Antartide, il viaggio della vita!

In cima alla "wishlist" di ogni viaggiatore ci sono i sogni, luoghi mitici, difficili da raggiungere. Come l'Antartide...
Scritto da: dabi
antartide, il viaggio della vita!
Partenza il: 14/03/2011
Ritorno il: 29/03/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
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Viaggiare, per noi, è irrinunciabile, oltre che appassionante, come ogni viaggiatore abbiamo una “wishlist”. La nostra è mutevole, movimentata, o per meglio dire “disordinata”. Alcune destinazioni restano in attesa a lungo, altre si aggiungono e senza rispettare alcun ordine cronologico vengono poi depennate per prime. Depennare significa che abbiamo concretizzato il viaggio. In cima all’elenco ci sono i sogni, pochi nomi in realtà, ovvero quei luoghi che vorremmo visitare più d’ogni altro, ma che per svariate ragioni sono difficili da raggiungere. L’Antartide è appunto un sogno, il viaggio della vita, con il quale pensavamo di premiare, tra qualche anno, un importante traguardo: il conseguimento della pensione di Sandro. La stagione per visitare l’Antartide è breve e corrisponde al nostro inverno, i posti sono limitati, i prezzi elevati. Tutto ciò, unito alla mia enorme curiosità geografica e al desiderio di saperne di più, mi porta a far scorrere pagine web, a leggere libri, a cercare contatti e a muovere i primi passi verso il nostro sogno. Semino richieste e il mio indirizzo un po’ ovunque. In sostanza mi porto avanti con i “lavori”, sperando di poter pensare concretamente all’Antartide già dal prossimo anno. In fondo perché aspettare la pensione? Le quotazioni che trovo però sono scoraggianti, abbiamo sempre saputo che questo viaggio richiede un consistente investimento economico, ma – pur abbondando – siamo distanti dalla realtà. Dovremo rinunciare? L’unica possibilità sembra essere rappresentata dagli sconti che si possono ottenere prenotando con molto anticipo (anni!). Mi indirizzo, quindi, verso questa direzione e nel frattempo confermo il viaggio africano che abbiamo programmato per l’estate. Una mattina di fine febbraio, un giorno come tanti sino a che non apro la casella di posta elettronica, si trasforma in una giornata tumultuosa, speciale, che in poco più di 2 settimane, ci condurrà, increduli, sognanti, raggianti e anche preoccupati, in Antartide. Questa la sequenza dei fatti: che quasi certamente il 2×1 nasconde qualche tranello/costo aggiuntivo, che l’agenzia mi perseguiterà per un anno o forse più con pubblicità e offerte di ogni genere (con il senno di poi, che Manuel mi perdoni), che al momento abbiamo altri programmi… Conoscete il detto “se la montagna non va da Maometto, etc. ”? Ebbene, poco dopo, il Continente bianco mi sussurra in un orecchio “ehi, ma dai almeno un’occhiata”, “OK” dico io e rileggo il messaggio, clicco sul link che mi rimanda al sito di Oceanwide Expeditions, esamino le condizioni, l’itinerario e altri dettagli. Due lucine immaginarie lampeggiano per evidenziare che: Permane lo scetticismo sul 50% di sconto, oltre al fatto che la data di partenza è decisamente molto, troppo, prossima. Spedisco tuttavia una mail a Oceanwide per chiedere conferma del prezzo. In meno di 15’ la risposta affermativa scatena nelle mie “interiora” una tempesta, il cervello compie rapidi calcoli mentre le mani digitano freneticamente sulla tastiera del PC alla ricerca di voli, tariffe e operativi per Buenos Aires/Ushuaia. In pausa pranzo condivido le novità e la mia agitazione con Sandro. Nessun dubbio, nessuna resistenza, la nostra intesa è perfetta, i nostri occhi brillano e dicono SI, CARPE DIEM! Credo di aver stupito Manuel con un secondo messaggio che dice “ci ho ripensato…” Poche ore sono il tempo che occorre all’efficiente agenzia per completare il “pacchetto”, con i voli e un hotel a Buenos Aires. In un paio di giorni ogni servizio è confermato e pagato. Inizia così il conto alla rovescia più breve di tutta la nostra “carriera” di viaggiatori. Mentre i numeri del countdown scorrono al ribasso… meno 10, meno 9, meno 8… all’euforia, alla felicità smisurata e quasi sfacciata che proviamo nel guardare le giacche a vento rosse e gli altri indumenti che via via si accumulano e fanno bella mostra in casa, si affianca e si insinua la paura. Il Passaggio di Drake non rappresenta più un tratto di mare leggendario, cui sono legate tante avventure e storie di navi, baleniere, esploratori, naufragi, tra poco dovremo affrontarne la furia. Filmati e testimonianze drammaticamente reali non fanno che incrementare il mio timore, Sandro è più rilassato, oppure finge bene. E’ facile proclamarsi disposti a tutto quando le cose appartengono all’immaginario. Ora che i documenti di viaggio parlano chiaro, partenza a breve, tutto il mio coraggio crolla come un castello di carte. I giorni e le ore che precedono la partenza sono all’insegna dell’agitazione, con attacchi di paura vera e propria. L’euforia è andata in letargo! Arriva inesorabile il 14 marzo, sveglia alle 4, scalo a Madrid, lungo volo fino a Buenos Aires che raggiungiamo in serata, qualche ora di sonno in hotel (Moreno Hotel, bello e ben posizionato).

15 marzo 2011

Sveglia di nuovo prestissimo, altro volo e in 3,30 ore atterriamo a Ushuaia. Pranziamo in un ristorantino che già conosciamo (Cantina Fueguina), sempre squisita la centolla (granchio reale) al naturale, ma quanto sono lievitati i prezzi rispetto alla visita precedente (4 anni fa). Ci avviamo verso il porto, la nave rompighiaccio Plancius è molto più grande di quanto immaginavo, la sua mole trasmette sicurezza. L’imbarco e l’assegnazione delle cabine sono operazioni veloci. Nessun colpo basso, la cabina 401 preassegnata in fase di prenotazione è esattamente quella che andiamo ad occupare. E’ spaziosa, pulita, nuova, essendo posizionata in un angolo del ponte n. 4 è una delle poche ad aver due finestre, il bagno non è il solito minuscolo sgabuzzino. Ottima sistemazione, meglio di quanto ci aspettassimo. Le sponde dei letti, le barre che bloccano gli oggetti riposti sulle mensole, le maniglie in bagno e le chiusure che sigillano cassetti, sportelli e ante dell’armadio, il telecomando fissato al muro con il velcro, i corrimano ovunque nei corridoi, i tavoli ancorati al pavimento con i bordi rialzati per non far scivolare oggetti, piatti, bicchieri, e molti altri dettagli, mi ricordano la traversata da compiere, ma ormai mi dico che non ci si può più sottrarre e tanto vale affrontare la cosa se e come si presenterà. Per il momento mi gusto la navigazione nel canale di Beagle, assolutamente rilassante. Nel corso di un primo briefing, con molta modestia, si presentano il Capitano Evgeny Levakov (russo), nonché i componenti l’Expedition Staff: Rinie, Delphine, Louise, Chris, Jim, Kelvin e Brent. Personaggi dal curriculum “imbarazzante” per la quantità di titoli accademici, esperienza e professionalità elevata che non hanno mai fatto pesare fama e superiorità. Uno Staff di tutto rispetto. Dopo le presentazioni viene servito un aperitivo, cui fa seguito un’esercitazione. Tutti in cabina a prelevare i giubbotti salvagente e poi, diligenti e suddivisi in due gruppi, seguiamo i percorsi che conducono alle scialuppe di salvataggio: due “ovetti” a chiusura ermetica, capienza 60 persone ciascuno, che solo a guardarne gli interni generano panico e un attacco di claustrofobia. Mi costringo a pensare positivo e che difficilmente faremo la fine delle “palline” di detersivo che girano centrifugate in lavatrice. Si cena e si va a dormire presto, dobbiamo ancora smaltire la stanchezza del lungo viaggio dall’Italia e recuperare un certo numero di ore di sonno. Alle 3 i primi scossoni, ma niente di drammatico, mi riaddormento facilmente.

16 marzo 2011

La giornata inizia con l’annuncio “good morning to everyone, good morning!” e altre comunicazioni trasmesse da un altoparlante. Nonostante la ricca scaletta di eventi, non c’è bisogno di consultare l’orologio, ogni appuntamento (pasti, conferenze, sbarchi, attività e incontri vari) è ricordato tramite gli altoparlanti. Colazione nel salone con tanti finestroni. La visuale attraverso le vetrate alterna tutto cielo e subito dopo tutto mare, tutto cielo e tutto mare, in un ritmo continuo. Insomma il mare non si può definire piatto, siamo nel Drake Passage ma, tutto sommato, sta andando bene. Questo non è sicuramente lo scenario apocalittico che temevo. La giornata prosegue con la distribuzione degli stivali da utilizzare per gli sbarchi a terra, due conferenze (una sulla convergenza antartica e la corrente circumpolare, la seconda sulle varie specie di uccelli presenti in Antartide), visite al ponte di comando attrezzato di monitor e sofisticati strumenti che segnalano le coordinate, ostacoli e molte altre informazioni, intercalate da uscite sul ponte superiore per respirare aria pura, osservare il mare e gli uccelli che volano attorno all’imbarcazione e a pelo d’acqua. Va tutto bene e fatico a credere di trovarmi nel bel mezzo del temibile Passaggio di Drake, così, senza patemi, sono quasi “delusa” da tanta calma. La calma è comunque relativa, durante la cena si rovescia qualche bicchiere e non si può certo dire di camminare in perfetto equilibrio, ma ci si fa l’abitudine, le pillole ci risparmiano eventuali nausee. Davvero poca cosa se paragonata alle tempeste viste nei filmati.

17 marzo 2011

Il “gazzettino” di bordo annuncia che siamo ufficialmente in acque antartiche, durante la notte abbiamo superato la convergenza antartica. Temperatura esterna 4°, l’aria è frizzante, è piacevole stare all’aperto, respirare profondamente aiuta a prevenire la nausea. A bordo si sta bene, non manca nulla e le conferenze, arricchite dalla proiezione di splendide immagini e schede tecniche, sono molto interessanti (oggi si parla di pinguini, di ghiaccio e del regolamento imposto dalla IAATO / International Association of Antarctic Tour Operators) ma ormai siamo impazienti di superare questo vuoto fatto solo di acqua, con il cielo grigio e una cortina di nebbia che talvolta avvolge tutto. Verso le 15 un annuncio: whales! Contiamo 5 balene. Ne seguiamo a lungo, anche se da lontano, i movimenti, gli alti spruzzi e le evoluzioni. Si naviga in un paesaggio spettrale e affascinante nello stesso tempo, unico colore il grigio, aumentano gli uccelli, vediamo, inoltre, i primi pinguini che nuotano veloci, guizzando fuori dall’acqua come pesci volanti. Finalmente, in lontananza, sfumate dalla nebbia, si intravedono le sagome più scure di alcuni scogli e isolotti. Si distingue, altresì, una netta linea di demarcazione che separa il mare ondoso da una distesa d’acqua immobile. La Plancius naviga silenziosa in un canale fiancheggiato da isole rocciose con i ghiacciai che scivolano, come colate laviche, verso il mare. Alti pinnacoli, dalle forme bizzarre, spezzano il grigiore uniforme con i loro profili più scuri. Si ha l’impressione di entrare in una immensa fotografia in bianco e nero. L’effetto è straordinario, la totale assenza di tinte forti è ancora più suggestiva di un bel paesaggio a colori. Una balena ci mostra l’intero dorso e si allontana soffiando alte colonne d’acqua. L’aria è pura, ogni inspirazione è una “sorsata” di benessere. Veniamo istruiti sulle modalità di sbarco e invitati a rispettare le poche, nonché rigide, regole imposte al fine di preservare il fragile ambiente antartico. Avendo raggiunto le isole South Shetlands prima del previsto, grazie alle favorevoli condizioni meteo e del mare, il Capitano dà ordine di gettare le ancore nell’acqua placida di un largo canale. Dopo 48 ore di navigazione senza vedere null’altro che una massa infinita d’acqua, priva di alcun punto di riferimento, nello scorgere in lontananza il profilo irregolare delle prime terre e avvertendo a fior di pelle la consapevolezza d’aver raggiunto un ambiente estremo, ciò che si prova non è affatto scontato e neppure immaginabile. Pervasi da questa sensazione nuova, mai provata prima d’ora, ci sentiamo privilegiati. Le ombre della sera e il silenzio chiudono il sipario su ciò che ci circonda, mentre la fantasia galoppa cercando di immaginare lo scenario che si scoprirà totalmente solo domani, al risveglio.

18 marzo 2011

L’alba, con il sole che si alza dal mare, qui ha una delicatezza particolare, ma l’incantesimo dura solo pochi minuti, giusto il tempo di scattare una foto. Un velo di nebbia cela nuovamente il paesaggio. Sbarcare sembra una procedura complicata, anzi, per essere precisi, è la vestizione che si prospetta molto laboriosa. Come dobbiamo vestirci? Quanti strati di indumenti? Saggiamo la temperatura esterna, non fa freddo, il termometro segna qualche grado sopra lo zero. Optiamo per il solo strato di biancheria termica sotto, pantaloni impermeabili, pile e parka sopra. Infiliamo gli stivali di gomma. Da ricordare poi salvagente, zaino, macchina fotografica, guanti e berretto. Ci siamo! Ah, no, aspetta un momento, mi scappa la pipì (a terra, oltre ad altre cose, è proibita anche questa funzione). Percorriamo corridoi, scendiamo scalette, raggiunto il ponte più basso è necessario provvedere alla disinfezione e spazzolatura degli stivali di gomma. Ancora una scaletta e “salto” sullo zodiac… Oh, My God! Siamo già sudati. Ce la faremo a ripetere questa sequenza 2 volte al giorno? Gli zodiac avanzano nella nebbia… bello, però, si vedono già i primi blocchi di ghiaccio. Sbarco bagnato, cioè proprio con i piedi in acqua, ad Half Moon Island che, come dice il nome stesso, ha la forma di una mezza luna. Sulla spiaggia di ciottoli e pietre nere, una colonia di pinguini Gentoo, in elegante abito bianco e nero, osserva incuriosita lo sbarco di assortiti “astronauti” colorati, ma soprattutto il gruppo di Kayakers che sembra pagaiare sospeso nella nebbia. Gli “hikers” (si, ci siamo anche noi!) si dirigono verso una piccola altura, mentre i “pigri” stazionano sulla spiaggia. Superiamo diversi nevai alternati a distese di pietre aguzze. Le rocce e i pinnacoli tutto attorno sono colonizzati da centinaia e centinaia di pinguini. Alcune foche ci rincorrono aggressive, o molto più probabilmente non hanno intenzioni bellicose, forse difendono semplicemente il loro territorio, comunque sia dobbiamo scappare spesso e a gambe levate anche mentre scattiamo una fotografia. Tra le pietre, in prossimità della spiaggia, si riconoscono resti e ossa di balene, pinguini, foche. Un cimitero che solo la natura ha alimentato e proprio perché si tratta esclusivamente di selezione naturale non proviamo angoscia o amarezza nell’osservare una costola o una vertebra di balena o lo scheletrino di un pinguino. Ci spostiamo camminando lungo la spiaggia, raggiungendo diverse piccole insenature, la nebbia non dirada, tutto è avvolto da una cortina che sfuma i dettagli, mentre l’acqua del mare è lattiginosa, sembra addirittura densa. Questo clima si sposa con il luogo e, tra l’altro, non ci impedisce di osservare le diverse specie di uccelli, pinguini e foche, unici “abitanti” dell’isola. Grazie all’interessante conferenza sui pinguini, ora siamo in grado di distinguere un Gentoo da un Chinstrap, le cui differenze sono poca cosa e potrebbero passare inosservate. Oltre a divertirci per le buffe scenette impersonate da pinguini e foche, apprezziamo il fatto di poterci muovere liberamente e, soprattutto, che il tempo a disposizione è abbondante, infatti torniamo a bordo della Plancius solo pochi minuti prima di pranzo (alle 13). L’operazione “stivali” origina un imprevisto. Prima di rientrare in cabina, dobbiamo lavarli e spazzolarli energicamente per togliere residui di fango, ma soprattutto gli escrementi di pinguino che puzzano tremendamente. Fatto questo, in teoria ci si dovrebbe liberare degli stivali. Che ci vuole? basta sfilarli! Sembra però impossibile. Tira di qua… no, tira di là… più forte… così, mi si staccano i polsi… mi fa male la caviglia… aspetta che mi tolgo il salvagente… siediti… no, meglio in piedi… non ce la faccio… mi viene un accidente dal tanto sforzo… non ce la posso fare… mi toccherà dormici con questi due arnesi… la serie di “litanie” continua per qualche minuto, poi abbiamo la meglio sugli stivali, ma ne usciamo distrutti. Vabbè, andiamo a pranzo! Dalle vetrate panoramiche ammiriamo lo spettacolo della nebbia che, dissolvendosi, scopre montagne completamente innevate che si innalzano dal mare azzurro, il cielo ha lo stesso colore. In lontananza, alcune balene ci mostrano la coda. Nebbia e grigiore tornano dopo poco, sembra che il paesaggio antartico voglia svelarsi un po’ per volta, come se ancora non fossimo pronti per tanta bellezza e luce tutte in una sola volta. Per il secondo sbarco ci siamo spostati a Deception Island, vulcano dal cratere collassato. La caldera, a forma di ferro di cavallo, con le sue alte pareti rocciose racchiude un fiordo circolare. Vi si accede da uno stretto passaggio (Neptune’s Bellow) con un filo di timore mentre ci si insinua in un basso strato di nebbia che ne fuoriesce come una colonna di vapore. Sbarchiamo su una spiaggia nera disseminata di scheletri di balena, resti di costruzioni in rovina e di quelli che un tempo erano barili, utilizzati per la lavorazione e lo stoccaggio del grasso di balene e foche. “Monumenti” a triste memoria delle stazioni baleniere e dei massacri compiuti. Risalendo un canalone, raggiungiamo un belvedere. Con un solo sguardo abbracciamo l’intera caldera che pare racchiudere un lago e trattenere a stento i vari strati di nebbia che, come scie di fumo, fuoriescono dalle sbrecciature delle rocce vulcaniche. Scendiamo lentamente, ripercorrendo lo stesso sentiero, osservando ogni dettaglio di questa isola dalle tinte cupe, dove un animo sensibile potrebbe leggervi il lutto della natura. Risaliti a bordo notiamo due provvidenziali cavastivali: benedetti arnesi che ci risparmiano nuove lotte e traumi. La cena, e ogni pasto in generale, costituisce l’occasione per osservare e inquadrare la “fauna” che condivide questa particolare spedizione. Lo sconto last minute ha sicuramente aperto le porte dell’Antartide a una clientela più variegata. Sono molti i giovani, i backpackers e i single che ben si integrano con i passeggeri più anziani e di mezza età provenienti da tutto il mondo. A tre giovanissimi nipponici si affianca il pilota d’elicotteri brasiliano, alla donna di Honolulu che “mastica” l’apparecchio dentale si abbinano i fotografi australiani, ai bellissimi americani che potrebbero tranquillamente spacciarsi per i protagonisti di una fiction si unisce una vivace nonnina le cui rughe e capelli candidi stridono con la tecnologia portata al collo (una reflex digitale professionale usata con la massima disinvoltura). I canadesi familiarizzano a turno con la pittrice o l’alto e vecchio uomo olandese dallo spirito avventuriero, con il fisico purtroppo ormai in declino. Diverse coppie e single impegnati in un lungo “anno sabbatico” in giro per il mondo ruotano ai vari tavoli, lo stesso vale per noi, unici rappresentanti del Bel Paese, che molti affermano di conoscere e apprezzare per la ricchezza di testimonianze storiche, artistiche, culturali e, non ultimo, per l’ottima cucina. Ammettiamo, senza falsa modestia, di provare soddisfazione quando ci parlano bene dell’Italia. Malauguratamente la “fama” di Berlusconi aggiunge una cupa nube di vergogna a tanta gloria. Non elenco ciascuno dei 90 passeggeri, l’assortimento è ricco, tante le differenze, ma certamente condividiamo l’entusiasmo, qui nessuno è fuori luogo o elemento di disturbo, è chiaro fin da subito e gli sguardi di intesa o le esclamazioni gioiose che esplodono all’unanimità mentre si osserva da vicino una balena o un iceberg accomunano più di qualsiasi parola.

19 marzo 2011

Durante la notte si naviga verso sud, superati gli Stretti di Bransfield e di Gerlache abbiamo raggiunto la Penisola Antartica, la cui geografia non è ben definita, è difficile – per noi profani – orientarsi tra l’intrico di canali, le numerose isole e le coste frastagliate. Poco importa dove siamo esattamente, quello che vediamo al risveglio è un paesaggio affascinante, con montagne nere stracariche di ghiaccio, piccoli iceberg, una balena non lontana e tutte le sfumature che intercorrono tra il bianco e il nero. L’aria è gelida, ma niente e nessuno può trattenerci dall’uscire per osservare le balene che nuotano vicine allo scafo, mostrandoci più volte la coda e permettendoci di scattare la classica foto che rincorriamo da anni. In una sola mattina collezioniamo un bel campionario di code in primo piano. Le montagne imbiancate e gli imponenti ghiacciai che si gettano nello Stretto di Gerlache ci invitano a scegliere, quale prima escursione della giornata, l’opzione zodiac cruise. Ormai più disinvolti nella vestizione, in breve tempo ci troviamo sul gommone a sfrecciare tra iceberg dalle diverse forme, dimensioni e tonalità d’azzurro. La trasparenza dell’acqua lascia intravedere la parte sommersa degli iceberg colorandosi di turchese. Seguiamo le balene che nuotano nelle vicinanze ed emergono con i dorsi e le code. Qualche raggio di sole accende di colore il mare, il ghiaccio, il cielo, in uno spettacolo che nessuna fotografia può raffigurare nella sua interezza. Una foca leopardo nuota veloce, tenendo lontani i pinguini, che all’acqua preferiscono la sicurezza degli scogli e della spiaggia di Cuverville Island. Sbarchiamo in una baia ricoperta di blocchi di ghiaccio. L’isola ospita migliaia di pinguini Gentoo. L’alta densità è proporzionale all’odore, tanto forte nelle zone con la maggior concentrazione di pinguini da provocare qualche urto allo stomaco. Disagio compensato dall’assortimento di piccoli pinguini nei differenti stadi della muta. Alcuni conservano ancora intatto il leggero piumino grigio originale, sembrano grossi pulcinotti di peluche, ispirano una tenerezza infinita. Altri hanno un aspetto trasandato, essendo per metà, o solo parzialmente, ricoperti di ciuffi di piumino che lascia intravedere chiazze più o meno estese del nuovo piumaggio. Infine, i primi nati, si presentano perfetti ed eleganti nel novello abito bianco e nero.Assistiamo a scene buffe di piccoli affamati e starnazzanti che rincorrono le madri, anche quelle altrui, che ovviamente non sono disposte a sfamarli. Strillano rovesciando la testa all’indietro e spalancano il becco urlando tutta la loro rabbia e fame al cielo. Corrono goffamente, inciampano sulle pietre con le zampe tozze, troppo corte, e le “alucce” solo abbozzate e inutili fuori dall’acqua. Spesso si tuffano di pancia sulla neve e sul ghiaccio, lanciandosi in discesa come piccoli “bob”. Le foche dormicchiano indifferenti a tutto, odore e richiami, sbuffano e sollevano il busto senza neppure troppa convinzione solo al nostro indirizzo. Uno sguardo alla baia ghiacciata, uno ai pinguini, uno alle ossa di balena e poi da capo da varie angolazioni dell’immensa spiaggia e la mattina è passata, si torna a bordo estasiati, soddisfatti e anche impregnati del forte odore di pinguino. Proseguiamo la navigazione imboccando il Canale Errera, il sole ci omaggia di colori e nitidezza inusuali, non ci sono parole che possano rendere l’esatta idea dello spettacolo che sfila davanti ai nostri occhi, meraviglioso al punto da commuovere. L’acqua è uno specchio immobile che riproduce le montagne ricoperte di ghiaccio insieme agli iceberg e alle nuvole. I riflessi sono tanto nitidi da confondere ciò che è reale da ciò che è duplicato. Pranzare ci sembra una perdita di tempo, trangugiamo qualche boccone in fretta per tornare al più presto sul ponte. Prendo posto sulla torretta di prua e scatto foto ad ogni iceberg, ghiacciaio, montagna e nuvola che si specchia sulla superficie del mare. Smetto poi di fotografare per godermi tanta bellezza e per meditare sulla straordinarietà di questo ambiente remoto che, a seconda delle stagioni, può essere dolce, affascinante, quieto, incredibilmente pieno di luce, come ora, oppure crudele, rigido, buio, inospitale nella opposta stagione invernale. Il secondo sbarco è previsto a Neko Harbour ed è preceduto da una zodiac cruise tra gli iceberg, sul mare tappezzato di blocchi di ghiaccio, location preferita dalle foche che si adagiano pigramente su “nuvole” ghiacciate, indifferenti al contatto gelido. Una foca leopardo ci mostra, in quello che si potrebbe scambiare per uno sbadiglio, una fila di denti affilati da far rabbrividire. Non è difficile associare questo feroce mammifero al “lontano parente” africano. Sbarco su una spiaggia costituita da grossi massi, dimentichi dell’importanza dell’escursione, si tratta infatti dell’unica occasione di posare piede sulla Penisola Antartica. Ce ne accorgeremo solo a fine giornata, riguardando la mappa, ma poco male. Il non averci pensato non si può considerare una perdita, quaggiù tutto è talmente bello e speciale, non c’è luogo meglio o peggio di un altro, qualsiasi cosa ci incanta, toccare terra è sempre emozionante. Neko Harbour ci offre una comunità di pinguini vocianti, piccoli che richiamano le madri, e madri che non trovano i propri piccoli, pinguini “scalatori” che a fatica risalgono un ripido nevaio e, infine, una scena raccapricciante: un grosso rapace bianco cattura un piccolo pinguino, lo sventra e si ciba delle interiora mentre il sangue cola sulla neve e mentre il poverino, nonostante le brutali beccate, continua a dibattersi a lungo. Con questa straziante immagine torniamo sulla Plancius. Un tramonto dalle tinte delicate e le balene che nuotano nell’acqua dipinta di rosa e arancio tenue cancellano ben presto l’amaro. Con la nave ormeggiata nella magica cornice di Paradise Bay si cena all’aperto. Grigliata, allegria e musica per un indimenticabile sabato polare.

20 marzo 2011

“Good morning to everyone, good morning!”

Nebbia, una lieve nevicata, ancora tante balene. Così inizia una nuova giornata. L’atmosfera è ovattata, quasi irreale, quando imbocchiamo I ghiacciai che bordeggiano il canale, gli iceberg e lo strato di blocchi di ghiaccio che ricopre parzialmente l’acqua sono un’esplosione cromatica nel grigio uniforme. Un mondo incantato in cui entriamo e che assaporo in silenzio, quasi timorosa anche solo di respirare, dalla mia postazione preferita: la torretta. Delicati fiocchi di neve mi sfiorano il viso mentre osservo una balena che passa davanti allo scafo, ammiro il suo movimento flessuoso attraverso la trasparenza dell’acqua. Subito dopo un gruppo di foche sfreccia veloce e tutte emergono contemporaneamente in un ribollio d’acqua. La mattinata è dedicata ad una zodiac cruise che ci impegna nella ricerca di foche leopardo. Spostandoci tra enormi iceberg, colossi che fanno sembrare minuscola la Plancius ormeggiata, abbiamo la fortuna di avvistare un grosso esemplare che, con rapidità e precisione tipiche di un predatore, azzanna due pinguini. Altre foche leopardo sono pigramente adagiate su “nuvole” di ghiaccio e la neve continua a cadere mentre penso che sarà difficile tradurre in parole queste atmosfere e le nostre sensazioni. L’Antartide è senza dubbio da vivere, più che da raccontare. Sbarchiamo a Pleneau Island, un insieme di tondi massi neri, piatte pietre levigate dal vento e dall’acqua, con diverse piscine naturali dove gruppi di pinguini Gentoo si tuffano, si specchiano, nuotano agili, emergono, risalgono faticosamente sulle rocce scivolose o si comportano come bagnanti incerti e preoccupati per le basse temperature marine. Trascuriamo l’intera e numerosa colonia per osservare solo alcuni piccoli gruppi o singoli pinguini che ci forniscono buone opportunità fotografiche e si esibiscono in comiche rappresentazioni cui viene spontaneo abbinare dialoghi immaginari tra l’uno e l’altro esemplare… vai avanti tu che mi viene da ridere… specchio delle mie brame chi è il pinguino più bello del reame?… Vietato spingere… aiuto, scivolo… Marò, sembrava più calda… Poco distante dalla spiaggia c’è un campionario di iceberg dalle forme e colori più svariati. Una galleria d’arte a cielo aperto ricca di sculture di incomparabile bellezza. La Plancius, ancorata poco oltre, sembra intrappolata tra la parete di un ghiacciaio che si erge sullo sfondo e il ghiaccio a “cubetti” che la circonda. Prima di tornare a bordo, Rinie ci propone un secondo tour tra gli iceberg in direzione opposta rispetto al primo. E’ un tripudio di azzurro, celeste, violetto, indaco, turchese, blu e diverse altre sfumature. Opere d’arte dalle forme più disparate: archi, ventagli, colonnati, torrioni, meringhe, muri verticali, caverne spugnose. Superfici arrotondate, solcate, stropicciate come carta, porose, levigate. Una meraviglia continua che invita alla contemplazione, al silenzio rotto solo dal crepitare dei ghiacciai che si spaccano prima di staccarsi a blocchi e cadere in mare, formando nuovi iceberg. Assistiamo allo show di alcuni uccelletti che planano sull’acqua immobile, lattiginosa, compiono salti in rapida sequenza disegnando sulla superficie uniforme tanti cerchi concentrici e poi, lievemente, si sollevano in volo. Una danza delicata che si ripete per alcuni minuti sull’acqua del mare che ci restituisce riflessi nitidi come quelli di uno specchio. Siamo grati a Rinie per il fuori programma che classifichiamo come uno dei ricordi più belli di questo viaggio. Mentre pranziamo si naviga verso il gruppo di isole denominate Argentine che raggiungiamo nel primo pomeriggio. Sbarchiamo per l’interessante visita alla stazione di ricerca Vernadsky (Ucraina) collocata in una piccola baia dove le foche distese su lastre di ghiaccio galleggianti fanno gli onori di casa, insieme ai pinguini di Adelia che affollano le rocce e i nevai. Già base britannica, fu venduta nel 1996 all’Ucraina per la simbolica cifra di una sterlina. Qui gli inglesi, quando la stazione portava ancora il nome Faraday, scoprirono per primi il buco nello strato di ozono. Davanti all’ingresso è piantato un palo con tante frecce segnaletiche che indicano direzione e distanze delle grandi città della madre patria degli attuali ricercatori, nonchè di altre destinazioni. Kiev, in direzione Nord Est, dista “solo” 15168 km, Odessa 15010 km… La base, oltre agli strumenti per le rilevazioni metereologiche e biologiche, ospita una sorta di ufficio postale. Pagando un modesto contributo, sulle cartoline vengono apposti francobolli e timbri. Ovviamente lasciamo anche il nostro pacchetto di cartoline che se mai arriveranno a destinazione saranno da considerarsi preziose con il timbro che ne attesta la spedizione dai 65° 15’ S e 64° 16’ W. Timbro che ci facciamo stampigliare anche sul passaporto. Visitiamo il piccolo shop, con pochi souvenir artigianali, e per finire il pub più a sud del mondo dove, chi lo desidera, può sorseggiare una Vodka distillata in proprio. Ci spostiamo con gli zodiac, rasentando una vertiginosa e impressionante parete di ghiaccio dalla forma semicircolare, insinuandoci in uno stretto passaggio dove le correnti marine ci spingono a sfiorare alcune rocce emergenti che i conducenti evitano con abilità. Nuovo sbarco per una breve passeggiata e per visitare l’interno della Wordie House, casina di assi di legno, marrone e rossa, ora museo, che contiene spogli arredi e suppellettili dei primi ricercatori. Ripassando nel labirinto di isole e isolotti rientriamo per la cena che, questa sera, in previsione dell’ultimo trasferimento verso il punto più meridionale del nostro itinerario, viene servita molto presto (alle ore 19). Già mentre siamo seduti a tavola è evidente che non sarà una nottata tranquilla. Abbandonate le calme acque dei canali e delle isole, navighiamo in mare aperto, molto mosso. Terminata la cena, non indugiamo troppo a lungo, ci ritiriamo in cabina, prendiamo le pillole contro il mal di mare, ci sdraiamo intenzionati a dormire, malgrado il forte rollio, lasciando che il corpo si abbandoni, senza opporre resistenza, al movimento delle onde. Ci alziamo solo se necessario e non va poi tanto male.

21 marzo 2011

Ore 7,30 circa – 66° 33’ S

“Good morning to everyone, good morning!” è Rinie a darci la sveglia e a invitarci sul ponte, ricordando che tra pochi minuti attraverseremo il Circolo polare antartico. Nonostante l’aria fredda, ci siamo tutti. Dal Capitano arriva il segnale, si stappano bottiglie di champagne, si brinda tra esclamazioni di gioia, ci si abbraccia… è una gran festa! Superato il leggendario parallelo, si naviga ancora per qualche tempo. Il clima ci riserva una splendida giornata soleggiata, cielo terso e azzurro. Il paesaggio, alte montagne coperte da ghiacciai eterni, più bianco di così non potrebbe essere, non c’è infatti macchia scura o terra affiorante. La purezza allo stato solido deve certamente avere questo aspetto. Ora comprendo cosa indicava la lucina immaginaria che lampeggiava quando ho letto in maniera più approfondita l’itinerario di questa spedizione. Un “adescamento” al quale fortunatamente non abbiamo posto alcuna resistenza. Ci dirigiamo all’interno di un immenso fiordo. Numerosi iceberg costellano il mare, sono incredibilmente giganteschi: isole e piattaforme che galleggiano alla deriva silenziose sulle quali il sole, insieme alle striature di nuvole, crea giochi di luce e ombre che neppure un abile tecnico sarebbe in grado di riprodurre. Causa vento e mare agitato, lo sbarco a Detaille Island non è garantito. Lo Staff va in sopralluogo, al ritorno il responso è positivo e ne siamo felici. Trasbordo sugli zodiac piuttosto movimentato, ma in tutta sicurezza, ci sono sempre almeno un paio di persone a sorreggere chi è in difficoltà. Tocchiamo terra e barcollo, evidentemente non ho ancora smaltito il movimento delle onde della notte passata. Detaille Island è… neve, neve, tantissima neve… stupenda, una montagna di neve inviolata tutta per noi. Osserviamo la colonia di leoni marini con i maschi impegnati in lotte senza fine che sbuffano e producono suoni gutturali e le femmine che si lasciano scivolare sulla pancia in quello che sembra un gioco. Dalla sommità dell’isola si ha una visione a 360°, il panorama alterna montagne innevate, iceberg, baie con un sottile strato di ghiaccio marino superficiale, scogli abitati da pinguini e foche, “isole” di ghiaccio dove le foche leopardo sembrano crogiolarsi al sole splendente, ma senza calore. Lasciamo impronte ovunque, “distruggendo” il manto candido, senza provare rimorso poiché ben presto una nuova nevicata cancellerà il nostro passaggio. Le ore scorrono veloci, questo sbarco sulla neve è straordinario, non vorremmo più lasciare l’isola, però è tempo di tornare a bordo. Non ci siamo ancora liberati di stivali e salvagente, uno sbuffo e poi un secondo richiamano la nostra attenzione. Due balene si esibiscono in un lungo show, per un’ora abbondante non facciamo altro che correre da una parte all’altra della nave, da sinistra a destra, da destra a sinistra, da poppa a prua, da prua a poppa… Sembriamo tutti impazziti. Dopo un debole e inutile annuncio per ricordare che “now dining room is open for lunch” il personale di bordo si arrende e prende posto all’aperto per seguire e fotografare lo spettacolo della coppia di balene che passa più volte sotto lo scafo e ricompare dalla parte opposta. I due cetacei si prodigano in un lungo balletto sincronizzato. Emergono prima i dorsi, poi le code… i dorsi, le code… e ancora i dorsi e le code… nel mezzo lanciano alti getti d’acqua. Fortunati gli ultimi a lasciare terra che, ancora sullo zodiac, vengono avvicinati da una delle due balene. Immortaliamo l’intera sequenza con una discreta dose di invidia. La natura però è generosa con tutti. A noi che possiamo spostarci velocemente a poppa, mentre le balene nuotano sotto lo scafo, toccano gli omaggi (o curiosità? o voglia di protagonismo?) dell’esemplare più grosso che, galleggiando in verticale, si protende verso di noi con l’intera testa. Dopo questa scena, il “delirio” è totale, persino il capitano è affacciato al parapetto, anch’egli in contemplazione. Sembra che le balene siano consapevoli del pubblico e che non vedessero l’ora di dar spettacolo. Si recuperano le ancore solo quando i due socievoli mammiferi, esaurito il repertorio, ci salutano con un ultimo colpo di coda. Siamo raggianti e la stessa euforia è leggibile negli sguardi degli altri passeggeri. Si pranza tardissimo e in fretta, per quel che ci riguarda. Per il resto del pomeriggio, dal ponte, ci godiamo la luce intensa, i riflessi, il paesaggio immacolato, il blu di cielo e mare, la quiete. Quando mi rendo conto d’aver freddo, rientro, ho necessità di una bevanda calda, non perdo però di vista il panorama che sfila dalle vetrate della lounge. La musica classica diffusa in sottofondo ben si accompagna alle immagini, mi sale un nodo alla gola dall’emozione, ma nello stesso tempo capisco che un paesaggio così incontaminato, recante il nome Crystal Sound, non ha bisogno di contorno o colonne sonore. L’aria frizzante, il silenzio, sono solo ciò che desidero ricordare in abbinamento ai ghiacciai e alla purezza di questo luogo. Torno fuori e mi perdo nel bianco e nei miei pensieri, grata all’Antartide, forgiata solo dalla natura, di esistere. Qui l’uomo non può vantare alcun diritto e neppure meriti, anzi purtroppo ha solo potere distruttivo anche a distanza: inquinamento, sfruttamento scellerato delle risorse, surriscaldamento globale, scioglimento dei ghiacciai… per il momento mi impongo di non andare oltre e, faccio un ripasso mentale, sull’importanza della corrente circumpolare. All’aperto siamo in pochi e silenziosi quando, in lontananza, notiamo alcune pinne affioranti. Saranno pinguini? foche? balene? o che altro? Tempo pochi secondi, i ponti si affollano e decine di esclamazioni rompono il silenzio… Si tratta di orche, una quindicina circa, suddivise in più formazioni, dall’aspetto minaccioso. Accettiamo entusiasti l’ennesimo dono da parte della natura e mille volte grazie al Capitano che inverte la rotta, aggirando un iceberg, per seguirle. Apprezziamo il coinvolgimento dell’equipaggio in ogni occasione speciale. Nessuna rigidità, per fortuna, sugli orari, sui programmi e sull’itinerario. Balene, orche e fenomeni naturali hanno sempre la priorità. La giornata, eccezionalmente ricca, non è finita… mentre Kelvin, nel corso di una conferenza, ci rende partecipi della sua esperienza di istruttore sub presso la base Rothera (67° South Scuba), alcune balene piroettano fuori dall’acqua. Che altro dire delle balene? Non ci sono più parole che possano descrivere ciò che proviamo. C’è anche un “gran finale” con la luna piena, raramente visibile, che sorge dietro le montagne. Paghiamo tanta fortuna con una notte agitata per via del mare mosso. In questa occasione prendiamo coscienza che ognuno deve badare a sé stesso, in particolare chi sta male. Con il mare grosso è impensabile prestare assistenza al meno fortunato, si rischia di vomitare in due. Ci si alza, si corre in bagno, si fa quel che si deve fare, e si torna in posizione orizzontale al più presto, sperando che la crisi passi.

22 marzo 2011

Ci svegliamo in acque calme, piuttosto storditi dalla navigazione turbolenta, ma una sferzata d’aria fresca e un nuovo incontro ravvicinato con le balene ci fanno sentire meglio. Primo sbarco del giorno a Petermann Island che ospita la “solita” comunità di pinguini Gentoo. E’ ormai inevitabile, dopo aver scattato foto a decine ai pinguini, che li si snobbi un po’. Ci limitiamo ad una panoramica dell’isola, bellissima con i massi levigati che sembrano sculture, e a una passeggiata tra i vari gruppi di pinguini, soffermandoci a fotografare solo quelli che si riflettono in uno specchio d’acqua. Dedichiamo invece molto tempo ad una foca che si nasconde dietro una roccia e si prodiga in una serie di sbadigli. Ne escono diversi bellissimi primi piani che mettono in evidenza gli occhioni tondi, i lunghi baffi, i denti affilati e il palato roseo. Osserviamo con apprensione diversi pinguini che risalgono un ripido pendio innevato, avanzano a fatica di qualche passo, scivolano indietro, recuperano il terreno perso per poi scivolare di nuovo. Ci domandiamo perché mai vogliano salire così in alto e perché sprecare tanta energia. Quasi certamente tale comportamento ha una logica, ma non troviamo risposta alle nostre domande. Il sole gioca a nascondino con gli strati di nuvole mentre qualche raggio illumina ora una porzione di mare ora il ghiaccio e anche le luci e ombre fanno spettacolo e contribuiscono ad arricchire il nostro bottino fotografico. Salutiamo, infine, prima di lasciare l’isola, due simpatici pinguini che si sono avvicinati curiosi e che ci hanno tenuto compagnia tanto a lungo da mettersi persino comodi, a pancia sotto, sulla neve. Ci troviamo nei pressi del Canale Lemaire, non era previsto un secondo passaggio, ma – considerate le buone condizioni climatiche – il Capitano ci concede un’altra opportunità. Accompagnati da balene e foche che nuotano attorno alla Plancius, imbocchiamo il canale al contrario rispetto a qualche giorno fa e, in assenza di nebbia, ne apprezziamo colori, nitidezza e riflessi. Non riconosciamo nulla, tutto sembra differente e, nel punto più stretto, il mare è totalmente ricoperto da uno strato di ghiaccio, non compatto. Ci piazziamo a poppa per ammirare e fotografare la lunga scia blu che, dopo il nostro passaggio, taglia in due la crosta ghiacciata. Usciti dal Canale Lemaire costeggiamo una catena di antichi ghiacciai sui quali è caduta di recente una spruzzata di neve. Imbocchiamo, in seguito, il Canale Neumayer e, per il secondo sbarco quotidiano, entriamo nella spettacolare Dorian Bay con i ghiacciai immacolati che si chiudono a corona sul mare color grigio piombo. Il cielo ha lo stesso colore del mare e in tanto grigio l’azzurro degli iceberg “parcheggiati” nella laguna spicca in modo particolare. Ci spostiamo sulla neve ghiacciata con le ciaspole fino a raggiungere l’estremità di Damoy Point. Ci arrampichiamo poi su un’altura, procedendo in salita sino ad un punto panoramico che domina l’intera baia sottostante. Consci di questo ultimo sbarco a terra, assaporiamo l’intero pomeriggio all’aria aperta, memorizzando le immagini del magnifico paesaggio imbiancato che il cielo plumbeo e la particolare luce dell’imbrunire mettono in risalto. Ci tratteniamo nella placida Dorian Bay per consumare la cena e fino a notte inoltrata. Cadiamo in un sonno ristoratore molto prima che l’equipaggio abbia recuperato le ancore e avviato i motori.

23 marzo 2011

Nevica!

Cadono grossi fiocchi e abbiamo l’impressione che l’estate australe sia finita proprio nel momento giusto, esattamente al termine di questa spedizione. Si gettano le ancore in prossimità di Melchior Island che per noi rappresenta l’ultimo lembo di terra. Ci aspettano poi molte ore di navigazione nel Passaggio di Drake, prima del rientro a Ushuaia. Il colore predominante è ancora il grigio, ma, come ho già detto in precedenza, in Antartide neve e grigio sono un valore aggiunto. Sbarchiamo per l’ultima escursione: una zodiac cruise di un paio d’ore. Lo strato di neve fresca che ricopre ghiaccio e ghiacciai dell’isola lascia intravedere squarci di azzurro e blu. Fenomeno che non finisce mai di stupirci. Osserviamo una colonia di foche molto vivace. Alcuni esemplari sembrano coscienti dell’ultima presenza di esseri umani e si esibiscono in lotte, scivolate sul ghiaccio e tuffi nell’acqua gelida. Seguiamo la faticosa “scalata” sulla neve di tre pinguini, mentre ai lati del “corridoio” che si sono ricavati padroneggiano le foche. Constatiamo quanto sia difficile, per i pinguini, la sopravvivenza, sia a terra che in acqua, dovendo eludere molti nemici. Un pinguino solitario sembra contare le proprie impronte e invocare con una serie di suoni striduli un po’ di compagnia. Superata una stazione di ricerca argentina ormai in disuso, una foca si affaccia dall’alto di un muro di ghiaccio, posto esattamente di fronte, quasi a rappresentare l’ultimo custode delle baracche disabitate. Ci approssimiamo agli scogli sferzati dal vento e dalle onde e al fronte di un ghiacciaio, indovinando, osservandone le spaccature, quali saranno i prossimi enormi blocchi a staccarsi per primi e che andranno a galleggiare insieme agli altri innumerevoli iceberg. Prima di imbarcarci, ci fermiamo per qualche tempo con il motore dello zodiac spento, in assoluto silenzio, a respirare le ultime boccate d’aria pura e ad assimilare il rumore del mare, del vento, lo stridio degli uccelli, insieme al verso delle foche. Stiamo lasciando visivamente queste affascinanti terre estreme, ma l’Antartide si stabilisce dentro di noi, ne serberemo un ricordo forte, vivido e incancellabile. Togliamo per l’ultima volta stivali e salvagente e, mentre i gommoni vengono issati sul ponte, si fa largo la consapevolezza del ritorno, tutto ormai ha un’intonazione triste. Pranziamo, si parte quindi definitivamente verso nord, già dai primi minuti di navigazione il mare è grosso, il moto ondoso è sempre più in crescendo e ci costringe all’immobilità totale. Le conferenze/attività vengono annullate e spostate a domani, mare permettendo. Saltiamo la cena, che comunque viene puntualmente servita, il solo alzarsi dal letto per andare in bagno o per bere una sorsata d’acqua richiede uno sforzo sovrumano, lo stomaco reclama la posizione orizzontale. Mi sento in un limbo, faccio brutti sogni, mentre galleggio nell’oscurità. Trascorriamo in questo stato di malessere e di inerzia ben 18 ore con una sola variante: l’assunzione delle pillole contro il mal di mare, ogni 4 ore precise.

24 marzo 2011

Il mare s’è calmato un po’, ci sforziamo di tornare alla normalità. In piedi, doccia, persino un piccolo bucato e poi scendiamo al ponte di sotto per la colazione. Il rollio non è cessato, ma è meno intenso rispetto a ieri, è in ogni caso sopportabile, ci stiamo inoltre adattando alla camminata barcollante. Nel pomeriggio il meteo migliora: vento assente, sole e mare incredibilmente calmo. Approfittando del favore degli dei e della lunga tregua, trascorriamo la maggior parte del tempo all’aperto, sul ponte superiore, soli o con altri passeggeri, scambiando impressioni sull’Antartide e su altri luoghi del nostro bel pianeta. Osservando il mare con attenzione riusciamo ad apprezzare anche quella che solo in apparenza sembra una infinita distesa d’acqua sempre uguale. Non è così, si modificano le onde, cambiano i colori, l’acqua può essere blu, grigia, azzurra, indaco, persino viola, trasparente o spessa tanto da sembrare pesante. Con il calar del sole si alza il vento, le onde ingrossano e la Plancius inizia una nuova “cavalcata”. Non proviamo timore, ma dopo aver cenato ci ritiriamo in cabina in posizione orizzontale. Ci addormentiamo nonostante l’ondeggiamento, svegliandoci di soprassalto per qualche scossone più forte, riguadagnando il sonno qualche minuto dopo.

25 marzo 2011

Il sole ci accompagna anche oggi e il mare, considerato che stiamo attraversando il Passaggio di Drake, è relativamente calmo. Ci si predispone all’arrivo, si riconsegnano gli stivali con la sensazione di privarci di parte delle nostre avventure. Queste calzature, se solo potessero parlare, ne avrebbero di storie da raccontare… gli sbarchi in acqua gelida, le camminate sulle pietre aguzze, sulla neve, sul ghiaccio, sul guano, la morsa delle ciaspole, le scivolate sui massi ricoperti di alghe, le arrampicate in salita, le discese in forte pendenza, le corse sui ponti della nave all’inseguimento delle balene, i lavaggi e le spazzolature, gli strattoni nell’intento di sfilarli e le beccate dei pinguini più curiosi. Insomma li sentiamo parte della nostra storia e proviamo dispiacere nel separarcene. Alle 12 circa si intuisce in lontananza la presenza della terra, solo una sagoma scura che, indistinta, si eleva all’orizzonte. I monitor del ponte di comando indicano le coordinate di Capo Horn, leggendario e minaccioso, teatro di grandi esplorazioni, catastrofici naufragi e meta ambita dai velisti di tutto il mondo. Navighiamo per il resto del pomeriggio sopra grosse onde che hanno però perso forza e in serata, con un tramonto dalle tinte forti, entriamo nel Canale di Beagle. Ormeggiati in una larga insenatura, si procede con il cerimoniale d’addio. Discorso dello Staff, foto ricordo, consegna degli attestati e di un gradito omaggio (un CD contenente un tesoro: il diario giornaliero, schede con annotate le specie animali avvistate, indirizzo e-mail di chi ha piacere di condividerlo, foto scattate in corso di viaggio e i curriculum di ciascun componente lo Staff). Brindiamo con l’augurio di rivederci, magari all’estremo opposto, e infine viene servita la cena. In questa ultima serata, a tavola, si parla molto di più, l’atmosfera è gioiosa, la soddisfazione di ciascun passeggero è evidente, quasi palpabile. Non poteva essere altrimenti dopo quanto visto, vissuto e condiviso.

26 marzo 2011

L’alba nel porto di Ushuaia è un incanto, ma la apprezzeremo solo più tardi, riguardando le foto. Al risveglio ci attanaglia la malinconia e tutto (colazione, bagagli, saluti, scambio di indirizzi) scivola via troppo velocemente. Sbarchiamo per l’ultima volta e non per prende posto su uno zodiac. Lasciando la nostra cabina e la Plancius, la sensazione è quella di non avere più casa. Ci aggiriamo mesti per la via principale di Ushuaia, ancora spopolata e con i negozi chiusi, sospirando ogni volta che incrociamo una strada che scende verso il porto con la Plancius in evidenza, bella e imponente, a ricordarci che non abbiamo sognato. Il viaggio non finisce qui, abbiamo programmato una sosta di alcuni giorni a Buenos Aires, ma questa è un’altra storia che non ritengo di abbinare all’Antartide perché, come ho già detto, il Continente di ghiaccio non ha bisogno di contorno.

Concludo questo tentativo di raccontare l’Antartide con una citazione dal libro “Verso il grande Sud” (autori Isabelle Autissier e Erik Orsenna):

Ecco laggiù, un mulinello… È il muso di una foca che emerge dall’acqua, un pinguino che si tuffa, un cormorano dagli occhi celesti che torna dalla pesca…

…Il sentimento che domina è quello di aver ottenuto un’ammissione temporanea in paradiso.

Quando e dove, altrove, la natura, che ha dimostrato la sua potenza e che sa essere così ostile, ci ha trattato con maggior benignità?

Bisogna rimpinzarsi di questa gioia, riempire sino ai bordi il baule del tesoro.

Un giorno, molto tempo dopo, nella frenesia di una città del nord, basterà chiudere gli occhi per resuscitare la pace di questo paesaggio.

Sapere che esiste un posto così aiuta a vivere”

Infine un immenso grazie a Manuel Cazzaniga, a lui dobbiamo la concretizzazione del nostro sogno, a Majanda Hamelink, puntuale, paziente e precisa nel rispondere alle mie mille domande, al meraviglioso Staff conosciuto a bordo della Plancius.

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