Benvenuti a Zanzibar, l’isola dai mille volti
La realtà che si è presentata ai nostri occhi lungo il tragitto che attraversa longitudinalmente l’isola, pur se filtrata dalla pioggia, ci ha subito affascinato: siamo passati dalla capitale, Stone Town, dove le persone vivono in case di mattoni, ad uno o più piani, e in edifici simili si possono trovare diversi negozi, uffici e scuole, alla periferia ed infine alla campagna, dove vivono i più poveri, i quali, non potendo permettersi un’abitazione vera e propria, costruiscono case di fango con tetti di paglia, spesso addossate le une alle altre a formare piccoli villaggi. In queste zone rurali, la povertà e la desolazione la fanno da padrone, anche se ci è capitato spesso di vedere comunque molti bambini correre tra questi muri di fango e portare un po’ di gioia e spensieratezza in questo mondo altrimenti desolato. Ciò che ci ha colpito del paesaggio dell’entroterra zanzibarino sono state due attività importanti per la sopravvivenza della popolazione, anche se quella primaria resta pur sempre il turismo: le risaie, che mai avremmo pensato di trovare qui (e che ci è stato spiegato si basano solo sull’acqua piovana, dato che non esiste a Zanzibar un sistema di irrigazione per la coltivazione dei campi), e piccole greggi di mucche, che hanno attirato la nostra attenzione per il loro aspetto scarno e quasi denutrito, se paragonato alle nostre mucche così “in carne”.
A questo punto, dobbiamo dire la verità: inizialmente abbiamo scelto Zanzibar per le sue spiagge di sabbia bianca e le acque cristalline, e solo in un secondo momento, quando abbiamo iniziato a documentarci, siamo rimasti colpiti dalla sua cultura e dalle tradizioni. Perciò, non posso non dire che, non appena preso possesso della nostra stanza, abbiamo aperto i bagagli per cercare un costume e ci siamo subito diretti in spiaggia… Lo spettacolo che si è rivelato davanti ai nostri occhi ci ha ripagato dalla notte insonne: sabbia bianca finissima che sembra borotalco, mare limpido e cristallino che sfuma dall’azzurro chiaro al blu più intenso, per perdersi in lontananza in un’increspatura di schiuma bianca tra cielo e oceano dove l’acqua si infrange contro la barriera corallina. Su questa spiaggia abbiamo fatto lunghe camminate, a qualsiasi ora del giorno, perché, e questo è uno dei molti misteri curiosi ed affascinanti di Zanzibar, anche sotto un sole cocente e con una temperatura di più di 30 gradi, la sabbia zanzibarina non scotta, anzi mantiene sempre una piacevole temperatura che ti fa immaginare di camminare davvero sul borotalco!!! In spiaggia, abbiamo potuto incontrare subito due “tipologie” di persone differenti: i beach boys, ovvero ragazzi zanzibarini che organizzano qualsiasi escursione i turisti desiderino (hanno un loro programma, spesso anche scritto in un simpatico italiano e stampato su fogli che distribuiscono molto volentieri, ma sono disposti a portarti più o meno dove desideri) ed i Masai, ragazzi provenienti dalla Tanzania e vestiti con gli abiti tradizionali di questa popolazione, che hanno costruito sulla spiaggia negozietti improvvisati (e dai nomi fatti apposta per attirare i turisti italiani, come Ikea, La Rinascente, Dolce&Gabbana,…) in cui vendono ogni tipo di souvenir. Tutte due le “tipologie” di persone si danno nomi simpatici e tipicamente italiani per attirare i turisti, e tutti cercano di attaccare bottone per venderti i loro prodotti o servizi. Anche in questo caso, non mi prenderò la libertà di consigliare se affidarsi oppure no ai beach boys per le escursioni, perché ancora una volta credo che ciascuno debba e possa decidere autonomamente come comportarsi una volta parlato direttamente con questi ragazzi e magari con altri italiani che si sono già affidati a loro. Comunque, che vogliate acquistare qualcosa o fare un’escursione con loro, sia i beach boys che i ragazzi Masai sono sempre felici di scambiare due parole con i turisti, anche perché è proprio così che la maggior parte di loro ha imparato e continua a perfezionare l’italiano, che per loro si rivela essenziale per le loro attività commerciali. Noi, ad esempio, durante la prima serata a Zanzibar abbiamo conosciuto Luca, un simpatico Masai dalla risata contagiosa che si fa chiamare Luca Cordero di Montezemolo, il quale ci salutava calorosamente ogni volta che ci vedeva, e si fermava sempre volentieri a chiacchierare un po’ con noi, anzi un giorno ci ha anche accompagnato per una lunga passeggiata sulla spiaggia di Kiwengwa, durante la quale abbiamo piacevolmente conversato di usi e abitudini italiane e zanzibarine. Ovviamente, al ritorno non ce la siamo sentita di tirare dritto, dunque siamo entrati nel suo minuscolo negozio sulla spiaggia ed abbiamo acquistato alcuni souvenirs, ma devo dire che quello che abbiamo guadagnato da ogni contatto avuto con questi ragazzi non sono solo piccoli regali da portare a casa ad amici e parenti, ma un grande arricchimento culturale e la profonda consapevolezza che non esistono barriere linguistiche o etniche che tengano, ma che in fondo siamo tutti profondamente simili anche se apparentemente così diversi.
Il contatto diretto e senza pregiudizi con le persone del luogo è stato l’aspetto che più di tutti ci ha permesso di comprendere meglio la realtà zanzibarina, che abbiamo potuto conoscere facendo due escursioni. La prima, di mezza giornata, ci ha portato alla scoperta di Stone Town, la principale città di Zanzibar, che si è rivelata una città molto a misura di turista, benché chi decida di girare senza una guida debba aspettarsi di venire “assalito” da zanzibarini pronti ad offrire vari servizi o prodotti. Durante il nostro tour, abbiamo visitato il mercato (impressionanti sono il mercato della carne e, soprattutto, quello del pesce!), per poi dirigerci verso lo spiazzo sul quale veniva indetto il mercato degli schiavi e dove ora sorge una chiesa anglicana con annessa una scuola, ed in ricordo di quei tristi anni è stato eretto un monumento raffigurante alcuni schiavi legati da una catena. Dopo aver visitato la chiesa (simpatica la storia delle colonne ordinate direttamente a Carrara, ma poi montate al contrario, con i capitelli al posto della base!!), abbiamo avuto la possibilità di “immergerci” ancora di più nella buia storia della schiavitù, per la quale Zanzibar ha giocato un ruolo cruciale essendo il punto di partenza delle spedizioni dei “cacciatori di schiavi” sul continente africano e delle navi che partivano cariche di schiavi alla volta del nuovo mondo, visitando le prigioni dove venivano ammassate fino a settanta persone in luoghi che definire angusti sarebbe un eufemismo (noi eravamo una quindicina e stavamo stretti). E’ seguita poi la visita al forte spagnolo, attualmente occupato da una serie di negozietti dove era d’obbligo acquistare qualcosa, ed un giro per la città, costituita da un dedalo di vie strettissime dove passano sfrecciando gli scooter degli abitanti locali. Grazie alla nostra bravissima guida, Alì, abbiamo capito perché alcune case hanno portoni riccamente decorati, scoprendo che in quelle abitazioni risiedono famiglie di origine indiana (e sono molte a Stone Town), che tramite le decorazioni e gli intarsi possono comunicare il proprio prestigio ed elevazione sociale a chiunque passi di lì. Ovviamente non poteva mancare la visita alla casa natale di Freddy Mercury, di cui è rimasta però solo la facciata, mentre all’interno si trova oggi un negozio.
Se la seconda escursione ci è rimasta nel cuore quanto e forse anche più della prima, lo dobbiamo in buona parte alla nostra guida, Seif, che ci ha accolto sulla sua barca per la visita a Prison Island e alla lingua di sabbia chiamata Nakupenda imitando perfettamente le pronunce locali di ciascun ospite italiano salisse a bordo, dal fiorentino al romano passando per il veneto ed il milanese! Partiti quindi dal porto di Stone Town, dopo quasi un’ora di navigazione siamo giunti alla famosa isola di Prison Island, chiamata così perché in origine era il luogo dove venivano imprigionati gli schiavi prima di essere venduti, mentre ora è parzialmente privata e dove sorgevano le celle si trova uno stupendo hotel 4 stelle con piscina. Ma la principale attrazione dell’isola sono le tartarughe giganti, originarie delle Seyshelles, portate qui dal terzo sultano di Zanzibar per farne dono alla moglie. Quelle che in origine erano tre testuggini di terra, ora superano il centinaio di esemplari, che si possono ammirare da vicinissimo, e che anzi sembrano abituate a ricevere cibo e qualche coccola dai turisti! Poco prima di mezzogiorno, siamo ripartiti sulla nostra barca, dove Seif e l’equipaggio ci hanno servito un fantastico spuntino a base di frittelle e frutta esotica fresca, alla volta di una lingua di sabbia che emerge solo con la bassa marea, mentre resta coperta dall’oceano per la maggior parte del tempo (il fenomeno delle maree è molto visibile a Zanzibar, soprattutto in alcune zone, dove il mare si ritira anche di 200-300 metri con la bassa marea!), chiamata Nakupenda, che ci hanno spiegato significhi “Ti amo” in zanzibarino. Giunti qui, abbiamo potuto ammirare la fantastica barriera corallina ed i suoi abitanti dai colori vivaci facendo snorkeling, per poi sdraiarci a prendere il sole e rilassarci fino a quando non è giunto il momento di fare rientro sulla terra ferma. Per il pranzo, erano state allestite delle tende per ripararci dal sole, ed è stato preparato un pranzo a base di prodotti tipicamente zanzibarini (superbe le “polpettine” speziate!). Durante il viaggio di ritorno, spenti i motori della nave, abbiamo navigato a vela intrattenuti da Seif, che si è dimostrato non solo un perfetto “capitano”, ma anche una guida veramente esperta ed innamorata del suo paese. Solo una persona che ama il suo lavoro ed i luoghi in cui è cresciuto può trasmettere questa passione anche ad altri ed è grazie a lui se anche noi siamo rientrati dall’escursione felici ed arricchiti.
Anche se non si può proprio definire un’escursione, abbiamo avuto la possibilità di venire a contatto anche con la realtà più povera e semplice di Zanzibar, quella dei pescatori che vivevano sulla spiaggia, non lontano dal nostro villaggio. Infatti, non si può dire di conoscere realmente Zanzibar semplicemente girando per le vie di Stone Town, dove ovviamente si percepisce una grande differenza rispetto alla nostra situazione, ma dove comunque risiedono i “più fortunati”, coloro che hanno un lavoro e possono permettersi una bella casa in città. Man mano che ci si allontana dalla capitale, infatti, le case diventano sempre più rade e meno “belle”, fino ad arrivare alle aree in cui sono state costruite semplici capanne di fango con il tetto di paglia. Le abitazioni dei nostri “vicini”, benché quasi tutte in mattoni, erano comunque altrettanto semplici e spartane, ed estremamente semplice era anche la scuola, attrezzata solo di piccoli banchi di legno ed una lavagna. L’incontro più sconvolgente e coinvolgente è stato quello con i bambini, che sono arrivati in massa chiedendo a tutti piccoli regalini. Non conoscendo realmente la situazione, avevamo portato dall’Italia solo qualche quaderno e delle penne, ma sapendolo saremmo partiti con una valigia in più carica di tutto ciò che noi scartiamo perché magari “fuori moda”, mentre per loro si rivela essere un capo d’abbigliamento per cui lottare con gli altri bambini per accaparrarselo! Purtroppo, con i nostri miseri regali siamo riusciti a fare contenti davvero pochi bambini, ed abbiamo causato non poco scompiglio, ma vederli sempre così allegri e felici pur avendo così poco ci ha fatto riflettere su quanto noi siamo davvero fortunati, senza neanche rendercene conto. Questa è stata, senza ombra di dubbio, l’esperienza più toccante e profonda di tutta la vacanza.
La nostra settimana a Zanzibar è volata tra escursioni, lunghe passeggiate sulla spiaggia ed incontri, ed in un baleno è giunto il momento di rientrare a casa con il nostro bagaglio di ricordi e di esperienze, certi che ci sarà presto una “seconda volta”!