Brisighella: torri merlate, verdi colline, sangiovese e piadina
Brisighella è un piccolo borgo che sorge nel Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola con un affascinante centro storico medievale, fatto di vecchi vicoli acciottolati, ripidi sentieri in mezzo al verde ed atmosfere decisamente retrò. Una meta ideale perché raggiungibile facilmente in auto, così come si addice ad un’escursione breve e dell’ultimo minuto; inoltre si tratta di un’oasi tranquilla, ma ricca di spunti storici. Per non parlare dell’aria “buona” che qui si respira. Insomma questo borgo è uno di quei luoghi vicino casa che ho trascurato, privilegiando destinazioni più note ed impegnative, come le “solite”città d’arte.
Una volta focalizzato l’iter della mia piccola fuga, contatto la mia amica Stefania e la convinco ad abbandonare le pulizie del week-end appena iniziate: scopa e spazzolone messi da parte, ci diamo appuntamento a Ravenna (abitiamo in provincia entrambe).
Fuggendo dallo spleen di questo sabato incolore, dopo una mezz’ora di viaggio i nostri occhi sono già allietati dalla visione di morbide colline, inondate dal sole; infatti il bel tempo ha finalmente la meglio sulle nubi.
Tra una chiacchiera e l’altra ci accorgiamo però di aver superato Brisighella, ma, poco male: questo ci da occasione d’imbatterci nella Pieve Tho, una deliziosa chiesetta romanica, incastonata sullo sfondo di colline coltivate e vigneti, a un chilometro circa dopo Brisighella. E’ dedicata a San Giovanni Battista, detta in “ottavo” (Tho) poiché si situa all’ottavo miglio della faventina, l’antica strada romana che collega Faenza a Firenze.
Si tratta della pieve più antica della valle del fiume Lamone: il primo edificio religioso risale al V secolo, ma quello attuale è il frutto della ricostruzione operata intorno al XII secolo. Il bello di questi tesori nascosti nelle campagne, ricchi di una storia misteriosa e secolare, è che si possono visitare con calma, assaporandoli in beata solitudine, senza l’assillo di orde di turisti vocianti; così ne approfittiamo pienamente.
All’interno ammiriamo le vetuste colonne, realizzate con materiale di reimpiego di epoca romana; questo legame con il mondo antico riaffiora anche nelle remote leggende che avvolgono la chiesa. Sembra infatti che l’imperatrice romana Galla Placidia, figlia di Teodosio, avesse fatto erigere la chiesa con i resti del tempio pagano dedicato a Giove Ammone.
Terminata la visita si fa marcia indietro, e, rientrate a Brisighella, seguiamo le indicazioni per la Rocca. Arrivando in paese abbiamo subito notato i tre punti di riferimento della cittadina, situati ognuno su di un pinnacolo roccioso: la famosa Rocca d’epoca medievale, la Torre dell’Orologio ed il Santuario del Monticino, risalenti rispettivamente al XIX e XVIII secolo.
Troviamo facilmente la Rocca percorrendo una breve salita. Il minuscolo parcheggio è ben segnalato e si trova proprio a ridosso della fortificazione. Il biglietto costa 3,00 euro e dà diritto anche all’ingresso al museo Giuseppe Ugonia, che si trova in paese. L’addetto al ticket office ci consegna una piccola guida della città, la cartina ed un’opuscolo informativo sul fortilizio.
La Rocca, che con le sue fiabesche torri merlate sembra uscita dal Nome della rosa o giù di lì, fu costruita nel 300’ dalla potente famiglia dei Manfredi, i signori di Faenza, sui resti di un precedente castello raso al suolo dai ghibellini. La struttura si compone di un mastio cilindrico, il torrione più alto di tutta la fortificazione, di una torre più bassa e di una cinta muraria a forma di trapezio. La sua funzione prettamente militare e difensiva è ancora
Evidente, ma oggi, con la pace idilliaca che regna in questo luogo, si fatica ad immaginare i violenti scenari di guerra che pur qui si sono verificati.
Seguendo il percorso di visita attraversiamo la scala di accesso fino alla porta delle Gabelle, entrando nella corte d’arme interna. E’ bello passeggiare tra le antiche mura di pietra, in un silenzio magico, rotto solo dal cinguettio di qualche uccellino di passaggio. Il sole splende e siamo, per ora, le uniche privilegiate visitatrici. Poco più tardi si aggiungeranno una coppia di motociclisti tedeschi ed un piccolo gruppetto di turisti italiani. Ci prendiamo del tempo per gustarci appieno l’atmosfera che questo luogo emana, pensando alle rocambolesche vicende che ne hanno scandito la vita: alla fine del 400’ qui si svolse il drammatico assedio sferrato dal Duca di Urbino, sconfitto dall’audacia guerresca di Dionisio di Naldo, brisighellese doc.
Poco più tardi la Rocca passò a Cesare Borgia ed, alla sua caduta, alla Serenissima. I veneziani ristrutturarono, ampliandola, la piccola torre, all’epoca l’unica esistente, aggiungendo poi anche il monumentale torrione circolare. In seguito la Rocca finì nelle mani delle Chiesa che, con alterne vicende ed una parentesi napoleonica, la conservò fino al 1860, anno in cui fu annessa al regno d’Italia.
Saliamo sul mastio, l’imponente torre che ospita tre piani al suo interno, attraverso l’angusta scala a chiocciola. Un piccolo pipistrello mi sfiora le orecchie e vola a nascondersi: io mi metto a ridere, ma Stefania è terrorizzata, si mette la sciarpa sui capelli, e avanza strisciando, letteralmente attaccata ai muri. In realtà il nostro piccolo amico ha più paura di noi e non si fa più vedere.
Arrivate in cima scopriamo con gioia che, in seguito alla sapiente ristrutturazione del 2008, sulla cinta muraria è stata edificata una spaziosa passerella in legno, regalandoci così la possibilità di godere appieno del sole e del panorama mozzafiato.
Dall’alto della magnifica torre e dei camminamenti si gode infatti di una spettacolare vista che inquadra Brisighella, la vallata ed i pendii collinari. L’effetto è quello di un deja-vu: sembra di trovarsi dentro un’opera d’arte degna del pennello dei più grandi pittori rinascimentali.
Dopo la visita alla Rocca decidiamo di recarci alla Torre dell’Orologio, di cui abbiamo appena potuto ammirare la sagoma, ritagliata contro l’azzurro del cielo come in una vecchia cartolina.
Percorriamo un sentiero ghiaiato, accompagnate dal profumo dei fiori e dal ronzio degli insetti. Durante il nostro breve cammino notiamo sul fianco del pendio dei bellissimi uliveti: Brisighella infatti è famosa per il suo ottimo olio extravergine d’oliva, un prodotto DOP. Gli ulivi crescono con facilità grazie al microclima ideale, frutto della protezione della vallata e della barriera naturale della vena del gesso. Non mancheremo di acquistare un paio di bottiglie di questo aromatico olio, da brave buongustaie, per usarlo a crudo nelle insalate o anche semplicemente sul pane abbrustolito.
Fa caldo, ma in 7-8 minuti siamo già giunte a destinazione e saliamo sulla la Torre. Quella originaria fu eretta qui nel 1290 e costituiva la primitiva fortificazione dalla quale si è poi sviluppato tutto il borgo. Ciò che vediamo oggi è invece la ricostruzione in stile pseudogotico, risalente al metà del XIX secolo: gentiluomini e dame in crinolina, sognando un romantico medioevo cortese, venivano qui, come noi, ad ammirare lo scenario delle colline.
Quando la campana della torre suona vigorosamente l’una ci accorgiamo che a vibrare altrettanto vigorosamente sono anche le nostre pance: la fame inizia a farsi sentire!
Torniamo veloci sui nostri passi, riprendiamo la macchina e sceso il colle, entriamo in paese. Parcheggiamo nella tranquilla ed assolata piazza Carducci, di fronte alla chiesa (occhio al disco orario!), e ci accomodiamo in una trattoria per pranzare all’aperto. Con pochi euro ci gustiamo una fantastica piadina con squacquerone e rucola, tipica prelibatezza romagnola, e delle bruschette al pomodoro, godendoci pure un bel un bicchierino di Sangiovese, sedute al sole.
Il gioviale proprietario del locale, in vena di chiacchiere, ci racconta che questo vino si lega alla mitica figura di Stefano Pelloni, alias il Passatore, brigante/gentiluomo dell’ottocento romagnolo, che passava per una sorta di Robin Hood. In realtà di malefatte da brigante il passatore ne compì molte, anche qui a Brisighella. Oggi però il suo volto, con l’inconfondibile mantello e chapeau che ne fanno una sorta di Aristide Bruant romagnolo e casereccio, si presta a pubblicizzare le etichette dei migliori prodotti locali, come il vino o l’olio. Pranziamo con calma, pensando a quante storie segrete nasconde la nostra bella Romagna; intorno a noi non si vede neppure un turista, ci sono solo i bambini che stanno uscendo da scuola ed i vecchietti del paese che giocano, qualche tavolo più in là, a majong.
Saziata la fame e bevuti un paio di caffè forti, ci dirigiamo alla chiesa della Collegiata dedicata a San Michele Arcangelo e costruita nel 1697. Notiamo la particolarità del portale in bronzo con le maniglie a forma di angeli e scopriamo che sono opera di uno scultore faentino, Angelo Biancini su disegno di Antonio Savioli, anche lui originario della zona (1962). All’interno, ci godiamo la fresca ombra della chiesa ed ammiriamo nella prima cappella a destra la bella Adorazione dei magi, opera del forlivese Marco Palmezzano, sormontata dalla lunetta con la scena di Gesù tra i dottori nel tempio, dello stesso autore.
Uscite dalla Collegiata ci aggiriamo per le vie di questo borgo, che sembra aver conservato tutto il fascino nostrano e rustico della vecchia Italia con i suoi vicoli stretti, le vetrine polverose dei rigattieri, i panni stesi fuori dalle finestre e qualche gruppetto di corpulente z’dore romagnole sedute sui gradini di casa a “far trebbo”.
In quest’ora sospesa del caldo primo pomeriggio, passeggiando, seguiamo le indicazioni per raggiungere la pittoresca “via degli Asini”: un’antica stradina sopraelevata e coperta, forata da tante finestre a mezzaluna di diversa ampiezza. Leggiamo nella guida che questa tranquilla via fu un baluardo di difesa contro attacchi ed invasioni nel XIV e XV secolo. In particolare si ricorda l’offensiva del Duca di Urbino, che proprio qui fu respinto eroicamente dai brisighellesi.
Inseguito questa strada venne utilizzata dai birocciai che vivevano grazie al trasporto del gesso estratto nelle cave; la biroccia era appunto il carro da trasporto trainato dagli asini. Le bestie venivano legate di fronte agli archi, di qui il nome del vicolo. Il tetto, dalle poderose travi in legno ed il pavimento che si è in molti punti sollevato creando delle bizzarre “onde” (occhio a non inciampare!), conferiscono a questo luogo un fascino tutto suo, semplice e suggestivo allo tempo stesso.
Ormai è pomeriggio inoltrato e si fa l’ora di salutare questa bella cittadina per tornare alle nostre faccende domestiche. Ci ripromettiamo di visitare ancora le sue molte attrazioni, in particolare ci incuriosiscono le terme, che dalla guida sembrano offrire trattamenti a buon prezzo.
Prima di rientrare a Ravenna, però, la mia socia ha un’idea brillante: perché non proseguire fino a Fognano, il paese subito dopo Brisighella (in direzione Firenze), in quel posticino dove fanno le piadine più buone della zona? Detto fatto: nei pressi dell’istituto cattolico Emiliani nell’omonima via, si trova il mitico chiosco. Comprati i viveri che sazieranno i nostri esigenti palati per cena, finalmente si va a casa, in una vettura aromatizzata alla piada.
Dopo aver lasciato i dolci e verdi colli sopra Faenza, la nostra pianura ci sembra un po’ noiosa… ma torneremo! Intanto di questa nostra piccola fuga, che possiamo dire?
Poca spesa, molta resa!