Libia:25,00 NORD- 13,00 EST
27 e 28 dicembre 2008.
Ci sono tredici gradi sotto lo zero in questo mattino tremendamente rattrappito dal gelo.
Le 6 del mattino e la mia auto, ancora mezzo rincoglionita come il sottoscritto che la conduce, si parcheggia nell’area di servizio della To-Savona che già tante altre volte, negli anni, è stata la boa di partenza di altri viaggi ed altre sabbie.
Pochi minuti di gelo siberiano ed il gruppo si forma, alle prime luci dell’alba nevosa del 27 dicembre. Tre auto, compresa la mia, partono di qui oggi alla volta di Genova, ad imbarcarsi per l’ennesima volta sulla Chartage, destinazione Tunisi.
L’attesa al porto è stranamente breve: ci si imbarca senza intoppi con largo anticipo sui tempi stimati e si parte, con mare calmo, con appena un’ora di ritardo.
Traversata tranquilla, oserei dire quasi veloce, con la nave a mezzo carico ed un mare straordinariamente quieto alla faccia delle previsioni meteo che ci avevano impensieriti non poco. Fatto sta che alle 13 siamo a Tunisi, alle 15 siamo fuori dei cancelli de La Goulette e pochi minuti dopo siamo già belli rombanti sulle corsie dell’autostrada in direzione sud est, alla volta della lontana oasi costiera di Gabes dove incontreremo il quarto equipaggio del viaggio. Gradita sorpresa: l’autostrada è stata prolungata oltre Sousse fino alla cittadina commerciale di Sfax, con i caselli ancora inattivi nella tratta nuova; per noi è un risparmio di tempo non da poco. Il cielo è grigio ma non piove ed il trasferimento scivola veloce, tanto che alle 20 siamo a Gabes dove, all’Hotel Chems, ci uniamo a Roberto e Vittoria, in tempo per la cena. Gruppo completo…L’avventura ha inizio.
29 dicembre- altra levataccia; sveglia alle 5,30 e partenza alle 6,00 per essere in frontiera al piu’ presto. Ancora sorprese nella viabilità, con la nuova tangenziale di Medenine che ci risparmia l’ingresso nella trafficata cittadina.
Ore 9,00; siamo a Ras Jedir, posto di frontiera con la Libia. Formalità di uscita piuttosto lente, quasi due ore. Ed ecco la dogana libica, finalmente. Ci incolonniamo dietro una baraonda di auto di europei…Accidenti, c’è il mondo qui! Rivedo amici tour operator che non incontravo da anni, ed è strano incontrarsi proprio qui. O forse no, forse non è strano…Mentre chiacchieriamo Moussa, il mio amico libico, mi si fa incontro. Un abbraccio, un’emozione forte e sincera, dopo tre anni di lontananza.
Ma via, facciamo cosa deve essere fatto ed usciamo di qui: abbiamo molta strada da fare oggi. Qualche intoppo burocratico, ma tutto procede regolarmente ovviamente secondo i tempi africani: la fretta qui non è di casa. Alla fine siamo fuori, con la nostra bella scorta di dinari libici in tasca, le nuove targhe e le radio finalmente installate. Si parte: direzione Mizda.
La raggiungiamo intorno alle 19. Tappa in un alberghetto decadente, con le camere i cui tappeti sono un piccolo cimiteri di simpatici scarafaggi incartapecoriti ( benedetto l’inverno!!!). Non c’è scelta e questo passa il convento: c’est l’Afrique.
Cena con pollo arrosto e patate (quanto mi mancava…) e a letto presto.
30 dicembre- ultima sveglia da regio esercito, alle 6. E via, voliamo a tutto Sud, che già sentiamo nell’aria odore di granelli…Ed infatti, poco dopo l’ora di pranzo, raggiungiamo il ouadi Chati, all’oasi di Brak. Qui riabbraccio il mio amico Mabrouk Belel, come al solito arrampicato sul suo pick up Toyota benzina 24 valvole. Pieno dei serbatoi e si va…
TRAVERSATA DELLA RAMLA ZELLAF Una manciata di km in direzione di Sheba e poi, senza sgonfiare, svoltiamo ad ovest e ci tuffiamo nelle prime basse dunette a sud di Brak. Percorriamo qualche chilometro e, poco prima di affrontare il primo cordone, ci riuniamo su un poggio di palmette e sgonfiamo…Cominciano le danze. Anteriore a 1,1 , posteriori a 1,4; pronti? Via!!!! Un’ora appena di guida rilassata su facili cordoni…Tengo d’occhio il nostro nuovo compagno, Roby. Ma mi rassereno: ha una buona guida ed un buon mezzo. Sarà un bel viaggio, ne sono certo. Il primo campo nella sabbia è appena intaccato da un vento leggero ma fastidioso, gelato, che ci costringe nelle nostre tende ad un’ora in cui di solito, in Italia, cominciamo a preparare la cena…Lontano, all’orizzonte, un susseguirsi di riverberi nel cielo nero ci indica i vari villaggi: Brak, Edri, la lontana Sheba…Poi il silenzio ci inghiotte e la mia Air Camping finalmente mi accoglie.
31 dicembre- Traversata tosta oggi. Lasciamo le dune facili e ci buttiamo nei cordoni alti. Ci vogliono 3 ore piene di creste impegnative e discese mozzafiato per raggiungere il lago di Tademka, il piu’ settentrionale di Zellaf. Toccai le sue rive piu’ di 10 anni or sono…Il suo specchio d’acqua si è ristretto; come tutti i laghi della Ramla è condannato, con gli anni, a scomparire. Ma per adesso sta ancora qui, con i suoi giunchi argentei ed i suoi cespugli agitati dal vento a fare da cornice all’ovale blu cobalto delle sue acque, piccolo gioiello dalle proporzioni perfette.
Da Tademka tagliamo a ovest-sud ovest, direzione lago di Oum El Hassane.
La traversata diretta Tademka-O.E. Hassane è una delle piu’ impegnative e tecnicamente più complesse della Ramla Zellaf. La distanza in linea d’aria non è grande, ma grandi sono gli ostacoli da superare. A pomeriggio inoltrato raggiungiamo la cresta della duna sovrastante il lago e lo spettacolo è unico ed indescrivibile. Scendiamo da un versante ripidissimo ( 5 minuti d’orologio a percorrere in auto l’intera discesa, un’eternità) fino alla sponda orientale del lago, dove sostiamo un paio d’ore, a goderci, in silenzio ed ognuno a vivere nel proprio intimo l’emozione del momento, questo luogo da sogno.
Le dune circostanti sono immacolate, per tutto il giorno non abbiamo incontrato una sola traccia di altre auto: siamo assolutamente soli ed è bellissimo.
Ci allontaniamo a malincuore dalle acque calme di Oum El Hassane, per aprire il campo qualche chilometro piu’ a sud, lontano dalle zanzare che al tramonto, qui, brulicano.
Notte di San Silvestro tra le alte dune di Zellaf, e i fuochi d’artificio portati dallo strabilianti Roby di Bari (per questo ufficialmente battezzato Everybari…) illuminano la notte in uno spettacolo pirotecnico inaspettato, mentre festeggiamo il nuovo anno (alle 20, 30, mica a mezzanotte…) e, veloci, sfuggiamo al gelo rifugiandoci nelle tende.
1 gennaio 2009. Per l’ennesima volta il primo giorno del nuovo anno lo passo pestando dune con le mie ruote…Oggi scendiamo a sud est, verso il lago di Gabraoun. Ancora dune alte e passaggi niente male…Scendiamo a Gabraoun per un tracciato inusuale, tagliando quasi in linea retta. Mabrouk ci vede baldi e si lascia andare a itinerari un po’ funambolici ma splendidi. Noi seguiamo e godiamo.
Raggiungiamo il “mio” lago poco prima di mezzogiorno. C’è una folla enorme di turisti, una cinquantina di auto nel parcheggio, land cruiser che vanno e vengono intorno al lago, ristorantini e bar che lavorano a pieno regime. Le dune tutto intorno sono sfregiate da miliardi di tracce di auto e moto tanto che non c’è un millimetro di sabbia che non sia stata violata. Il tempo di un tè e scendiamo a sud, a pranzare sulla cresta della duna che sovrasta il lago di Mafou, decisamente piu’ tranquillo e meno fagocitato dalle orde di umani. Via, di nuovo in pista. Scendiamo ancora a sud, a superare il cordone occidentale fino alla discesa ripidissima che porta a Oum El Mha, ma ormai siamo di casa qui… Altra sosta sulle sponde di questo lago meraviglioso, anch’esso ahimè gremito di turisti provenienti da sud, dal vicino oued Ajal. Facile discesa verso Mandara, un tempo il piu’ famoso lago della Ramla Daouada, oggi completamente e definitivamente disseccato, una conca argillosa senza vita. Ancora un carosello di dune, ma qui di creste vergini è impossibile trovarne: il numero di land cruiser di viaggi organizzati che incrociamo è impressionante…Infine ecco Tekerkiba, con la solita uscita repentina dalle dune di fronte al Campo dell’Africa Tours…Rigonfiamo le gomme e andiamo ad aprire il campo a Germa,all’Irawan Camp dove approfittiamo di un buon fabbro per saldare i duomi anteriori dell’”80” del mio amico Marco, strappati in mattinata. Cena a base di riso pollo e patate e, finalmente, niente vento. Unica nota dolente l’assoluta assenza di nafta in tutto il Chati, e siamo praticamente tutti in riserva…Noleggiamo un taxi e lo spediamo verso Murzuq, a comprare un paio di fusti da 200 litri per permetterci di partire l’indomani… 2 gennaio. Diviso fraternamente il gasolio partiamo verso sud est. Niente gasolio nemmeno a Maknousa. Lo troviamo poco prima di Murzuq e, con un sospiro di sollievo, possiamo fare il pieno completo: 250 litri a vettura. Carichiamo anche un fusto da 150 litri sul pick up di Mabrouk, nell’eventualità che, tra 5 giorni, non trovassimo gasolio a Serdeles… Rifornimento di frutta e verdure a Murzuq e pranzo nelle prime sabbie a sud ovest dell’oasi. E finalmente entriamo nell’edeyen. TRAVERSATA DELL’EDEYEN MURZUQ Dune semplici, senza pendenze preoccupanti in questo pomeriggio senza vento. Apriamo il campo a 50 km dalla città, in mezzo ad un circolo di dune color ocra. Piccole riparazioni serali: io sostituisco la pompa di travaso di uno dei miei serbatoi ed Everybari rappezza gli sfiati dei suoi serbatoi ausiliari che, perdendo, hanno reso la sua land cruiser una crosta di gasolio e sabbia… Sera calda, con 17 gradi e non un filo di vento. Stendiamo le mappe a terra, intorno al fuoco e cerchiamo di individuare grosso modo il centro dell’edeyen di Murzuq… Ci accordiamo prendendo come centro geografico dell’erg l’incrocio tra il parallelo 27 Nord ed il meridiano 13 Est…Domani faremo rotta verso quel punto…Inch Allah.
3 gennaio e 4 gennaio – Oggi è dura. Sgonfiamo fino a 1.2 dietro: sgonfiare ulteriormente con il carico che abbiamo sarebbe poco sensato. Le dune si fanno via via piu’ alte ma gli ampi spazi degli antichi laghi lasciano respiro tra un cordone e l’altro. Stamattina Mabrouk sta dietro a chiudere il gruppo e, a turno, facciamo strada noi, tra i cordoni. Il cielo non è limpido e la sabbia sembra tutta uguale, trovare la via nelle dune vergini è impegnativo. Abbiamo come direzione il “centro” fissato ieri sera e verso quel punto ci muoviamo, a turno conducendo in testa, tra serpentine, creste affilate e catini di odioso fech fech così scuro che assomiglia al black cotton del Botswana… I fondi lacustri che attraversiamo sono dei paleosuoli incredibili. Ogni pochi passi ci si imbatte in resti delle antiche popolazioni che qui vivevano quando l’Edeyen era una conca di laghi e foreste, tra 4000 e 7000 anni fa…Si passeggia tra selci finemente lavorate, pestelli, frantoi, frammenti di lavorazione…Un museo a cielo aperto. Da goderne con gli occhi e lo spirito, senza nulla asportare.
Continuiamo a tagliare verso sud ovest. Facciamo campo a 27.00 Nord e 13.00 Est…Siamo nel centro. Anche il giorno successivo si superano cordoni imponenti, con l’altimetro del GPS che balza dai 500 metri s.L.M delle pianure lacustri ai piu’ di 900 metri delle creste più alte. Ma continua ad essere una traversata tecnicamente semplice, se si eccettuano alcuni passaggi al limite del rischio per la forte pendenza laterale.
Raggiungiamo i torrioni di arenaria di Anai la mattina del 5 gennaio. Breve sosta sul culmine del valico e veloce traversata della terra di nessuno tra Algeria e Niger, fermandoci solo al posto di controllo libico, per evitare incresciosi incontri con la gendarmeria algerina qui sempre vigile e pronta ad accusare i passanti di illeciti sconfinamenti. Siamo fuori dell’edeyen…
Pranziamo tra le belle dune del Ouan Kasa, a pochissima distanza dal confine, proprio di fronte al passo di Tilemsine, sui Messak, per poi inoltrarci, nel pomeriggio, tra le guglie dell’Akakus. Andiamo a fare un “saluto” all’arco di Inn Afozzigiar ed apriamo il campo su un altopiano sabbioso che domina le vallate, con un panorama mozzafiato.
6 gennaio- Saliamo verso Nord, sempre in Akakus, lentamente, gustandoci con calma il paesaggio.
Qualche breve sosta a lasciare indumenti e giocattoli ai nomadi pastori che abitano questo deserto e saliamo ad Awiss e Teshuinat. I campi fissi sono stati smantellati e trasferiti fuori del parco, ad est del “Dito”, che raggiungiamo nel pomeriggio. Pista veloce verso nord ed infine l’asfalto a Serdeles, dove, contro ogni aspettativa troviamo gasolio e facciamo il pieno ai ventri ormai vuoti dei nostri Toyota, che in questi cinque giorni di traversata hanno ingurgitato la bellezza di 250 litri di carburante. Ci accampiamo nel Turist Camp di Al Fawl, in città, dove ci concediamo, oltre alla rigenerante doccia, una cena al ristorante, ovviamente con il solito pollo con patate che va tanto bene, ed una buona chorba calda. Notte disturbata dall’arrivo, dopo la mezzanotte, di un gruppo di italiani poco rispettosi del sonno altrui, caldamente invitati ad andare a visitare luoghi piu’ ameni dal sottoscritto incazzato nero per il vociare, lo starnazzare e. Dulcis in fundo, da un antifurto con tromba da stadio messo in funzione come ciliegina sulla torta. Sottoscritto sostenuto dall’amico Marco, sfoderante il suo miglior dialetto calabrese per l’occasione ( e li conoscevo pure questi qua!). Ma niente è: domani si riparte, e se Dio vuole sarà di nuovo Deserto e silenzio… 7 gennaio- Riprendiamo l’asfalto in direzione di Ghat per lasciarlo dopo pochi chilometri, inoltrandoci nella bella pista sabbiosa che conduce all’Erg Titersine. Le dune dorate dell’erg si stagliano nette all’orizzonte con i loro profili sinuosi: dal punto di vista coreografico il Titersine è sicuramente tra i catini sabbiosi più belli del Nord Africa. Lo raggiungiamo verso metà mattina e costeggiamo i suoi primi contrafforti aggirandolo da Nord, sfruttando le prime delicate dune per evitare la pista di fondo pesante che scorre nell’hamadat circostante. Bassi rilievi, ad ovest delle dune, ci fanno comprendere di essere vicini alla meta. Ad una manciata di chilometri dal confine algerino troviamo il posto di controllo di polizia; veloce registrazione del passaggio e, quasi improvvisamente, entriamo in un mondo da fiaba… La pista insabbiata entra all’interno di un dedalo di muraglioni di arenaria, sembrano fortezze ciclopiche, un labirinto tra massi disordinati scuriti dal sole estivo e spaccati dal gelo delle notti invernali. La sabbia si fa più pesante e si sale, si sale dapprima impercettibilmente poi sempre più marcatamente. I motori annaspano e buttiamo un po’ giù la pressione delle gomme, che il fondo è buono anche a basse atmosfere…I muraglioni iniziano a tramutarsi in scogli, poi gli scogli in torrioni, i torrioni in pinnacoli finchè ci troviamo a vagare in un labirinto di vere e proprie dita di pietra, una foresta di colonne d’arenaria che sembrano sorgere dal mare di sabbia candida: Maghidet.
Girovaghiamo tutto il mattino tra i cunicoli e le falesie, rapiti dallo spettacolo. Alziamo il campo a mezzogiorno e dedichiamo l’intero pomeriggio alle passeggiate a piedi, alla scoperta di scorci incantevoli. Dall’alto dei torrioni più elevati si può intuire l’insieme del labirinto, immenso, che prosegue oltre confine nei Tassili D’Ajer…La sera è illuminata da una luna immensa, talmente accesa che si può camminare come in pieno giorno. Non c’è vento, non ci sono turisti urlanti, non c’è nessuno, a parte qualche timido fennek ed i mufloni, le cui tracce scorgiamo praticamente ovunque.
TRAVERSATA DELL’ERG DI UBARI 8 gennaio. Lasciamo a malincuore questo deserto incantato per ritornare verso il Titersine. Tagliamo per dune il suo lembo settentrionale e giungiamo in prima mattinata nuovamente a Serdeles; mappe alla mano abbiamo infatti deciso di non percorrere la pista verso Tin Kartene, che tanto l’Hamadat lungo il confine di In Azaoua è interdetta, per goderci la conca di Ubari nella sua porzione più sabbiosa, decisamente più ad est. Quindi, tornati a Serdeles, ci sorbiremo i 250 km di asfalto fino all’oasi di Ubari per poi, però, attraversare quasi completamente in dune la conca dell’Erg passando dai cordoni di Touil, praticamente nel centro dell’idhan. Giorno di trasferimento, quindi, dedicato al rifornimento, agli acquisti , ad un po’ di sano “svaccamento”…Oltre Serdeles non troviamo di nuovo gasolio e ci vediamo costretti a fare rabbocco con cio’ che rimane del nostro baldo fusto acquistato a Murzuq giorni fa, dividendo fraternamente. Nel tardo pomeriggio, lasciata l’oasi di Ubari, usciamo a nord ed è subito sabbia. Belle spianate appena corrugate da cordoni a dorso di balena, splendidamente allungati. Ci fermiamo ad una quindicina di km dall’abitato, in una conca di basse barcane, per fare campo. All’orizzonte le fiamme degli sfiati dei pozzi petroliferi già incendiano il cielo e la sera si preannuncia stranamente calda, tanto che, col buio, siamo ancora tutti belli smanicati, in ciabatte e maglietta…Il cielo offre una stellata incomparabile ed il tepore fuori programma ci invita a “fare tardi” fino alle 21,30 passate… Alle due del mattino siamo svegliati dai tuoni e dalla pioggia battente. Lampi multicolori illuminano il cielo dalla parte dei Messak, il cui profilo nero si staglia nei bagliori vividi dei fulmini. Poi arriva un ruggito, lontano, da Nord, un sospiro tremendo che sembra uscire dal ventre della terra…Ed il vento arriva di colpo, con la potenza di un maglio schiaccia le tende igloo al suolo e scuote la mia Aircamping come fosse una foglia appesa ad un ramo nella tormenta. Pioggia e sabbia investono i teli con un fragore assordante e l’auto tutta balla come se una mano gigantesca l’avesse afferrata e giocasse a farla rimbalzare sulle molle. Scendo dal mio rifugio a due metri da terra e la pioggia mi percuote gelida, mentre il vento di sabbia mi acceca. Il campo è devastato, tavoli e sedie rotolano ovunque, sacchi, borse, scarpe ed ogni altro genere di cose si rincorrono nella piccola pianura tra le dune. I miei amici Marco ed Ernesto, che per l’invitante caldo della sera precedente avevano deciso di dormire all’addiaccio senza tenda, stanno tentando di trattenere al suolo la grande tenda che usiamo come ristorante, ma è un’impresa titanica. Tiriamo funi a destra ed a manca, piantiamo picchetti e raccattiamo roccioni per tenere fermi i teli svolazzanti; Ernesto, con la pala, spiana mezza duna per fare uno zoccolo che tenga giu’ le falde impazzite…La pioggia va e viene, ciclica, a fare compagnia alla bufera che invece non cessa e ci terrà compagnia fino all’alba… 9 gennaio- Al salire del sole il vento cessa, lasciando il cielo giallo di sabbia in sospensione. Sui Messak l’orizzonte è colore del piombo e nuvole violacee incorniciano la falesia. Verso Nord il panorama non è migliore, le dune sembrano grigie, senza colore…Partiamo, stanchi ed assonnati, in direzione di Timenokalin. La Land Cruiser di EveryBari resta subito indietro e rallentiamo…Continua a restare indietro. Chiamiamo per radio ma niente. Fermiamo. Lampeggia.
Lo aspettiamo finchè ci raggiunge: siamo a 4 chilometri dal campo di ieri sera. La frizione slitta, pare. Accidenti, siamo praticamente in pianura! Proviamo. L’odore di ferodo bruciato è inconfondibile:il disco è andato. Inizia bene la giornata. E pensare che su, a casa, ho disco e spingidisco di ricambio…Facciamo il punto della situazione: attraversare Ubari con la frizione andata è impossibile. E siamo ad appena una quindicina di km dall’asfalto del ouadi Ajal, da dove, in un giorno e mezzo, è possibile risalire fino a Tripoli su asfalto senza problemi anche per una frizione in queste condizioni. Smembriamo il gruppo momentaneamente: la land cruiser di EveryBari, con la compagnia del nostro poliziotto di scorta, ritornerà indietro sino all’asfalto e proseguirà alla volta della costa su asfalto, dove provvederà alla riparazione dell’accrocchio, mentre noi continueremo sull’itinerario stabilito; appuntamento a Zwara fra 4 giorni.
Lasciamo uscire la Toyota ammalata dal nostro orizzonte prima di riprendere il cammino verso Nord est, verso le grandi ghurds di Timenokalin. Oltre la fascia di deserto dei pozzi petroliferi le dune iniziano a farsi importanti, sino a divenire imponenti. La grande vallata di Timenokalin, caratterizzata dalle due immense piramidi di sabbia cremisi poste ad oriente di un circo di dune minori, ci accoglie verso mezzogiorno. Poco piu’ a nord, sulla pianura, la grande scritta di ciottoli “Timenokalin”, ci apre la strada verso il veloce serir dell’hamadat Zegher, alla cui estremità troviamo i resti dell’aeroporto italiano degli anni trenta. SI vola ai 100 all’ora sui sassi stondati dalle tempeste fino a raggiungere il letto arido degli antichi fiumi che qui scaricavano millenni or sono. Al di là di queste ferite della terra ricomincia il terremoto di dune, con le creste affilate sfilacciate dal vento che di nuovo soffia insistente…Apriamo il campo cercando riparo alle pendici di una montagna colossale di sabbia rosa, dove , quasi per miracolo, il vento non sembra esistere.
E pensare che appena metti il naso oltre la prima cresta un sibilo rabbioso ti riempie gli occhi di sabbia! Bene, meglio così…Serata tranquilla, con tanto di sfida a Petanque tra me ed il mio amico Moussa (che vince), che ci prende gusto e sfida tutti (continuando a vincere) fino a sera inoltrata… Notizie di EveryBari arrivano su un satellitare: Roberto e Vittoria sono già a Mizda e domani saranno a Tripoli, in cerca del ricambio. Inch Allah.
10 gennaio- raggiungiamo uno scavo petrolifero abbandonato nelle prime ore del mattino, per poi, dopo una serie di cordoni assolutamente spettacolari, raggiungere il pozzo di Touil, nel cuore più profondo dell’Ubari. Il vecchio generatore è sempre lì, protetto da un’accozzaglia di lamiere tenute insieme con il fil di ferro…Lo usano i nomadi in primavera, per prelevare acqua dal pozzo ed abbeverare le immense mandrie di dromedari che vengono nella pianura in quel periodo… Curiosiamo tra i rottami e via, di nuovo in volo sulla sabbia verso nord. Perdo il conto dei cordoni superati . Facciamo di nuovo strada noi, con Mabrouk e Moussa dietro, con il GPS puntato su Hassi En Nahia, termine delle dune. Usciti dalle grandi ghurds pare di essere ormai nella pianura ma non è così: ancora una decina di cordoni di micro-dune caotiche di fa sudare non poco, dune disordinate e prive di passaggi un po’ stile Erg Orientale tunisino, avete presente? Infine Nahia, con le sue distese di coloquintidi che donano una nota di colore in questo mondo minerale. Ci rinfreschiamo con l’acqua gelida del pozzo e rigonfiamo le nostre ruote, mentre il buon Moussa fa scorta di meloncini per la sfida a bocce serale… Usciamo dalle sabbie e la pianura dell’hammada ci inghiotte, un mondo grigio di pietre spappolate dal sole e dal gelo, una piana interrotta soltanto dalla lieve increspatura di qualche torrente effimero, disseccato dal calore implacabile del deserto.
Facciamo campo sotto una bassa falesia, poco distanti da un boschetto di acacie. La sera nomadi e dromedari ci fanno visita mentre il vento, se Dio vuole, questa sera ci lascia in pace… EveryBari e Vittoria, intanto, hanno riparato la frizione (originale Toyota a dinari 170!) e domani si faranno un giro per la capitale…Al Humdulillah 11 gennaio- Pista. Ci siamo fatti una bella indigestione di dune, già. Ma l’hammada dobbiamo attraversarla, ahimè ci tocca. Prendiamo e lasciamo una, cento, mille piste diverse alla ricerca della via migliore, meno dura, meno spigolosa. Facciamo lunghissimi tratti al di fuori di ogni traccia, sui ciottoli levigati, andando semplicemente a nord in direzione del punto di Derj; quando troviamo una pista la seguiamo per un po’ per poi nuovamente lanciarci in fuori tracciato sulla pianura infinita.
Numerosi piccolissimi accampamenti di nomadi interrompono la monotonia di questo tracciato.
Scoviamo un bacino di raccolta fossile, dove riposano diversi tronchi di euforbiacee pietrificati . Alcuni sono splendidamente conservati, tra cui un esemplare lungo una decina di metri. Tutt’intorno il terreno è disseminato di scaglie lignee silicizzate, splendide. Anche queste guardare ma lasciare dove si trovano, please. Incappiamo, verso mezzogiorno, in una pista dei petrolieri, splendidamente battuta dalle livellatrici, di cui approfittiamo. Il vento si è risvegliato e ci viene a fare un saluto, tanto che, per pranzare, dobbiamo cercare rifugio in un campo di tamerici nane per tentare di accendere un fuoco piccolo così.
Continuiamo sulla pista del petrolio sino a Derj, dove, impolverati piu’ che mai, ci ritroviamo con lo stesso problema che ci assilla da tutto il viaggio: niente gasolio! Ok, ne abbiamo ancora un po’, fino a Nalut arriveremo, inch Allah. Pausa comunque nell’oasi, un buon (!!) caffè, due ciance con un gruppo di motociclisti multinazione che arrivano da un mega tour Turchia-Giordania-Egitto-Libia o cose del genere e ripartiamo, con il vento che sta diventando sempre più violento… Saliamo veloci su asfalto verso nord ma il vento è così violento che una nebbia di sabbia impedisce la visuale. Facciamo campo inoltrandoci tra i bassi rilievi a bordo strada, in una conca dove speriamo di trovare un po’ riparo, ma invano. Facciamo barriera con le auto e la grande tenda comunitaria ci permette di cenare nonostante la bufera, grazieall’ancoraggio di pietroni che nemmeno una tempesta potrebbe smuovere. RISALITA AL NORD 12 gennaio. Siamo praticamente in riserva e anche a Nalut non c’è gasolio! Scendiamo dal Jebel abbastanza preoccupati ma, per fortuna, troviamo carburante quando oramai non ci speravamo davvero più. Nel frattempo il pick up di Mabrouk fa le bizze. Smontiamo il carburatore per verificare che il galleggiante è talmente usurato che non ritorna piu’. Lo aggiustiamo all’africana nella pausa per il pranzo e ripartiamo, per raggiungere Zwara nel primo pomeriggio. Ritroviamo EveryBari e Vittoria al “Delfino Blu”, l’Hotel alla periferia ovest della cittadina. Doccia rivitalizzante e, io e Mabrouk, ricerca di un ricambista toyota per trovare un galleggiante nuovo ( e poi , invece, facciamo che acquistare l’intero carburatore, che quello suo non ce la faceva più!).
Cena in un ristorante Turco a base di kebab e polli allo spiedo con fiumi di CocaCola e notte con i soliti cadaveri rattrappiti di scarafaggi mummificati.
13gennaio- Ras El Jedir: siamo in frontiera alle 8,30 del mattino, dopo aver rimpinzato i nostri serbatoi fino all’orlo ( 10 cent di euro al litro). Formalità veloci. Salutiamo Moussa e Mabrouk, che , inch Allah, rivedrò presto, e siamo alla frontiera tunisina. Anche qui formalità di ingresso a tempo di record, tanto che, per colazione ( in Tunisia spostiamo le lancette nuovamente indietro di un’ora…) ci fermiamo al primo paese per una succulenta frittata ed insalata di pomodori! EveryBari e Vittoria, con la loro frizione nuova di pacca, ci salutano, proseguendo verso Kairouan; il resto del gruppo prosegue invece su Djerba, dove andiamo a trovare una nipote del nostro buon Ernesto…Risultato: siamo ospiti in un mega hotel a cinque stelle a prezzi stracciati.
Pranzo in ristorantino di Hum Souk e pomeriggio a bighellonare per le vie della cittadina ormai priva di turisti. 14 gennaio- C’è il tempo per andare a salutare un altro amico. Prendiamo la strada per Matmata e per l’ora di pranzo siamo a Douz. Andiamo a trovare il nostro vecchio amico Hedi, che ci mette al corrente delle novità tra un tè ed una passeggiata. Ceniamo insieme al mitico ristorante “La rose”, dietro la piazza che già si sta preparando al mercato di domattina, in un tripudio di carretti e carrettini. Per la notte, visti i prezzi davvero esosi di tutti gli alberghi medi, optiamo per un camping nuovo, sulla strada per Matmata. L’umidità è talmente elevata ( piove) che preferiamo dormire in una camerata comune, tutti insieme ( ci siamo solo noi), per pochi spiccioli. 15 gennaio – Ritorniamo a nord, verso Tunisi. Prendiamo la strada che taglia il Gharsa, quella che un tempo era una splendida pista ed ora è un nastro asfaltato velocissimo. Tagliamo fuori Gafsa (altra tangenziale nuova…) ed in breve raggiungiamo l’autostrada all’altezza di Sfax. La salita fino al promontorio di Cap Bon è veloce; ci fermiamo al Camping-Hotel Les Jasmine, nostra tappa da sempre al ritorno da Libia e Algeria. Passeggiata per le vie di Nabeul e cena pantagruelica di fine viaggio al solito Chez Achour, ad Hammamet.
16 gennaio- Tunisi. C’è il tempo di un trasferimento tranquillo fino a La Goulette. Fatto il pieno ai toyota facciamo uno spuntino sulla spiaggia di fronte al porto (anche qui grandi lavori, con una bretella sopraelevata che unisce il porto all’autostrada, oggi però ancora non percorribile…). All’imbarco tutto fila che è una meraviglia: i controlli di dogana sono velocissimi e l’imbarco dei mezzi ancora più veloce. La nave è praticamente vuota…Incontro Claudio, con il suo gruppo che ritorna dal Gilf El Kebir egiziano: mi riporta del bruttissimo incidente vissuto dal buon Ras Kebir, finito ancora bene pur nella gravità dell’accaduto.
Mare spettacolare, calmo come l’olio. La traversata da Tunisi a Genova scorre quasi di botto, inaspettatamente. 17 gennaio – Un cielo plumbeo di pioggia ci accoglie a Genova. Scendiamo dalla nave in meno di dieci minuti e siamo fuori. Ci salutiamo, con gli amici del viaggio, all’imbocco dell’autostrada.
L’emozione è forte, come sempre nel distacco. Ma ritorneremo, già lo sappiamo.
La neve abbondante mi accompagna fino a casa. E già penso a ritornare ed ad un’altra Africa, di diverse ed immense emozioni,cucita nel profondo della mia anima, che so che mi aspetta e tra un po’ rivivrò.
L’ITINERARIO IN SPECIFICO Quando, intorno a luglio, pianificai questo viaggio ero indeciso tra Algeria e, appunto, Libia.
I contatti frequenti con il mio amico Mabrouk ed altri vincoli, piu’ che altro di tempi relativamente ristretti per quanto avevo in animo di fare in Algeria, mi hanno fatto propendere per questo viaggio appena raccontato. In origine esso avrebbe dovuto avvenire in senso contrario, attraversando il Murzuq a “svafore”, ovvero affrontando la traversata contrariamente alla disposizione dei cordoni. I sopraccitati limiti di tempo (la traversata Est-Ovest richiede il doppio dei giorni per l’elevata difficoltà nella ricerca della via) mi hanno condotto a compiere il tutto in senso orario.
Fermo restando l’obbiettivo primario che era in ogni caso la traversata di Murzuq passando per il suo centro geografico rimaneva da mettere in piedi un “contorno” che avesse senso ed interesse, partendo dal presupposto che, negli ultimi 12 anni , ho già attraversato la conca di Ubari in tutte le direzioni, ovvero da Gadames a Ghat, da Gadames a Serdeles, da Derj a Edri, da Ubari a Gadames. Idem per la traversata di Zellaf, già effettuata infinite volte da Brak, da Edri, da Bergen, da Marouga…Analizzando il terreno sulle mappe restavano due sole alternative interessanti e, a questo punto, non ripetitive: la regione del Titersine con particolare attenzione a Ouadi Maghidet e la traversata in dune alte passante per il pozzo di Bir Touil, evitando il piu’ possibile l’area , pur interessante ma poco estesa, di Tin Kartene, nell’est della parte sabbiosa della conca. Mappe alla mano, quindi, su queste direttrici ho imbastito il mio itinerario, sviluppandolo a tavolino con largo anticipo anche con l’ausilio dell’esperienza diretta in loco vissuta in passato.
LE TRAVERSATE TRAVERSATA BRAK –TAKERKIBA .
Traversata che puo’ dimostrarsi di medio bassa difficoltà o estremamente tecnica a seconda del tracciato prescelto. La regione sabbiosa immediatamente a sud est di Brak è caratterizzata da grandi spianate intervallate da bassi cordoni di facile superamento. Cespugli e tamerici sono ancora piuttosto presenti, grazie alle vicine falde del Chati. Proseguendo in direzione del lago di Tademka le dune si fanno piu’ complesse e le traiettorie divengono impegnative. Il percorso da noi intrapreso è per equipaggi esperti con buone nozioni di guida in sabbia profonda. Si tenga presente che tra Tademka ed il lago maggiore di Oum El Hassane il percorso diretto è tra i piu’ complessi della regione, con verticalità impressionanti. La sabbia è piuttosto buona salvo catini di fech fech alle alte quote dei cordoni, causati da riporti eolici. Particolare attenzione deve essere posta nella lunghissima discesa al lago (lo si raggiunge dai crinali che lo sovrastano a est) con alcuni cambiamenti di direzione obbligati. Tra Oum El Hassane e Gabraoun le difficoltà sono simili, a meno che si decida di compiere una lunga discesa verso sud per poi risalire a Gabraoun da sud, lungo il vallone immediatamente ad occidente di quello che ospita il lago. Sia che si opti per una traversata diretta in direzione sud est sia che si preferisca la piu’ facile via lungo il gassi occorre in ogni caso superare il cordone ad occidente del lago. Una scalata diretta è possibile con il rischio però di trovare le ultime creste sommitali rese troppo aguzze in caso di venti forti. Con attenzione ( e molta calma) si puo’ comunque ovviare con un lungo diagonale per trovare, a sud o a nord, un colle percorribile.
Oltre la cresta la discesa all’oasi , chiaramente visibile, non presenta difficoltà alcuna.
Per raggiungere Mafou basta proseguire lungo il gassi di Gabraoun in direzione sud. Attenzione , smanettoni: anche se zeppa di impronte e tracce la grande dune dominante Mafou da Est ha una pendenza ingannevole e non è assolutamente facile salirci. Ho visto decine di baldi smanettoni arrancare fino a piantarsi, a muso in su’, a poche decine di metri dal lago. Quindi, se proprio volete ammirare lo specchio d’acqua dall’alto, andateci a piedi che fa pure bene alla salute e non deturpa inutilmente la grande duna. A monito lì giace la carcassa di un HJ60, evidentemente poco fortunata.
La discesa verso Oum El Mha offre due opportunità: o affrontare a perpendicolo il cordone ad ovest di Mafou per raggiungere il lago da nord, o proseguire lungo il vallone e raggiungerlo poi da sud, aggirando il piede del cordone di cui sopra. Nessuna difficoltà estrema,fermo restando l’attenzione nelle discese ripide. Tra Oum El Mha e Mandara si viaggia in una pianura ahimè deturpata da milioni di tracce. Lo stesso tra Mandara e Takerkiba, anche se in quest’ultimo tratto è possibile evitare le tracce ed i relativi turisti tenendosi leggermente a ovest del tracciato principale. In ogni caso ATTENZIONE ai veicoli provenienti in senso contrario (numerosi); usate il clacson senza remore!. L’uscita a Takerkiba è repentina, ed oltre l’ultimo piccolo sif si piomba direttamente sul piazzale del Campo dell’Africa Tours. Il percorso da noi seguito è stato di 215 chilometri da asfalto ad asfalto. Personalmente ho consumato 90 litri di carburante, utilizzando sempre le marce lunghe e MAI le ridotte, se non per trarmi d’impaccio in caso di lievi insabbiamenti.
Pneumatici a 1.1 all’anteriore ed 1.4 al posteriore. Alcuni tratti a buona velocità (oltre 70 km \ora, nelle spianate a sud di Brak.).
TRAVERSATA EDEYEN MURZUQ Passare nel centro: questo era l’obbiettivo.
Vi sono tre diverse possibilità di traversata di questa splendida conca desertica. Infatti la composizione delle catene dunarie varia da Nord a Sud; nella fascia settentrionale della conca i massicci sono molto ravvicinati , la sabbia decisamente soffice e di colore rosso intenso, quasi cremisi. Via via che si scende verso sud i gassi si ampliano, i massicci divengono distanziati ed i passaggi per superarli, naturalmente, si semplificano. La parte piu’ meridionale dell’Edeyen inoltre è costituita da un’immensa pianura sabbiosa appena increspata da dune a dorso di balena, facilmente percorribile anche a sole due ruote motrici. Quindi, tagliando da Murzuq oasi in direzione marcatamente Sud- sud est per poi piegare decisamente ad ovest all’estremo sud della conca, è possibile compiere l’intera traversata ( con un tracciato piu’ o meno “ad L” ) Murzuq-Anai in un giorno solo di facile itinerario. La traversata piu’ complessa dal punto di vista tecnico sta a cavallo del parallelo 25, in special modo a nord di quest’ultimo con uscita sul colle di Tilemsine.
La piu’ lunga, pur restando in dune alte, ma con cordoni piu’ spaziati, è quella da noi intrapresa, passante per quello che , a nostro parere, è il centro geografico dell’EDEYEN.
Le sabbie, da Murzuq verso Anai, passano dal bianco pallido al rosso piu’ intenso attraverso tutta una scala di gradazioni via via piu’ scure scendendo verso sud est. I numerosi bacini lacustri fossili, come dicevo nel racconto, danno ampio respiro e rendono le difficoltà di superamento dei cordoni meno pesanti, avendo ciascuno tempo di ritrovare calma e smaltire adrenalina, a differenza di quanto invece avviene in Ramla Zellaf, in cui si è SEMPRE sotto pressione.
Il fondo dei laghi è quasi sempre caratterizzato da fech fech quindi è buona cosa viaggiare sui bordi di queste grandi spianate, al piede delle dune circostanti. Alcuni passaggi sono effettivamente delicati ed impongono una seria attenzione, specialmente in riferimento al fatto che, effettuando questa traversata, si è del tutto privi di qualsiasi possibilità di recupero del mezzo in caso di panne, a meno che non viaggiate con un Unimog al seguito. Ma, ripeto, dal punto di vista tecnico non è una traversata di elevatissima difficoltà. Certo, le pendenze sono importanti e salite e discese sono lunghissime, quasi eterne. Ma i passaggi per raggiungerle sono meno complessi di quanto ci si possa aspettare analizzando i grandi cordoni dalla base. La massima elevazione da noi raggiunta, quasi in centro all’Erg, è stata di 940 metri sul livello del mare, a fronte di un’altitudine nella conca lacustre ai piedi del massiccio di poco piu’ di 500 metri; un bel salto.
L’uscita su Anai è spettacolare dal punto di vista paesaggistico, specialmente se si sopraggiunge alla fenditura del Messak da nord, con un giro ampio. Si passa dalle dune al classico connubio roccia –sabbia tipico del vicino Tadrart algerino. La vista sulla gola di Anai, dall’alto, è superba.
Scendendo nel vallone raccomando di tenersi sempre a DESTRA (nord), per evitare problemi con la gendarmeria algerina, sempre presente e molto attenta agli episodi di sconfinamento (presunto o no). E’ consigliabile NON fermarsi a scattare fotografie, passeggiare e null’altro del genere in tutta l’area, dal fondo del valico fin oltre il posto di controllo della gendarmeria libica, qualche km a nord di Anai.
Fate questa parte di percorso a velocità sostenuta e qualora le pattuglie algerine vi invitino a fermarvi ( non capita, ma potrebbe), andate avanti fino a raggiungere la base libica. Ma, ripeto, la cosa non capita se vi mantenete A NORD, percorrendo il valico e poi continuate costeggiando la falesia del Messak dritti a nord. Il posto di controllo libico è piu’ o meno all’altezza del colle di Tilemsine, una manciata di km piu’ a ovest, nella pianura.
TRAVERSATA IGUIDI OUAN KASA (trasferimento) Questo erg di una bellezza che toglie il respiro si srotola da nord a sud per una lunghezza di un centinaio di km e solamente una ventina di km di larghezza. Le sue dune corrono parallele ai massicci dei Messak, ad occidente degli stessi, formando una barriera di sabbia tra questi rilievi ed il massiccio montano del Tadrart Akakus, ad occidente.
I cordoni dell’Iguidi seguono un orientamento costante nord est-sud ovest, che ne rende l’attraversamento trasversale facilissimo. Praticamente, venendo da Est ,da qualsiasi valico dei Messak si giunga, Abahoa , Tilemsine od Anai, si trova sempre un facile corridoio per continuare verso oriente alla volta dell’Akakus. I massicci dunari sono comunque imponenti e le creste affilate. Ciò nonostante è preferibile, procedendo verso l’Akakus, viaggiare a mezza costa piuttosto che sul fondo dei valloni tra i cordoni, trovando a tali altezze sabbia più compatta che a volte non richiede nemmeno una diminuzione di pressione agli pneumatici. La lunga catena di dune del Ouan Kasa accompagna il viaggiatore per tutta la traversata dell’Akakus, stagliandosi sull’orizzonte orientale senza soluzione di continuità. I suoi gassi offrono, oltretutto, comodi e spettacolari angoli adatti al bivacco,senza allontanarsi troppo dal dedalo di canaloni del Tadrart. Il Ouan Kasa termina , a nord, a pochi chilometri dall’abitato di Serdeles, morendo in una serie di pianure argillose che contornano l’oasi dai suoi confini meridionali.
TADRART AKAKUS Conserva lo stesso incredibile fascino di sempre. Il Ministero per la tutela dell’Ambiente e delle ricchezze archeologiche ha installato, nel Parco dell’Akakus, dei pannelli metallici che indicano ai turisti i nomi dei siti principali e la collocazione delle pitture e dei petroglifi. La chiusura del Parco al traffico veicolare privato dal colle di Takarkori non ha risolto il problema dell’ingresso di grandi masse di turisti nell’area: infatti l’accesso da Serdeles e dal Ouan Kasa non è soggetto a vincoli di sorta. Dieci anni or sono solamente i gassi principali erano solcati da tracce di veicoli: oggi giorno tutti gli uidian d’Akakus sono come un’unica immensa autostrada, segnati dai solchi ormai indelebili dei pneumatici di centinaia di fuoristrada. Ciò nonostante, almeno nei giorni in cui ci siamo trovati a percorrere la rete di gole, non abbiamo incontrato altri che un mezzo di turisti francesi…Nessun altro da Anai sino all’abitato di Serdeles. Altra notizia importante è la rimozione dei campi tendati fissi ( compreso quello di Ta Fani in Awiss, campo storico in Akakus) dall’area del Parco. E’ stupefacente per chi, come me, era solito scollinare dal basso valico che conduce in Awiss trovandovi il cerchio ordinato di tende lussuose di Ta Fani, incontrare invece la pianura vergine con la splendida corolla di pinnacoli scevra da tale contaminazione.
Ancora presenti le povere Zeribe dei pastori del Kel Akakus, che qui vivono ormai stanziali. Alcuni gruppi familiari hanno preso l’abitudine di porsi ai bordi delle piste principali del parco e qui vendono latticini ( formaggi ed altro) di loro produzione ai viandanti. I doni ( vestiario in particolar modo) sono sempre graditi. Raccomando di NON acquistare i manufatti litici che i locali solitamente vendono ai turisti in questi luoghi: non acquistando non solo si tutela il patrimonio archeologico dell’area ma si scoraggia il saccheggio a fino di lucro dello stesso. Da notare poi che i siti rupestri maggiori sono ora protetti da balconate di canne; le basse recinzioni servono , anche se solo in parte, a tutelare le pitture ed i petroglifi dai turisti poco accorti, ad evitare, come spesso avvenne in passato , di ritrovarsi con dipinti preistorici deturpati da scritte e firme dei soliti idioti. OUADI MAGHIDET Il labirinto di arenaria di Amarath , ovvero Ouadi Maghidet, è uno dei piu’ spettacolari luoghi del Sud Ovest libico. La sua relativa vicinanza con la cittadina di Serdeles e con la città di Ghat non è stata sufficiente a rendere quest’area meta del turismo di massa, in quanto Maghidet è rimasto praticamente sconosciuto ai più sino a pochissimi anni or sono. Grazie a questo fatto il labirinto di rocce, guglie e faraglioni che lo contraddistingue si è preservato pressoché intatto sino ad oggi.
Poco più di tre ore di pista sabbiosa e dune di facile scavalcamento dividono Serdeles da questo luogo. Costeggiando il Titersine da nord ( o attraversandolo nel suo corno settentrionale), si fa rotta verso il posto di controllo di confine posto all’imbocco sud orientale del ouadi. Con gli opportuni permessi l’accesso è consentito e, davvero, si entra in un mondo fiabesco di pinnacoli dalle forme più stravaganti. Il fondo è sabbioso ma non planare come in Akakus, bensì accidentato e la guida impone una certa attenzione: l’insabbiamento è sempre in agguato a causa di salite repentine e curve a trabocchetto. Non c’è un percorso principale ma l’intero labirinto è quasi totalmente percorribile ad eccezione del letto del fiume disseccato, talmente chiuso da macigni di crollo che risulta essere irraggiungibile con mezzi a motore. Attenzione ai catini di dune senza uscita , numerosi intorno ai torrioni.
Dalla sommità del massiccio si gode di una vista superba sull’Erg Titersine ad Est e sul Tassili N’Ajer ad Ovest. Nelle giornate terse si riesce ad intravedere,a sud, oltre le colline di sabbia del Titersine, la cresta della falesia d’Akakus che sprofonda nelle dune dell’erg Tanezzouft; a nord la vista spazia sull’infinito mare di pinnacoli che degrada nella vasta hamadat che scivola senza soluzione di continuità verso l’area di Illizi in Algeria e verso i valloni di Tin Kartene in territorio libico. Come in Akakus anche qui, oramai, il fondo dei canaloni è un accavallarsi di tracce di automezzi. Abbiamo trovato i resti di un grosso campo italiano qui a Maghidet, penso di Tenerè 2000; a differenza dei campi disastrosi incontrati in Murzuq qui , e la cosa fa loro onore, non abbiamo trovato resti di spazzatura né le decorazioni cartacee solite che contraddistinguono l’esatta collocazione di provvisori gabinetti ( che invece abbiamo trovato profusamente nelle tracce dei campi italiani incontrate nell’edeyen…). Ouadi Maghidet merita una visita, anche solo di un giorno. Certo, sarebbe infinitamente preferibile dedicare a questo luogo più giorni, sicuramente in trekking, per poter apprezzare appieno gli angoli magici che quest’angolo di Libia offre.
TRAVERSATA DELL’ERG DI UBARI In questo viaggio abbiamo optato di attraversare la conca di Ubari direttamente dall’oasi omonima, nell’Ajal, dritto sull’oasi di Derj, a nord dell’Hammada El Homra. Detto percorso, oltre a far guadagnare tempo prezioso ( due giorni di pista in piu’ imboccando la via del deserto direttamente da Maghidet), consente di mantenersi in dune per la stragrande maggioranza del tracciato, evitando piste sassose e pianure noiose. La tratta, da noi scartata, da Ubari ad Edri e poi da Edri , via dune, verso Gazeil e quindi Derj è anche interessante. Passa a ovest della falesia di Awaynat Uenine, a toccare il pozzo Barth. Le dune tra Ubari ed Edri non sono complesse e così quelle tra Edri e Awaynat Uenine. Molti i bacini lacustri fossili che si incontrano in questo tracciato, tanto che per molti aspetti ricorda , in toni decisamente minori, gli ambienti tipici del Gilf Kebir.
L’itinerario da noi prescelto piega invece a nord ovest, verso lo splendido bacino di dune piramidali di Timenokalin, uno dei punti piu’ belli dell’intera conca. Oltre Timenokalin l’ampia pianura circolare di Zegher consente di “volare” verso nord bruciando chilometri in poco tempo, permettendo di rientrare in dune all’altezza di Touil. Questo pozzo è di grande importanza nel delicato equilibrio che regola la vita in questo deserto. Qui infatti si radunano i grandi branchi di dromedari dei pastori nomadi in primavera ed in autunno, a sfruttare il buon giacimento d’acqua che permea il sottosuolo a circa venti metri di profondità. Un generatore è protetto da una capanna di rottami, tenuto sempre in buone condizioni: è vitale il suo funzionamento per prelevare l’acqua nei quantitativi opportuni all’avvento delle grandi mandrie.
Oltre Touil le dune si fanno nuovamente impegnative, con bei passaggi anche tecnici, mai estremi.
Il paesaggio è ovviamente sempre mozzafiato. Hassi En Nahia si raggiunge direttamente dalle dune e rappresenta il limite nord delle parte sabbiosa di Ubari. Da questo pozzo si hanno due alternative: o tagliare a nord est verso Bir El Gazeil e risalire a Derj immettendosi nella porzione terminale della famosa Pista dei Francesi…O, come abbiamo preferito fare noi, andando fuori pista verso nord direttamente, cercando di incrociare la pista dei petrolieri che taglia l’hammada da sud est a nord ovest in direzione di Derj. L’intera traversata ha richiesto circa tre giorni ( due e mezzo per la precisione), con all’incirca 750 km di percorso. Di questi solamente 270 sono stati percorsi fuori delle dune , compresa la traversata di Zegher.
Durante l’intero percorso non abbiamo incontrato nessun mezzo di turisti né di locali, solo un paio di accampamenti di pastori nomadi a nord del pozzo di Nahia.