Akakus, Ubari e Ghadames
Nel mese di giugno, con mia moglie Lalla e altri sei amici iniziamo ad organizzare il viaggio. Scopriamo subito che è, di fatto, obbligatorio appoggiarsi ad un tour operator locale sia per ottenere il visto direttamente all’aeroporto di Tripoli, sia per gli innumerevoli permessi che dovremo consegnare ai posti di blocco, disseminati lungo la strada che ci porterà all’Akakus. Il tour operator dovrà, inoltre, sbrigare le pratiche per la convalida in loco dei visti e per la richiesta del poliziotto che deve accompagnare per tutto il viaggio i gruppi superiori a tre unità. Altro problema da risolvere è la data della partenza, subordinata alla fissazione dei giorni in cui si terrà il festival di Ghadames, con il quale si conclude la fine della raccolta dei datteri. Risolti questi problemi e fissata la partenza per il 22 ottobre, decidiamo di mettere in valigia vestiti invernali ed estivi. Scelta ragionevole in quanto, nel deserto di Ubari, le mattinate sono gelide ed a Sabratha abbiamo trovato anche pioggia. Compriamo anche dei sacchi a pelo da utilizzare durante i bivacchi nel deserto; in loco constatiamo che sono inutili in quanto le coperte e le lenzuola forniteci dal tour operator sono pulite e profumano di lavanderia. Partenza da Siracusa alle 3 del mattino, arrivo a Tripoli nel pomeriggio e proseguimento per Sebha con un Bombardier, puntuale e nuovo di zecca. Prima sorpresa: l’albergo di Sebha, dove alloggiamo, è pulito, gradevole e risponde agli standard 4* occidentali; inoltre, la cena servita è ottima. Incominciamo a pensare che le guide turistiche scrivano il falso o che siano datate. La mattina successiva, ci attendono tre Land Rover ed un Pick-up. Quest’ultimo porta a bordo, oltre l’autista, due cuochi che provvederanno a preparare i pasti ed a montare le tende. Il Pick-up, sul quale vengono caricate la cucina da campo, i tavoli, le sedie ed altre masserizie, ci precederà nel nostro viaggio nel deserto facendoci trovare, in punti prestabiliti, una tavola già apparecchiata ed il cibo (ottimo ed abbondante) pronto per essere servito.
La prima parte del viaggio si snoda su strada asfaltata, alla velocità di 120 Km/h, lungo un deserto monotono e piatto. Verso ora di pranzo, Cristina asserisce di avere visto dei laghi all’orizzonte. Ci fermiamo per mangiare sotto una grande acacia e vedo anche io, dove la terra si confonde con il cielo, una tremula striscia di acqua, sulla quale si riflette quella che sembra un’isola. A poco a poco l’immagine sfoca per riapparire poco distante. Poi sparisce del tutto. Da non crederci è un…Miraggio! Dopo pranzo abbandoniamo la strada asfaltata e ci dirigiamo ad est, verso l’Akakus, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Il paesaggio cambia gradualmente. Le due combinazioni che costituiscono il deserto, la sabbia e la roccia, incominciano a disegnare uno scenario di incomparabile bellezza. Ci fermiamo, per la notte, in un campo fisso tendato che nulla ha da invidiare ad un albergo a 5*. Tende da 36 mq, acqua calda e fredda a volontà, elettricità fino a mezzanotte. E’ l’ultimo avamposto fisso umano prima del vuoto che ci attende. La nostra attenzione, comunque, è presto calamitata da ben altro. Ci arrampichiamo su un’altura e ci si presenta un anticipo delle meraviglie che vedremo l’indomani. Un maestoso caos di guglie, campanili, cascate di roccia, wadi, si spalancano sotto i nostri piedi. Il sole che tramonta incendia le valli e ci riscalda il cuore. Sveglia presto, l’indomani, con passeggiata a piedi nel deserto, individuazione delle orme lasciate da una volpe durante la notte e lezione di geologia da parte di Francesco, il geologo del gruppo. Ci recuperano le Land Rover ed inizia l’avventura. Sparati a 100 Km l’ora ci addentriamo in un mondo fiabesco. Rocce nere e gigantesche, in una cornice di sabbia color oro, assumono forme di cattedrali, animali, uomini, innamorati abbracciati. Attraversiamo a folle velocità ampie valli e letti di fiumi asciutti (Wadi), vere e proprie vie del deserto, nei quali sopravvivono radi cespugli. Torri nere, gialle, rosse, onde di roccia si ergono su un letto di sabbia dai colori cangianti. Ci chiediamo: realtà o frutto di immaginazione? Ci rendiamo conto che né le parole, né le foto potranno compiutamente descrivere od illustrare ciò che i nostri sensi percepiscono in questi momenti. Di tanto in tanto ci fermiamo ad ammirare graffiti e dipinti, autentici capolavori incisi nella roccia, lasciatici dai nostri progenitori di 12.000 anni fa. Uomini che lottano, elefanti, bufali, scene di vita quotidiana impressi nella roccia attestano che queste lande desolate, dodicimila anni orsono, erano savane popolate da uomini ed animali ora scomparsi. Nel pomeriggio, dopo esserci fermati per delle foto con un tuareg solitario che attraversa il deserto in groppa ad un dromedario, facciamo bivacco al centro di un anfiteatro naturale. Prima del tramonto saliamo faticosamente su una duna e ci appare un panorama mozzafiato e selvaggio: blocchi di roccia formano poderose torri, sabbie gialle del deserto mettono in risalto il nero delle rocce, wadi intersecantesi sembrano indicare il cammino e …Un pastore tuareg e la sua misera capanna inquadrati grazie allo zoom della telecamera. Dopo cena iniziamo una gara di canto, attorno al fuoco, con i nostri otto accompagnatori. Poi passeggiata nel deserto, al chiaro di luna e sotto un manto di stelle che l’albedo delle città ci ha ormai nascosto. Una leggera brezza mi fa rabbrividire ricordando la leggenda delle Gimmi, gli spiriti del deserto che si divertono a soffiare sui viandanti. La mattina successiva, a piedi, ci rechiamo alla capanna tuareg. La nostra guida, inviata a parlamentare, ci riferisce che il pastore si è allontanato con le pecore e che la moglie non gradisce l’intrusione di sconosciuti. Comunque consente ad uno dei suoi quattro figli di offrirci delle punte di frecce e dei frammenti di terracotta di 6.000/12.000 anni fa. Altra corsa a rotta di collo fra foreste di roccia e, nella tarda mattinata, siamo fuori dall’Akakus. Peccato, avremmo dovuto prevedere un soggiorno di paio di giorni in più! Cullati dal sordo ronfare dei motori, giungiamo a Germa la quale ci accoglie sonnacchiosa con il suo museo e le sue rovine, portate alla luce dagli archeologi italiani. Per affrontare meglio il deserto di Ubari, le cui prime dune si stagliano a qualche centinaio di metri dalla città, gli autisti sgonfiano parzialmente le ruote delle auto per una maggiore presa sulla sabbia. Con i motori spinti al massimo risaliamo le prime alture per ritrovarci in un paesaggio costituito da un mare di dune che, pur nella loro bellezza individuale, non riusciamo a distinguere l’una dall’altra. I colori cambiano continuamente: dal rosso, al giallo, al bianco e vengono a mancare i punti di orientamento. Le dune e l’immensità informe che ci circonda, mi richiamano alla mente un mare ora placido, ora in tempesta. Ci fermiamo per il bivacco e ne approfittiamo per salire in cima alle barcane, sempre tenendo di vista il campo. Siamo stati avvertiti che è facile perdere l’orientamento! Osservando attentamente, le dune e le barcane assumono sembianze di donne dalle curve morbide e sinuose. La natura sembra volere offrirci un abbraccio rassicurante. Scivolando sulla sabbia, costituita da granelli sottili come borotalco, lasciamo impronte gigantesche che il vento della notte provvederà a ripianare. Dopo cena ci allontaniamo di poco, sempre tenendo gli occhi fissi sui fuochi del campo. C’è la luna ma, francamente, questo deserto di sabbia mi rende inquieto. La mattina dopo riprendiamo il viaggio sgommando, arrancando, scivolando e correndo a rotta di collo, ove possibile. Visitiamo, nel corso della giornata, alcune oasi dall’elegante bellezza. Ci fermiamo a Gabron per il pranzo e ne approfittiamo per un bagno nel lago. Sorpresa…L’acqua è talmente salata che galleggiamo. E’ impossibile nuotare se non sul dorso. Appena asciutti ci ritroviamo bianchi di sale e siamo costretti a lavarci utilizzando l’acqua gelata (da freezer) di un pozzo scavato al centro dell’oasi. Di nuovo in marcia affrontiamo altre dune dall’apparenza simili alle altre ma più insidiose. Anche se la nostra auto si avventura rombando, a tutta velocità, alcune dune, particolarmente soffici, ci impediscono di raggiungere la loro sommità. L’auto sbanda, scivola di lato, traballa: ho lo sgradevole presentimento di un ribaltamento. Dopo svariati tentativi di raggiungere la sommità di una duna, la sabbia afferra le ruote ed inchioda l’auto la quale, gemendo e singhiozzando, alla fine si arrende. A questo punto, in attesa dei soccorsi, decidiamo che con l’auto, su quelle dune, di sicuro non proseguiamo e ci dirigiamo a piedi verso le altre auto che si sono fermate, in attesa, a circa un km su delle dune più compatte. Un Km equivalente, per lo sforzo, a 10 Km di strada asfaltata. Ogni dieci passi avanziamo di un metro. A sera ci imbarchiamo, puntuali, a Sebha con destinazione Tripoli. Il giorno successivo visita di Tripoli e di Sabratha. Quindi dedichiamo un’altra giornata a Leptis Magna, patrimonio dell’umanità. Restiamo sbalorditi per le bellezze e varietà archeologiche del sito, riportato alla luce dagli archeologi italiani. Non ha nulla da invidiare a Pompei, ad Ercolano e ad Ostia Antica. Affrontiamo, quindi, la parte più noiosa del viaggio: 750 Km di deserto monotono, direzione Ghadames. Fortunatamente l’ottima organizzazione ci ha permesso di visitare dei granai fortificati, già visti in altre zone del Maghreb, ma aventi un loro fascino particolare. Ghadames ci accoglie con una bellissima sorpresa: un albergo veramente sontuoso, considerato che ci troviamo in un posto di frontiera, in mezzo al nulla. Anche se stanchi, ci immergiamo nel festival. Di buon mattino iniziamo la visita della cittadina dichiarata, a ragione, anch’essa, patrimonio dell’umanità. Le stradine tortuose, delimitate da alte mura color sabbia, rifinite con smerlature triangolari imbiancate; le case tradizionali, con stanze su più livelli, arricchite con specchietti e decori in stucco colorato di rosso; le accoglienti piazzette con comodi sedili per socializzare, giustificano un viaggio così lungo. Ma Ghadames, in occasione del Festival, assume un aspetto unico e gioioso rivivendo un passato che non si può né si deve dimenticare. Gruppi provenienti da tutta la Libia e dai Paesi confinanti si esibiscono, indossando costumi tradizionali, nelle piazzette, nei vicoli, nelle abitazioni, in canti e danze . E’ un tripudio di suoni, di colori, di razze, che mette allegria e riscalda gli animi. Ulteriore corsa nel deserto per ammirare, da un’altura, il tramonto e, infine, full immersion nello spettacolo che conclude il festival.
Al ritorno a Tripoli, decidiamo per una cena fuori programma ,in località “Alla Buca”. Compriamo da alcuni rivenditori, per € 40,00, 7 Kg di pesce (spada, dentice, triglie, calamari, polpo) che ci sarà, poi arrostito da una delle tante trattorie limitrofe. Da non perdere! Letture consigliate: Sahara di G. Scortecci, edito dalla Darf (€ 30, ma ci vale); Sahara vento sabbia solitudine di C. Boccazzi , Pozza ed. (€7,00); Meridiani: 1) Sahara e 2) Libia;