Amsterdam 4

A come ACQUA, che ad Amsterdam spunta dietro ogni angolo, sotto forma di canale o di fiume, mai di mare visto che il mare l’hanno semplicemente rapito, ingabbiato e spedito molti chilometri più in là, buono per le barche e le navi ma non per le case e le città. Acqua nella quale si rispecchiano, ancora più lunghe e strette, le case-canale,...
Scritto da: chiagia
amsterdam 4
Partenza il: 08/12/2004
Ritorno il: 12/12/2004
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
A come ACQUA, che ad Amsterdam spunta dietro ogni angolo, sotto forma di canale o di fiume, mai di mare visto che il mare l’hanno semplicemente rapito, ingabbiato e spedito molti chilometri più in là, buono per le barche e le navi ma non per le case e le città. Acqua nella quale si rispecchiano, ancora più lunghe e strette, le case-canale, sulla quale galleggiano le duecento houseboat, che fai fatica a credere che davvero siano comode e spaziose come raccontano finchè non le vedi, illuminate, passandoci di sera accanto con la barca e solo allora credi che ci viva davvero la gente dentro perché vedi la televisione, il divano, quello che per noi significa casa. Acqua su cui galleggia Amsterdam in perenne equilibrio sui mille pali appuntiti che scendono a cercare la terra dura per dare stabilità a chi sta lassù.

M come MAESTRI, che Amsterdam ha visto nascere o arrivare, fermarsi o scappare e che oggi ha ricercato in giro per il mondo per riempire con le loro opere i grandi musei. Maestri come Rembrandt van Rijn che con i suoi chiaroscuri magistrali ci racconta le sontuose corti del Seicento e con la sua bella casa-museo ci immerge nella sua vita privata fatta di gioie e dolori, di pazzie e di fallimenti. Maestri come Vermeer con la sua matita leggera che dipinge il volto della lattaia e le case di Delft. Maestri, infine, come Van Gogh, il genio assoluto della pittura moderna. Il suo museo è piccolo, si dice, ma quando ti trovi davanti a una parete coperta di iris, girasoli e campi di grano capisci che sei davvero arrivato dentro la meraviglia della pittura.

S come SESSO, che Amsterdam trasuda da tutti i pori un po’ credendoci davvero e un po’ con l’ironia e con il distacco di chi deve sostenere un ruolo che gli è stato attribuito. Fa comunque effetto al visitatore curioso trovarsi di fronte a vetrine di pornoshop traboccanti di gadget oltremodo voluminosi così come incuriosisce e forse turba l’irrinunciabile passeggiata nel quartiere a luci rosse tra le vetrine traboccanti di altrettanto voluminose venditrici di sé che attirano la tua attenzione appena la moglie si distrae. E’ curioso vedere il via vai degli uomini che entrano ed escono, alcuni in fretta perché di lì a poco inizia la Champions League in un’ideale staffetta che ben rappresenta l’immaginario maschile. Di fronte alle vetrine le vetrate medievali della Oude Kerk, l’antichissima chiesa, sembrano guardare con disinteresse luterano alle debolezze umane.

T come TOLLERANZA, che Amsterdam pratica da secoli dopo aver subito il massimo dell’intolleranza politica da parte dei conquistatori spagnoli e poi aver restituito il massimo dell’intolleranza religiosa nei confronti dei cattolici costretti a inventarsi una chiesa in soffitta (la Amstelkring) per praticare il loro culto vietato dalle autorità. Tolleranza che oggi è messa a dura prova dai rimbalzi tra neopatriottismo xenofobo e terrorismo d’importazione. Eppure sarà difficile fare di Amsterdam una città cattiva: la sensazione che si ha girandoci è che l’ideale stesso della convivenza pacifica sia ormai troppo radicato negli olandesi e che né politici populisti né fanatici religiosi saranno in grado di rimettere al loro posto i diversi colori ormai irrimediabilmente mescolati.

E come ETEROGENEITA’, che Amsterdam, come detto, gradisce in generale. Eterogenea per eccellenza è la Amsterdam che si siede a tavola perché in nessun altro paese, forse, c’è una tale varietà di ristoranti dei diversi paesi del mondo. Su tutti gli indonesiani, eredità di antiche colonizzazioni che hanno portato il Nasi Goreng e l’agrodolce prima che esistesse la moda della cucina etnica, e che portano a ruota gli indiani, i cinesi, i tailandesi. E poi i ristoranti europei, spaghetti italiani, moussaka greche e fondute francesi, e quelli americani con le bistecche americane, argentine e uruguayane. Davvero per ogni gusto e persino chi, come noi, ha voluto anche “mangiare olandese” sarà soddisfatto se troverà la giusta locanda (Haese Claes) nella quale gustare purè con crauti, aringhe e zuppe di piselli.

R come RICORDO, che Amsterdam quasi ti costringe a mantenere anche quando si tratta del ricordo più orribile. Perché il turista, per quanto di corsa e stordito dalla bellezza dei canali e delle case, sente l’obbligo morale di lasciarsi un paio d’ore per superare la soglia di Prinsengracht 263, salire le strette scalette tra altri turisti che come lui camminano in silenzio, entrare nella soffitta in cui Anna Frank, i suoi genitori, sua sorella e altre quattro persone hanno vissuto venticinque mesi prima di essere arrestati, deportati, quasi tutti uccisi. Ricordo insopportabile mentre attraversi le stanze con i muri dipinti delle frasi del suo diario. Ricordo che torna sostenibile solo quando capisci, alla fine, la sua immortalità di simbolo leggendo le sue parole: “Sono grata a Dio che mi ha donato alla nascita il talento della scrittura, la possibilità di esprimere ciò che è in me”. Anna ha sedici anni quando muore di tifo a Bergen Belsen, nel marzo 1945, un mese prima che gli alleati entrino nel campo.

D come DROGA, che Amsterdam celebra tra le sue passioni estroverse attraverso la scelta della liberalizzazione delle droghe leggere e della statalizzazione del metadone come alternativa alle droghe pesanti. Difficile valutare l’effettiva ricaduta di questa politica, miracolosa per i sostenitori nell’evitare il dilagare della criminalità, disastrosa per i detrattori che ricordano gli anni Settanta quando Amsterdam divenne patria degli storditi di mezzo mondo. Oggi la situazione appare più tranquilla e le immagini dei coffee shop nei quali si consuma il rito della canna e della torta con i magical mushrooms sono certo meno sconvolgenti di quanto uno si aspetti così come meno sconvolte sembrano le facce di chi ne esce (meno peggio, tanto per dire, di una Londra birrosa da friday night). Eppure anche nell’Amsterdam della droga libera c’è chi mi ha offerto la coca per strada, in mezzo a tutti: tanto per dire che per quanto si sposti il limite c’è sempre la voglia di trasgredirlo.

A come ARCHITETTURA, che Amsterdam sembra divertirsi a raccogliere, catalogare, accostare per il gusto di provocazione. Ci sono le 7000 case-canale.Monumento storico, eredità postmedievale, tutelate, intoccabili, meravigliose con la loro forma bislunga, i cinque piani, il timpano che chiude come un piccolo sacro tempio greco laicizzato dal buffo asse con il gancio che ne fuoriesce, ricordo di quando le cose devono essere sollevate con la carrucola perché le scale sono strette. E poi c’è tutto il resto, le maestosità ottocentesche del Palazzo Reale, del Rijksmuseum, della Stazione, gli esperimenti moderni (e bruttarelli) della Borsa, l’art dèco del Cinema Tuschinski e dell’Hotel Americane fino alle follie postmoderne di Renzo Piano con la sua orribile nave in affondamento che ospita il Nemo. Eterogenea, multigusto, varia e pazza Amsterdam, anche nelle case e nei molti musei che si spargono lungo i canali.

M come MERAVIGLIA, che Amsterdam scruta negli occhi del turista che aggirandosi per la città si imbatte in uno dei tanti caffè scuri, come vengono definiti gli antichi – e a volte antichissimi – locali neri e fumosi nei quali la gente si rinchiude quando, alle 17 (!) tutta l’attività della città si ferma di botto, i musei chiudono, i centri commerciali abbassano le saracinesche e fuori non resta che la bruma che sale dai canali, il gelo che diventa pungente, il nevischio che si intravede davanti ai fari dei tram. E allora cosa c’è di meglio che andare in un caffè scuro sgomitando tra la clientela vociante per raggiungere il tavolino e ordinare una birra o, se l’ora lo permette, il jenever, delizioso ginepro servito freddo nei piccoli bicchieri a forma di tulipano, in fretta perché alle 18.30 si corre già a cenare. Nei caffè scuri resta, quasi intatta, l’Amsterdam di Rembrandt che si dice frequentasse il Chris, nel quartiere del Jordaan, sotto il soffitto a cassettoni, servito da una locandiera bionda e arrossata come quella che abbiamo conosciuto noi.



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