Bosnia 2012
6 AGOSTO
Arriviamo a Dubrovnik la mattina alle 7:00 con il traghetto Jadrolinja da Bari. Prendiamo la strada verso l’interno. Facciamo la scelta di dirigerci verso la Bosnia attraverso la strada che attraversa Trebinje, Bileca, Avtovac, andandosi a ricongiungere più a nord (all’altezza di Brod, nelle vicinanze di Foca), con la strada proveniente da est e diretta a Sarajevo. La strada, segnata dalla cartina come gialla (strada di interesse regionale), si rivela però a tratti un vero e proprio tornente di montagna… ci sentiamo quindi di consigliare, per chi viene da Dubrovnik, di proseguire verso nord lungo la costa e svoltare verso l’interno all’altezza di Ploce, percorrendo la “strada di grande comunicazione” che arriva a Sarajevo passando per Mostar. La nostra scelta, ad ogni modo, ci porta ad attraversare il confine Corazia/Bosnia qualche km dopo l’ultimo paesino croato, Donji Brgat. Iniziamo un viaggio decisamente stancante di ben 5 ore attraverso strade curvose e che, nel tratto di riserva naturale tra Cemerno e Brod (Parco naturale della Sutjeska) non consentono neanche il passaggio contemporaneo di due macchine. A dire il vero non mancano in queste zone paesaggi e scorci piacevoli e molto selvaggi – come ad esempio nel tratto che costeggia lo Blecko Jezero – ma il caldo, i paesini decisamente desolati che incontriamo e le continue curve contribuiscono a rendere le 5 ore di viaggio interminabili!
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Arriviamo a Sarajevo solo alle 16:30, decisamente stanchi. Siamo sollevati nello scoprire che la scelta dell’albergo è stata invece decisamente azzeccata: l’ETN Hotel (prenotato da booking.com) si trova in una posizione facilmente raggiungibile con la macchina ma allo stesso tempo centralissima (proprio sopra il fulcro della città, Pigoen square), ed è dotato di un ingegnoso sistema di parcheggio: un ascensore per auto conduce al tetto del palazzo, da cui tra l’altro si gode di una discreta vista sui tetti della città, e dove si può tenere la macchina in tutta comodità. La stanza è comoda, dotata di aria condizionata (essenziale), e con un bagno grande… i punti deboli sono la vista (su un vicolo dove si svolge la raccolta della nettezza urbana) e la totale assenza del servizio in camera. I 70 euro a notte sono quindi quasi interamente giustificati dalla posizione assolutamente perfetta. Usciamo verso il tramonto e ci troviamo catapultati nell’atmosfera ottomana del centro storico: Pigoen Square è un punto perfetto per iniziare la visita: con i suoi bar all’aperto e il suo Sebilj, una fontana dalla forma orientaleggiante, la folla che la popola ad ogni ora e i vicoli che si snodano a partire dai suoi lati, sembra dare il benvenuto ai visitatori. Al calar del sole è un’esperienza unica. Da qui si diramano le varie strade pedonali che costituiscono il cuore della città: dalla commerciale Feradija al caratteristico vicolo Kazandziluk, che ospita i negozi dedicati agli oggetti in rame. Il primo e migliore approccio con Sarajevo si può avere proprio girando in questa zona “casualmente”, senza programmare la visita: l’impressione che si avrà – almeno, quella che noi abbiamo avuto – è quella di un bellissimo equilibrio. Le imponenti moschee, che al tramonto si accendono, si alternano a chiese ortodosse e cattoliche, famiglie musulmane affollano le strade o pregano nei patii (la nostra visita è avvenuta in periodo di Ramadan), mentre i turisti a pochi metri ammirano le bellezze della città, eleganti ragazze con il velo passeggiano per le strade affollate anche da gruppi di adolescenti e ragazzi dallo stile marcatamente occidentale e sofisticato, il turismo sembra non disturbare questo insieme così particolare. Le strette strade ciottolate, e di una pulizia impressionante, brulicano di gente, negozi, ristoranti, ma tutto ciò sembra convivere bene con la vita degli abitanti di Sarajevo e con le loro abitudini ed usanze culturali e religiose. Naturalmente si tratta dell’impressione di persone esterne che si recano in paese come turisti, ma questo primo impatto sembra davvero dare senso di una realtà consolidata di convivenza e civiltà. Come se le vicende tragiche di soli 20 anni prima non avessero nulla a che fare con questi luoghi, come se il cuore pulsante di Sarajevo, costretto ad interrompere il proprio battito a causa della follia della guerra, avesse ripreso il proprio corso immutabile. Dopo un’ora e mezza di passeggiata ci dirigiamo, attraversando il ponte di fronte alla Biblioteca nazionale (l’edificio dal quale, il 28 giugno 1914, l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, fu ucciso per mano dello studente serbo Gavrilo Princip.. insomma un pezzo di storia, purtroppo in fase di restauro), al ristorante Inat Kuca, consigliato dalla Lonely Planet. Si tratta di un bell’edificio in stile ottomano di legno con interni decorati in modo tradizionale, con cuscini e lanterne colorati. Ordiniamo entrambi Soah, un misto di pietanze tipiche serbe (una serie di verdure ripiene di carne, tra cui peperoni e foglie di vite, spiedini di vari tipi di carne, spezzatino, il tutto condito da un brodo leggermente speziato), un’insalata mista e una coca, spendendo in tutto 44 marchi bosniaci (11 euro a testa). Dopo un breve giro torniamo in albergo.
7 AGOSTO
Dopo una gustosa colazione seduti ai tavolini del Sarah, bar pasticceria con i tavolini all’aperto nella bellissima Pigoen Square, distante non più di 30 mt dall’albergo (ottimi i Kataifi), abbiamo approfondito il giro centro, tentando di entrare nelle interessanti moschee di Barcarsija e di Gazi-Huzrevbeg, di cui però abbiamo potuto ammirare solo il grande cortile senza poter entrare, a causa delle preghiere che si stavano svolgendo dentro. Abbiamo poi proseguito per Marsala Tita in direzione di Novo Sarajevo. Usciti dal centro storico si accede prima ad un tratto di Marsala Tita che ricorda, come ampiezza della strada e dei marciapiedi, le strade tipiche delle capitali europee. Se non fosse che da questo punto in poi le ferite della guerra si fanno più visibili. In generale l’atmosfera è ordinata e pulita, senza particolari segni di decadimento, criminalità, sporcizia, degrado. Alcuni palazzi sono ancora interamente “bucherellati” dalle granate e non sono stati ristrutturati, ma a questi si alternano molti edifici nuovi, moderni e di bell’aspetto, e l’impressione complessiva che si ha è quella di un cantiere aperto, e non dell’abbandono. Proseguendo la strada si fa ancora più larga, Marsala Tita si immette sulla trafficata Zmaja od Bosna, e superando di qualche metro l’Holiday Inn si arriva al Museo di Storia. La storia del museo è molto particolare: si è infatti scelto di non ristrutturare l’edificio alla fine della guerra, in modo che i segni delle granate e il generale stato di degrado costituiscano una prima testimonianza in grado di sensibilizzare il visitatore sui danni esteriori ed interiori generati dal conflitto. Si tratta solo di un primo assaggio, seguito, all’interno, da foto, documenti, addirittura “reperti” (è strano e triste chiamare così delle adidas degli anni ’90). Foto di bambini, oggi venticinquenni, con le loro mamme, oggi cinquantenni, spaventati, in una città diventata fuoco e fiamme per cause che loro sembrano non comprendere, e poi testimonianze di violenza, mutilazione, disperazione e odio. Ancora titoli di giornali e slogan di vecchi poster (uno tra tutti: “Wake up europe!”, incita l’Europa a svegliarsi ed intervenire). Dopo la visita, beviamo qualcosa di fresco al Caffè Tito, che si trova proprio dietro l’edificio che ospita il museo, consigliato dalla Lonely Planet. Effettivamente si tratta di un bar un po’ particolare, arredato con foto del presidente e carri armati qua e là. Ci rincamminiamo sulla strada assolata verso il centro, sperimentando il clima afoso che da mezzogiorno in poi diviene duro da affrontare. Dopo un veloce pranzo con una tiropita (non male) nel forno Pekara Edin su Pigoen Square ci incamminiamo lungo Kovaci diretti verso il cimitero del martiri di guerra e la zona di Vratnik. Il cimitero è una lunga distesa di lapidi bianche, tutte ovviamente unite dal dettaglio della data di morte: 1991. Salendo lungo la strada che costeggia il cimitero e passando sotto un arco si raggiunge una rapida salita che porta alla cittadella di Vratnik, ex città fortificata all’interno di Sarajevo, caratterizzata da case basse e diverse moschee con minareti in legno. Da lì si raggiunge il bastione giallo, dall’apice del quale si può godere, soprattutto all’ora del tramonto, di una fantastica e malinconica vista della città. Vale la pena rimanere un po’ di tempo ad ammirare Sarajevo dall’alto, riconoscendo tutti i posti già visti (solo così si comprende quanto il centro della città sia davvero molto raccolto). Si torna poi verso il centro percorrendo Jekovac. Prima di cena ci concediamo un giro per le vie del centro e del lungofiume, che al tramonto sono ancora più coinvolgenti. I negozi del centro sembrano, rispetto alle tante bancarelle viste nelle località turistiche di mare dei Balcani, un compromesso tra paccottaglia di massa e gusto autentico del luogo: si trova infatti un certo tipo di bigiotteria e abbigliamento particolare, per cui vale la pena spulciare in cerca di qualche acquisto/regalo. Per cena sediamo ai tavolini del To be or not to be, situato in una animata via di Feradija. Ordiniamo medaglioni di vitello al gorgonzola, piatto tipico bosniaco, e risotto ai calamari, decisamente meno tipico ma non male, seppur con un gusto particolare dato dall’uso delle spezie e da una cremina al latte. Un’ultima passeggiata tra le strade del centro, animate da bar e locali all’aperto, ma siamo troppo stanchi… e torniamo in albergo.
8 AGOSTO
Diamo un ultimo saluto a Sarajevo con una colazione da Sarah e partiamo verso Mostar, impiegando circa due ore. Il primo impatto non è dei migliori, perché la periferia si trova in uno stato di degrado maggiore rispetto all’enorme cantiere aperto di Sarajevo, e in giro per le strade bambini di etnia rom, anche di un anno, scalzi, chiedono l’elemosina sotto il sole cocente. Entrati nelle mura della città vecchia, invece, veniamo catapultati in un altro mondo. Il centro storico è infatti estremamente curato e pulito. Il nostro “appartamento-studio” (Pansion Cardak) si trova proprio a un passo dal Ponte vecchio, l’attrazione principale di Mostar. Consiglierei a tutti questo appartamento (prenotabile su booking) per la location azzeccatissima, l’interno ben arredato, la connessione wi-fi, l’estrema gentilezza dei proprietari… e il prezzo! Quando usciamo il caldo è cocente e la città è invasa da un mare di turisti, molti dei quali italiani, che visitano la città in gruppi. Supponiamo si siano spinti a Mostar partendo da Medjugorje, che dista pochi km. Nonostante il caldo e la folla la bellezza di Mostar traspare: il centro storico è molto piccolo e si snoda su un’unica strada principale, che prosegue al di là del ponte. Le due Mostar, quella croata e quella musulmana, sono collegate dallo Stari Most, distrutto durante la guerra, poi ricostruito e dichiarato patrimonio dell’umanità. A renderlo famoso non sono state solo sua bellezza architettonica e la sua armonia, ma anche il suo valore di simbolo di riconciliazione e di pace. Nella parte musulmana si trovano diverse moschee, di cui non abbiamo però potuto visitare l’interno. Lo shopping è conveniente: si trovano gioielli, bigiotteria, oggetti di rame. Naturalmente non si tratta in tutti i casi di prodotti di artigianato, ma si possono trovare oggetti carini e a poco prezzo. Di giorno entrambe le rive della sponda sono molto animate, piene di negozi e l’atmosfera è decisamente movimentata. Ma qualche ora dopo, nell’atmosfera più tranquilla e fresca del tramonto, l’anima autentica di Mostar è molto più apprezzabile. I vicoli ciottolati si svuotano, la luce cala e il borgo si accende, rivelandosi come un piccolo, compatto e armonioso presepe. Il ponte si colora con i sole del tramonto e si riflette nella Neretva: che voi siate fotografi esperti o scattiate una foto ricordo con il cellulare, ne otterrete una splendida cartolina, che vi riporterà alla memoria un’atmosfera calda, rilassata, di una bellezza rara. Per concludere la giornata, ci sediamo ai tavolini dello splendido cortile dello Sadrvan, per gustare medaglioni di vitello al gorgonzola e un vino rosso bosniaco (Blatina dell’Herzegovina), spendendo in totale 50 marchi bosniaci (25 euro).
Il finale perfetto per un viaggio che non dimenticheremo mai, che ci ha mostrato il fascino di una realtà vicina ma culturalmente diversa dal resto dei Balcani, una grande cortesia e accoglienza, una storia dolorosa ma affrontata con dignità. Da consigliare, e soprattutto da ripetere!
Giulia