i siti cristiani sarebbero stati cancellati o comunque difficilmente visitabili. E giunge il momento di ripartire. Torniamo a casa arricchiti nella cultura , sicuramente nello spirito e personalmente felicissima di aver condiviso questo viaggio con i miei genitori. Il desiderio è di ritornare, magari con chi non ha potuto essere con noi in questi giorni, ed anche se estremamente difficile, con la forte speranza di ritrovare una terra nuova che non sia mai più divisa, e che sopratutto non permetta più a ragazzini con mitra di accogliere stranieri ne tantomeno a muri invalicabili di dare il benvenuto.
L’organizzazione
Per il viaggio ci siano affidati alla Romana Pellegrinaggi. Il prezzo è stato di € 720,00 mezza pensione, bevande escluse. Abbiamo soggiornato presso il Tabar Hotel di Nazareth e il Jerusalmen Gold di Gerusalemme. Entrambi non di alto livello dal punto di vista delle stanze. Niente da dire invece sulla ristorazione. Note molto dolenti erano però gli ascensori: troppo pochi per i numerosi ospiti, a volte per scendere si impiegava anche un quarto d’ora. Impensabile per chi come me non poteva andare a piedi per accompagnare una signora non vedente. Il nostro gruppo era formato da 39 persone. I componenti erano per lo più coppie giovani e mature insieme a ragazzi adolescenti. Non eravamo numerosi ed è per questo che ci siamo mossi abbastanza velocemente riuscendo a vedere anche di più di quello che prevedeva il programma.
Il tempo è stato splendido. Sole tutti i giorni. All’ora di pranzo sembrava primavera.
La nostra guida, Francesco, era molto preparata anche se con un forte accento pugliese che a volte rendeva poco comprensibili le spiegazioni.
Sul pullman c’erano diversi posti liberi per cui negli spostamenti eravamo molto comodi.
I voli sono stati più che puntuali.
Buon viaggio!