British Columbia e Olympic Peninsula

Un viaggio nella natura selvaggia: dalla grande isola di Vancouver (tra abeti e oceani popolati di balene) allo stato di Washington (nello spettacolare Olympic National Park)
Scritto da: Au_forever
british columbia e olympic peninsula
Partenza il: 12/07/2011
Ritorno il: 30/07/2011
Viaggiatori: 4
Spesa: 3000 €

Giorno 1, Vancouver

Informazioni utili:

· Volo Milano-Londra-Vancouver e Seattle-NY-Milano circa 800 euro;

· Il treno dall’aeroporto di Vancouver, acquistando il biglietto all’aeroporto, costa piuttosto caro ed alla fine, in quattro persone, e’ paragonabile ad un taxi per il centro (circa 30 Cad). Salvo poi scoprire che, invece, acquistandolo in centro direzione aeroporto costa pochissimo (circa 2.5 Cad a testa)!

· Abbiamo soggiornato per due notti in un hotel comodissimo a Stanley Park e a 10 minuti a piedi dal centro di Vancouver. Il prezzo e’ piuttosto elevato (138 Cad a notte in quattro per una stanza con due letti matrimoniali).

Arriviamo a Vancouver, via Londra, alle 14.30 dopo un lungo viaggio tutto diurno. C’e’ il sole! Attorno a noi non si vede la città ma solo grandi spazi boscosi.

In taxi raggiungiamo l’hotel, in centro, vicino a Stanley Park. La camera e’ piccolina ed un po’ d’antan, ma confortevole. Siamo morti ma resistiamo alla tentazione di stramazzare sui letti ed usciamo subito per tentare di metterci in quadro con il fuso orario. Vancouver è una città vivace e piena di gente. Risalendo Robson street ci avviciniamo al centro e le vie si animano di un’umanità giovanissima e multi etnica. Notiamo molti ristoranti asiatici (giapponesi, coreani ecc.), un bel negozio/ristorante di prodotti bio (scopriremo poi che i canadesi sono molto attenti alla qualitá del cibo, a differenza dei loro vicini di casa) e gli immancabili grattacieli che brillano alla luce del sole serale. Rientriamo ormai distrutti verso l’hotel e dopo una veloce cena in un ristorante greco rientriamo in camera. Sistemati i bambini, usciamo ancora per una brevissima passeggiata verso l’ingresso di questo magnifico parco cittadino. C’é un bel lago ed un sacco di gente che passeggia, corre, pattina o va in bici: i canadesi tengono molto alla forma fisica e si vede!

Giorno 2, Vancouver

Il mattino seguente siamo freschi e riposati: partiamo alla scoperta di Vancouver.

Prima tappa Gastown, il vecchio quartiere mercantile e commerciale della città. E’ davvero caratteristico, con piccole case in muratura dai vari colori. Proprio qui si trova il curioso orologio a vapore citato da molte guide. Per colazione vogliamo concederci un’autentica english breakfast e ci proviamo entrando un in bar carino ed un po’ di stile alternativo. Scopriamo che non cucinano uova e beacon ma sono così simpatici ed accoglienti che decidiamo di fermarci comunque. Caffé e cappuccino ci vengono preparati da un ragazzo serbo vissuto due anni a Roma (sfuggito dalla guerra dei Balcani) che in buon italiano ci garantisce “…un cappuccio che èé un amore!”. Lo è davvero. In un eccesso di gentile accoglienza ci piazzano pure musica italiana di sottofondo: ma attenzione, non il solito Ramazzotti/Cutugno bensì brani da Quartetto Cetra!

Dopo l’abbondante colazione attraversiamo Chinatown dirigendoci verso la Rogers Arena, stadio del ghiaccio dove giocano i Vancouver Canucks, la squadra di casa di hockey che lo scorso anno è approdata alla finale della massima divisione (Nhl) perdendola per un soffio. Qui è un autentica istituzione e vale davvero la pena, anche se non siete fanatici di hockey come noi (lo sport piú veloce ed avvincente del mondo), fare un tour guidato dello stadio: sembra di entrare in un’immensa astronave. A parte il primo anello di comuni posti a sedere, poi é un susseguirsi di clubs esclusivi, suites con bagno e cucina, ristoranti che servono cena agli spettatori. Un’organizzazione ed un business che al confronto il nostro calcio impallidisce. E la città è invasa da frotte di fans con le maglie dei loro beniamini! Non dimentichiamo che il mitico portiere della squadra é Roberto Luongo: il nome la dice lunga sulle sue origini.

Finita la visita saliamo sul bus 19 e ci dirigiamo verso Stanley Park. Qui pranziamo tra gli alberi per poi dirigerci verso il famoso acquario. E’ molto frequentato ma nonostante il biglietto non proprio economico vale proprio la pena. Assistiamo ad una esibizione di magnifici rapaci pescatori e poi a quella dei rari beluga, mammiferi artici dall’aspetto davvero pacifico e mansueto. Vi sono poi parecchie vasche che mostrano gli habitat marini della costa canadese (per noi davvero inconsueti) o di ambienti tropicali. Da non perdere la proiezione nel cinema 4D… molto emozionante.

Tornati in albergo ci prepariamo per la cena. Siamo più in forma di ieri e scoviamo un promettente ristorante malesiano in Denman St. La cena si rivela ottima e ci rimpinziamo di involtini primavera, satai, noodles, riso all’ananas e seafood, vittime di cocente nostalgia per un nostro viaggio precedente nella penisola malese.

Giorno 3, Traghetto per Vancouver Island

Meglio raggiungere il ferry dalla citta’ con treno e bus: si risparmia; meglio prenotare il camper sull’isola, evitando i costi del traghetto per il mezzo, se poi non si torna a Vancouver. Il camper è caro e consuma molto (benzina).

La mattina seguente ci svegliamo presto perchè ci attende il traghetto del mattino per Vancouver Island. L’imbarco è a sud, piuttosto lontano dal centro della città ed in taxi costerebbe parecchio. Grazie ad una dritta del personale dell’albergo optiamo per una soluzione mista: taxi fino in centro, poi treno e bus. Apparentemente è complicato, in realtà fila tutto liscio ed arriviamo esattamente nei tempi stabiliti risparmiando parecchi dollari. Il traghetto parte da Tsawwassen per arrivare a Sydney, piccola cittadina qualche chilometro a nord di Victoria, città principale dell’isola nonché capitale della British Columbia. Qui ritiriamo il camper a noleggio (prenotato dall’Italia un po’ di tempo prima). Dato che non torneremo a Vancouver abbiamo preferito prenderlo qui evitando i costi del traghetto per il mezzo.

Va detto subito che, pur viaggiando in quattro, probabilmente il camper non è la soluzione più economica: forse costerebbe un po’ meno muoversi con auto noleggiata ed appoggiandosi ai motel per la notte. Ma il camper offre l’impagabile opportunità di fermarsi a dormire nei numerosissimi campground (che non è necessario prenotare in anticipo), nel cuore dei parchi provinciali, immersi nelle foreste canadesi. I canadesi adorano la vacanza in campeggio “wild” per cui ogni parco ha organizzato delle aree riservate, tutte equipaggiate di servizi igienici (alcuni anche di docce), dove per pochi dollari ci si può fermare per la notte. L’emozione di dormire sotto questi alberi enormi, nei parchi ove si aggirano orsi, cervi, lupi e giaguari è straordinaria. Piccolo avvertimento: il clima decisamente umido favorisce la lussureggiante vegetazione, un po’meno il campeggio in tenda.

Partiamo in direzione Nord risalendo l’isola lungo la costa orientale. Incontriamo numerosi fattorie ed addirittura vigneti e produttori di vino, in un paesaggio rurale un po’inglese.

Ci fermiamo per la notte nel campground di Little Qualicum Falls. Sebbene sia piuttosto tardi non resistiamo e ci addentriamo per la nostra prima passeggiata nella foresta. Il bosco è costituito prevalentemente da grandi conifere e cedri, umidissimo e fitto, ma con facili sentieri che permettono di camminare agevolmente e di raggiungere le belle cascate che danno il nome al posto. La sera ceniamo e ci rintaniamo in camper per la nostra prima notte forestale.

Giorno 4, Tofino e Ucluelet

La mattina il cielo è nuvoloso ma ci alziamo ugualmente per un’altro giro nei boschi e per fare qualche foto. Il sole fa capolino e ci regala qualche bello scorcio con la luce dorata del mattino che filtra tra i rami. Stefano ha forti dolori allo stomaco da un paio di giorni che non vogliono proprio passare. Siamo costretti ad andare in ospedale e da queste parti questo é uno scherzetto che può costare molto caro.

Dopo colazione ci dirigiamo verso Port Alberni, una cittadina dove c’è l’ospedale più vicino. Entrati abbiamo subito l’impressione di essere accolti in un hotel quattro stelle. Non ci facciamo prendere dal panico perchè abbiamo fatto un’assicurazione di viaggio proprio per queste evenienze. Un’impiegata gentilissima ci informa innanzitutto sui costi di una visita in pronto soccorso (parliamo di alcune centinaia di dollari, per intenderci!) e dopo aver firmato per il pagamento con carta di credito ci fa accomodare. La risolviamo in un paio d’ore, grazie anche ad un giovane medico davvero molto disponibile che ci propina il pastiglione giusto salvando la nostra vacanza.

Quindi attenzione: in Usa e Canada fondamentale stipulare un’assicurazione per eventuali spese mediche ma tener sempre ben presente che comunque, in casi come questo, si dovrà sempre pagare sul posto con la propria carta di credito (l’assicurazione rimborsa poi al rientro, non credete a chi vi assicura che non dovrete sborsare nulla di tasca vostra) e questo potrebbe comunque decretare la fine anticipata del viaggio per esaurimento del plafond della carta !

Ma il Canada riserva sempre belle sorprese naturalistiche, perfino nel parcheggio di un ospedale. Rientrati al camper troviamo i bambini eccitatissimi perchè mentre ci aspettavano, nel bosco a pochi metri da dove era parcheggiato il camper, hanno avvistato una cerva con i cuccioli che con tutta calma brucavano e trotterellavano tranquilli.

Ripartiamo con rotta ovest. Raggiungiamo l’ingresso del Pacific Rim National Park, sulla costa occidentale dell’isola che essendo meno protetta della costa est dalle montagne centrali ha un clima decisamente più umido. Infatti piove insistentemente. Va detto che, comunque, le temperature sono sempre più che accettabili in tutta l’isola e una felpa con giacca impermeabile leggera sono più che sufficienti. Trovato il campeggio, subito fuori dal parco, ci dirigiamo verso nord per raggiungere Tofino. La cittadina era un antico borgo di pescatori ed è una meta turistica molto nota. E’ in una bella posizione ma il paesino non ci sembra niente di speciale. Dirigiamo allora di nuovo a sud per visitare Ucluelet, seguendo il consiglio della ragazza del campeggio che ci aveva assicurato fosse più bella di Tofino. In effetti il paesino è forse più caratteristico di Tofino, certamente meno affollato di turisti; percorriamo uno dei facili percorsi a piedi che si snodano sul capo di fronte al paese. Ci muoviamo ancora tra la boscaglia a ridosso del mare, sotto una pioggia battente ma il panorama marino è molto suggestivo e presto raggiungiamo un faro molto caratteristico dopodichè rientriamo al campeggio, sempre sotto la pioggia, che è gremito di coraggiosissimi (visto il clima) surfisti.

Giorno 5, Long Beach e poi ancora costa ovest

Questa mattina rientriamo nel parco per vedere la famosa Long Beach. E’ una lunghissima spiaggia, affacciata sul Pacifico, con la rigogliosa foresta alle spalle. Importante andarci con la bassa marea (gli orari sono reperibili al centro visitatori del parco). Non piove ma è molto nuvoloso.

Sbucando dal bosco sulla spiaggia, il paesaggio brumoso e l’atmosfera sono suggestivi e molto particolari. Alghe, meduse, conchiglie e grossi granchi sono stati abbandonati sulla sabbia dall’alta marea diventando cibo prezioso per numerosi uccelli marini. I contorni della terra, del cielo e del mare sono resi fragili dalle nubi che si muovono continuamente.

Sulla sabbia alcune impronte di lupo dimostrano che il luogo, pur molto frequentato dai turisti, conserva il suo aspetto selvaggio. In mare due stoici surfers lottano per restare in piedi (con poco successo). Risaliamo in camper e riprendiamo il viaggio per tornare sulla costa occidentale.

Poco dopo Port Alberni ci fermiamo a Cathedral Grove, nel McMillan Provincial Park, per ammirare i giganteschi abeti di Douglas. La foresta cambia ancora aspetto, con felci e muschi sul terreno che riescono a sopravvivere con la poca luce che filtra dalle chiome degli abeti. Sono alberi impressionanti e tra le creature viventi più vecchie del pianeta: alcuni di loro superano gli ottocento anni di età! Da vedere assolutamente.

Proseguendo verso ovest il tempo migliora e smette di piovere. Raggiunta la costa risaliamo sulla 19 verso nord macinando chilometri. Ci fermiamo nel Miracle Beach Campground, a sud della cittadina di Campbell River. E’ un grande campground sulla costa, attrezzato di bagni e docce impeccabili, molto frequentato da famiglie canadesi in vacanza che trascorrono qui il weekend tra natura e robusti barbecue serali (in postazioni preparate e rigidamente controllate dai guardaparco). Non piove e facciamo una bella passeggiata sui sentieri della costa.

Il tratto di mare che ci separa dalla costa canadese, molto vicina, è calmissimo pur essendo oceano.

Questa sera non resistiamo alla tentazione e ci lanciamo in un barbecue nel bosco arrostendo un po’ di wurstel al fuoco di legna.

Giorno 6, far north e Telegraph Cove

Al nostro risveglio non crediamo ai nostri occhi: per una volta le previsioni (una vitaccia fare il meteorologo da queste parti) ci hanno azzeccato e c’è un bel sole!

Oggi ci attende un lungo viaggio verso il “far north”, la zona di frontiera dell’isola di Vancouver.

Giunti a Cambpell River, facciamo provviste ed il pieno al camper poi ci addentriamo nel selvaggio e solitario nord.

La “19” si inoltra in foreste fittissime, tra alture ancora innevate, laghi e zone umide regalandoci panorami splendidi. La strada è bella ed in ottime condizioni ma procediamo a velocità non elevata un po’ per goderci il paesaggio, un po’ per non correre rischi con gli animali selvatici (in prevalenza cervi) che spesso si affacciano dai boschi a bordo strada.

Dopo circa 200 km, nel primo pomeriggio, giungiamo alla deviazione che ci porterà alla nostra meta: Telegraph Cove, un piccolissimo villaggio di ex balenieri, avamposto del telegrafo. Poco prima di giungere al villaggio attraversiamo i binari di una piccola ferrovia che corre in mezzo al nulla. Fermo alla nostra destra c’è un incredibile merci carico di tronchi che attende di partire per il sud. Sembra una scena da metà ottocento e non possiamo non fermarci a fare qualche foto. Il convoglio è lunghissimo: decine e decine di vagoni carichi di tronchi e non riusciamo a scorgerne la fine. Dopo un ultima collinetta arriviamo al villaggio. E’ splendido: un piccolissimo porticciolo circondato da una ventina di casette di legno coloratissime e montate su palafitte, sembra di essere precipitati cento anni nel passato. C’è un sole magnifico e ci godiamo i caldi raggi del pomeriggio passeggiando per il villaggio. Ogni casetta ha un cartellino che ne illustra la storia; alcune di esse hanno trascorsi molto intensi e commoventi, da vero posto di frontiera. Visitiamo il locale museo sui cetacei, piccolo ma molto carino. Risalendo verso il campeggio e raggiungiamo la collinetta che domina il villaggio proteggendolo dall’oceano. La vista sullo Stretto di Johnston è mozzafiato. Un’aquila testa bianca volteggia incurante sopra di noi posandosi sui rami degli alberi. Sul promontorio troviamo poche casette costruite di recente nel rispetto dello stile e dei materiali locali. Ci godiamo il sole, la brezza leggera, il mare, le innumerevoli isolette all’orizzonte alle cui spalle si emergono chiaramente le cime innevate della costa canadese. Ed ammiriamo la “casa dei nostri sogni”: affacciata sull’oceano, con un terrazzo splendido aperto sulla baia. Uno spettacolo, specie a quest’ora in cui il tramonto è vicino.

Ceniamo a fianco del camper e poi usciamo per un’ultima passeggiata in paese: all’imbrunire, dal pontile che collega le varie casette, avvistiamo un orso bruno. Da pochi metri lo osserviamo placido mentre si ciba dei resti di salmone lasciati dai pescatori. E’ molto tranquillo ed è quasi rilassante starlo a guardare. Rientriamo per andare a dormire: domani ci attende la giornata clou del nostro viaggio a Vancouver Island!

Giorno 7, Whales watching e kayak a Telegraph Cove

Per questa mattina mattina abbiamo prenotato in anticipo, presso una agenzia locale, un giro in barca di qualche ora per osservare le balene. Nonostante le previsioni belle la mattina e’ nuvoloso.

Un breve briefing prima di partire ci da le dritte del caso: fondamentale vestirsi molto bene perchè le temperature sull’acqua sono molto basse. D’obbligo pile, giacca a vento e cappello… poi binocolo e macchina fotografica, naturalmente. Il capitano, un uomo di mare dai capelli bianchi molto caratteristico ci farà da guida; con lui una giovane zoologa marina che ci spiegherà tutto su orche, balene e mammiferi marini. La barca si addentra nello stretto di Johnstone, tratto di mare tra Vancouver Island e la costa canadese. E’ una costa molto frastagliata con innumerevoli insenature, fiordi ed isolette. Il mare molto calmo. Dopo circa mezz’ora di navigazione ecco l’incontro tanto atteso: avvistiamo un gruppo di megattere. Ci avviciniamo lentamente. E’ un momento molto emozionante. Sono tre e la biologa le riconosce spiegandoci che tra di esse c’e’ Aerial, la più giovane ed acrobatica. Sbuffano emettendo suoni stranissimi, sbattono le pinne sull’acqua, si immergono sollevando le enormi code, placide, tranquille, perfettamente a loro agio. Nonostante siano scene che abbiamo già visto in filmati e documentari, la vicinanza a loro lascia percepire qualcosa, un’emozione forte, forse la consapevolezza di essere di fronte ad un nostro simile, dotato di intelligenza tale da voler quasi giocare con noi, come un nostro pari (dimensioni a parte!).

Ed Aerial non si smentisce: ad un tratto emerge dal mare lanciandosi in alto con un tuffo spettacolare! Siamo ammutoliti e commossi, come tutti intorno a noi. Proseguendo nel nostro giro tra fiordi ed isole avvistiamo numerosi leoni marini, foche, aquile testa bianca, molti pesci e numerosi salmoni che saltano fuori dall’acqua. Poco dopo un altro gruppo di balene, più timide, ci regalano qualche altro poderoso sbuffo d’acqua e lo spettacolo dei loro enormi dorsi che si immergono con eleganza. Finalmente sbuca il sole e rientriamo a Telegraph Cove per pranzo con una giornata magnifica.

Fa caldo e dopo pranzo torniamo al porticciolo dove ci attende Wendy, una bravissima guida locale, per accompagnarci a fare una gita in kayak sull’oceano. Data la nostra inesperienza abbiamo optato per il giro principianti e Wendy ci istruisce su come governare il kayak evitando di finire in acqua (meglio evitare dato che finiremmo a mollo in acque a 10 gradi!). In realtà è più facile del previsto ed insieme ad una coppia di inglesi usciamo tutti dal porto per il nostro giro sulla costa. I kayak biposto sono facili da governare e filano veloci. Per fortuna la giornata è splendida (siamo in maglietta e braghe corte) ed il mare calmissimo. Costeggiamo la baia ed ammirare l’oceano a pelo d’acqua dà una prospettiva completamente diversa: molto, molto bello. L’acqua è limpidissima e piena di stranissime piante acquatiche tubolari. Wendy ci spiega che sono vegetali a crescita rapidissima (fino a un metro al giorno) che venivano utilizzate in ogni loro parte dai nativi che ne ricavavano addirittura una sorta di didgeridoo per suonare. Nel corso del nostro giro avvistiamo altre magnifiche aquile e delle foche vicinissime. Rientriamo, dopo un paio d’ore, felici sentendoci metà nativi e metà pionieri! Certo che con un po’ più d’allenamento varrebbe la pena affrontare giri più lunghi (da una giornata a più giorni nei fiordi con le tende) che spesso regalano incontri straordinari con le orche (che si nutrono di salmoni, tanto per essere chiari!): viste dal kayak devono essere un’esperienza straordinaria.

Per coronare la giornata eccezionale questa sera ci concediamo una cena a base di salmone fresco nel ristorante del villaggio: buonissimo!

Giorno 8, Alert bay e rotta nuovamente a sud

Questa mattina dovremo lasciare Telegraph Cove, un piccolo gioiello dove il tempo sembra essersi fermato. Salutiamo la casa dei nostri sogni e ci dirigiamo verso Port McNeill, la cittadina più vicina. Da qui ci imbarchiamo sul ferry che ci porterà ad Alert Bay, un’isoletta a poco più di mezz’ora di navigazione, sede di una numerosa comunità di nativi. Abbiamo solo mezza giornata e decidiamo di dedicarla unicamente al Centro Culturale Umistà. E’ molto interessante: in esso sono raccolte maschere rituali, oggetti, abiti e regali sequestrati ai nativi Namgis dagli agenti di polizia nel periodo in cui le loro cerimonie erano state dichiarate illegali e si svolgevano dunque clandestinamente. Finalmente il governo ha deciso di restituirne una buona parte ed i nativi hanno deciso di esporle in un ambiente adatto a tutti. E’ un’esposizione molto interessante più mirata a mostrare i significati del “Potlac”, la loro cerimonia più importante, che non sulla vita quotidiana dei nativi. Tornati a Port McNeill ci attende la prima parte del viaggio di ritorno. Nel tardo pomeriggio raggiungiamo nuovamente Campbell River e ci fermiamo nel campground di Elk Falls che, pur essendo pochi chilometri prima della città, regala come gli altri il fascino particolare di bivaccare dormendo immersi nella natura.

Giorno 9, Elk Falls e giornata di viaggio verso Victoria

Ci svegliamo con un bel sole e decidiamo di concederci una passeggiata nei boschi per raggiungere le cascate che danno il nome al posto. Il percorso parte da una grossa centrale idroelettrica ed in poco più di un’ora si raggiunge il bel salto d’acqua ammirandolo da un punto panoramico soprastante. A monte c’è il fiume che placido forma una successione di laghetti popolati da anatre ed altri uccelli selvatici. Dopo aver scattato alcune foto rientriamo per lo stesso percorso al camper e partiamo per una lunga tappa di trasferimento. Viaggiamo alcune ore e qualche decina di chilometri prima di Victoria preferiamo fare il tratto nell’interno, fermandoci per la notte al Cowichan Lake campground. Il posto è carino, sulle sponde del grande lago, ma molto frequentato e con parecchi moscerini. Comunque è la nostra ultima serata in camper, sigh!, e cerchiamo di goderci ancora una volta questa bella sensazione di libertà en plein air.

Giorno 10, lasciamo il Canada… per Washington State!

La mattina ci svegliamo piuttosto presto: dobbiamo raggiungere Sydney per restituire il camper e poi raggiungere in bus il porto di Victoria, da cui ci imbarcheremo per Port Angeles, Washington State. Il bus impiega circa un’ora a raggiungere il Coho Ferry Terminal attraversando la città di Victoria. C’è un sole splendido e capiamo subito di aver commesso un errore a non dedicare almeno una giornata intera alla capitale della British Columbia. Purtroppo al ferry terminal scopriamo che non c’è un deposito bagagli così dobbiamo arrangiarci: uno resta con le valigie mentre glia altri si fanno un giretto per Victoria. La città è davvero molto carina, con bei giardini ed un bel palazzo del parlamento. Assomiglia un po’ alle città del Quebec, molto europee. Il tempo a nostra disposizione è davvero troppo poco ed alle 15, espletate le formalità dell’immigrazione (piuttosto semplici su questa frontiera), ci imbarchiamo sul traghetto che in un’ora e mezza ci porta negli Stati Uniti.

Inizia ora la seconda parte del nostro viaggio, ispirata da un film!

Infatti abbiamo scelto di venire a visitare l’Olympic Peninsula, nello stato di Washington, attratti dai suggestivi paesaggi ed atmosfere di “Twilight” film tratto dai libri di Stephanie Mayer, la storia dell’amore impossibile tra un romantico e sofisticato vampiro ed una fragile diciassettenne. La scelta del protagonista e della sua famigliola di immortali è caduta su questo luogo remoto che, presentando il clima più piovoso di tutti gli Stati Uniti, consente loro di confondersi con gli umani e di circolare tranquillamente senza doversi mai preoccupare di essere esposti al sole che li tradirebbe. Perciò siamo preparati: impermeabili e vestiti adatti alla pioggia.

In realtà sbarchiamo a Port Angeles, sulla costa nord della Penisola, con un bel sole, in una giornata calda. Raggiungiamo subito a piedi l’hotel che si trova ad un isolato dal porto. Scelta quanto mai azzeccata: l’albergo è piccolo ma con camere molto ampie, ristrutturato di recente ed arredato con grande gusto. Inoltre é anche piuttosto economico, il che non guasta affatto.

Usciamo ed iniziamo ad aggirarci per la città. Port Angeles è una piccola cittadina con edifici bassi ed ordinati. Da fans sfegatati riconosciamo subito alcuni edifici citati nei libri della Meyer (anche se poi le scene dei film sono state girate nel vicino Oregon): il cinema/teatro e la libreria. E’ molto carina e ci perdiamo subito tra gli scaffali, tra profumi di cannella e musica soft. Dopo qualche acquisto di rito siamo usciamo e continuiamo il nostro mini tour. Tornati in albergo ci prepariamo per la soirée. Trasgredendo ad una nostra regola ferrea dei i nostri viaggi, abbiamo prenotato in un ristorante italiano, anch’esso luogo in cui si svolge una scena clou del romanzo. Il locale è gremito (senza prenotare scordatevi di riuscire a cenarvi) e di buon gusto. Naturalmente ceniamo con i famosi “mushroom ravioli” di Bella e concedendoci un buon Pinot Nero dell’Oregon. Il cibo è davvero ottimo e siamo contenti della nostra scelta.

Giorno 11, Hurrican Ridge ed arrivo a Forks

Questa mattina ci concediamo una tipica (e micidiale) colazione nella tavola calda sotto l’hotel: uova, bacon, patate fritte ed un misterioso panino ricoperto di crema al formaggio. Ritirata la macchina a noleggio partiamo per una prima puntata nell’Olympic National Park. Per accedere ai parchi americani si paga un ingresso e spesso è conveniente fare una tessera annuale, se si prevede di effettuare almeno tre o quattro ingressi. Il cielo è un po’ nuvoloso ma, in poco più di mezz’ora d’auto salendo lungo la comoda strada statale, buchiamo la coltre di nubi ed arriviamo ad Hurrican Ridge, sulle montagne alle spalle di Port Angeles, in un grandioso paesaggio alpino: grandi vallate boscose si perdono in tutte le direzioni ed è ben visibile a sud il Mount Olimpus, con i suoi imponenti ghiacciai. Numerosi cervi brucano tranquilli nei pascoli attorno al rifugio sede del Centro Visitatori. Facciamo una passeggiata di circa un’ora lungo uno dei percorsi segnalati ed avvistiamo facilmente un piccolo branco di capre di montagna (una specie particolare che sulle nostre Alpi non abbiamo) e dei simpatici scoiattoli. L’aria è fresca e si cammina con grande piacere.

Al centro visite, attrezzatissimo, vediamo un interessante filmato che illustra la storia di questo luogo. Durante l’ultima glaciazione quest’area è stata l’unica a non essere coperta dai ghiacci dunque moltissime forme di vita vi si sono rifugiate, come una sorta di arca, creando un’elevatissima biodiversità. Iniziamo a capire che anche la parte del viaggio in Usa sarà ricca di emozioni per la sue bellezze naturali. Rientriamo a Port Angeles e da qui imbocchiamo la 101 in direzione ovest alla volta di Forks.

In circa un’ora e mezza d’auto raggiungiamo il piccolo centro di circa 3500 abitanti venuto alla ribalta dopo il grande successo dei romanzi della Meyer. In realtà, anche per i non fans, Forks si trova in una posizione strategica per visitare tutta la zona centro-occidentale della penisola ricca di numerose attrazioni naturali nel parco e di magnifiche e selvagge spiagge sul Pacifico.

Mentre ceniamo ci viene un’idea improvvisa: c’è un magnifico tramonto e dato che qui il sole non dovrebbe essere tanto di casa molliamo tutto e saltiamo in macchina per riuscire ancora a goderci il tramonto da una delle spiagge più famose: La Push, nella riserva della tribù Queillute. La raggiungiamo con gli ultimi raggi e nella luce arrossata del tramonto il panorama è davvero bello. La costa alterna spiagge a pareti rocciose e ci sono incredibili pinnacoli che emergono dal mare. La First Beach, l’unica raggiungibile in auto, ci delude un po’: non è molto pulita ed i turisti sono numerosi ed un po’ fracassoni. Ma nei prossimi giorni punteremo sulle altre due spiagge raggiungibili solo a piedi. Riusciamo a scattare qualche foto e dopo aver fatto due passi sulla sabbia godendoci i profumi del mare rientriamo a Forks.

Giorno 12, Hoh Rain forest

Anche oggi c’è un bel sole e decidiamo di visitare la Hoh Rain Forest, ad una cinquantina di miglia da Forks. In questa zona del parco si trova una magnifica foresta pluviale temperata, un ambiente unico nel suo genere. E’ sabato e c’è parecchia gente in giro ma il posto é fantastico. Dal centro visitatori, attrezzato e con numeroso personale gentile e preparato, si snodano diversi percorsi a piedi facili e ben segnalati. Per i più sportivi vi sono anche alcuni bei trekking più lunghi che conducono ai ghiacciai ai cui piedi si possono vedere magnifici laghi glaciali.

Ci addentriamo nella foresta seguendo due itinerari diversi e l’ambiente nel quale ci muoviamo è veramente unico: enormi abeti salgono ad altezze vertiginose “bucando” il tetto di foglie che ci sovrasta alla caccia di luce solare. Gli alberi hanno i rami completamente ricoperti di imponenti muschi e licheni che formano verdi drappi ricadendo verso terra. Qualcosa cui noi europei non siamo abituati e che non avevamo mai visto in nessun altro posto. Il colore verde domina tutto, la vita vegetale si sviluppa con una forza straordinaria, grazie alle abbondantissime precipitazioni e ci sentiamo davvero piccoli. Anche qui, se si ha la possibilità di percorrere gli itinerari un po’ più lunghi, è facile avvistare miriadi di uccelli, cervi ed orsi, mentre i grandi predatori che popolano la foresta (lupi e giaguari) restano piuttosto difficili da avvistare. Questo, insieme alle spiagge sull’oceano, è certamente uno degli ambienti più particolari ed imperdibili di questo magnifico parco.

Rientrati a Forks ci concediamo per cena la prima vera americanata. in uno dei locali di fronte al motel aggrediamo una bistecca monumentale con montagna di patatine: squisita!

Giorno 13, Makah First Nation e Cape Flattery

Oggi ancora sole ma abbiamo deciso di lasciare la natura a favore della cultura: destinazione Clallam Bay per visitare la riserva dei nativi Makah, su consiglio dello zio antropologo.

I racconti dello zietto ci incutono sempre un po’ di timore ma partiamo ugualmente con coraggio.

In realtà il museo all’ingresso del paese è davvero bello e di concezione modernissima. Il racconto di questa civiltà e delle sue tracce è avvincente, in un’ambientazione semplice ma di grande effetto. La vita quotidiana, la caccia e la pesca di questo popolo é descritta bene e la parte più suggestiva è la ricostruzione minuziosa di una delle long house ove vivevano, come famiglie allargate, i nativi. Stupefacente la ricostruzione di pesca delle balene, compiuta da una singola canoa lunga pochi metri con sette persone a bordo che con grande pazienza ed audacia riusciva a portare a casa un gigantesco cetaceo. Fa pensare come questi popoli abbiano prosperato in queste terre per millenni senza mai intaccare le altre specie viventi presenti, in perfetto equilibrio ed armonia con l’ambiente. Se pensiamo alla scriteriata pesca moderna che, in pochi decenni è in grado di portare all’estinzione una specie sull’intero pianeta, viene da chiedersi quale tra la nostra e la loro sia la “civiltà” più avanzata.

Il pomeriggio raggiungiamo il vicino Cape Flattery, il lembo più occidentale dei 48 Stati Uniti continentali. La passeggiata fino al capo è piacevole e molto frequentata. Nonostante ciò spicca un avviso appeso ad un albero da parte dei guardaparco: mette in guardia di tenersi i bambini vicini perchè due giorni prima un giaguaro si aggirava sul sentiero!

Il paesaggio dal capo è incantevole. L’oceano ha scavato grotte, tornito faraglioni ed isolotti. Luce e colori sono sgargianti.

Non ancora appagati dalla breve passeggiata risaliamo in auto e ci dirigiamo al punto di partenza per raggiungere a piedi una spiaggia un po’ meno frequentata: Shi Shi beach.

La raggiungiamo con un percorso di circa due miglia, che richiede circa un’ora, dapprima facile poi un po’ più impegnativo a causa del terreno fangoso che costringe a numerose divagazioni dal sentiero principale. Ma ormai ci siamo incaponiti e sprofondando nel fango arriviamo quasi al tramonto sopra la spiaggia, che si raggiunge con una ripida discesa finale. Nella luce del tardo pomeriggio ancora un panorama bellissimo. Ci sediamo sugli enormi tronchi adagiati sulla sabbia che il mare ha lavorato rendendo il legno grigio e liscissimo. Osserviamo un piccolo branco di cervi che corre sulla sabbia per poi rituffarsi nel bosco, poi alghe, uccelli marini e grandi faraglioni all’orizzonte. Ritroviamo sulla sabbia una delle piante acquatiche di Telegraph Cove e dopo averne ricavato un piccolo didgeridoo, come insegnatoci dalla nostra guida Wendy, ci lanciamo in improbabili evoluzioni musicali: meno male che siamo da soli altrimenti rischieremmo il linciaggio.

Giorno 14, Sol Duc falls ed Hot Springs

Oggi il cielo è un po’ coperto ed abbiamo pensato di prenderci una pausa dai nostri piccoli trek nella natura.

Nell’Olimpic Park ci sono un paio di località ove è possibile rilassarsi in pozze termali calde.

La più accattivante sembra essere quella di Boulder Creek nella Elwha Valley, poco ad est di Port Angeles. Qui con un persorso di circa un miglio e mezzo nella foresta si raggiungono delle pozze termali naturali ove ci si può immergere in pieno contatto con la natura.

Purtroppo alcuni di noi non sono in piena forma e ripieghiamo per le più domestiche Sol Duc Hot Springs, nell’omonima località all’interno del parco.

Giunti sul posto con un’oretta d’auto da Forks, una pioggerellina finissima ci attende ma forti e risoluti decidiamo ugualmente di andare prima a vedere le Sol Duc Falls. Una ventina di minuti di cammino nel bosco ci portano alla bella cascata che ha la particolarità di formare tre bracci principali che precipitano in una gola rocciosa circondata dalla vegetazione rigogliosa. Acqua, umido e verde, verde, verde… ingredienti tipici dell’Olympic Peninsula.

Torniamo all’auto e raggiungiamo il vicino resort delle Hot Springs.

Per pochi dollari si può accedere al piccolo complesso per tutta la giornata con la possibilità di immergersi in tre piscine d’acqua termale a temperature diverse e farsi una nuotata in un’ampia piscina d’acqua comune a temperatura più bassa. Il sole fa capolino e sgombra le nubi. Starsene in ammollo in queste acque tiepide, circondati dalla foresta rigogliosa e popolata di grandi animali, è molto piacevole. Mangiamo qualcosa nel bel caseggiato di inizio secolo del centro che alle pareti mostra curiose foto d’epoca, con uomini e donne in abiti primi novecento che si godono il relax esattamente come noi cento anni dopo.

A malincuore, nel tardo pomeriggio, usciamo dall’acqua rigenerati e torniamo a Forks.

Giorno 15, La Push beaches e Twilight shopping a Forks

Questa mattina il tempo è nuovamente sereno dunque ci dirigiamo verso le famose spiagge di La Push, nella riserva dei Quilleute, i nativi dei territori intorno a Forks.

L’accesso alla riserva è a poche miglia da Forks. Le spiagge raggiungibili con facilità sono tre.

Dato che la First Breach, cui si arriva in auto, ci aveva un po’ delusi (vi hanno costuito persino un resort direttamente sulla spiaggia che la deturpa in maniera vergognosa) ci dirigiamo speranzosi verso le altre due, Second e Third Beach, entrambe raggiungibili con una piacevole passeggiata nel bosco su facili sentieri. Questa volta non ci deludono. Sia la terza che la seconda spiaggia, la più fotografata, sono meraviglie paesaggistiche da non mancare. Sbucando dal bosco fittissimo il panorama si apre su insenature sabbiose ampissime, costellate dai tipici enormi tronchi che il mare ha lavorato a lungo prima di abbandonare sulla costa. Numerosi faraglioni dalle forme più irregolari disseminano il mare, a breve distanza dalla costa, e sulle loro sommità crescono alberi rigogliosi creando un panorama davvero unico. Moltitudini di pellicani fanno la spola tra la spiaggia ed il mare pescando in queste acque ricchissime di pesce. Una meraviglia, insomma.

Sazi di tanta bellezza rientriamo a Forks per il nostro ultimo pomeriggio in paese. Dati i cinque giorni di sole quasi continuo dobbiamo ammettere che di vampiri in giro non se ne sono visti allora ci consoliamo concedendoci un pomeriggio a zonzo per un “Twilight shopping tour”. I nostri figli sono entusiasti e si aggirano eccitatissimi tra i due o tre negozi a tema, facendo incetta di gadgets d’ogni tipo. Anche noi ci abbandoniamo a questo gioco fanciullesco divertendoci a rivedere tanti oggetti, facce, colori caratteristici dei film e libri della Meyer.

C’è anche un bel negozio d’oggetti Queillute ove si può acquistare artigianato locale carino, purtroppo un po’ costosetto.

Per la nostra ultima serata a Forks vogliamo immergerci ancora una volta nella tipica atmosfera del locale americano e dopo aver chiesto consiglio ad alcuni locals entriamo nel caratteristico caffè a fianco del motel che avevamo notato sin dal primo giorno. E’ il locale che ha ispirato la Meyer per le varie scene alla tavola calda dei suoi libri ed anche la troupe, che ha girato qui alcune scene dei film, pare vi cenasse regolarmente. Il posto non potrebbe essere più caratteristico: tavoli un po’ spartani con panche imbottite su ambo i lati, cameriere con grembiulino che ti cacciano subito di fronte il bicchiere d’acqua colmo di ghiaccio, un menu decisamente carnivoro ove le T-bones steaks la fanno da padrone. Tex Willer non potrebbe chiedere di meglio e noi ci gustiamo quest’ultima boccata d’America per portarcene a casa un po’.

Giorno 16, Addio a Forks e viaggio verso Seattle

Purtroppo questa mattina ci tocca salutare la mitica Forks! In questo paesetto di poco più di 3000 abitanti, affacciato sulla Hwy 101, c’è un atmosfera particolare, certamente amplificata dalle romantiche storie di vampiri che vi sono state ambientate e noi siamo stati benissimo: sappiamo che ci mancherà molto.

Torniamo a Port Angeles per restituire l’auto a noleggio. Da qui, per raggiungere Seattle senza auto, la soluzione migliore è di utilizzare una piccola compagnia locale che con piccoli autobus portano in circa quattro ore nella capitale dello Stato di Washington. Aspettando il bus pranziamo in un ristorante indiano che si trova nella zona del terminal bus: a pranzo propongono una soluzione a buffet molto conveniente, offrendo una cucina di buona qualità. Nel suo percorso verso Seattle il bus fa anche un piccolo tratto su di un traghetto che offre un’ottima vista delle insenature marine che circondano la città. Passato il centro della città, nel tardo pomeriggio scendiamo dal bus al SeaTac Airport.

Dopo qualche ricerca, infatti, abbiamo scoperto che la soluzione più economica per dormire da queste parti è di scegliere uno dei numerosissimi hotel/motel che si trovano nei dintorni dell’aeroporto. Noi scegliamo uno dei più economici che si rivela più che adeguato: camere semplici ma pulite con bagno e tutti i comfort spendendo la metà di ciò che avrebbe richiesto un hotel nel centro cittadino. Praticamente tutti gli hotel offrono un servizio di shuttle bus gratuito da e per l’aeroporto 24 ore su 24. In questo modo sarà molto facile andare a prendere l’aereo che ci riporterà in Italia (a qualunque ora). Questo servizio offerto si rivela utilissimo anche per andare in città. Dall’aeroporto, infatti, è molto semplice ed economico grazie ad una ferrovia leggera che raggiunge il centro in meno di mezz’ora ed è attiva dalle 5 alle 23.30 circa.

Dopo esserci sistemati in camera sperimentiamo subito la ferrovia ed andiamo in città per la cena ed un giretto serale.

Andiamo a zonzo nella zona di Pioneer Square che dovrebbe essere quella più “vecchia” e più caratteristica della città. In effetti la troviamo abbastanza particolare ma un po’ degradata, specie se confrontata all’analogo quartiere di Gastown di Vancouver. Il rientro all’hotel dell’aeroporto funziona benissimo e ci addormentiamo pensando a cosa fare il giorno dopo, ultima giornata di viaggio.

Giorno 17, Seattle

Anche oggi sole pieno! Ci sentiamo quasi presi in giro: ma dove sarebbe questo piovosissimo stato di Washington? Abbiamo detto “quasi” presi in giro… partiamo in maglietta e bermuda, ben contenti, per esplorare la città.

A priori ci attrae molto il Pike Market, tipico mercato posto sulla baia proprio in centro città, perché ci ricorda un posto simile visto anni fa a Melbourne che ci era piaciuto molto.

Ci addentriamo speranzosi in questo coloratissimo mercato dove colori, odori e suoni sono intensissimi. E non restiamo delusi. Merci d’ogni tipo su innumerevoli bancarelle strette le une alle altre, strilloni che decantano le meraviglie del loro pesce appena pescato, profumi di spezie (che arrivano dai paesi asiatici che si affacciano sull’altra sponda del Pacifico) invadono l’aria rendendola densa ed inebriante. Per gli amanti del genere poi c’è anche un fantastico negozietto di comics ove si trovano gadgets d’ogni tipo delle serie più famose: dall’Enterprise del capitano Kirk ai caschi dei soldati imperiali di Guerre Stellari.

Pranziamo in uno dei ristoranti storici del mercato, aperto sin dai primi del Novecento. Arredamento in legno d’epoca, tavolini piccoli disposti lungo un’ampia vetrata che si affaccia sulla baia, con le montagne innevate dell’Olimpic Peninsula sullo sfondo. I piatti di seafood sono i più gettonati ed anche il più semplice fish and chips è ottimo e relativamente poco costoso.

Per il pomeriggio siamo un po’ indecisi e commettiamo un errore: andiamo al Seattle Centre prendendo la monorotaia che parte dal centro città.

Innanzitutto la monorotaia si rivela una vera e propria trappola per turisti: è cara ed il tragitto è breve, tranquillamente percorribile a piedi.

Poi, a nostro avviso, lo stesso Seattle Centre si rivela una specie di sterile luna park, privo di attrattive davvero interessanti, con padiglioni di divertimenti tutti a pagamento e carissimi. Peccato, avremmo potuto spender il nostro tempo altrove vedendo qualcosa di più interessante.

Fatti gli ultimi acquisiti di rito, ceniamo in uno dei numerosi locali del centro (alcuni davvero chic e modaioli all’ennesima potenza) per poi salutare questa bella città, che si affaccia sul mare ma anche sulle montagne innevate a luglio godendo di un panorama davvero speciale.

Domani ci aspetta un volo prima dell’alba che ci riporterà in Europa.

Verde e blu sono i colori e le emozioni che riporteremo a casa da questo viaggio fatto soprattutto di natura e spazi immensi, intenso e stupefacente.

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