A spasso per L’Irlanda

Quando ormai mi stavo rassegnando all’idea di trascorrere il proseguo delle vacanze in Trentino alle falde degli amati monti Lepini, eccoti l’e-mail che non ti aspetti. Dopo aver aperto la mia sessione sul computer con disarmante abitudine che definirei da posto da lavoro, mi stavo preparando a cancellare la sfilza di e-mail indesiderate che...
Scritto da: nellomar
a spasso per l'irlanda
Partenza il: 23/08/2007
Ritorno il: 28/08/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Quando ormai mi stavo rassegnando all’idea di trascorrere il proseguo delle vacanze in Trentino alle falde degli amati monti Lepini, eccoti l’e-mail che non ti aspetti. Dopo aver aperto la mia sessione sul computer con disarmante abitudine che definirei da posto da lavoro, mi stavo preparando a cancellare la sfilza di e-mail indesiderate che tutti i giorni intasano la mia casella. Tra le poche cose da salvare dalla nefasta pila d’immondizia da destinare al cestino, c’era l’e-mail del buon vecchio Andrea. Mi allegava un link per un sito Last-Minute che però non sono mai riuscito ad aprire. Ma non importava, visto che il segnale fondamentale era che qualcosa si stava muovendo, un raggio di sole nel tetro presagio della tempesta. Mi propose l’Irlanda….. Viste le cifre esagerate proposteci dai vari tour operator, decidemmo che il fai da te sarebbe stata la soluzione migliore al fine di rientrare nel budget di 700 euro che ci eravamo prefissati in partenza. L’indomani mi misi subito alla ricerca del volo aereo, facendo notevole affidamento sulle tariffe più che vantaggiose dei voli low cost nella specifica fattezza di mamma Ryanair. Provai come prima cosa a cercare voli diretti Roma Ciampino-Dublino ma le tariffe proposte dal sito mi sembrarono subito esagerate. Non demordere Enrico mi dissi e continuai la ricerca cambiando letteralmente l’itinerario di viaggio: provai a cambiare costa d’atterraggio supponendo di invertire il piano di viaggio, ovvero da ovest verso est anziché il contrario. Digitai partenza Roma Ciampino con arrivo a Shannon (costa occidentale dell’Irlanda) in data giovedi 23 agosto. La soluzione mi sembrò interessante: 80 euro tasse incluse (volo FR9433) con decollo alle 17,05 ed arrivo in terra irlandese alle 19,25 ora locale. Me l’appuntai. Ora il ritorno mi dissi e digitai l’itinerario di volo con partenza il 29 agosto da Dublino con destinazione Roma Ciampino. La soluzione mostrata fu sorprendentemente spropositata: 208 euro tasse escluse. Andai nel panico non sapendo più cosa inventarmi. Mi toccava cambiare compagnia. Provai con l’Airlingus ma le soluzioni non migliorarono per niente. Ed ecco il colpo del campione, quel tacco geniale in grado di smarcare l’attaccante davanti al portiere avversario: proviamo a fare scalo a Londra … Trovai un volo da Dublino per Londra Stanted (FR208) a soli 27 euro tasse e bagaglio inclusi con partenza alle 11,15 dalla capitale irlandese ed arrivo in Inghilterra alle 12,30. Interessante, me lo appuntai. Proviamo ora Londra Stanted-Roma Ciampino pensai: TOMBOLA!!! Volo FR302 con partenza da Londra alle 17,15 ed arrivo a Roma Ciampino alle 20,40 alla modica cifra di 55 euro all inclused. Complessivamente il volo ci sarebbe costato circa 185 euro compresa l’assicurazione della Ryan Air. Caspita ragazzi… meno della metà di quanto sparato dalle varie agenzie che avevamo visitato e sicuramente inferiore al tariffario delle principali compagnie che percorrevano la tratta Italia-Irlanda. Tramite agenzia prenotammo gli hotel nelle città che avevamo disegnato nel nostro personalissimo piano di viaggio (spesa complessiva pro-capite 350 euro). Ora ci restava solo il noleggio dell’auto. In convenzione con la Ryanair trovai la Hertz che proponeva l’offerta “Fly and Drive” che ti permetteva di noleggiare un auto classe A, ovvero quella di categoria più economica, a soli 165 euro, a cui dovevamo aggiungere una quota per l’assicurazione casco che ci avrebbe coperto da qualsiasi inconveniente. Eccellente penserete, da acquistare al volo, ma fu proprio lì che iniziarono i nostri travagli. Tanto per cominciare nessuno di noi due possedeva una carta di credito e senza questo misero pezzettino di plastica all’estero non ti affittano neanche una bicicletta e ne sapevamo qualcosa noi…vedere viaggio a Valencia. Andrea mi rassicurò che la carta di credito se la sarebbe fatta lui (visto il mio eterno precariato da dottorando squattrinato) e così telefonai al numero verde della Hertz per chiedere maggiori informazioni. Quello che sembrava un piano semplice ed indolore, da concludere nel giro di 24 ore, si rivelò immediatamente improponibile. La Hertz permetteva di stipulare un’assicurazione casco solo alle persone con 30 anni compiuti. In teoria io avrei potuto stipulare il contratto, ma il mio amico no, essendo ancora un pivello in fasce. Bella cretinata questa. Mi decisi così, dopo svariati tentennamenti, a richiedere anch’io la carta di Credito alle Poste (per la serie sto ancora aspettando), mentre Andrea preferì ( e meno male che lo fece) aprire un altro conto con Banca Intesa e richiese direttamente lì la tanta agognata tesserina con i numeri in rilievo. Continuò così la ricerca dell’automobile. La Hertz era percorribile solo per il sottoscritto, mentre le altre compagnie erano accessibili anche al bellimbusto biondo. Contattammo in serie la Sixt e l’Avis, ma i preventivi offerteci, risultarono sempre e comunque meno vantaggiosi di quello proposto dalla Hertz. Partii così per il Trentino, con l’ossessione di trovare disperatamente una macchina che ci avrebbe permesso di visitare l’Irlanda come realmente meritava di essere vista. Con il senno di poi, visitare l’Irlanda senza macchina sarebbe risultato restrittivo e non ci avrebbe permesso di assaporare la cultura irlandese e la sua gente, oltre che gli straordinari paesaggi che rapiscono l’animo e ti lasciano un senso di libertà e di pace interiore che non ti abbandonano più. Appena tornato dal Trentino notai con forte disappunto come le Poste avevano mantenuto l’attesa, ovvero avevano definitivamente disilluso il sottoscritto ed annientato le minime speranze di usufruire dei privilegi della Hertz.; della mia Carta infatti… nessun segno. A ricaricare il mio entusiasmo ci pensò però il mio amico Andrea; la sua banca gli aveva assicurato che per l’indomani mattina (ovvero il giorno della partenza) sarebbe arrivata la sua Carta e così speranzosi ci rassegnammo definitivamente all’offerta Avis di 420 euro, comprensiva di assicurazione casco e doppia guida. L’indomani mattina feci l’ultimo disperato tentativo di rivalutare le Poste e mi recai nello sportello dell’agenzia di Carpineto….ma come risposta ricevetti un secco ed irritante rinvio a giudizio. Andrea mi telefonò e trionfante come una bambino a cui era stata appena comprato un gelato, mi rassicurò dell’avvenuta consegna della sua Carta da parte di Banca Intesa. Viaggio tutto sommato tranquillo ed arrivo in Irlanda con qualche minuto di anticipo. Prima di tutto dovevamo noleggiare la macchina; ci dirigemmo a testa bassa verso lo sportello Avis all’interno dell’aeroporto internazionale di Shannon, costatando come al bancone ci fossimo noi e un signore giapponese dietro le nostre spalle. La gran parte delle persone faceva la fila al bancone della Hertz che per motivi assurdi avevamo dovuto scartare, vedi ritardo matusalemmico delle poste nel rilascio delle carte di credito e vedi regolamento cretino della Hertz di non stipulare un’assicurazione casco ai minori di trent’anni. Sicuramente avremmo risparmiato, vista la convenzione della Hertz con la Ryanair, ma non potevamo farci niente e ci dovevamo accontentare di quello che passava il convento. Naturalmente fu il mio amico Andrea a discutere con la signorina al bancone (visto il mio inglese fatiscente, quasi inesistente) e per quel poco che riuscii a capire tra le mille parole sparate a razzo dall’addetta era che saremmo stati assicurati in tutto tranne che sulle gomme. In pratica se bucavamo, avremmo dovuto o provvedere noi al riparo del danno oppure corrispondere all’agenzia di riconsegna auto, la somma equivalente ed esageratamente maggiorata della foratura. Restammo interdetti, ma con il passar dei giorni avremmo capito come le strade irlandesi siano fatiscenti e la possibilità di squarciare una gomma non è poi così remota. Con nostra grande sorpresa ci accorgemmo che il prezzo proposto era leggermente inferiore a quello sparatoci in Italia. Avremmo dovuto pagare 371 euro anziché 420 come da preventivo. Avevamo beccato una promozione e così contenti dello sconto e dopo aver firmato entrambi le pratiche di noleggio della nostra mitica Micra Blu, ci recammo per la prima volta nella vacanza in un “Information Point” per richiedere cartine ed informazioni. Dopo un rapido controllo dei bozzi e delle ammaccature varie e dopo svariate foto su quelli che potevano sembrare graffi presunti e non segnalati sul contratto di noleggio, ci mettemmo in marcia. Primo a provare il brivido della guida a destra fui io. Il mio terrore era quello di trovare le marce esattamente speculari a quelle presenti sulle macchine con guida a sinistra e pedali invertiti. Fortunatamente nessuna delle mie paranoie si dimostrò vera. Le marce erano a sinistra, ma si inserivano esattamente come da noi e i pedali erano nella stessa formazione di gioco: acceleratore a destra, freno al centro e frizione a sinistra. I primi metri si rilevarono subito impacciati e sbagliammo immediatamente la direzione dell’uscita dal parcheggio, tanto eravamo preoccupati nell’imboccare la carreggiata esatta e non finire travolti da un tir in corsa. Così mi convinsi che la bestia andava domata e una volta inserita la retromarcia (con molta molta fatica), imboccai l’uscita e seguii le indicazioni per la N19 che ci avrebbe condotto dritti dritti sulla N18 che collegava Ennis a Limerick. Sulla N19 non incontrammo praticamente un’automobile e se da un lato la cosa poteva sembrare positiva, dall’altra ci incuteva un minimo di apprensione, viste le difficoltà oggettive di una guida al contrario. Imparai ad avere dei punti di riferimento, quelle cose che su una macchina con guida a sinistra non ti poni: il passeggero doveva sempre stare verso il lato esterno della carreggiata, a sfiorare prati, alberi e specchietti delle macchine parcheggiate, mentre il guidatore doveva avere alla sua destra la linea di mezzadria….lei e soltanto lei. Prima cosa che destò la nostra curiosità, fu incontrare una rotatoria su quella che pensavamo fosse un’autostrada. Imparammo ben presto come in Irlanda la concezione di autostrada, così come noi la intendiamo in Italia, con svincoli obbligati e senza nessuna immissione da abitazioni private, era ben diversa dalla nostra. Qui, in autostrada si rischiava di incontrare trattori, biciclette e a volte, anche pedoni che attraversavano la strada. La rotatoria andava imboccata a sinistra, ovvero in senso orario, ma questo fu facile capirlo, viste le infinite frecce disegnate a terra, indicanti la direzione corretta da seguire. Leggemmo attentamente i cartelli e seguimmo l’indicazione per Limerick. Cosa curiosa che notammo sulle indicazioni stradali, era il sottotitolo in celtico del nome della località: Limerick ad esempio era Luimneach. La distanza indicata sul cartello per Limerick era di 21 Km. Imboccammo così la N18 che collegava in pratica la contea di Clare a quella di Limerick. Era ormai notte e proseguivamo a velocità moderata, 70-80 Km/h (il limite era di 100 Km/h): non c’era molto traffico, ma qualche automobile sfrecciava rapida e decisa alla nostra destra. Non sono poi così ligi alle regole gli irlandesi pensammo, le macchine correvano ben al di sopra del limite consentito. Dopo aver percorso non più di 6-7 Km incontrammo la prima rotatoria, che in Irlanda vuol dire svincolo. I cartelli riportavano le indicazioni per recarsi al Bunratty Castle. Incuriositi di aver trovato una di quelle cose che quasi tutti i turisti per caso riportavano sul loro diario di bordo sull’omonimo sito, ci lasciò senza respiro, come se da quel momento tutte le immagini, le idee, le fantasie che avevamo ben stampate nella nostra mente, cominciassero finalmente a fluire. Non eravamo convinti di andarlo a visitare, un po’ per il poco tempo a nostra disposizione, un po’ per il costo elevato della cena (55 euro e bisognava prenotare in anticipo) in cui era possibile assaporare i cibi direttamente con le mani come ai tempi dei Normanni, con la musica dell’arpa che aleggiava in sottofondo e i menestrelli che raccontavano storie di cavalieri e dame, ma comunque un certo fascino lo emanava, alto, imponente e pieno di luce com’era. Ci proponemmo che se ci fosse avanzato del tempo, ci saremmo fermati l’indomani sera. Il castello era stato costruito da MacNamara nel XV secolo, ma ristrutturato completamente solo nel 1960. Proseguimmo così lungo la N18 e proprio quando mi stavo abituando alla guida a destra, il mio amico Andrea mi chiese di provare e così anche lui sperimentò il brivido della guida alternativa. Nel giro di qualche minuto giungemmo a Limerick. Dopo aver sostato qualche secondo nel parcheggio di un supermercato per fare mente locale sul dove ci trovavamo, ci rimettemmo in viaggio seguendo sempre la direttrice della N18. La strada si restringeva, non c’era più lo spartitraffico e le macchine aumentavano di numero…stavamo entrando in città. Dopo un semaforo accostammo a sinistra e chiedemmo informazioni ad una famigliola che tranquilla e serena passeggiava da quelle parti. Il capo famiglia ci suggerì (non era molto pratico di strade ci disse) di proseguire dritti fino ad arrivare ad un ponte, lo Shannon Bridge, che sormontava l’omonimo fiume, lo Shannon River e da li, domandare per il nostro Hotel. Continuammo così seguendo la strada e come anticipatoci dal signore, giungemmo nei pressi di un fiume. Incontrammo una coppia che lentamente passeggiava sul ponte e ci fermammo a chiedere se quello fosse realmente Shannon Bridge e il ragazzo ci rispose in maniera affermativa. Cartina alla mano, avremmo dovuto semplicemente svoltare a sinistra e percorrere il lungo fiume (The Bishop’s Quai) per arrivare nei pressi del nostro Hotel, il Sarsfield Bridge Hotel, che sorgeva proprio nei pressi dell’omonimo ponte. Non appena svoltato a sinistra, la strada non proseguiva dritta come disegnata sulla cartina, ma curvava a destra, per poi immettersi su di un’altra via che indicava a sinistra Dublino ed a destra Ennis. Avendo nella mente che il nostro Hotel si trovasse a sinistra del ponte attraversato, continuammo il nostro pellegrinare in quella direzione, seguendo le indicazioni per Dublino. Lentamente l’illuminazione diminuiva e sempre meno gente affollava i marciapiedi, stavamo decisamente allontanandoci dal centro della città. Alla distanza avvistammo due signore uscire da una casa, nel tentativo di infilarsi in macchina; accelerammo vistosamente nel tentativo di raggiungerle e chiedere informazioni, ma ci bruciarono sullo sprint, noi ad arrivare e loro a partire….amen. Eravamo decisamente fuori strada, ma come era potuto succedere, sembrava tutto così maledettamente semplice. Invertimmo la marcia e tornammo indietro, fino a ritrovarci in O’Connel Street. Parcheggiammo la macchina e scendemmo a chiedere informazioni, perché in realtà non sapevamo ancora di trovarci in O’Connel Street. Ce lo indicò un ragazzo che ci spiegò anche la strada per arrivare in Hotel. Molto semplice: avremmo dovuto svoltare alla prima a destra e proseguire dritto fino ad arrivare in The Bishop’s Quai e poi svoltare di nuovo a destra (in realtà eravamo obbligati a svoltare a destra, in quanto era senso unico) e li, avremmo trovato il nostro Hotel. Seguimmo le indicazioni del ragazzo e ritrovammo quello che sembrava essere il garage dell’Hotel. Parcheggiammo la nostra auto nei pressi del garage e salimmo a piedi delle scale che ci portarono in testa al Sarsfield Bridge (quello che in precedenza avevamo scambiato per lo Shannon River), da cui iniziava la Sarsfield Street al cui numero civico 1 c’era la Reception dell’Hotel. La stanza era abbastanza pulita, anche se un leggero fetore di scarico del bagno si avvertiva nell’aria, ma era sopportabile. Dopo una rapida doccia uscimmo in strada, per assaporare per la prima volta con calma il clima irlandese. Ci infilammo così in un Irish Pub e ordinammo da bere, una birra media per me ed una coca cola per Andrea (che considerate le transaminasi a livelli di guardia, decise di tenersi lontano dai fasti dell’alcool). La prima sensazione che ebbi della birra irlandese è che fosse bella tosta, ma mi ci abituai immediatamente. Notammo nel locale un bel clima, bella gioventù, belle ragazze che in maniera serena e tranquilla si divertivano, senza troppi clamori e senza troppo chiasso. Un ambiente piacevole e rilassato. Passammo qualche minuto a cercare d’indovinare di che nazionalità potesse essere la cameriera, che tutto ci sembrava meno che irlandese, concludendo si trattasse di una polacca. Così dopo il nostro iniziale giro di ricognizione e la nostra birretta ce ne andammo a dormire. 25-Agosto 2007 (Ennis-Burren-Cliffs of Moher) Ci alzammo all’incirca alle 8,30 e scendemmo nella Reception dell’Hotel per la colazione. Io ordinai una colazione continentale, con succo di frutta, cornetto e toast e la solita brodaglia di caffè lungo. Andrea optò per una “Irish Breakfast”, con salsiccia, patate, uova, bacon e black pudding (rognoni d’agnello saltati con noci di burro e insaporiti con senape e pepe nero). Prima tappa della giornata fu Ennis (si incontra lungo la N18). Seguendo le indicazioni per il centro, superammo il fiume Fergun e ci ritrovammo in una stretta viuzza in stile medievale piena zeppa di negozi e locali di ristorazione. Svoltammo quindi a destra seguendo le indicazioni per un parcheggio. Si trattava di un posteggio a pagamento (un euro l’ora), ma vista la topografia del villaggio ci sembrò l’unica strada percorribile. Ritornammo sulla strada principale e la percorremmo tutta, assaporando quello strano odore di fritto modello “Fish and Chips” che lentamente avremmo imparato a conoscere e che ci avrebbe accompagnato praticamente per tutto il viaggio. Giungemmo in una piccola piazzetta alla sinistra della quale notammo un’imponente statua raffigurante un uomo vestito da senatore. Si trattava di Daniel O’Connel, il primo deputato cattolico irlandese che ottenne il diritto di sedere a “Westminster”. O’Connel era originario proprio della città di Ennis ed è proprio da qui che partì nel 1828 per conquistarsi quel diritto. Girovagando per le strette viuzze del borgo giungemmo quindi nei pressi della Quin Abbey (XV secolo), un’abbazia francescana con torre campanaria e chiostro ancora perfettamente conservato. Ci consigliarono comunque di visitare anche la Ennis Friary, sicuramente la principale attrazione storica della città. Si tratta dei resti di un antico convento francescano al cui interno si trovano splendide finestre gotiche e sculture appartenenti al XV e al XVI secolo. Per entrare era necessario pagare un ticket di due euro (1 euro con riduzione studenti), ma ne valeva la pena. All’interno è possibile assaporare un silenzio ed una pace che raramente si riesce a provare nella nostra vita quotidiana. Dopo esserci dati il cambio alla guida proseguimmo il nostro viaggio verso il parco nazionale del Burren. Prendemmo la statale R476 fino ad arrivare a Corofin e da li proseguimmo fino ad arrivare al bivio con la R480. Le strade divenivano sempre più anguste e strette e costeggiate da infinite distese di pietre incastonate l’una sull’altra a delimitare le proprietà private. Il mio amico Pierpaolo, amante spasmodico dell’Irlanda, mi ha raccontato che l’abitudine di delimitare i terreni in questa maniera era la semplice conseguenza di liberare i pascoli per il bestiame dagli infiniti ammassi di sassi disseminati sul terreno. Non so quanto questa notizia possa essere fondata, ma la riporto, convinto comunque che si tratti di un’opera grandiosa. Sulla R480 incontrammo i resti di una vecchia chiesa, Carran mi sembra si chiamasse e ci fermammo un attimo per visitarla. Più che dalla chiesa, restammo calamitati dal paesaggio, dal verde fiorente delle colline e dalle infinite pecore disseminate ovunque nei pascoli che si disperdevano all’orizzonte. Se avevo un’idea approssimativa dell’Irlanda, era di un paesaggio come quello. Incontrammo anche un gruppo di ragazze sarde, con le quali scambiammo qualche commento e qualche chiacchiera finalmente in lingua madre, senza dover sudare le sette camicie per farsi capire. Proseguimmo così lungo la R480 fino ad arrivare a Caherconnell Stone Fort. Con lo sconto studenti pagammo un ticket di 4 euro (anziché 5 euro) e ci venne anche consegnata una radiolina sintonizzata su di una frequenza con spiegazione in italiano e una guida illustrata. Come ci spostavamo la radiolina perdeva il suo segnale e un ruvido fruscio prendeva il posto della signorina che in un italiano dallo spiccato accento anglosassone, ci spiegava che cosa succedeva all’interno del fortino; passi anche il reperto archeologico (500-1500 a.c.), ma quattro euro per un cerchio di sassi ammassati, ci sembrò un pochino esagerato e sentiteci defraudati ce ne andammo stizziti. Proseguimmo così lungo la R480 per circa un chilometro in direzione nord, fino a giungere al Poulnabrone Dolmen, un lastrone di svariate tonnellate con più di 5000 anni di età, sorretto da due enormi massi. Si trova in un terreno molto silenzioso, arido e sassoso, nel cuore del Burren. Molto più suggestivo del Caherconnell Stone Fort e soprattutto gratuito. Il Poulnabrone Dolmen è anche noto come Portal Tomb, in quanto durante gli scavi del 1986, in cui venne portato alla luce, vennero identificati oltre a gioielli e vasellame, i resti di 16 persone. Brutti nuvoloni neri si intravedevano in lontananza e minacciavano pioggia, ma nessuno avrebbe potuto rovinare quell’atmosfera di pace e di serenità interiore. Ci rimettemmo in macchina con l’intenzione di raggiungere Turlough, una depressione poco profonda che nella stagione invernale si riempie di acqua e che in estate si prosciuga permettendo la crescita di una rigogliosa vegetazione utilizzata per il pascolo. Tornammo indietro lungo la R480 e seguendo le indicazioni sulla cartina, avremmo dovuto superare Caherconnell Stone Fort e poi svoltare a sinistra, prima di giungere all’incrocio con la R476. Seminascosta individuammo una stradina piccola e stretta, ancor più brutta della R480 (e con questo dico tutto) e la imboccammo. Proseguimmo per qualche chilometro e poi ci fermammo a chiedere in prossimità di un piccolo agglomerato di case, vista la totale assenza di cartelli stradali. Ci dissero di proseguire dritti per duecento metri e poi svoltare a destra. Noi in realtà ci aspettavamo di incontrare un lago e quindi restammo disorientati dal fatto di non intravedere nulla che lontanamente potesse assomigliargli. Decidemmo di tornare indietro e di fermarci in un ristorante lungo la strada a chiedere informazioni. Una ragazza ci disse che se cercavamo il lago, era sufficiente affacciarsi dalla finestra. Vedendo solo una pozza d’acqua e non conoscendo affatto cosa fosse un Turlough, pensammo per un attimo che la ragazza ci stesse prendendo in giro, ma vedendoci perplessi ci sorrise e disse: in this season it’s dry. Dopo aver pranzato (erano le 4 del pomeriggio) decidemmo di metterci in moto per raggiungere le Cliffs of Moher. Continuammo lungo la strada per ricongiungerci alla R480 e da qui arrivammo fino alla R476. Ritornammo indietro fino a Corofin e da qui imboccammo la R460 e la percorremmo fino ad incrociare la N85 che ci avrebbe portato fino ad Ennistymon. (nome celtico Inis Diomain). Percorremmo un tratto della N67 e da qui svoltammo sulla R478, la panoramica delle Cliffs. Più ci avvicinavamo alle scogliere, più la visibilità diminuiva. Una nebbia fitta ci costringeva a camminare alla velocità di crociera di un bradipo da competizione, ma eravamo al settimo cielo. La meraviglia d’Irlanda ci stava aspettando ed era a pochi passi da noi. Provammo ad evitare di lasciare la nostra auto nel parcheggio a pagamento (8 euro) di fronte all’entrata (che invece era gratuita…che strani tipi sono sti irlandesi), proseguendo lungo la strada per più di un chilometro, alla ricerca disperata di mezzo buco dove poter lasciare la macchina, ma non fummo fortunati. Le Cliffs of Moher sono considerate il gioiello d’Irlanda e chi ha avuto la fortuna di vederle, sono convinto che non considererebbe presuntuoso l’avvicinamento. Rappresentano un vero spettacolo della natura, una scogliera alta più di 200 metri e lunga più di 5 Km tra Hag’s Head e la O’Brien Tower, a picco sull’oceano atlantico. Dicono sia suggestivo visitarle al tramonto, in quanto i raggi del sole illuminano d’oro la muraglia a picco sull’acqua. Noi non fummo così fortunati, il tempo non era dei migliori e una nebbia fitta ci impediva di ammirare a pieno la loro maestosità. Incontrammo delle protezioni che delimitavano il bordo della scogliera e cartelli che proibivano di scavalcare ed avventurarsi oltre. Alla nostra destra notammo una piccola torretta (la O’Brien Tower), mentre sulla sinistra l’intera dorsale della scogliera si dipartiva maestosa. Proseguimmo lungo il percorso obbligato della scogliera, per poi accorgersi che duecento metri più in la il sentiero protetto terminava e un gigantesco cartello proibiva di continuare. In realtà nessuno ci faceva caso e una sfilza di persone s’incamminava lungo un sentiero suggestivo a precipizio sull’oceano. Naturalmente non fummo da meno e a nostro rischio e pericolo, ci avventurammo lungo questo percorso tortuoso, pericoloso, ma maledettamente straordinario. La nebbia seguiva un ritmo ciclico ed ogni tanto lasciava la morsa e si diradava, aprendo ai nostri occhi lo spettacolo dell’oceano e delle isole Aran alla distanza. Una sensazione di pace interiore rapì le nostre menti; avevamo davanti l’oceano intero e il rumore del vento e delle onde che si scagliavano contro la scogliera scandivano ritmicamente questo benessere fisico ma soprattutto mentale. Facemmo infine anche un salto alla O’Brien Tower, ma la trovammo chiusa (chiude alle 18,00). Inzuppati da una fine pioggerellina, ritornammo alla nostra auto e ci incamminammo verso Limerick. 26-Agosto 2007 (Adare-Ring of Kerry-Killarney) Come la mattina precedente, dopo la colazione (continentale per il sottoscritto ed irlandese per Andrea) e dopo aver acquistato al supermercato i panini per il pranzo, ci rimettemmo in viaggio con destinazione contea di Kerry. Dopo aver imboccato O’Connel Street svoltammo a sinistra seguendo le indicazioni per la R512. A pochi chilometri da Limerick, lungo la R512, si trova il Great Stone Circle di Greange, un cerchio di 113 Menhir risalente al 2500 a.c. Non si conosce bene che cosa si svolgesse al suo interno, sé cerimonie d’iniziazione, feste legate al raccolto, funerali rituali o quant’altro, ma la cosa curiosa è che pur non essendo un cimitero, in tre punti diversi furono ritrovati resti umani. Come era accaduto il giorno precedente con il Caherconnell Stone Fort, il risultato era ben al di sotto dell’aspettativa, forse anche perché nelle nostre teste avevamo proiettato qualcosa che potesse ricordare i famosi Stone Age inglesi. Ci rimettemmo in macchina e dopo pochi metri svoltammo, seguendo un cartello indicante Lough Gur, su una stradina sulla sinistra che ci avrebbe condotto, cartina alla mano, al Lough Gur Wedge Tomb, una tomba a cuneo in cui nel 1936 un gruppo di archeologi ritrovò resti di otto adulti e quattro bambini risalenti al 2500 a.c. Anche qui poco entusiasmo, ma considerata la sacralità del posto, ce ne andammo un pochino meno amareggiati. Attraversammo la R512 ed imboccammo la R513 che si sarebbe dovuta ricongiungere con la N21 e dopo circa una trentina di chilometri arrivammo ad Adare. Lungo Main Street si trovano pittoreschi cottage con il caratteristico tetto in paglia. Parcheggiammo la nostra auto di fronte l’Heritage Centre, in Main Street ed entrammo a chiedere informazioni. Ci consigliarono di visitare il castello normanno, un maniero costruito da Geoffrey de Marasco, conquistato dai Fritzgerald e poi passato definitivamente nelle mani del conte di Desmond. La visita era possibile solo con tour guidato alla modica cifra di 5 euro (3 euro con riduzione). Prenotammo il posto nel tour delle 14,00 e ce ne andammo in avanscoperta del paese. Di fianco al Heritage Centre trovammo la chiesa cattolica, la Most Holy Trinity, mentre più in là lungo la strada, vicino al ponte del fiume, incontrammo un vecchio convento agostiniano con un chiostro ancora ben conservato. Mangiammo un panino al volo nei giardini pubblici di fronte la Most Holy Trinity e poi tornammo all’Heritage Centre e ci mettemmo in coda per la visita guidata del castello. Ci fecero salire su di un pulmino e una simpatica signora dall’aspetto tipico irlandese cominciò a parlare a raffica nel tragitto che ci separava dal maniero: confesso di non aver capito un fico secco di quello che diceva, meno male che c’era Andrea. Un tempo questo castello dev’essere stato davvero imponente, ma oggi, dopo ripetuti attacchi, si è ridotto a poco più di una rovina. Il tour si rivelò comunque interessante e dopo circa un’ora ci riportarono all’Heritage Centre. Era ora di riprendere il nostro viaggio e ci rimettemmo in cammino verso la contea di Kerry. Proseguimmo spediti lungo la N21 fino a giungere in un piccolo centro di nome Farranfore. Svoltammo quindi su di una stradina a destra, la R561 e raggiungemmo Castlemaine per imboccare la N69 che ci avrebbe condotto a Killorglin, praticamente il punto d’inizio del Ring of Kerry, un anello di 178 Km (la N70) che costeggia l’intera Iveragh Peninsula, un icona paesaggistica al pari delle Cliffs of Moher. S’incontrano stradine talmente strette e maldestre che gli autobus sono costretti ad imboccare l’anello tutti nello stesso senso di marcia, ovvero in senso antiorario, a partire da Killorglin, proprio come ci apprestavamo a fare noi. Procedemmo per alcuni chilometri nell’entroterra per poi scoprire a mano mano una lunga lingua di oceano che si insinuava in una baia tra la Iveragh Peninsula e la Dingle Peninsula. Procedevamo a singhiozzi e ci fermavamo ogni chilometro nell’intento di ammirare lo spettacolo naturalistico di fronte ai nostri occhi. Poco prima di arrivare a Cahersiveen, praticamente avevamo percorso tutto il lato nord della penisola, decidemmo di discendere lungo una ripida e scoscesa stradina (nei pressi di Kells), seguendo le indicazioni per un porto da cui sarebbero dovuti partire traghetti per la Valencia Island e per le Skelling Islands. Tutto per tentare disperatamente di raggiungere una delle tante baie che si intravedevano dall’alto e che tanto ci ispiravano. Una delle tante traverse che incrociammo lungo la strada sembrava portare verso una di quelle spiaggette selvagge e solitarie: con nostra grande meraviglia scoprimmo di trovarci all’interno di una proprietà privata, con una casa ad un solo piano a pochi metri dall’acqua gelida dell’oceano. Ci fermammo comunque a scattare qualche fotografia, sentendo su di noi lo sguardo curioso ed attento di una bambina, che nascosta dietro le tende della sua casa, si chiedeva che cosa stessero facendo quei strani soggettoni. Risalimmo in macchina e proseguimmo verso Cahersiveen; superata Cahersiveen, procedendo verso sud incrociammo la R565 e ci dirigemmo verso Portmagee. Il paesaggio che incontrammo in questo piccolo villaggio ci lasciò senza parole. Come per incanto sembrava di essere passati dall’Irlanda all’Islanda nel giro di pochi chilometri. Ci trovavamo in una torbiera, con una rigogliosa vegetazione che cresceva la dove il mare in altre stagioni la faceva da padrone e una strana nebbiolina accompagnava un atmosfera magica e rilassante. Portmagee è un piccolo villaggio di pescatori, caratterizzato da case variopinte che sembrano uscite direttamente dalla sceneggiatura di una favola della Walt Disney. Prima di giungere al villaggio, sulla destra si trova un ponte che collega la terraferma alla Valencia Island. Nostro malgrado, il tempo era tiranno e l’imbrunire della sera cominciava a fare capolino. Ci sarebbe molto piaciuto vedere le Skelling Islands, ben visibili costeggiando la Valentia Island, ma il nostro viaggio verso Killarney era ancora lungo. Restammo un pochino sul ponte, assaporando la brezza dell’oceano e gustandoci da lontano il caratteristico villaggio di Portmagee; avvertivamo la sensazione meravigliosa di trovarsi in uno dei posti più ad Ovest dell’intero vecchio continente, una strana sensazione, di quelle che ad esempio si provano camminando sulla linea immaginaria dell’equatore o del meridiano di Greenwich. Proseguimmo il nostro viaggio; poco prima di entrare a Portmagee, un’ispida salita si dipartiva sulla sinistra. Una graziosa ragazza ci sconsigliò di proseguire da quella parte, il tempo e la strada non erano dei migliori e ci suggerì di tornare indietro fino alla N70 e proseguire da li per Waterville, anziché passare per Ballinskellings. Nei pressi di Waterville scendemmo in spiaggia; era ormai quasi notte, ma la baia di Ballinskellings lasciava ancora ben visibili i suoi frastagliati confini. Risaliti in macchina proseguimmo verso Caherdaniel e da qui dopo aver superato Castlecove avvolti in una nebbia fitta, talmente fitta da far impallidire gli abitanti della pianura Padana e nel buio profondo della notte, giungemmo a Sneem, un grazioso villaggio di poche anime. Erano quasi le dieci di sera e se non ci fermavamo per la cena, avremmo rischiato di fare digiuno. Imploranti come reduci di battaglia, riuscimmo nell’intento di farci servire un piatto caldo a base di carne e verdure in un locale lungo la strada. Le dieci di sera in Irlanda è sicuramente un orario proibitivo per presentarsi in un ristorante e ci rendemmo conto di essere stati fortunati. Pagammo il conto (17 euro ciascuno) e dopo aver telefonato all’Hotel a Killarney per annunciare il nostro ritardo a tempo indeterminato, decidemmo di prendere un caffè espresso in un Pub alla fine della strada. In realtà ne incontrammo due, uno abbastanza grande, un vero Irish Pub, e uno più piccolo ma molto più affollato e caratteristico. Optammo per il secondo. All’entrata l’intera comunità paesana era seduta al bancone a bere birra; al nostro ingresso, come quando due stranieri entrano in un saloon in un vecchio film western, fummo processati da una miriade di occhi indagatori, quasi a volerci chiedere come ci eravamo finiti li a quell’ora tarda della sera. Non sapevamo cosa fare, la pressione delle persone che ci squadrava era un pochino imbarazzante e per un attimo pensammo che se non fossimo andati via, saremmo diventati a breve il loro diversivo per quel tiepido sabato irlandese. E così, dopo aver preso il nostro caffè nel Pub adiacente, filammo via verso Killarney. Dopo esserci praticamente persi più di una volta nelle vie della città, trovammo il nostro Hotel, l’Evenstone House. Se il servizio ci era sembrato scadente, la camera era di un lusso sopraffine e pensare che avevamo pagato meno di 50 euro per il pernottamento e la prima colazione. Dopo una rapida doccia scendemmo in strada. Era molto tardi, avevamo superato le 2,30 del mattino ed una miriade di ragazzi affollava gli spazi dinanzi i locali che piano piano stavano chiudendo. Notammo un certo fervore, una confusione scomposta e controllata allo stesso tempo, un’atmosfera ben diversa di quella che avevamo incontrato le sere precedenti a Limerick. Mettiamo pure che era sabato sera, ma la moltitudine di ragazze e ragazzi ubriachi, così come le mini risse che ogni tanto si accendevano qua e la senza però mai degenerare e la polizia sempre vigile ai bordi della massa, ci sorprese profondamente. Era un lato dell’Irlanda che non ci aspettavamo.

26-Agosto 2007 (Killarney National Park- Rock of Cashel-Kilkenny) Siccome in tutte le guide veniva riportato di visitare il Killarney National Park pedalando amabilmente tra i verdi prati che lo contraddistinguono, non volevamo essere da meno. La bicicletta ci sarebbe costata 15 euro per tutta la giornata. Zainetto a tracollo, partimmo alla scoperta del parco. Prima però di inoltrarci nella natura, facemmo un salto alla St Mary’s Cathedral. La struttura sorge defilata dal centro della città a confine con il National Park; si tratta di una cattedrale cattolica romana dalle arcate gotiche e dalla imponente struttura. Dopo una rapida occhiata ci inoltrammo nel parco, una distesa di più di 10000 ettari di paesaggi lacustri e montani. Visitammo il Ross Castle, considerato un tipico esempio di fortezza di un condottiero irlandese durante il medioevo. Si affaccia sul Lough Leane, uno dei tre laghi di Killarney (gli altri due sono il Muckross Lake anche conosciuto come Middle Lake e l’Upper Lake) e fu costruito alla fine del XV secolo. Si entra solo con un tour organizzato che però è gratuito, ma occorre attenersi agli orari. Noi decidemmo di proseguire il nostro giro costeggiando il Lough Leane. Quest’ultimo è lungo più di 6 Km ed è pieno di isolette, di cui una di queste, la Innisfallen Island è raggiungibile con una barca che parte di fronte Ross Castle. Costeggiando il lago giungemmo nei pressi della St. Mary’s Cathedral. Eravamo di nuovo al punto di partenza. Nella zona nord della città trovammo l’Heritage Centre che ci fornì una mappa dettagliata del parco. Proseguimmo oltre lo svincolo che avevamo preso in precedenza per giungere a Ross Castle e costeggiammo il Muckross Lake, fermandoci lungo la strada a visitare un vecchio monastero abbandonato. Verso le 13,00 riconsegnammo le biciclette, mangiammo un panino al volo in un fast food e dopo aver sistemato con un laccio la borchia anteriore sinistra ripartimmo con destinazione Cashel. Riprendemmo la N22 in direzione Cork per qualche chilometro e poi proseguimmo sulla N72 fino a Mallow. Superata Castlewnroche, imboccammo la N73. Arrivammo a Cashel verso le 17,00 e dopo non facili peripezie riuscimmo a trovare la Rock of Cashel. Purtroppo ci dovemmo accontentare di visitarla dall’esterno, in quanto la struttura chiudeva alle 17,30 e a nulla sono valse le nostre supplichevoli facce, gli irlandesi sugli orari sono inflessibili. Si tratta di un complesso medievale costruito su di uno sperone roccioso che domina la Golden Vale, conquistato da B.Borù nel X secolo, passò alla chiesa cent’anni dopo, che vi costruì cappelle e cattedrali. Non potendo entrare ci accontentammo di leggere alcune informazioni su di un cartello di fianco l’entrata. Apprendemmo ad esempio come Cashel fosse situata sul percorso del Tipperary heritage way e che fosse stata capitale del sud e sede del re del Munster e punto di partenza per l’antico pellegrinaggio (scelta sembra perché Sant Patrick si sarebbe fermato li). Proseguimmo così verso Kilkenny, dove si trovava il nostro Hotel. Dopo aver abbattuto una serie sconfinata di specchietti, imboccammo la R691 e proseguimmo dritti fino ad incontrare la N76 che ci avrebbe dovuto condurre nel centro di Kilkenny. Transitammo così davanti il college e da qui ci ritrovammo in Osmonde Street alla fine della quale si trovava il nostro Hotel (il Penbroke Hotel). Verso le 21,45 scendemmo per andare a cena, ma al contrario della sera precedente a Sneem, dove la nostra faccia disperata ed affamata aveva destato compassione, restammo a digiuno. Ci rifugiammo in un fast food modello Mc Donald’s e cenammo a base di hamburger e patatine fritte. Ci riversammo in strada, anche se non c’era tanto movimento. Mentre camminavamo lungo Saint Kieran’s Street, praticamente la via più antica e turistica di Kilkenny, la nostra attenzione venne richiamata dalle note di musica popolare celtica che fuoriuscivano da un Pub (il Kytelers Inn). Salimmo delle scale e ci ritrovammo in un locale tutto in muratura e dallo stile inconfondibile dei Pub irlandesi. Stando a Kilkenny, non potevamo non dare omaggio alla famosissima birra rossa. Ci mettemmo in fila al bancone con l’intenzione di ordinare la nostra pinta. Un’energica signora, dopo svariati minuti che attendevamo il nostro turno, ci fece chiaramente intendere come solo con un lento e portentoso lavoro di gomito, potevamo sperare di guadagnarci la nostra bevanda e così facemmo. Ascoltammo della buona musica bevendo birra, in un’atmosfera bella e coinvolgente. Pensammo quanto sarebbe stato bello poter condividere con loro la nostra cultura popolare. Così dopo una buona birra e dell’ottima musica ce ne andammo a dormire. 27-Agosto 2007 (Kilkenny-Dublino) Dopo aver fatto colazione ed aver giurato che avrei comunque provato prima di ripartire la Irish Breakfast (ma non quella mattina) e dopo la consueta puntata al supermercato per comprare il pranzo, recuperammo la macchina e la parcheggiammo nei pressi dalla fabbrica della birra rossa di Kilkenny che sorge nel pieno centro cittadino. Provammo ad entrare ma ci accorgemmo che non esisteva possibilità di poterla visitare e ci accontentammo di scattare qualche foto da fuori. Proseguendo lungo la strada, la High Street per l’esattezza, giungemmo alle pendici di un piccolo colle sul quale è collocata la Saint Canice’s Cathedral. Tutto ciò che rimane del monastero fondato nel VI secolo è l’alta torre. Si può salire fino in cima da dove il panorama della città è straordinario, ma bisogna praticamente arrampicarsi su delle scale in legno e potrebbe essere difficoltoso per chi soffre di vertigini. All’entrata della torre trovammo, seduta su una sedia che leggeva un libro, una ragazza molto graziosa e dall’aspetto tipicamente irlandese che ci fece presente che avremmo dovuto pagare un ticket di tre euro (due euro con riduzione) per salire in cima. Anche per entrare all’interno della cattedrale occorreva pagare il biglietto; con un volto un pochino stizzito abbiamo messo mano al portafogli e ci siamo addentrati nella struttura. Ci consegnarono un piccolo opuscolo in italiano che ben spiegava la storia e le varie opere presenti all’interno della cattedrale. Ci soffermammo per un attimo ad osservare una stele ritrovata all’interno di una casa che sembra sia appartenuta alla strega di Kyteler (Dame Alice Kyteler): tale casa è divenuta oggi un Pub, esattamente quello in cui eravamo stati la sera precedente a bere birra. Ritornammo in Saint Kieran’s Street e da qui proseguimmo verso il castello. Costeggiammo per un attimo il Nore River, notando tra l’altro delle teste di carta pesta che navigavano alla deriva sul letto del fiume: due ragazzine ci spiegarono che c’era stato il festival dell’arte ed era tradizione lasciar defluire nel fiume quelle strane sagome. Salimmo delle scale e ci ritrovammo di fronte l’entrata principale del castello. Dietro di noi, una sconfinata distesa di prato si perdeva a vista d’occhio. Dopo aver pranzato su una delle tante panchine disseminate nel parco che resta aperto al pubblico dalle 9 del mattino fino ad un’ora prima del tramonto, ci mettemmo in fila per entrare all’interno del castello, appartenuto a W. Marshall e poi abitato dai Butler fino al 1935. E’ possibile visitarlo soltanto attraverso un tour guidato, anche in italiano a detta della guida che avevamo comprato in Italia, ma noi trovammo esclusivamente operatori in lingua inglese. Un po’ per il mio inglese ridicolo, un po’ per la bellezza smodata della nostra guida, una bionda ragazza irlandese dagli occhi azzurri, non capii moltissimo della visita guidata, anzi rimediai una bella figuraccia dovuta all’inopportuno suono del mio cellulare. Dopo la visita guidata tornammo nel parco e ci gustammo dei ragazzi che giocavano ad Hurling, uno strano sport molto in voga in Irlanda, in cui con una mazza simile a quella usata nell’hockey su prato, si tenta di segnare con una piccola palla, in una porta come quella di calcio con tanto di portiere o tra gli alti pali del rugby. Si tratta di un vero fenomeno nazionale, tanto che passando da contea a contea si notano bandiere dei colori delle varie squadre locali di Hurling. Pur giocandosi in un campo simile, ma con regole diverse, l’altro tipico sport popolare irlandese è il football gaelico, dove lo scopo principale del gioco come nell’hurling è quello di fare goal; è una mezza via tra il calcio e il rugby, con una palla da gioco un po’ più piccola di quella di calcio che si può toccare sia con le mani che con i piedi. Alla fine dei campionati, le migliori squadre di questi due sport, entrambi appartenenti alla “Gaelic Athletic Association”, si scontrano ogni settembre per le All Ireland Finals al Croke Park Stadium di Dublino. Verso le 16,30 ci rimettemmo in macchina e proseguimmo verso Dublino seguendo la N10. Proseguimmo spediti fino a giungere a Carlow dove ci fermammo per la solita tazza di caffè del pomeriggio. Era un luogo di passaggio quello, uno di quei posti in cui le persone entrano, consumano e se ne vanno. Appena entrati notammo un bancone ad angolo nel più tipico stile irlandese e dei tizi che tracannavano birra in un angolo. Ordinammo il nostro caffè e restammo in attesa che il proprietario ce lo preparasse. Nell’attesa, un tizio sornione e dall’aria spavalda mi si avvicinò e cominciò a parlarmi a raffica indicando la mia maglia su cui era scritto”Brazil”. Naturalmente non capii un fico secco di quello che diceva, anche se dai gesti immaginai stesse parlando di donne, visto il chiaro riferimento a tette e sederi formosi. Continuò a sfotterci, tra le assordanti risate dei suoi amici di merenda, anche mentre degustavamo il nostro caffè, ma sicuri che ribattere non sarebbe servito a nulla, facemmo buon viso e cattivo gioco. Quando uscimmo dal locale comunque ci salutò. Risalimmo in macchina e proseguimmo lungo la N9 fino a quando questa non divenne la M9. La M9 finisce a distanza di pochi chilometri sulla M7 che dritta e spedita ti porta (dopo aver attraversato la M50, una sorta di raccordo) nel centro di Dublino. Nonostante nell’Heritage Centre di Kilkenny il mio amico Andrea avesse comprato una dettagliata cartina di Dublino, non avevamo idea di dove ci avrebbe condotto la M7. Per la prima volta da quando avevamo messo piede in Irlanda eravamo immersi nel traffico, in fila su quella che tranquillamente potremmo definire autostrada così come la intendiamo dalle nostre parti. A parte questo, lo stile inconfondibilmente irlandese si gustava ancora…anche nella grande città…A parte le infinite rotatorie alle quali andavamo lentamente abituandoci, notammo degli enormi marciapiedi sui quali la gente correva, passeggiava o portava a spasso il cane…e la cosa ci sembrò alquanto paradossale, non ipotizzabile dall’Italia…è come cercare di immaginare un marciapiede ai bordi del grande raccordo anulare di Roma… Cercammo così di trarre vantaggio dalla situazione e ci fermammo a chiedere ad una formosa ragazza che in tuta e scarpe da ginnastica correva tranquilla ai bordi della strada. La ragazza ci spiegò dove ci trovavamo e ci consigliò un percorso per giungere sul lungo fiume nei pressi del quale si trovava il nostro Hotel. Proprio quando stavamo per ripartire, una strombazzata di una macchina da dietro ci fece sobbalzare. La ragazza stendendo bene il dito medio, invitò l’avventato disturbatore ad andare a quel paese e lo intimò di fare il giro a largo e togliersi dai piedi. Convinti che da qui a breve ci saremmo ritrovati implicati in una scazzottata, ripartimmo spediti. Superammo così lo svincolo per la M50 e ci ritrovammo nei pressi della Old Kilmainham ad ovest della città. Proseguimmo lungo la James’s Street e da qui sulla Thomas Street. Dopo Cornmarket proseguimmo lungo la High Street fino ad arrivare nei pressi della Christchurch Cathedral e discendendo lungo la Fishamable street ci ritrovammo sul lungo fiume (il Liffey River). Eravamo costretti a svoltare a sinistra; proseguimmo così lungo il Wood Quai, per poi svoltare a destra sull’O’Donovan Rossa Bridge nei pressi del Four Corts e poi di nuovo a destra sull’Ormond Quai Upper. Svoltammo così di nuovo a destra sul Grattan Bridge e ci ritrovammo in Parliment Street, la via in cui si trovava il nostro Hotel. Ci trovavamo nel cuore di Temple Bar e di posti per la macchina neanche l’ombra. Ci fecero presente che l’Hotel non possedeva un garage e ci consigliarono di lasciare la nostra auto in un parcheggio sotterraneo poco distante da li. Così, alla fine di Parliment street svoltammo a sinistra e proseguimmo lungo Dame Street passando di fronte alla City Hall (ex borsa valori edificata nel 1779 dove la giunta comunale si riunisce ogni primo lunedì del mese) e giungemmo sulla College Street nei pressi del Trinity College. Svoltammo sulla Westmorland Street e da qui subito a sinistra sulla Fleet Street a due passi da Temple Bar. Li trovammo il garage e parcheggiammo la nostra auto. Ci sarebbe costato 32 euro al giorno…uno sproposito. Considerammo così l’idea di riconsegnarla l’indomani, con ben un giorno di anticipo rispetto a quanto pattuito in precedenza; avremmo risparmiato un bel po’ di soldini, tra garage evitato e giorno in meno di noleggio auto. In aeroporto ci saremmo andati in taxi e tutto sommato la cosa ci sembrò oltremodo anche più rilassante, oltre che più economica. Decisione sentenziata e con valigie a carico ci avviammo verso il vicino Hotel. Di tutti quelli che avevamo visitato questo era senza dubbio il peggiore. Di buono aveva soltanto la posizione: eravamo nel cuore del quartiere più movimentato e turistico di Dublino. Per il resto era un disastro. Aveva delle scale ripidissime e strette e portare su i nostri bagagli (vista l’assenza di un ascensore)è stata un’impresa colossale: la camera puzzava di scarico di bagno e la moquette tra i due letti era inzuppata fradicia. Nonostante tutto, il bagno ci sembrò decoroso e dopo una rapida doccia scendemmo per andare a cena. Lungo Temple Bar notammo un locale dall’inconfondibile nome italiano (Ristorante Milano) e di fronte alla possibilità di una bella pizza non resistemmo alla tentazione. Non pagammo molto, per una bruschetta, una pizza e una bevanda spendemmo 13 euro e dopo aver scambiato qualche chiacchiera con il cameriere italiano ci buttammo nelle vie della città. Dopo aver attraversato il fiume Liffey giungemmo nei pressi del grande spillone (alto 130 metri), The Monument of Light, all’incrocio tra Henry Street e la O’Connell Street. Quest’ultima è la più importante e trafficata via della città ed è ricca di monumenti; tra le altre cose qui si trovano le statue di James Joyce e di Daniel O’Connell. Dopo essere giunti a ridosso della stazione, ritornammo dalle parti del Trinity College e da qui in Temple Bar. Tre secoli fa la riva sud del fiume Liffey fra Grattan e O’Connell Bridge era un rione malfamato pieno di taverne e case d’appuntamento. William Temple, allora rettore del Trinity College, eresse una casa vicino al cosiddetto “Bar”, la passeggiata lungo il fiume e da allora la zona venne soprannominata Temple Bar. Dopo aver rischiato di diventare un parcheggio, questo quartiere pieno di magazzini e rimesse, diventò con il tempo il tempio della vita notturna dublinese. Il quartiere è ora pieno di pub, ristoranti, hotel, musei, gallerie d’arte e di quell’atmosfera che rese celebre il quartiere negli anni ’70. Entrammo così in uno dei tanti pub ed ordinammo birra, rigorosamente Guinness, per non venire meno alla cultura e alla storia di questa città e ci rilassammo nel clima mite e sereno delle notti irlandesi. E quando ormai la gente diminuiva a vista d’occhio e le strade di Temple Bar non erano più invase da ondate di turisti a passeggio, decidemmo di rincasare e ce ne andammo a dormire.

28-Agosto 2007 (Dublino) Ripercorremmo a ritroso Thomas Street e James’s Street (dove si trova il Guinness Storehouse, il museo dell’omonima birra) e da qui giungemmo sulla Old Kilmainham dove si trovava l’agenzia dell’Avis. Presi da uno spasmodico romanticismo, salutammo la nostra fedele compagna di sventure con una bella foto di gruppo e dopo aver rabboccato fino all’orlo il serbatoio entrammo nell’autorimessa. Ci ricevette un ragazzo dall’aria sveglia e furbetta che ci pregò di seguirlo nell’ispezione della macchina. Avendo assicurato praticamente tutto a parte le gomme, non faticherete più di tanto nel credere che le uniche obiezioni che ci fece riguardavano lo stato dei pneumatici. Attaccò un sermone su un piccolo taglio presente sulla gomma anteriore sinistra che a sua detta avevamo provocato noi. A parte che neanche si vedeva, se non al microscopio, ma era talmente superficiale che mai e poi mai avrebbe intaccato la stabilità della gomma. Nonostante tutto, portò la macchina nell’officina nel retro e ci pregò di attendere. Come due condannati sul patibolo restammo lì in attesa della sentenza. Quando ormai ci stavamo abituando all’idea di un sostanzioso regalino di fine vacanza, un incredibile “it’s fine” ci lasciò letteralmente sbalorditi. Concludemmo le pratiche della riconsegna e poi, zaino a tracollo, ci avviammo all’avanscoperta della città. Poco distante di li, nel cuore di Liberties (una zona ricca di negozi e strette vie), si trovava la Guinness Brewery, la mitica fabbrica della birra fondata nel 1759 da Arthur Guinness a Saint James’s Gate. Dal 2000, in un vecchio magazzino per la fermentazione, è stato costruito il Guinness Storehouse. L’ingresso costa 14 euro (8 euro con la riduzione) ma ne vale senz’altro la pena, anche soltanto per la birra che ti viene offerta al Gravity, il pub all’ultimo piano della torre, con meravigliosa veduta della città. Il tour inizia con una frase che come dice il mio amico Andrea, rappresenta ed identifica il valore della birra per un irlandese: Centuries ago,many people were convinced that , somehow lead could be transformed into gold. In a way, Arthur Guinness was such a man. But where other failed, he succeeded Salendo per i vari piani del museo si assiste praticamente a tutto il ciclo si produzione della birra Guinness e il tour si conclude nel Gravity, una torre panoramica alta più di 60 metri. In una delle sale abbiamo trovato un’intera parete messa a disposizione per chiunque avesse voglia di lasciare un messaggio. Senza nulla nascondere, milioni di foglietti da ogni parte del mondo tappezzavano la parete, tra cui i nostri, a segnare in maniera indelebile la nostra presenza e il nostro gradimento. Carpineto c’era… All’uscita non abbiamo saputo resistere alla tentazione del “souvenir”e abbiamo lasciato un bel po’ di soldini nelle casse del vecchio Arthur. Tra magliette, cappellini, felpe e gadget vari da regalare ad amici, parenti, fidanzate, canarini e pesciolini rossi… sembravamo due brave massaie uscite dal supermercato con la spesa della settimana. Ed è così che ci rituffammo all’avanscoperta della città. Dopo una rapida tappa per il pranzo, fondamentale per smaltire la pinta di Guinness a metà mattinata, ci avviammo dalle parti della Christ Church Cathedral. Pur tentati, di fronte all’ennesima richiesta di pagamento per l’ingresso in chiesa desistemmo, forti di un semplice e puro principio morale per cui ci eravamo stufati di mettere mani al portafogli per ogni accumulo di pietre che incontravamo. Sicuramente avrebbe meritato più di altre cose per cui avevamo sborsato fior di quattrini, ma ormai non eravamo più intenzionati a cambiare strategia, almeno per quanto riguardava le chiese. Nonostante tutto, la struttura si rivelò di gran lunga la più bella e maestosa che avevamo incontrato nel nostro breve tour irlandese. Ci avviammo così verso il vicino castello. Per visitarlo occorreva affidarsi ad un tour; al costo di 5 euro ci aggiudicammo un posto nel tour delle 16,00 in lingua italiana, almeno avrei finalmente capito qualcosa. Nel frattempo ci avviammo a visitare la St. Patrick’s Cathedral, la cattedrale protestante di Dublino, da sempre rivale accanita della controparte cattolica, la Christ Church Cathedral. A pensare che distano tra di loro non più di 500 metri. La prima chiesa in pietra, eretta dai normanni nel XII secolo, fu riedificata in stile gotico e più volte rimaneggiata. Nel corso della sua storia fu anche università e stalla per i cavalli di Cromwell. Per par condicio boicottammo anche qui l’ingresso in cattedrale, di fronte all’ennesima e non tanto economica richiesta di pagamento. Bivaccammo qualche minuto nel sole tiepido dell’Irlanda, seduti sull’erba dell’ampio parco che circondava la cattedrale dove si narra San Patrizio avesse battezzato chiunque avesse deciso di convertirsi al cristianesimo. Dopo il meritato riposo ci apprestammo a ritornare al castello, dove avevamo il tour prenotato. Nonostante avessimo prenotato un tour in lingua italiana ci ritrovammo coinvolti all’interno di un gruppo con spiegazione in inglese; per la serie anche questa volta ho dovuto fare affidamento al mio traduttore simultaneo, ovvero Andrea. Il castello è stato eretto nel 1204 da re Giovanni Plantageneto ed è rimasto in mani inglesi fino al 1922. E’ stato ricostruito nel XVIII secolo dopo vari incendi. Del periodo anglo-normanno è rimasta la Record Tower (l’unica torre normanna in tutta Dublino) e le fondamenta della Powder Tower. Dopo un susseguirsi di stanze, tra cui la cripta e i lussuosi State Apartments (dove si trova la Great Hall in cui i presidenti della repubblica ricevono la loro investitura) e l’ottocentesca Royal Chapel, recuperammo i nostri zaini e ci avviammo verso i vicini giardini del castello (Dubh Linn Garden). Dopo un meritato riposino, ci avviammo per raggiungere il Trinity College lungo la direttrice della Dame Street. Venne istituito al di fuori delle mura cittadine sulle terre confiscate agli agostiniani nel 1592 da Elisabetta I, per civilizzare l’Irlanda attraverso la religione protestante. Molte famiglie irlandesi cominciarono così a mandare i propri figli al Trinity College anziché a Londra, anche se fino al 1966 l’ingresso ai cattolici era concesso solo con uno speciale permesso. Una volta all’interno la frenesia metropolitana lascia spazio alla calma antica della tradizione. All’entrata del college si trovano i busti di due laureati eccellenti, il politico E. Burke e il poeta O. Goldsmith. Studiarono qui molteplici personaggi importanti come il filosofo G.Berkeley e lo scrittore O. Wilde. Non partecipammo al tour organizzato, ma ci limitammo a passeggiare tra i vari complessi e gli ampi giardini dell’università., ma ciò non ci ha impedito di leggere del Book of Kells, un manoscritto miniato custodito nella Old Library, per cui i monaci dovettero fuggire a Kells, nella contea di Meath, per sottrarlo alla furia dei vichinghi. Avevamo camminato tantissimo e il desiderio di una bella doccia incombeva tra i nostri bisogni primari. Non prima però di aver dato omaggio al tempio della musica, il luogo della nascita e della consacrazione degli U2. Bono Vox e la sua band provarono nel 1978 per la prima volta all’interno del Project Arts Centre, nel cuore di Temple Bar. Dopo una foto di rito, come pellegrini nel luogo della preghiera, ci avviammo verso il nostro albergo per una doccia rinfrancante. Decidemmo che per quella sera avremmo cenato come si comandava. Niente pizza, niente panini, volevamo un bel piatto caldo a base di carne e verdure. Dopo un’accurata ricerca di mercato lungo le vie strette di Temple Bar, optammo per un locale con vetrata panoramica sul Liffey River. Mangiammo un bollito di carne con verdure di contorno e un bel po’ di cipolline. Continuammo così il nostro tour esplorativo della città by night. Giungemmo così dalle parti del Ha’ Penny Bridge, il ponte pedonale in ferro ristrutturato nel 2001 vicino al Millenium Bridge. Prende questo nome dal mezzo penny che fino al 1919 si pagava per attraversarlo. Ritornammo così in Temple Bar, anche perché un fine pioggerellina scendeva lenta e fresca sulle nostre teste e per quel poco che avevamo imparato della cultura irlandese, l’ombrello era bandito e l’unico modo di non beccarsi un bel raffreddore era quello di rintanarsi in uno dei tanti affollatissimi Pub a bere una pinta di Guinness. Ci sedemmo ad un tavolo ad ascoltare musica e a bere la nostra meritata birra e dopo quattro chiacchiere con due ragazzi milanesi appena sbarcati in terra irlandese, ci riversammo di nuovo nelle strade di Temple Bar. Eravamo stanchissimi e dopo aver notato gli occhi iniettati di sangue del mio amico Andrea ce ne andammo a dormire. 29-Agosto 2007…il ritorno. Il nostro volo per Londra (vi ricordo che per pagare di meno avevamo pensato di fare scalo nella capitale britannica) sarebbe partito alle 11,15 e dopo aver superato senza grossi problemi la dogana, ci posizionammo su delle sedie in prossimità del gate d’imbarco del nostro aereo. L’attesa paradossalmente passò senza un strascico di paranoia, anche perché passammo gran parte del tempo a chiacchierare con un ragazzo di Piacenza che per risparmiare aveva ideato la nostra stessa genialata. Assistetti ad un vero remake delle loro vacanze canadesi, con un fluire di luoghi e città che a fatica riuscivo a collocare a mente sulla cartina geografica. Quando l’altoparlante annunciò il nostro volo ci mettemmo in fila e come nel più classico dei copioni, perdemmo di vista il nostro simpatico compagno piacentino. Il volo da Dublino a Londra fu rapido ed indolore, quasi una passeggiata, neanche il tempo di alzarsi in volo che eravamo già arrivati. Messo piedi in terra londinese, avvertimmo lo strano desiderio d’immortalare quel momento…come a dire ci siamo anche noi… La magnifica ospitalità che avevamo imparato a conoscere nel nostro breve soggiorno irlandese s’infranse contro la fredda accoglienza degli inglesi. Per riuscire ad impietosire un tizio per una foto impiegammo quasi cinque minuti beccandoci tra l’altro sguardi infastiditi e sorrisi sarcastici. Nonostante tutto riuscimmo nell’impresa e dopo un accurato monitoraggio dei vari fast food presenti in aeroporto decidemmo di rinfrancarci la pancia con un salutare e corpulento panino farcito. Al momento di pagare ci rendemmo conto del luogo dove ci trovavamo e maledicemmo la stravaganza inglese e il loro particolare modo di collocarsi nei confronti delle convenzioni. Pagare in euro era possibile ma il resto ti veniva dato in pounds. Per evitare un rincoglionimento generale.. Nostro e della cassiera, pagammo il Bancoposta…che miracolosamente veniva accettato…ma che fatica. Facemmo il check-in e dopo aver superato senza difficoltà la dogana ci ritrovammo nel terminal dell’aeroporto con la prospettiva di dover attendere tre ore. Decisi di comprare un giornale. Trovai la Repubblica del giorno prima e la gazzetta dello sport. Mi tuffai a pesce sulla gazzetta, anche per sapere di più della vittoriosa sortita della mia rometta a Palermo. Mi misi in fila e giunto il mio turno chiesi se fosse possibile pagare in euro. Anche qui la stessa fava: si poteva pagare in euro ma il resto ti veniva reso in pounds. Per due euro chi se ne frega pensai. Misi sul bancone una moneta da due euro: a quel punto la cassiera cominciò a bifocchiare qualcosa che visto il mio pessimo inglese non compresi. Mi guardava con aria infastidita, come a volermi rimproverare del mio disaggio con la lingua e del fatto che le stessi facendo perdere tempo. Alla fine, dopo tanta fatica, capii che non si poteva pagare in euro con le monete ma solo con le banconote. Colpo di genio…tirai fuori il banco posta. Non lo leggeva…in realtà era la mia carta ad avere problemi, visto che quella del mio amico Andrea era stata strisciata senza problemi. La cassiera era divenuta fucsia e dopo avermi umiliato come un cretino analfabeta.. Mi liquidò gettando nella cesta dietro di lei il mio giornale. Ma non mi arresi, ritornai alla carica. Altro giornale…altra cassa…banco posta fasullo…che mi invento ora…pensa rapidamente mi dissi. Mi ricordai di avere poco più di due euro residui sulla Post-pay e tentati con quella e finalmente mi si aprirono le porte del paradiso. Con il giornale in mano e due chili in meno raggiunsi il mio amico. Comprai una bottiglietta d’acqua più che per la sete per verificare che la mia carta non fosse realmente smagnetizzata. Nessun problema.. Pagai strisciando e raggiunsi il mio amico Andrea. Trascorremmo il tempo leggendo e quando l’altoparlante annunciò il nostro aereo ci mettemmo in fila al gate d’imbarco. A breve capimmo che il nostro aereo sarebbe arrivato in ritardo e così mano sulla coscienza ci rassegnammo all’attesa. Con un’ora di ritardo il nostro benemerito decollò con destinazione Roma Ciampino. Io naturalmente ero inchiodato all’oblò, ma sfortunatamente sull’ala, mentre il mio amico Andrea mi sedeva di fianco. Il viaggio fu tranquillo e anche suggestivo, vedere il cono d’ombra proiettato sulla terra, con zone di buio e luce separate da una fine linea nera, rappresenta uno spettacolo indescrivibile. Un po’ come la ragazza che ci sedeva di fianco con la quale chiacchierammo amabilmente per tutto il resto del viaggio. Ad attenderci all’aeroporto di Ciampino c’era come consuetudine papà Luciano, accompagnato questa volta da mamma Natalina. Dopo aver caricato le valigie in macchina, nel giro di un’oretta fummo a casetta. La nostra vacanza era finita, ma l’Irlanda sarebbe rimasta stampata nel cuore come una fotografia, con i suoi meravigliosi paesaggi, con le sconfinate distese di verde, ma soprattutto con la sua gente. Enrico….



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