Viaggio nel cuore dei Balcani e Albania
Viaggio nel cuore dei Balcani e Albania
Indice dei contenuti
- Tragitto e chilometri percorsi: CROAZIA-BOSNIA ED ERZEGOVINA-MONTENEGRO-ALBANIA-MACEDONIA DEL NORD-SERBIA-CROAZIA-SLOVENIA-ITALIA (Arcore). Il contachilometri all’arrivo segna 3721km percorsi su strada, ai quali vanno aggiunti i circa 500km percorsi da Daniele per raggiungere la Croazia, punto da cui è iniziata la vacanza.
- Tempo impiegato: 21 giorni, dal 17/8/2022 al 7/9/2022
- Costo complessivo del viaggio: € 1.768 totali per due persone
Informazioni utili
Itinerario
Abbiamo programmato un tragitto che ci permettesse di sfruttare al massimo i giorni a disposizione, senza tralasciare nessuna delle destinazioni che avevamo a cuore.
Avevamo per il vero preso in considerazione un rientro in Italia via nave, ma dopo una breve analisi dei costi/benefici, abbiamo optato per un itinerario completamente via terra.
Pertanto, da Rejka ci siamo diretti verso Sarajevo lungo la strada M18, panoramica ma a dir poco ostica. Giunti in Montenegro ci siamo diretti verso il confine albanese all’altezza di Ulcinj. Dopo aver fatto tappa al lago di Scutari, ci siamo diretti prima a Berat e poi sulle splendide coste meridionali. Da Saranda è iniziato il lungo tragitto di rientro. Una volta attraversato il confine con la Macedonia del Nord lungo la tortuosa E852, abbiamo raggiunto il lago di Ohrid. Da qui abbiamo attraversato tutto il Paese fino a Skopje, punto in cui abbiamo imboccato l’autostrada A1 in direzione Belgrado. Dopo Zagabria abbiamo deviato verso Rejka per un ultimo tuffo in mare prima di rientrare in Italia attraverso il confine sloveno.
Per chi avesse a disposizione solo due settimane di tempo, è possibile fare un tour veloce dei paesi dell’ex Jugoslavia evitando l’Albania, alla quale abbiamo dedicato una delle tre settimane programmate.
Ci sentiamo tuttavia di evidenziare che la sosta lungo le splendide coste meridionali dell’Albania ci ha permesso di riposarci, dopo l’attraversamento di Bosnia e Montenegro – che peraltro abbiamo solo attraversato perché oggetto di un viaggio ad hoc alcuni anni or sono – ed affrontare con rinnovata enfasi il viaggio in Macedonia del Nord e Serbia. Come risulta infatti dalla lettura del diario, le visite di Sarajevo, Belgrado ma anche, inaspettatamente, Skopje, si sono rivelate quantomai dense ed appassionanti ma anche impegnative.
Strutture e campeggi
Dopo il confine con la Croazia i campeggi cominciano a scarseggiare e spesso, quei pochi segnalati dalle guide dalla segnaletica, nient’altro sono se non piazzali o giardini messi a disposizione da privati. Occorre pertanto programmare bene questo aspetto in base alle proprie esigenze.
Con particolare riguardo all’Albania, consigliamo vivamente di arrivare fino all’estremità meridionale del paese, fin quasi al confine con la Grecia, dove le spiagge sono incantevoli ed anche le città e la gente stessa paiono più inclini e preparati all’accoglienza del turista.
Inoltre il campeggio libero è di fatto tollerato.
Mezzo
Quanto al mezzo, va detto che le strade della Bosnia – ma in alcune parti anche quelle dell’Albania – sono proibitive per roulotte, camper e motorhome di grandi dimensioni. Un camper integrato o un van costituiscono la soluzione ideale, che permette l’accesso a luoghi altrimenti irraggiungibili, come alcuni camping in Albania. Da questo punto di vista il nostro California, un T4 del ’93 camperizzato, ha svolto egregiamente il suo dovere.
Per raggiungere invece alcune calette dell’Albania, ahimè, è addirittura indispensabile un mezzo a quattro ruote motrici.
Per chi programmasse un viaggio in auto, rileviamo che lungo buona parte del tragitto è possibile trovare bed and breakfast e camere affittate da privati.
Ricordarsi che alle frontiere sono piuttosto scrupolosi nel controllo dei documenti dell’auto. Non dimenticate la carta verde, soprattutto per il passaggio in Bosnia. In Albania è invece obbligatorio – il rischio è quello di viaggiare di fatto senza essere assicurati – la stipula di un’assicurazione in loco, presso uno degli stand che si trovano appena oltrepassato il confine.
Costi e pagamenti
Passata la Croazia, che gode ancora l’immeritata fama di essere paese a buon mercato, i prezzi si abbassano notevolmente, soprattutto per le strutture ricettizie, al punto che a volte può convenire un bed and breakfast rispetto ad un camping.
Il paese meno caro tra quelli visitati è risultato la Macedonia. Inaspettatamente “cara” l’Albania con riferimento a molti generi, in primis il carburante, che all’epoca del nostro viaggio superava i 2 euro della benzina e i 2,20 del diesel contro l’1,4 del vicino Montenegro. Sotto questo specifico punto di vista, vi consigliamo di programmare con attenzione i rifornimenti durante il viaggio.
La carta di credito è accettata solo nei grandi esercizi per cui è opportuno premunirsi di una somma adeguata di contante, facendo attenzione ai tassi di cambio e alle commissioni applicate dalle banche. L’utilizzo di carte ad hoc tipo Revolut è assai consigliato. Consigliamo comunque il cambio di cifre adeguate e non eccessive, dato che molte strutture accettano o addirittura preferiscono il pagamento in euro.
Cucina e cibo
Per gli amanti dei vari tour enogastronomici, i paesi della ex Jugoslavia possono risultare inaspettatamente uniformi ed omologati (ma non ditelo ai locali!) almeno da questo punto di vista. Burek e Ćevapčići li troverete ovunque come piatto nazionale, anche se “spacciati” in forme ed a volte con nomi diversi. Carne alla brace abbastanza diffusa, anche se la scelta dei piatti è piuttosto limitata. Consigliamo la visita ai vari mercati ortofrutticoli, ricchi di prodotti tipici della zona a prezzi imbattibili: frutta fresca e secca, verdura, miele, legumi, spezie, formaggi e olio.
Molto diffusa la cucina turca, anche per quanto riguarda i gelati e la pasticceria.
Anche in Albania siamo rimasti un poco delusi, in particolare dalla scarsità di prodotti alimentari – formaggi, carne, ortaggi – nei negozi e supermercati, e soprattutto dalla pressoché totale assenza di pescherie o mercati. Anche nei ristoranti il menù era abbastanza stereotipato e la maggior parte dei piatti null’altro sono se non “rivisitazioni” di specialità italiane.
Diario di viaggio
Giorno 1: Rjeka – Banja Luka (360 Km)
Benvenuti nella Repubblica Serpska
Anche quest’anno il viaggio vero e proprio non parte dall’Italia. Raggiungo Daniele a Rijeka in autobus da Milano. Ci troveremo all’autostazione verso le 9 e mezzo del mattino: anche lui ha viaggiato di notte tornando da Praga, dopo aver accompagnato a casa la figlia Julie, con la quale ha trascorso due settimane all’isola di Cres. Il California ha atteso il nostro arrivo nel garage Zagrad B, a pochi passi dalla stazione.
Nonostante la stanchezza per la notte quasi insonne, decidiamo di prendere di petto la nostra vacanza e dirigerci verso Banja Luka, la piccola capitale dell’enclave serba in Bosnia, autodefinitasi “Repubblica Srpska” con tanto di cartello di benvenuto poco dopo il confine con la Croazia.
Unica tappa concessa, una breve colazione presso il laghetto di Fusine, a pochi km dall’autostrada per Zagabria.
Dopo il confine con la Bosnia tutto cambia improvvisamente: le strade, che da dritte e spaziose di fanno più strette, il paesaggio, le persone stesse. Si percepisce nettamente la sensazione di essere usciti dall’Europa che conosciamo per entrare nell’area balcanica e nelle sue atmosfere, che finora ci siamo solo potuti immaginare.
Il campeggio è piccolo ma carino. Si tratta in verità di un privato che mette a disposizione il suo grande giardino, come ci capiterà spesso nei prossimi giorni. Una manciata di van e camper – quasi tutti olandesi naturalmente – e molto silenzio, solo qualche muggito dalla vicina stalla.
La particolarità di questo camping è la vicinanza ad un piccolo fiume, dove abbiamo fatto il bagno appena arrivati (Foto 2).
Giorno 2: Banja Luka – Sarajevo (240 km)
La strada impervia verso Sarajevo
Il programma è di arrivare a Sarajevo in giornata, quindi ci alziamo relativamente presto e partiamo.
Ma anche quest’anno, così come lo scorso anno in Norvegia, il California ha deciso di farci penare un po’ all’inizio del viaggio: non funziona il servosterzo. Grazie all’indicazione del proprietario del camping ci rivolgiamo ad una vicina autofficina.
Con un po’ di mimica più che con la sua conoscenza basilare del ceco, Daniele riesce immeditatamente a spiegare il problema al meccanico, che identifica la causa: cinghia servosterzo usurata. Scopriamo subito che i tempi sono qui un po’ “dilatati”, sebbene non vi siano più clienti oltre a noi: occorre attendere il pezzo di ricambio e dopo un’ora di attesa al vicino bar Imperia, buio ritrovo di ludopatici e tabagisti locali, sul ciglio della strada, rientriamo alla base ma ci toccherà aspettare ancora un’altra oretta prima della riconsegna del California riparato.
Ripreso il viaggio, la strada per Sarajevo si fa progressivamente più impervia; solo un assaggio delle ripide e scoscese strade dei Balcani intorno a Sarajevo.
Lungo il percorso, tra le gole di una valle, scorre il fiume Vrbas, attrattiva di rilievo per gli amanti del rafting. Daniele decide di fermarsi presso un’ansa in cui i locali si tuffano dal ponte.
A valle un gruppo di ragazzi griglia un maialino. Non riusciamo a imbucarci nella festa privata, nonostante i tentativi di Daniele di attaccare bottone, ma poco male, un tuffo nelle fredde acque del fiume ci aiuta comunque a riprendere con più vigore il viaggio.
Le strade sono piene di saliscendi e non attraversiamo villaggi, solo qui e là si vede qualche camping e qualche costruzione in legno dedicata ai turisti del rafting.
Arriviamo, a fatica, a Sarajevo, in un camping scelto su park4 night. Non sembra un granché a prima vista, un cortile dove sono parcheggiati un po’ di caravan, ma, una volta parcheggiato, scopriamo con piacere che ogni piazzola gode sul retro di una bellissima vista sulla città. Siamo sul monte Trebević, famoso per due ragioni: la prima per le Olimpiadi invernali del 1984 – la pista da bob è a poche centinaia di metri – e attrae ancora qualche visitatore. L’altra ragione è invece un po’ più triste, in quanto l’artiglieria dell’esercito serbo e i paramilitari si appostavano proprio su queste cime per bombardare la città assediata. Proprio la pista, prima della bonifica dell’area dalle mine, era uno dei sentieri sicuri per i locali ma anche per i primi turisti.
La cena da questa altura – con vista di Sarajevo notturna – di rivela molto più suggestiva di quanto immaginavamo, e decidiamo di rimandare all’indomani la passeggiata in città (Foto 3).
Giorno 3: Sarajevo-Foča (80 km)
La Gerusalemme europea
La giornata viene dedicata alla visita di Sarajevo; ci aggreghiamo al free walking tour della città organizzato in inglese dall’associazione “Meet Bosnia”
Un tour di due ore e mezza gratuito (in verità ad offerta libera) interessantissimo. La città, le sue diversità ed il multiculturalismo della “Gerusalemme europea” vengono accoratamente descritti dalla guida, un ragazzo bosniaco che da generazioni vive nel centro della città.
Il passaggio nei quartieri orientali e poi in quelli occidentali, il breve riassunto della storia di questo tormentato paese, sono a tratti commuoventi, raccontati da una persona che ha vissuto da bambino gli anni dell’assedio durante i quali, ci racconta, la mamma andava a prendere l’acqua presso l’unica fonte disponibile, rischiando ogni volta il passaggio nei vicoli controllati dai cecchini serbi.
Daniele, da sempre grande appassionato delle vicende della prima guerra mondiale, non sta nella pelle quando il tour passa nei luoghi in cui l’attentato al principe ereditario d’Austria Francesco Ferdinando prima fallì e poi rocambolescamente fu portato a compimento da Gavrilo Princip, la cui lapide commemorativa è stata cambiata per ben sette volte nel corso dell’ultimo secolo: descritto a volte come regicida assassino del principe e della moglie Sofia, e altre invece come martire della auto-determinazione della Bosnia e poi di tutti i popoli europei; sta di fatto che il suo gesto innescò un terribile conflitto che avrebbe cambiato completamente l’Europa, con effetti destinati a durare fino ai giorni nostri.
A fine tour, seguendo i consigli della guida assaggiamo una delle specialità locali – il Burek – in un’autentica burecka, e ci prendiamo un caffè e un tè al Divan cafè, antico caravanserraglio, nascosto ma famoso punto di incontro della comunità locale, soprattutto quella musulmana.
Ma prima della sosta insisto per far visita al mercato ortofrutticolo, i cui bombardamenti ad opera dell’artiglieria serba (i massacri di Markale) determinarono di fatto l’intervento della NATO. Il mercato è abbastanza vivo, ed in un angolo scopro quasi per caso una delle “rose rosse di Sarajevo” che spesso si trovano nelle piazze o sulle strade della città: macchie di vernice rossa sul terreno in commemorazione di civili periti in quel punto per via dello scoppio di granate o dei colpi dei cecchini. La particolarità di questa rosa rossa, impressionante quanto inaspettata, è il proiettile di mortaio, che causò all’epoca 68 vittime e centinaia di feriti, rimasto conficcato nel cemento, a pochi passi da una bancarella.
Sia pur toccati dalla visita al mercato, è tempo di ripartire, in direzione Albania.
I chilometri sono pochi ma stancanti e decidiamo di fermarci in un campeggio carino a Foča, lungo il fiume Drina, sempre nel territorio della “Repubblica Srpska”.
La breve visita della città ci lascia alcune perplessità, soprattutto quando camminando in cerca di un supermercato Daniele riconosce, dietro la vetrina di un edificio, una vecchia gigantografia di Ratko Mladic, il “macellaio dei Balcani”, condannato dal Tribunale internazionale dell’Aja all’ergastolo per crimini di guerra, tra i quali il massacro di Srebrenica. La stessa persona che, tra l’altro, era a capo dell’artiglieria che, durante l’assedio di Sarajevo, sparò il proiettile di mortaio che poche ore prima avevamo visto al mercato di Sarajevo (Foto 4).
Giorno 4: Foča – Petrovac (242 km)
Ritorno a Petrovac
Il camping dove abbiamo passato la notte è ben organizzato e la vista del fiume ci consente una degna colazione, al pari della cena della serata precedente.
I chilometri che ci separano dal confine col Montenegro sono pochi, ma a dir poco difficili. Le salite sono impervie e le strade sono rattoppate, ed in alcuni punti compromesse dalle frane. Le gallerie sono scavate nella roccia viva, nemmeno un tunnel in cemento in tutto il tragitto.
Capita di incontrare mucche, capre, ma anche un maiale lungo il percorso. La strada, per chi volesse avventurarsi in un itinerario avventuroso, è la M18, che costeggia il fiume Drina.
Ogni tanto si trovano camp che organizzano soggiorni per appassionati di rafting: le gole profonde e la convergenza di tre fiumi (Tara, Piva e Drina) rendono la zona assai attraente soprattutto per i turisti inglesi, giunti fin qui con i loro fuoristrada.
Il ponte che attraversa il confine, sul fiume Drina, è quasi da film: una struttura in metallo su una gola profonda, con gli assi di legno che sembrano un po’ cedevoli.
Dopo il confine le condizioni stradali migliorano sensibilmente, anche se i dislivelli continuano ad essere notevoli.
Diversamente da quanto programmato, una volta giunti a Podgorica non ci dirigiamo direttamente verso il lago di Scutari in Albania, ma facciamo una piccola deviazione verso Petrovac, una delle cittadine visitate durante la nostra prima vacanza insieme, proprio in Montenegro, alcuni anni or sono.
Ci permettiamo un piccolo inciso per i turisti che volessero visitare il Montenegro: il primo consiglio è quello di evitare Podgorica. Il solo fatto che sia la capitale, per giunta la vecchia Titograd in onore del padre fondatore della Repubblica Socialista di Jugoslavia, può indurre a programmare una tappa in cerca di qualche monumento di pregio. La città si rivela invece anonima e priva di alcuna attrattività persino per gli appassionati dell’architettura brutalista di stampo sovietico.
Il secondo consiglio è quello di non tralasciare le parti più caratteristiche del Montenegro, che sono per l’appunto le “montagne” (inclusa la Montagna Nera da cui prende nome) ed i suoi parchi naturali, tra i quali segnaliamo quello del Durmitor, riservando naturalmente qualche giorno per una visita al golfo di Kotor e alla città di Budva.
Viste le mutate condizioni stradali, in poco tempo siamo a Petrovac, in tempo per un bagno in una spiaggia solitaria che avevamo scoperto proprio negli ultimi giorni della nostra prima vacanza.
Il proprietario della villa prospiciente il mare (villa Djurovic) ci offre la possibilità di accamparci presso il piazzale. I servizi sono abbastanza scadenti – un solo bagno per tutti gli ospiti – ma poter dormire a pochi metri dalla riva ha sempre un certo fascino e decidiamo di fermarci.
Dopo il pomeriggio di mare, la serata termina in una romantica Konoba a Petrovac lungo la strada, dove i cibi locali sono accompagnati dalla musica live di una giovanissima coppia.
Lungo la strada facciamo un po’ di provvista di finocchietto, presso un campo letteralmente infestato dall’arbusto dai tipici fiori gialli, in piena fioritura. Come ogni anno, al ritorno a casa, Daniele si cimenterà nella preparazione di liquori con erbe raccolte durante i tragitti, che ci faranno riassaporare, per qualche istante, nelle fredde sere lombarde, i sapori e i ricordi dell’estate e dei i luoghi visitati.
Dopo il ginepro norvegese dello scorso anno, quest’anno torneremo all’amato liquore a base di finocchietto selvatico.
Giorno 5: Petrovac – Scutari (Shkodra) (114 km)
Lago di Scutari
Riprendiamo il programma originario e ci dirigiamo verso l’Albania, destinazione lago di Scutari, dove ho individuato un campeggio che ha ottime recensioni.
La strada non è delle migliori, ma dopo l’esperienza in Bosnia ogni itinerario risulta ormai abbastanza semplice per noi. Lungo la strada verso la frontiera, direzione Ulcinj, si trovano venditori di ortaggi, soprattutto fichi, miele e formaggi. Vale la pena di fermarsi per fare acquisti: verdura e fichi sono ottimi ed a buon mercato, il miele invece è inaspettatamente caro.
Il clima è montano e pioviggina, ma appena oltrepassate le montagne e scesi in pianura, le nuvole per un po’ sembrano rimanere intrappolate sulle montagne e possiamo goderci qualche ora di svago presso il resort campeggio Lago Shkodra, assai ben organizzato e immerso nel verde, con accesso diretto al lago di Scutari.
Non facciamo però in tempo a inaugurare il nostro Sup perché il cielo scuro incombe, e l’inesorabile acquazzone, anche se breve, ci costringe a ritirarci nel California ed organizzare la cena presso la cucina del campeggio.
La sera avevamo in programma una visita alla città, ma come di consueto siamo un po’ stanchi.
A spronarci ad uscire dal nostro guscio sono degli amici di origini albanese che vivono in Italia, che trascorrono le vacanze proprio a pochi chilometri dal nostro campeggio.
Pertanto decidiamo di testare l’ospitalità albanese, che si rivela all’altezza, anzi, forse un po’ eccessiva.
Daniele si lascia andare ad un po’ troppi brindisi di Raki distillata in casa, e pagherà dazio tutta la notte e la giornata successiva.
Usciamo di casa carichi di fichi e di Raki ringraziando per l’ospitalità.
Giorno 6: Shkodra – Berat (206 km)
La città dalle mille finestre
Al mattino decido di inaugurare finalmente il Sup sul lago, mentre Daniele si riposa nel California, ancora debilitato dopo la serata.
Ci dirigiamo – oggi guiderò io – verso Berat, città antica e segnalata da tutte le guide.
Il paesaggio è un po’ trasandato e dispiace vedere tanta sporcizia lungo le strade. Numerosi sono gli edifici non terminati o disabitati. Lungo tutto il percorso si susseguono pompe di benzina (peraltro a prezzi addirittura superiori a quelli italiani), autolavaggi e sfasciacarrozze.
Arrivati a Berat ci fermiamo presso un camping segnalato da park4night. Più che un camping, come spesso capita da queste parti, è un semplice cortile dove il proprietario consente l’allaccio all’elettricità, oltre a doccia bagni. Tuttavia il prezzo (10 euro) vale il servizio, soprattutto perché la nostra priorità era trovare un posto sicuro e vicino al centro, dove lasciare il California e fare un giro per il centro.
La città si rivela degna di visita. L’acropoli è grandissima e potrebbe essere meta di turisti da tutta Europa – come in parte già è – se solo fosse tenuta e pubblicizzata un po’ meglio.
Assai suggestiva la vista del quartiere delle case bianche ottomane che hanno portato Berat ad essere definita anche “la città delle mille finestre”. Degno di nota anche il ponte Gorica sul fiume Osum, che a dire il vero, in questo periodo, si presenta come poco più che un torrente fangoso, ma la cui estensione del letto fa intuire che in altri periodi la portata d’acqua sia ben diversa.
Verso sera la città sembra prendere vita, i locali si aprono e le strade si riempiono di gente. Tuttavia la lunga camminata fino alla cima dell’acropoli, il vento incessante, e la persistente indisposizione di Daniele ci suggeriscono di non fare tardi, anche perché domani vogliamo arrivare finalmente al mare.
Giorno 7: Berat – Himare (154 km)
Finalmente il mare: Himare
Anche oggi giornata importante di strada. Fino a Valona il tragitto è “relativamente” normale: a tratti trafficato ma agevole. Dopo Valona, termina la strada pianeggiante e “facile”. Per continuare verso sud non vi è una strada costiera e non rimane che percorrere la SH8 che si addentra nei promontori prospicienti la costa. La carreggiata è stretta ed è un susseguirsi di tornanti. Le salite sono assai ripide e soprattutto lunghe, tanto che ci è capitato di trovare almeno un paio di mezzi in panne. Capiamo solo a fine giornata per quale motivo google maps preventivava tre ore e mezza di guida per un tragitto così breve.
Raggiungiamo il Camping Himara nel primo pomeriggio; è una struttura assai suggestiva, nel cuore di antichi terrazzamenti, all’ombra di enormi uliveti secolari, con vista sul mare. La strada sterrata e ripida preclude l’accesso a camper di grandi dimensioni e alle roulotte, e con grande soddisfazione troviamo, tra i pochi ospiti, quasi esclusivamente Volkswagen T4 o T5.
A gestire la struttura una coppia di soci, un ragazzo albanese e Steven, un simpatico inglese.
Sistemato il California scendiamo a piedi in spiaggia e finalmente ci godiamo un pomeriggio di mare.
L’acqua è cristallina e si vede l’isola di Corfù quasi davanti a noi.
Rientriamo abbastanza presto. Anche stasera cucina leggera e nessuna uscita in programma: abbiamo ben tre giorni e mezzo arretrati di diario da scrivere!
Giorno 8: Himare – Himare (km 0)
Le spiagge albanesi: Livadhi Beach
A fine mattinata, pertanto, ritorniamo alla spiaggia a pochi metri del camping dove siamo stati il pomeriggio prima (Livadhi beach, a circa 250 metri a piedi dalla struttura). Un po’ affollata ma molto bella.
Il mare è sempre un po’ agitato e rimanere in equilibrio sul sup, tantopiù in due, è impresa assai più ardua rispetto alle prove fatte nel lago di Lecco o sui tratti tranquilli del fiume Adda. Ma dopo qualche caduta e soprattutto dopo aver preso la saggia decisione di non stare in piedi, bensì in ginocchio o seduti sulla tavola, riusciamo a farci un paio d’ore di sano esercizio fisico alla ricerca di insenature e calette.
Rientriamo col proposito di ricercare qualche buon ristorantino nella città di Himare, il cui centro risulta essere abbastanza lontano. Decidiamo pertanto di provare la lunga camminata verso il centro cittadino, evitando naturalmente di percorrere la strada asfaltata e cercando invece un sentiero lungo il promontorio, della cui esistenza ci dà conferma il proprietario del campeggio.
Il cammino si rivela un po’ lungo ma molto suggestivo, e cogliamo l’occasione per scattare alcune foto dal promontorio, durante il tramonto (Foto 8).
Himare si rivela assai meno “tipica” e molto più turistica e chiassosa di quanto ci aspettavamo.
Trovare un ristorante o una trattoria casareccia si rivela compito quasi impossibile fin dal principio. Con un po’ di mestiere e un po’ di fortuna facciamo una breve incursione nelle retrovie e entriamo nella Andrea’s Taverna, ancora piena di gente locale nonostante sia un giovedì sera e cominci a farsi tardi.
Il menù a base di carne sembra buono, e ci sentiamo di consigliare il posto per quanto riguarda la qualità dei piatti, ma il locale è troppo affollato ed i tempi di attesa troppo lunghi, senza contare che la maggior parte delle pietanze segnate in menù erano terminate, con grande disappunto di Daniele che voleva assaggiare l’agnello alla griglia.
Il ritorno al buio (provvidenzialmente Daniele ha portato la torcia elettrica), appesantiti come siamo dal vino e dal cibo, sembra molto più lungo dell’andata, ed a fatica raggiungiamo il nostro uliveto.
Giorno 9: Himare – Himare (km 0)
Le spiagge albanesi: Akuariumit
La sfaticata di ieri (Sup + trekking) unitamente al silenzio ed ai ritmi rallentati del camping, che sembrano averci contagiato, ci induce ad un ulteriore giorno, non preventivato, di permanenza in questa struttura.
Sempre con il nostro sup in spalla, ci dirigiamo a piedi in una spiaggia poco lontana (denominata “akuariumit” oppure “aquarium”), molto bella e poco affollata, vale decisamente la scarpinata lungo il crinale.
La spiaggetta è incastonata tra due speroni di roccia dai quali si tuffano ogni tanto i ragazzi più arditi.
Anche noi recitiamo degnamente la nostra parte, spacchettando il Sup ed uscendo dalla caletta senza timore di affrontare il mare aperto.
Come spesso è accaduto in questi giorni, il cielo dietro le montagne comincia a farsi cupo e decidiamo saggiamente di rientrare. Dopo una seconda giornata di mare e sole siamo letteralmente cotti; inoltre, un po’ più prosaicamente, abbiamo i panni stesi della lavatrice fatta in mattinata, e vorremmo ritrovarli asciutti visto che domani si riparte.
Nelle nostre gite col Sup abbiamo avuto modo di scorgere alcuni Van parcheggiati sullo strapiombo e ci piacerebbe provare qualcosa di simile, cenando con vista mare e facendo colazione al sorgere del sole.
Insomma, ci sentiamo pronti per la nostra prima, audace, notte in “libera”.
Giorno 10: Himare – Lambjano bay (10 km)
La spiaggia più bella: Lambjano Bay
Partiamo alla volta di una piazzola suggerita da park4night. La vista è sul mare come volevamo, anche se la discesa in spiaggia è consentita solo a piedi, viste le pessime condizioni della strada, accessibile solo a fuoristrada.
La spiaggia è da sogno. Le pietre bianche rendono azzurri, quasi bianchi, i colori dell’acqua. La schiuma delle onde che senza sosta si infrangono sulle rocce e sulla spiaggia, la temperatura perfetta dell’acqua, le poche persone presenti. Insomma, una tra le spiagge più belle mai visitate in tutti i nostri viaggi.
Il tempo passa veloce e rimaniamo fin oltre il tramonto, al punto che la cena che avevamo programmato nei dettagli, con tanto di aperitivo al calar del sole e dolcetto finale, si trasforma in una cena al buio dove del mare riusciamo a percepire solo il profumo e qualche rumore lontano, per quanto Daniele si fosse ingegnato di posizionare il tavolo e le sedie su un terrazzamento con vista del golfo.
La notte è rovinata da un inatteso attacco di zanzare, ma il risveglio con vista panoramica, a strapiombo sul mare, vale comunque l’impresa.
Giorno 11: Limbjano bay – Bunek (25 km)
Bunek
Siamo un po’ stanchi dopo la notte in parte insonne – un po’ per le zanzare ed un po’ perché si trattava della nostra prima notte in libera. Ci eravamo documentati ed abbiamo scelto posti tranquilli, ma le nostre uniche esperienze di campeggio allo stato brado erano state in Norvegia, non esattamente l’Albania.
Arriviamo in spiaggia relativamente presto, con l’idea fare un bagno e metterci alla ricerca di un campeggio, ma la spiaggia è troppo bella, al punto che nemmeno l’invasione di un’orda di italiani al seguito di un tour organizzato a bordo delle jeep, ci fa capire che è giunta l’ora di levare le tende, come invece saggiamente percepiscono i nostri vicini di ombrellone polacchi, anche loro reduci da una notte in libera.
Dopo un’ora però ci convinciamo che è tempo di andare e recuperare il California.
Non prima di due piccole, doverose deviazioni: la prima per addentrarci a piedi lungo un tunnel che dalla nostra gita in Sup avevamo scorto in una delle calette: un ingresso per sottomarini utilizzato ai tempi della guerra fredda.
Scopriremo leggendo la guida che l’enorme portone chiuso di accesso, ormai arrugginito ed inutilizzato, conduceva ad un hangar destinato alle riparazioni. Tantopiù interessante se si considera che il tunnel attraversa tutta la montagna fino a sbucare nella baia di Porto Palermo, come avremo modo di verificare nel prosieguo.
L’ altra tappa obbligata è quella della raccolta di finocchietto selvatico: dopo l’ultimo raccolto in Montenegro ci eravamo accorti che dei preziosi arbusti era scomparsa ogni traccia. Ne troviamo alcuni sui dirupi lungo il percorso, e non perdiamo occasione per fare un bel raccolto.
Ci mettiamo alla ricerca del camping che ho individuato ieri. Passiamo il golfo di Porto Palermo senza fermarci: purtroppo la struttura che abbiamo scelto si trova a 16 km e siamo un po’ “cotti”.
Non senza fatica troviamo il campeggio “Bunek” nell’omonimo villaggio sul mare.
Scendendo lungo la strada scoscesa, in direzione della spiaggia, come al solito ci assalgono gli odori della macchia mediterranea, che qui in Albania paiono più forti che in ogni altro luogo del mediterraneo.
Il campeggio prescelto è una struttura molto particolare non solo perché ubicato in una valle di ulivi che si estende fin quasi alla spiaggia, ma soprattutto perché attraversata da un torrente di acqua gelida dove è bello immergersi quando il caldo si fa opprimente e quando anche l’acqua del mare è troppo calda (sic!).
Ovviamente Daniele trova una piazzola a pochi metri dal fiume, e la serata prosegue tra qualche bagno (mare e torrente) ed i preparativi per la cena.
Questa sera è il mio turno di cucina e mi tocca la tortilla, un piatto molto più lungo e laborioso di quanto possa sembrare, e pertanto sarò occupata ai fornelli per buona parte del pomeriggio. A volte si avvicinano cani e cavalli che scorrazzano liberi nel camping, ma senza alcuna intenzione aggressiva.
Giorno 12: Bunek-Porto Palermo – Borsh (30km)
Porto Palermo
Forse per la prima volta nel corso dei nostri itinerari, decidiamo di tornare indietro sul percorso già fatto, anche se solo per una quindicina di chilometri. La strada già percorsa ieri da Limbjano bay a Bunek costeggiava il golfo di Porto Palermo, e pensiamo che una gita in Sup tra le varie spiagge sia d’obbligo.
La fortezza di Porto Palermo vista dal mare è ancora più affascinante, ed i contrasti cromatici tra le pietre bianchissime delle mura, il verde della vegetazione sottostante ed il blu del mare tutt’intorno varrebbero la pena di essere fotografati, se solo avessimo la macchina fotografica subacquea.
La giornata scorre velocissima come sempre. Per stasera avevamo adocchiato un ristorantino con ottime recensioni a Bunek (Restaurant Memi) ma ripieghiamo sul più vicino “La veranda”, a Queparo, assai carino anche se per Daniele un po’ troppo turistico. Cibi e servizio erano comunque all’altezza delle buone recensioni.
Abbiamo bevuto un po’ e non ce la sentiamo di ritornare fino a Bunek. Ci accamperemo presso la spiaggia di Borsh, dove il parcheggio di camper sembra essere tollerato.
Daniele trova un posto a circa 15 metri dalla battigia, e la notte trascorre tranquilla.
Giorno 13: Borsh-Bunek (30km)
Borsh
La sveglia in spiaggia a pochi metri dal mare ha valso la notte in libera e le sue scomodità.
Fortuna che il doccino e gli 80 litri d’acqua, insieme al preziosissimo frigorifero, ci consentono una giornata spartana ma pur sempre rilassante.
Daniele si sveglia di buon mattino e mi fa trovare la colazione già pronta sul tavolo, in “veranda”, a pochi metri dal mare e con la spiaggia ancora deserta.
Abbiamo il tempo per una passeggiata lungo quella che probabilmente è una delle spiagge più lunghe in Albania, e che sembra avere grandi margini di crescita, visto il proliferare di alberghi e appartamenti. Il lungomare è carino, anche se non mancano, in piccolo, i contrasti tipici di tutta l’Albania: tratti modernissimi con residence e piscina e angoli ancora incolti dove regnano pecore e vacche.
A fine mattinata decidiamo di ritornare al campeggio di Bunek: il ruscello e la piazzola ombrosa ci fanno desistere dalla ricerca di nuovi camping.
Giorno 14: Bunek- Syri i Kalter (50km)
Saranda
Oggi è l’ultima giornata di mare e questo ci rende un po’ tristi.
Ma a maggior ragione bisogna sfruttare queste ultime ore, e impongo un lungo giro in Sup, fino a raggiungere un bellissimo e lungo tratto di spiaggia selvaggia e incontaminata che si trova al di là del promontorio, Gjiri Blu e Lukove beach.
Il ritorno, in direzione opposta alla corrente, è durissimo, ma i colori del mare giustificano lo sforzo.
Ci imbattiamo anche in due enormi meduse color marrone: nonostante la paura che il sup si ribalti proprio in quel punto, ci fermiamo ad ammirare i colori e la bellezza di questi esemplari.
Al rientro ci facciamo prendere un po’ dalla pigrizia: Daniele attacca bottone prima con una coppia ungherese – tedesca, attratto dal loro T4 versione Syncro, e poi da una amabile coppia di amiche tedesche.
Ma è tempo di partire: il programma è quello di visitare brevemente Saranda e poi sostare presso l’Occhio Blu (Syri i Kaltёr in albanese), una sorgente situata a circa 50 km verso l’interno, attrazione imperdibile per i turisti di queste zone.
Saranda si rivela città vivace, pulita e moderna, molto più di quanto potessimo immaginare. Lungo i moli leggiamo i manifesti con le gite per altre calette, più a sud, che non avevamo pianificato di vedere. Ci viene la tentazione di cambiare il programma e fermarci qualche giorno in più, ma alla fine ci rendiamo conto di non avere il tempo sufficiente, e ci ripromettiamo di tornare per una visita di questi luoghi al confine tra Albania e Grecia.
Dopo il caffè di rito in un bar di quelli che tanto piacciono a Daniele (che definirei eufemisticamente “vintage”) riprendiamo la strada per l’Occhio Blu, così chiamato per i colori che caratterizzano questo incredibile fenomeno della natura.
La mattina è il momento migliore per scorgere i riflessi di questa fonte profondissima, che vista dall’altro pare veramente un grande occhio dai colori nero, blu e azzurro. Decidiamo pertanto di accamparci nel piazzale del parcheggio alla base della salita che conduce all’ingresso.
Non siamo gli unici ad avere avuto l’idea, e numerosi sono i camper di tedeschi, ma anche belgi e svizzeri, con i quali abbiamo il tempo di scambiare qualche parola. Nei pressi vi è una piccola chiesa ortodossa, oltre all’immancabile fontanella.
Il buio assoluto e l’assenza di luci in tutta la zona, ci regalano una magnifica vista sul cielo stellato.
Giorno 15: Syri i Kalter – Struga (Ohrid) (330 km)
Occhio Blu e Gjrokaster
Dopo la colazione alle sette, saliamo verso la sorgente.
Si paga un biglietto dal costo irrisorio (40 centesimi), per una camminata di circa 20 minuti lungo il torrente che sgorga dalla fonte, circondato da una fitta area boscosa molto ben curata. Per i più pigri è possibile anche noleggiare il monopattino e percorrere la ciclabile.
I colori della sorgente sono veramente fantastici. Ci dicono che l’acqua sgorghi da un buco profondo 150 metri, anche se i sommozzatori non sono mai riusciti a calarsi oltre i 50 metri, per via della spinta con cui l’acqua sgorga.
Scandalizzando alcuni turisti tedeschi e italiani, decidiamo di fare un breve tuffo, in barba al divieto, avendo notato che in altre parti lungo il percorso, contraddittoriamente, i cartelli sembravano concedere la possibilità di bagnarsi nelle acque cristalline.
Vorremmo rimanere almeno fino a mezzogiorno, ma ci attendono moltissimi chilometri oggi, ben 320, per superare il confine con la Macedonia e arrivare al lago di Ohrid.
Facciamo tappa anche a Gjrokaster, cittadina patrimonio UNESCO e tappa obbligata, per via il castello e del quartiere ottomano.
A dire il vero è tutta la cittadina – città natale del vecchio dittatore comunista Hoxha e pertanto ben preservata già da prima che divenisse meta turistica per l’occidente – a sorprenderci: la pulizia delle strade, la vivacità dei locali, la gentilezza dei negozianti, ci fa ricredere in buona parte rispetto alla prima impressione che abbiamo avuto, appena arrivati in Albania.
È davvero un peccato lasciare la città.
Fortunatamente anche il viaggio è abbastanza piacevole nonostante i frequenti dislivelli. Il manto stradale è in ottime condizioni e la strada costeggia una sorta di canyon, dove i colori de torrente cambiano dal bianco al rosso intenso. Peccato vedere la linea ferroviaria dismessa, come tante altre opere ed edifici in rovina (tra i quali anche il molo a Bunek), retaggio di un passato al quale sembrano risalire la maggior parte delle opere pubbliche e infrastrutture.
Lungo la via abbiamo anche occasione di spendere i nostri ultimi lek: niente di più facile e piacevole, visto che sulle strade si susseguono i soliti venditori di fichi (di cui abbiamo fatto incetta in questi giorni) oltre ai venditori di ortaggi, formaggi, miele e olio.
Non mancano ristoranti e taverne, dove la specialità pare essere la trota pescata nel fiume adiacente la strada. A proposito, abbiamo notato in quasi tutta l’Albania, a dispetto di quanto ci immaginavamo, una grandissima ricchezza d’acqua. Ovunque vi sono fonti o ruscelli, ed è forse anche per questa abbondanza – oltre al particolare culto per l’automobile, che questo paese condivide, insieme a tante altre cose, con la nostra Italia – che il mestiere più diffuso è senz’altro quello dell’autolavaggio. Ne abbiamo trovati ovunque, anche in cima alle montagne.
Siamo un po’ in affanno e anche quest’anno, come lo scorso anno in Norvegia, ci lasciamo prendere la mano e Daniele sorpassa un tir – che da parecchio tempo ci precedeva – su un viadotto, in un tratto in cui il sorpasso era vietato, anzi vietatissimo vista la presenza delle doppie strisce.
Al termine del viadotto ci attende una pattuglia di polizia, che ci fa accostare.
Questa volta siamo decisamente più fortunati rispetto allo scorso anno, quando ci toccò una multa di 330 euro per aver superato di soli 11 km orari un limite di velocità assai discutibile.
Il contegno di Daniele, assai dispiaciuto per la consapevolezza di aver commesso una sciocchezza, e la comprensione del giovane poliziotto hanno reso tutto abbastanza semplice, inducendo il rappresentante delle forze dell’ordine locali a comminarci la sanzione più lieve. A quel punto Daniele ha ringraziato, e nell’accingersi a pagare ha fatto presente che entrambi eravamo in qualche modo colleghi; dopo un brevissimo consulto collega più anziano, la sanzione ci è stata condonata del tutto (merito soprattutto del mio tesserino di servizio, che porto sempre con me) ed abbiamo ripreso, con un po’ più di prudenza, l’ultima parte della lunga tappa.
L’ampio inciso dedicato alla multa condonata certifica quanto sia vero ciò che ci avevano anticipato i nostri amici albanesi, ovvero che in Albania siano frequenti i posti di blocco, ma che i turisti vengano tendenzialmente “lasciati in pace”.
Arriviamo all’imbrunire al confine con la Macedonia del Nord, di cui un paio di turisti belgi ci hanno parlato con entusiasmo, descrivendolo come paese vivo ed in grande espansione.
La prima impressione entrando nel paese di Struga sulla riva del lago di Ohrid è in effetti positiva: la cittadina sembra molto viva, ma siamo stanchissimi ed abbiamo appena il tempo di trovare la struttura, predisporre il nostro California versione notte e andare a nanna dopo la solita cenetta a lume di candela.
Giorno 16: Struga – Skopje (180km)
Ohrid, il lago più antico d’Europa. Visita della città
Altra giornata assai densa, dato che abbiamo dovuto concentrare visite a luoghi che meriterebbero più tempo.
Rinunciamo alla gita in Sup sul lago di Ohrid, sul quale si affaccia il campeggio. Pare essere uno dei laghi più antichi della Terra e il più antico d’Europa.
Ora dopo ora scopriamo quanto la Macedonia sia un paese per molti versi agli antipodi della vicina Albania. Le strade e le case sembrano più curate. Ohrid, come ci aspettavamo, è un gioiellino incastonato sul lago. La visita delle chiese, del castello, del monastero e del centro esigerebbe un paio di giorni almeno, ed è un peccato concentrare tutto in una mattinata. La città è piena di locali, bed and breakfast e servizi (noleggio di barche, kajak e sup) per attirare i turisti: anche da questo punto di vista la mentalità dei Macedoni sembra essere molto diversa da quella albanese. I negozi sono ricchi di prelibatezze di ogni tipo, ed anche i prezzi sono sensibilmente più bassi rispetto a quelli dell’Albania: non solo la benzina, che costa meno di 1,5 euro rispetto ai 2 euro in Albania, ma i generi alimentari e non solo, sembrano più accessibili, tanto per i turisti quanto, soprattutto, per i locali.
Daniele non riesce a rinunciare ad un misto di carne “balcanica”; Il locale prescelto, è un po’ malandato, ed i prezzi non sono nemmeno più bassi rispetto ai locali in centro. Ma un tavolo di anziani che sorseggiano Rakja e la gentilezza del proprietario ci inducono in errore.
Le due birre trangugiate da Daniele sono un valido pretesto per potermi mettere alla guida del California.
La strada per Skopje, circa 160 km, dopo un primo tratto col manto stradale sconnesso, risulta essere panoramica e tutto sommato gradevole, nonostante i continui tornanti ed i dislivelli.
A circa 50 km da Skopje inizia l’autostrada “Madre Teresa”. Apprezzabile l’idea di dedicare la recente opera stradale a Madre Teresa di Calcutta, nativa di Skopje. Un po’ meno quella di collocare un casello ed il relativo pedaggio ogni circa 10 km.
Arriviamo a Skopje all’imbrunire. Il tempo è freddo e pioviggina.
Non vi sono campeggi in città e seguiamo le indicazioni di Park4night, parcheggiando in un piazzale presso i giardini che costeggiano il fiume Vardar, non lontani dallo stadio ma nemmeno dal centro.
Ci fermiamo per cena presso uno dei ristorantini all’aperto sul fiume, specializzato in carne alla griglia.
Giorno 17: Skopje – Vranje (110km)
Skopje, una città in fermento
Alle 10 ci aspetta il tour cittadino organizzato dall’associazione cittadina “Free Skopje Walking Tours”.
Il punto di incontro è previsto proprio a 850 mt dal nostro parcheggio in Piazza Macedonia. Abbiamo quindi il tempo di fare colazione in uno dei tanti caffè trendy della città, il “Trend&Bistro London” affacciato proprio sulla piazza, e cambiare un po’ di denaro in valuta locale.
La guida è simpatica e preparata: Vasko, un signore di circa 50 anni che può vantare di aver vissuto cinque decadi di grandi cambiamenti di questa città. Città che si presenta come un cantiere in continuo movimento, anche se tanto sembra essere già stato fatto.
Vasko ci racconta brevemente la storia del Paese prima di iniziare il tour. Un fastidioso raduno di motociclisti ci costringe a muoverci anzitempo verso la prima tappa del tour, ovvero la vecchia stazione.
L’edificio è semidistrutto e pericolante e l’orologio enorme sulla facciata è fermo alle 5 e 17, in ricordo di quel minuto tragico in cui, nel 1963, ebbe inizio un terremoto che distrusse l’ottanta per cento degli edifici della città.
Affascinante la storia della ricostruzione, che avvenne in tempi rapidissimi visto che l’appello di Tito fu accolto da oltre 68 paesi che mandarono aiuti. Contingenti NATO furono mandati dalla Germania e lavorarono praticamente a contatto con soldati dell’armata rossa: cosa impensabile nel 1963, proprio l’anno in cui le tensioni USA/URSS raggiungevano il culmine dopo il tentato golpe americano contro il regime di Castro e la successiva decisione sovietica di installare postazioni missilistiche a Cuba.
Ecco, pare che lo spirito di ricostruzione e di iniziativa, al di sopra di ogni ideologia o nazionalismo di sorta, sia proprio una caratteristica del popolo macedone, visto che da allora la città – che peraltro in passato aveva subito altri terremoti catastrofici – ha continuamente cambiato pelle, seguendo gli stili architettonici del momento. Persino gli autobus cambiano: quelli a due piani rossi, identici a quelli londinesi, si sono avvicendati più di una volta ai tradizionali autobus ad un solo piano.
L’ultima grande rivoluzione è avvenuta sulla spinta di un programma ambizioso lanciato nel 2014 dal ministro della cultura locale, e che ha comportato la demolizione di alcuni edifici costruiti in stile “modernista” dopo il 1963 e la costruzione, o la ricostruzione di edifici preesistenti.
La città è un’esplosione di statue ad ogni angolo, fontane, edifici in stile neoclassico che farebbero storcere il naso a molti.
Ai lati del ponte di pietra che unisce la parte nuova e la parte vecchia della città vi sono due grandi piazze dedicate ad Alessandro il grande e Filippo il Macedone. Nella prima piazza, intorno alla gigantesca statua equestre circondata da una grande fontana, stanno montando i palchi per il festival della birra che inizierà domani.
Piaccia o non piaccia, la città è gradevole e piena di vita. Si respira ottimismo ed euforia, e nonostante sia oramai il 2 settembre, è piena di turisti stranieri.
Anche sul piano internazionale la Macedonia del Nord, apprendiamo, è molto attiva: senza troppe remore o ideologie è entrata nella NATO, bypassando il veto greco e accettando la denominazione un po’ ridicola di “precedente repubblica della dissolta Jugoslavia”. Successivamente, il nuovo compromesso con i Greci sul nome di “Macedonia del Nord” dovrebbe inoltre facilitare la prossima entrata del paese nell’UE.
Chiediamo scusa per il lungo inciso: ma trovare un paese simile dopo aver attraversato la Bosnia e l’Albania, dopo aver lambito il Kosovo con cui confina e ancora di più dopo aver visitato anche la Serbia, rende ancora più sorprendente il “miracolo macedone”. Un paese dalle risorse limitate, senza sbocco sul mare, circondato da paesi che in qualche modo rivendicano qualcosa della piccola Macedonia: dalla Serbia che l’ha sempre considerata una propria provincia, alla Grecia che a lungo non ha voluto riconoscerla, alla Bulgaria che ha posto il veto al Macedone come ulteriore lingua ufficiale dell’UE, considerandolo un semplice dialetto bulgaro; la stessa Albania rivendica più diritti per la propria minoranza di stanza nel paese, aumentata a dismisura dopo l’arrivo dei profughi kosovari.
Un viaggio in aereo (naturalmente non mancano le linee aeree low cost da ogni capitale europea) non renderebbe con altrettanta efficacia l’idea che quanto stia accadendo in Macedonia – una classe politica ma soprattutto un paese intero che agisce con pragmatismo, ambizione ma anche una certa spregiudicatezza urbanistica – sia semplice ed eccezionale allo stesso tempo.
La visita alla casa – museo dedicata a Madre Teresa di Calcutta rende l’idea anche della complessità della Macedonia, dove etnie e religioni convivono senza grossi problemi. Madre Teresa apparteneva ad una minoranza religiosa all’interno di una minoranza etnica, essendo nata a Skopje da famiglia albanese ma di religione cattolica. Proprio a pochi passi dal museo, sorge una tra le più grandi chiese ortodosse dell’ex Jugoslavia, e non lontano antichi hammam turchi ed un minareto.
Ma Vasko ha fretta e non c’è tempo per la visita alla casa di Madre Teresa – che visiteremo da soli nel pomeriggio – e passato il ponte di pietra, sopravvissuto al terremoto che distrusse l’intera città, ci inerpichiamo nella vecchia parte della città, il Vecchio Bazar, anch’esso rimasto in buona parte indenne non solo al terremoto ma anche a qualsiasi velleità di ricostruzione, che in questo caso sarebbe pura follia.
Abbiamo il tempo di fermarci solo presso un Caravanserraglio e farci dare alcune indicazioni sulle vie da percorrere (su tutte quella degli orafi, un tempo popolata dagli ebrei in che si stabilirono a Skopje, in fuga dall’inquisizione cattolica e che trovarono miglior rifugio in quest’angolo dell’allora impero ottomano) e su come scegliere i posti dove assaggiare i piatti locali.
Il tour termina in cima alla parte vecchia della città, al di sotto della Fortezza Kale che avremo il tempo di poter visitare da soli. I discorsi della guida si chiudono con una lunga parentesi culinaria: d’altra parte così era iniziato il tour quando Vasko, dopo la visita alla stazione, ci aveva offerto, presso una piccola panetteria di quartiere, degli assaggi di burek, che anche qui come in tutti i Balcani – anzi, più ancora che nel resto dei Balcani – pare essere la pietanza nazionale.
Dopo i saluti di rito proseguiamo per il mercato verde, ovvero il più grande mercato di frutta e verdura della città, ubicato un po’ nascosto dai grandi casermoni, nella parte nuova della città.
Un concentrato di odori e colori che non provavamo ormai dai nostri viaggi nei mercati rionali dei paesini portoghesi. Ci lasciamo inebriare dai colori e profumi che pervadono l’aria e in poco tempo siamo carichi di ortaggi, legumi e frutta di ogni tipo. Dai tanto decantati pomodori, agli onnipresenti peperoni, così come agli imprescindibili fagioli locali. Senza menzionare le noci, le prugne, l’uva e le noci, le spezie e tanto altro, che con pochi euro riusciamo a portarci via.
Senonché, questa nostra ingordigia ha reso proibitivo il ritorno nella parte vecchia della città, poiché siamo carichi di sacchi come somari. Propongo pertanto a Daniele di fare il nostro romantico pranzetto non già in un tipico locale nel vecchio bazar, ma in un minuscolo bar situato proprio nel cuore del mercato. È un posto molto “vintage” che Daniele, nemmeno a dirlo, accetta di buon grado. E fanno i tavce, fagioli al forno cotti e serviti in un tipico piatto di terracotta, che Vasko ci aveva consigliato: avevo notato alcuni vassoi in uscita per i proprietari delle bancarelle e di qui è nata l’idea. La birra ghiacciata e la gentilezza del ragazzo, unitamente ad un prezzo complessivo di circa 8 euro per i due piatti di fagioli, le due pagnotte giganti e le tre birre ghiacciate, oltre alla consapevolezza di essere probabilmente i primi turisti che mettono piede in quel locale, ci rendono più che mai soddisfatti della scelta.
Abbiamo un’ultima tappa: il centro commerciale costruito in epoca comunista, in puro stile brutalista, ma dove si possono trovare, come ci aveva suggerito Vasko, prodotti tipici a buon mercato.
Riusciamo quindi a recuperare qualche buona bottiglia di vino locale, la celebre Rakja e qualche barattolo di Aivar, la salsa di peperoni.
Arrivare al California sarà impresa abbastanza ardua, ma è poco meno di un chilometro e non senza fatica riusciamo a raggiungere la meta.
Lasciamo Skopje con un po’ di dispiacere ma soddisfatti per aver sfruttato al meglio la giornata.
La lunga coda in frontiera, di oltre un’ora, ci convince, una volta oltrepassato il confine, a fare tappa presso il campeggio “Enigma”, nella campagna serba presso la cittadina di Vranje.
La struttura è abbastanza pulita, c’è pure una piscina sul retro, ma la stagione sembra ormai finita e, soprattutto la sera, fa un bel freschino.
Giorno 18: Vranje – Belgrado (340 km)
Nis, castello e campo di concentramento
Partiamo di buon mattino con destinazione Belgrado. L’autostrada è comoda ed il viaggio è anche gradevole: si attraversano le colline e i campi coltivati della campagna serba. Il tragitto scorre veloce, ma google navigator ci indica pur sempre 3 ore e 40 minuti di strada. Troppi, per riuscire ad arrivare in tempo al free walking tour in programma ogni giorno alle 10.30.
Rimandiamo pertanto al giorno successivo la visita della città e facciamo tappa a Niš, cittadina a poco più di metà strada.
La città, come suggerisce la guida, è carina. L’atmosfera è vivace ma rilassata allo stesso tempo.
Troviamo sì, come in tutta la Serbia, alcuni contrasti tra zone ricche e altre un po’ trasandate, tra il centro ricco di parchi e verde pubblico e la periferia un po’ grigia, tra gli edifici nuovi e quelli lasciati andare al degrado. Non vi è traccia tuttavia delle “carovane rom a cavallo” segnalate dalla guida (lonely planet), che anche in questa circostanza si rileva non completamente al passo con i repentini cambiamenti che caratterizzano un po’ tutta l’area balcanica, anche se a velocità diverse a seconda del paese.
Troviamo il tempo per un giro in trenino dentro la fortezza ed anche per la visita al campo di concentramento dove in epoca nazista furono ristrette oltre 30.000 persone tra ebrei, rom e dissidenti politici.
Il campo, ora chiamato “12 febbraio” ma all’epoca, per ironia della sorte, denominato “croce rossa” viene descritto, ancora dalla guida ma anche su alcuni siti online, come uno dei meglio conservati in Europa, ma anche su questo ci sentiamo di dissentire. L’area nel complesso appare poco curata. All’interno vi sono un paio di auto parcheggiate, probabilmente quelle delle due impiegate addette alla biglietteria. L’edificio principale, quello delle camerate, è abbastanza ben preservato e assai suggestive sono le foto dei prigionieri che il 12 febbraio del 1942 – di qui il nome con cui l’area è stata ribattezzata – tentarono la più grande fuga da un campo di concentramento nazista. Quanto agli altri edifici – cucina e laboratori – l’impiegata ci riferisce che sono al momento chiusi in quanto adibiti “ad uffici”. Una rapida occhiata dalle finestre consente tuttavia di accertare che in verità risultano adibiti a deposito di vecchi monitor, brande, ed altre cose inutili. Da ultimo, Daniele rileva la presenza, accanto all’ufficio, di una grande effigie in metallo che sembra risalire all’epoca comunista: ci confermano che in effetti è un reperto di un altro museo che per il momento è stato “appoggiato” nel retro della biglietteria, all’aperto, in attesa che venga ritrasferito nel museo di pertinenza.
Crediamo che un luogo simile – che in passato doveva essere effettivamente un’attrazione ben conservata e pubblicizzata – meriti una cura e soprattutto un rispetto maggiore, non solo per le vittime che ci sono passate, per i discendenti, ma per tutta la comunità: sia per i locali che per i turisti.
Chiudiamo il tour procurandoci un po’ di cibo per la sera: siamo in Serbia e non possiamo non entrare finalmente in una macelleria e comprare un po’ di carne da grigliare. Il macellaio è gentile ed il rapporto qualità/prezzo è eccezionale, come avremo modo di apprezzare tra qualche ora.
Riprendiamo la strada per il campeggio Belgrade Avala che stando ai giudizi degli utenti di park4night dovrebbe essere una tra le strutture migliori nei dintorni.
È gradevole e immerso nella campagna, pur trovandosi a solo poco più di mezz’ora di strada dalla capitale. È un vero peccato non trovare il tempo per visitare la cantina locale – il proprietario è anche viticoltore -, ma comincia a imbrunire e ci attende il barbecue di carne appena comprata, oltre alle bruschette con olio albanese e le melanzane acquistate al mercato di Skopje. Nonostante la mia contrarietà Daniele si è portato dietro, per tutto il viaggio, il barbecue portatile ed anche la torba!
Ci fanno compagnia un gruppo di attempati polacchi, a bordo, questa volta, di veicoli storici (vecchie Lada, Skoda e Fiat) con cui stanno compiendo un tour di gruppo – una sorta di mille miglia in salsa balcanica -di Serbia e Albania. Vedere una vecchia Fiat 134 tirata a lucido, aver percorso queste strade con una roulotte al traino, ridimensiona le nostre periodiche preoccupazioni sulla tenuta del vecchio California, che al cospetto è un mezzo assai più giovane e affidabile.
Giorno 19: Belgrado – Novi Sad (110km)
Belgrado, città dai forti contrasti
L’appuntamento con il free walking tour alle 10.30 non consente a Daniele di perdere buona parte della mattinata con la colazione. Bisogna arrivare in città e trovare un parcheggio.
La guida, Nikola, un ragazzone di Belgrado, è di primo impatto un po’ meno loquace e coinvolto, rispetto ai colleghi di Sarajevo e Skopje.
Punto di incontro è la piazza Terazijska Česma, di fronte all’hotel Moskva, un luxury hotel costruito ad inizio ‘900 con note caratteristiche dell’architettura russa del tempo, che ha ospitato personaggi famosi tra i quali Albert Einstein, Indira Gandhi, Ray Charles e più di recente Robert de Niro e Brad Pitt, per citarne alcuni.
L’hotel, che gode di un’ampia terrazza e piano bar, è famoso anche per il dolce Moskva Schnitte, un dolce inventato dallo chef dell’albergo negli anni ’70 e a tutt’ora preparato e servito esclusivamente in questo hotel, anche se di fatto emulato in tutte le pasticcerie del Paese. Ma ciò che ci attrae da subito in questa piazza, ancor più che l’hotel dalla facciata aurea e ancor più della imponente fontana di origini ottomane, sono i capannelli di persone intenti a contrattare, tenendo strettamente in mano quelle che da lontano sembrano mazzette di banconote. Uomini, donne, bambini; famiglie e anziani che discutono. Addentrandoci tra la folla, è sorprendente apprendere che oggetto delle trattative sono le “mazzette” di figurine degli album dei calciatori: proprio le figurine Panini che per tanto tempo, in Italia, sono state il passatempo preferito di generazioni di ragazzini. Qui sembra proprio che quella moda non sia passata ed un po’ tutti abbiano voglia di rimanere ragazzini. E questa sensazione ritorna quando Nikola ci racconterà le storie della città e dei suoi abitanti. Daniele ascolta affascinato i racconti delle partite di pallone giocate a bordo di vecchie fiat all’interno di un centro sportivo davanti al quale passiamo, delle corride in cui il pubblico tifa per il toro, della leggenda del fantasma di Belgrado (phantom of Belgrade); racconti che danno comunque un’idea della particolare “mentalità” della popolazione locale. Lo stesso Nikola, apparso a tratti distaccato a inizio tour, si accende quando Daniele gli confessa una certa simpatia per la Stella Rossa e ricorda alcuni famosi calciatori serbi.
Il tour prosegue lungo tutta la parte “moderna” di Belgrado: trattandosi di una capitale assai estesa, era normale attendersi che i vari tour proposti fossero tematici e non potessero coprire tutto il centro città come avvenuto a Sarajevo e Skopje. Senza poter citare tutti i vari monumenti, possiamo riportare l’impressione che abbiamo avuto di Belgrado: una capitale senz’altro piena di vita, passeggi e negozi. Ma, un po’ come ci aspettavamo, città dai forti contrasti dove edifici nuovissimi convivono con casermoni fatiscenti di epoca comunista. Passiamo anche dal Generalštab, edificio squartato dai bombardamenti del 1999, lasciato tale e quale a memoria dell’operazione militare della NATO su Belgrado.
A tal proposito, è interessante notare come le tre diverse guide che ci hanno accompagnato nelle rispettive città (Sarajevo, Skopje, Belgrado), abbiano manifestato, come era per molti versi logico attendersi, una visione assai differente in merito al crollo dell’ex Jugoslavia. Se per i Bosniaci quello della Jugoslavia è stata comunque un’esperienza storica di convivenza tra etnie e religioni diverse che poi è degenerata in massacro, dopo che la ex Jugoslavia si era di fatto dissolta a seguito della decisione da parte delle regioni “più ricche” di uscire dalla federazione; se per i Macedoni si è trattato di una fase storica con alcuni lati positivi ma che comprimeva le loro ambizioni autonomiste ed ora europeiste, ecco che per Nikola – che non esclude per Belgrado un futuro di capitale di qualcosa di “più grande” della attuale Serbia – alcuni interventi Serbi, come quello in Kosovo nel 1998 non furono un’aggressione ad un popolo che voleva autodeterminarsi bensì una lotta ad un gruppo terroristico, l’UCK, che teneva in scacco il paese.
Anche il mercante con cui scambieremo due chiacchiere presso il mercato ortofrutticolo, critica benevolmente la dissoluzione di un paese in cui, in fin dei conti, fa notare, le differenze linguistiche e culturali non erano così esasperate come si vuole far credere; ed in effetti tanto le poche parole che abbiamo imparato quanto le specialità culinarie appaiono del tutto simili, con qualche variante, nel lungo viaggio.
Non ci esprimiamo in proposito, pur avendo naturalmente un nostro pensiero, ma un viaggio nei Balcani aiuta senz’altro a capire un po’ meglio l’origine e le ragioni del conflitto, e leggere la storia in maniera un po’ diversa da come è stata descritta, ai tempi, dai media occidentali.
Terminato il tour, un po’ inferiore alle attese, rispetto a quelli di Sarajevo e Skopje, Daniele non perde l’occasione di provare, per un paio di fermate, a scrocco, il tram locale: mezzi molti piccoli (denominati “baracchini” da Daniele, abituato ai mastodontici e moderni tram di Praga) e con almeno mezzo secolo di vita alle spalle.
Dopo la fantastica esperienza a Skopje, è d’obbligo anche, come accennato, una visita al mercato degli ortaggi, un po’ meno vivace di quello macedone. Depositati i sacchi nel California, saliamo nella parte vecchia della città, fino al castello. All’interno delle lunghissime mura rimane un enorme parco dove buona parte degli abitanti sembra essere venuta a trascorrere la domenica. La vista della confluenza tra la Sava e il Danubio e il passaggio di navi cargo rende l’idea della grandezza di questo fiume, che attraversa mezza Europa e che emoziona un po’ per la sua lunga storia.
Ma la stanchezza ormai si fa sentire, e dopo tanti chilometri percorsi, ci meritiamo una bella fetta di Moskva Schnitte sulla terrazza dell’hotel Moskva, accompagnati dal pianobar. Buonissima, tanto se accompagnata da una birra (per me) che da un caffè (per Daniele, che deve guidare).
Lasciamo la città soddisfatti in direzione Novi Sad, anche se comincia a farsi tardi.
La strada corre lungo il Danubio, da cui però ci separa la ferrovia. Appena passata la ridente cittadina di Sremski Karlovci, troviamo un ponte sopra la strada ferrata, che ci porta proprio in una zona di ristoranti e boschetti in riva al fiume. Una fiumana di gente e famiglie sta tornando, probabilmente dopo una giornata trascorsa sul fiume.
Daniele trova un angolo di spiaggia e parcheggia, un po’ sconsideratamente, a pochi metri dalla riva: domani ci godremo una fantastica colazione in riva al Danubio.
Giorno 20: Novi Sad – Zagabria (380km)
Koh Chang Island e Novi Sad
Svegliati da alcuni pescatori, ci alziamo giusto in tempo per vedere il sole sorgere e stagliarsi all’orizzonte sul fiume. Eccitati dalla stupenda alba, ci mettiamo subito in moto ovvero colazione in veranda e poi giro in Sup sul Danubio.
Per gli amanti del camping con piccoli mezzi o in tenda segnaliamo le coordinate della località scoperta quasi per caso – ma anche con molta caparbietà – che non risulta censita nemmeno su park4night: 45.204931; 19.942055.
La programmata gita in sup mette un po’ di paura: abbiamo già fatto delle belle pagaiate sull’Adda, sul lago di Lecco e lungo le coste dell’Albania; ma la grandezza di questo fiume e la sua storia – insieme al colore torbido e al passaggio sporadico di qualche enorme chiatta o battello – ci incute un po’ di timore reverenziale.
Una volta in acqua tutto di fa più semplice, e cerchiamo di raggiungere un isolotto a poche centinaia di metri verso nord, che le recensioni di Google descrivono come isola paradisiaca, il cui nome esotico (Ko Čang Ostrvo) riprende in effetti quello di un’omonima isola thailandese (Koh Chang Island).
Il primo pezzo è facile ma scopriamo bel presto che, in alcuni tratti, come temevamo, la placidità del Danubio è solo apparente.
Con un po’ di pazienza e dopo una pausa sull’altra sponda del fiume, sbarchiamo su questo asserito angolo di paradiso.
L’isola sembra in effetti avere tutto per lasciarsi andare a relax e divertimento: spiagge, bosco e prateria, oltre a un bar e un paio di campi di beach volley, ma sembra essere stata abbandonata quasi di corsa dagli ultimi avventori ed appare completamente deserta: sul bancone del bar in stile caraibico, gli ultimi boccali di birra insieme ad un barattolo di miele ancora pieno.
Poco male, ci godremo l’isola tutta per noi, tantopiù che Daniele si è portato con sé acqua, crema solare e stuoia. Forse non è proprio l’isola polinesiana che molti recensiscono, ma la sabbia bianca e i colori della vegetazione, così come la soddisfazione per la piccola impresa, ci fanno sentire per un po’, inverecondamente, come i due innamorati del film “laguna blu”.
Rientriamo alla nostra spiaggetta trascinati dalla corrente, e dopo una doccia di emergenza col doccino del California, riprendiamo la rotta per Novi Sad.
La città è carina, ma forse le nostre aspettative erano un po’ troppe. I viali centrali pieni di bar e ristoranti la rendono vivace e vivibile. Il castello in lontananza è enorme. La spiaggia che abbiamo notato attraversando in auto il ponte sul Danubio è veramente estesissima, come evidenziano le guide turistiche. Ma niente attira la nostra attenzione in modo particolare. Sarà forse il pieno di emozioni vissuto in mattinata sul Danubio; nemmeno la tappa alla index house, sempre suggerita dalla guida della Lonely Planet, per assaggiare l’index sandwich ormai diventato un’icona non solo della paninoteca che lo ha inventato, ma una specialità che si può trovare un po’ in tutta la città.
Dopo l’ultima sosta per le ultime provviste e souvenir per gli amici presso un locale supermercato, ci apprestiamo quindi ad attraversare il confine in direzione Zagabria.
Il rientro in Europa ci fa sentire un po’ più a casa (se non altro per il fatto che telefono e internet riprendono a funzionare senza problemi) ma anche un po’ meno in vacanza e un po’ meno lontani dalla quotidianità e dalle incombenze che ci aspettano.
Lasceremo per un’altra vacanza, magari un bel week end, la visita della capitale croata, vista anche l’ora tarda e l’estrema difficoltà di trovare campeggi.
Proseguiamo ad oltranza e ci fermiamo poco prima di Zagabria presso un’area sosta lungo l’autostrada, munita di docce a pagamento. Fortunatamente in una delle tappe a Novi Sad abbiamo fatto incetta di Burek di qualsiasi tipo presso una pekara (panetteria), e per cena decidiamo di chiudere il tour culinario dei Balcani gustando i vari tranci di Burek nella maniera più tradizionale, ovvero alternando i bocconi a sorsate di yogurt intero, bevuto direttamente dal barattolo.
Giorno 21: Zagabria – Arcore (380km)
Ultima giornata di mare a Vila Nora Beach
La notte scorre relativamente tranquilla, e al mattino decidiamo di far tappa al mare.
Dopo le città visitate e le tante storie – molte delle quali assai drammatiche – ascoltate, sentiamo il bisogno di un epilogo più rilassante per le nostre avventurose vacanze.
Deviamo verso Rjeka e ci fermiamo presso il lido di Vila Nora Beach, a pochi km dalla città.
Una spiaggetta all’ombra di pini marittimi, frequentata da nonni e bambini in attesa che i genitori tornino dal lavoro.
Dopo un riposino e l’ultimo bagno riprendiamo il viaggio verso casa: il California è carico di cibi e liquori. Profuma di finocchietto, origano e salvia selvatica, oltre che del solito sapore di mare che ormai ha impregnato la tappezzeria.
Ritorniamo arricchiti di immagini e ricordi di un viaggio denso ed emozionante, che ci ha permesso di conoscere un po’ meglio paesi così vicini ed allo stesso tempo così lontani da noi. Paesi così simili tra di loro ma eterogenei allo stesso tempo; una diversità di lingue, religioni e storie – spesso a stretto contatto tra loro – che non necessariamente sono destinati a sfociare in conflitti e rivendicazioni, ma che possono invece costituire una vera e propria ricchezza, culturale, sociale ed anche economica.