A PASSEGGIO SUL FONDO DELL’OCEANO seconda parte

GIORNO 11 - MARTEDI 15 LUGLIO 2003 Dopo aver assistito alla replica mattutina dell’ingresso della marea, con un ultima occhiata alla silouette dell’abbazia lasciamo Mont St.Michel, e, con lui, lasciamo anche la Normandia. Pochi chilometri ed arriviamo a varcare il “confine” della Bretagna. A Pontorson c’è una deviazione, a causa di...
a passeggio sul fondo dell'oceano seconda parte
Partenza il: 05/07/2003
Ritorno il: 27/07/2003
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 3500 €
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GIORNO 11 – MARTEDI 15 LUGLIO 2003 Dopo aver assistito alla replica mattutina dell’ingresso della marea, con un ultima occhiata alla silouette dell’abbazia lasciamo Mont St.Michel, e, con lui, lasciamo anche la Normandia.

Pochi chilometri ed arriviamo a varcare il “confine” della Bretagna.

A Pontorson c’è una deviazione, a causa di lavori. Sbagliamo strada e finiamo davanti ad un Intermarchè. Poco male, dovevamo giusto fare la spesa. Non facciamo in tempo ad entrare che comincia il finimondo; il temporale è rapidissimo e fortissimo, tanto che va via la luce per due volte. Quando usciamo è tutto finito, ma tutt’intorno viaggiano veloci grossi nuvoloni neri. Ci stiamo dirigendo a sud, verso l’interno: oggi abbandoniamo il mare per dedicarci ai castelli.

Il primo è il medievale maniero di Fougeres. Non abbiamo bisogno di girare molto per trovare un parcheggio che fa al caso nostro, proprio sotto uno dei torrioni più possenti. Peccato che l’ingresso è al capo opposto, ma almeno questo ci dà l’occasione di girarci intorno per intero.

Cominciamo seguendo la parte più bassa delle mura e una porzione superstite del fossato, anche oggi piena d’acqua. Poi entriamo nella città vecchia per una suggestiva porta, anch’essa medievale, e in pochi minuti siamo all’ingresso del castello.

Questo ha tutte le caratteristiche del castello feudale: ingresso turrito e dotato di ponte levatoio, una grande cinta difensiva con tanto di torri e torrioni – a cui la pietra scura conferisce un aspetto ancora più arcigno – e, ad occupare la sommità dell’altura su cui è costruito, il torrione principale, l’ultima linea di difesa in caso di attacco.

Superata la seconda porta entriamo nel cortile principale, dove, in epoca più recente, era stata costruita una residenza più sontuosa delle buie stanze ricavate nelle torri. Di questa non restano che pochi sassi.

La guida consiglia di arrivare ad un belvedere in centro città.

E’ lontano, ci andiamo col camper.

Da quassù c’è una bella vista su tutto il complesso del castello e sul quartiere che lo circonda, valeva la pena arrivarci! Tentiamo di uscire dalla città e ci “incartiamo” un po’ con le strade; alla fine ci riusciamo, ma le ambizioni di cartografo di Roberto ne escono profondamente provate! Vitrè ci aspetta.

Lisa, leggendo sulla guida quello che dice a proposito del castello, decide unilateralmente che non merita una visita approfondita. Roberto tenta una trattativa, che fallisce miseramente. Non c’è niente da fare, la decisione è presa! Attraversiamo il paesetto e ci fermiamo giusto il tempo di dare un’occhiata e di scattare un paio di foto al castello da altrettanti punti strategici, che anche la nostra vecchia guida Michelin indica come i migliori.

Peccato! L’aspetto esterno del castello è veramente imponente, coronato da innumerevoli torri. Un po’ un castello delle fiabe, per le forme, ma il colore della pietra lo rende più severo.

Ci resterà il dubbio di quello che avremmo trovato all’interno.

Proseguiamo, dopo una sosta per il pranzo in un’area di parcheggio. Il tempo è variabile, ma è ancora molto caldo. Non sappiamo più se essere contenti o dispiacerci per un tempo così buono.

Un solo temporale in dieci giorni, ma, soprattutto, per la prima volta, ci capita di arrivare, in camper, quasi tutti i giorni sopra i trenta gradi.

Per fortuna la notte la temperatura scende di parecchio e, in generale, si dorme bene.

Sulla strada di Dinan passiamo per Combourg, dove c’è un’altro castello degno di nota.

E’ immerso nel suo parco di alberi centenari e dalla strada si intravede appena. Ci passiamo praticamente accanto, ma nei dintorni dell’ingresso non c’è l’ombra di un parcheggio.

Una passeggiata troppo lunga ci porterebbe via molto tempo e non vogliamo rischiare di “arrivare lunghi” proprio nella città che dovrebbe essere il clou della giornata, quindi proseguiamo.

A Dinan la guida indica la presenza di un campeggio comunale praticamente in città, se così è ci converrebbe lasciare il mezzo direttamente lì e, poi, visitare il centro a piedi! Arriviamo al campeggio senza problemi, ma abbiamo la delusione di trovare che non c’è un filo d’ombra – essenziale con il caldo di oggi – e, per di più, gli impianti di scarico – per wc a cassetta – non sono adatti ai nostri serbatoi. Decidiamo di arrivare ad un’altro campeggio, un po’ più lontano, e questo ci costringe a cambiare i nostri piani: per prima cosa dobbiamo trovare un parcheggio e non è cosa facile! Una svolta sbagliata e dobbiamo attraversare qualche peripezia – compresa una puntata in una zona pedonale da cui usciamo fortunosamente – per approdare ad un parcheggino fuori mano proprio a ridosso delle mura (scopriremo soltanto più tardi un enorme e comodo parcheggio al capo opposto della città per cui non avevamo visto alcuna indicazione).

A questo punto Andrea sta dormendo. Non è consigliabile svegliarlo! Dobbiamo dividerci di nuovo e, nonostante nel frattempo si sia svegliato da solo, visto il suo pessimo umore, è meglio non forzarlo, altrimenti prima o poi ce ne pentiremo! Come al solito Roberto se ne va da solo.

La città vecchia è molto carina, stretta nelle sue mura e percorsa da stradine pedonali affollate di turisti. Le vecchie case, molte delle quali sono begli edifici a graticcio, ospitano negozi, boutique, laboratori artigianali e gallerie d’arte, chiaramente dedicati al turismo. Dietro la piccola cattedrale si apre un bel giardino fiorito, il jardin anglais, che poggia sulle mura medievali e costituisce un belvedere sulla parte bassa della città e sulla gola in fondo alla quale scorre il fiume Rance, affollato di barche a vela.

L’angolo, probabilmente, più suggestivo è proprio la via acciottolata che scende verso il fiume e, dopo aver attraversato le mura, arriva alla città bassa, sorta intorno al porto fluviale.

Al capo opposto della città si trova l’imponente donjon, a difesa di una delle porte, che oggi è stato trasformato in museo.

Si torna alla base, con il rammarico di non aver potuto godere di questa bella visita tutti insieme, …Ma il camper…È vuoto!! Stai a vedere che sono andati in giro da soli! E’ proprio così; dopo un po’ Lisa, Andrea e Judy sbucano dalla porta della città: sono riusciti anche loro a fare un breve giro.

Probabilmente non ci siamo incontrati per un soffio.

Be’, almeno un’occhiata l’abbiamo data tutti! Ora dobbiamo pensare al campeggio e a liberarci del contenuto dei serbatoi.

Trovare il campeggio è semplice seguendo la segnaletica.

Prima di entrare, su indicazione della signora che sta alla reception, provvediamo alle operazioni di carico e scarico al “camper service”: come al solito c’è la colonnina per l’acqua ed un tombino aperto che sembra essere adatto ai nostri scarichi.

Procediamo.

Mentre siamo ancora intenti alle operazioni, arriva la stessa signora, che pur asserendo di conoscere l’inglese, continua imperturbabile a sbraitare in francese.

Secondo lei non dovevamo usare quel tombino.

Tentiamo di farle capire che c’è stato un malinteso, dovuto forse all’inglese che lei non parla, e che, comunque, se avessimo usato il tubo flessibile che ci indica lei – ben più stretto del nostro bocchettone – sarebbe stato molto peggio di così.

Niente da fare, continua a brontolare e poi se ne va.

Va be’, ormai il danno è fatto, se di danno si tratta! A noi non sembra proprio, anche perchè ci siamo preoccupati di lasciare anche meglio di come abbiamo trovato e abbiamo usato anche del disinfettante.

Ci sistemiamo nel campeggio, bello e caro.

Dopo cena c’è giusto il tempo di approfittare dei giochi per bambini di cui il campeggio è dotato.

GIORNO 12 – MERCOLEDI 16 LUGLIO 2003 E’ cambiato il tempo. Durante la notte è piovuto a dirotto. Ora il cielo è coperto, il tempo sembra piuttosto variabile e non promette niente di buono. Stai a vedere che la pacchia è finita! Qualche chilometro su stradine di campagna ed arriviamo sulla superstrada che, scavalcata la Rance, ci conduce fino a St.Malo.

Arriviamo alla città murata – intra muros, la chiamano, alla latina – e cerchiamo un posto per lasciare il camper. Qui intorno o ci sono divieti o ci sono le sbarre a 2 metri di altezza all’ingresso dei parcheggi. C’è in giro qualche camper, ma alcuni sono parcheggiati dove i cartelli sono molto espliciti, altri nei pochi spazi riservati ai pullman della stazione marittima. Decidiamo di non rischiare e ci allontaniamo un po’ di più, oltre il ponte mobile che chiude l’accesso al porto interno. Qui, lungo una strada proprio sul bordo del bacino, raggiungiamo una lunga fila di camper parcheggiati.

Evidentemente non siamo stati gli unici a voler evitare una multa! La passeggiata fino alle mura è lunga, ma siamo fortunati – e più di tutti lo è Andrea – perchè, proprio mentre passiamo, una nave, superata la chiusa, è pronta ad entrare in porto ed il ponte, di conseguenza, si apre. Ci godiamo in prima fila tutte le manovre, del ponte e della nave, e solo allora possiamo proseguire. Saliamo sulle mura settecentesche e ne facciamo il giro sul lato del mare.

Subito sotto le mura ci sono a volte belle spiaggette, a volte, invece, le mura poggiano direttamente sugli scogli. Di fronte, in lontananza, diverse isole, alcune delle quali ospitano i forti che proteggevano il porto. All’interno dei bastioni la città vecchia è formata da una rete di vie che si incrociano quasi sempre in maniera perpendicolare e da alti palazzi. Il cammino di ronda – a volte largo quanto una strada, altre volte appena sufficiente a due persone – funge oggi da passeggio e in questo momento è piuttosto affollato. Ci sono dei gabbiani – evidentemente abituati alla presenza degli esseri umani – che, nonostante il via vai, rimangono in posa, apparentemente contenti di essere fotografati.

Mentre Andrea, a cavallo di un antico cannone, ricorda il barone di Munchausen, comincia a cadere una leggera pioggerellina. Non facciamo in tempo a tirare fuori gli impermeabili polacchi comprati l’anno scorso (i polacchi di pioggia se ne devono intendere perchè i loro impermeabili sono la fine del mondo!) che la pioggerellina è diventata uno scroscio, e il vento ce la spinge fino negli occhi.

Proseguiamo impavidi – anche perchè non c’è uno straccio di rifugio – e quando arriviamo al castello la pioggia è quasi finita. Giusto il tempo di dare un’occhiata, però, e ricomincia. E’ ora di pranzo, ci mettiamo nelle mani della nostra fida Lonely Planet, che, come al solito, non ci tradisce. Il locale è caratteristico ed il cibo molto buono. Scegliamo il menù più economico che, però, ci dà modo di assaggiare le tradizionali mules et frites, annaffiate da un buon bicchiere di sidro. Le cozze sono squisite – cotte in una salsa di cipolle e di sidro – e il dolce che le segue non è da meno.

Quando usciamo non piove più.

Un ultimo salto sulle mura, per vedere l’effetto della bassa marea, e poi via.

Usciti dalla città, ci dirigiamo verso ovest e dopo pochi chilometri la strada passa al di là del fiume Rance sopra l’usine maremotrice de la Rance, una via di mezzo tra una diga ed una centrale elettrica, che utilizza la forza della marea per produrre energia.

Vorremmo fermarci a dare un’occhiata a Dinard, altra rinomata stazione balneare, ma la cittadina sembra molto affollata e i suoi parcheggi lo sono altrettanto. Facciamo qualche tentativo, alla fine desistiamo e ci accontentiamo dell’idea che ce ne siamo fatti con il nostro passaggio.

Proseguiamo seguendo la strada costiera fra le piccole ridenti località balneari e le belle spiagge della Cote d’Emeraude. Ora è momentaneamente tornato il sole e non si direbbe che queste sono le fredde acque dell’oceano. La gente affolla le spiagge come si è abituati a vedere dalle parti nostre.

Per arrivare a Fort La Latte facciamo gli ultimi chilometri di nuovo su strette stradine di campagna.

Il parcheggio anche qui dispone di un’ampia zona dedicata ai camper. Non ci sono servizi, ma è un bel posto, con molto verde intorno che lo ripara dal vento battente che proviene dal mare. Per arrivare al castello si attraversa una bella pineta, poi la strada scende tra una cortina di piante intricate fino all’orlo della scogliera, dove un ponticello immette nel forte.

Nonostante che una parte delle strutture del forte siano anche qui adibite a residenza (si direbbe ancora abitata dal proprietario dal momento che è off limits per il pubblico), il complesso è stato chiaramente da sempre utilizzato per scopi difensivi e le sue strutture sono molto essenziali.

Una doppia cortina di mura e fossati lo difende da terra.

Lungo le mura, a strapiombo sul mare, corrono le terrazze che ospitavano i cannoni.

In un angolo più riparato c’è pure il forno in cui venivano forgiate le palle, le munizioni dell’epoca.

Sulla cima del piccolo promontorio occupato dal forte sorge il torrione cilindrico che costituisce il cuore della fortezza e che ne caratterizza l’aspetto. Roberto ed Andrea salgono fino al terrazzino circolare più alto – che occupa la sommità del tetto – per una precaria scaletta di pietra che, praticamente, fa parte integrante del tetto stesso. Quassù il vento soffia impetuoso, la bandiera sembra stia per strapparsi da un momento all’altro! Tutto sommato il giro del forte si risolve velocemente, ma – sulla strada del ritorno – indugiamo di nuovo ad ammirare da lontano la silouette, quasi minacciosa, del castello appoggiato sulle rocce schiaffeggiate dal mare.

Questa è la vista più bella! Nei nostri programmi era previsto di pernottare nel parcheggio di Cap Frehel, una manciata di chilometri più avanti.

Il posto non è bello come ci aspettavamo, in più è affollatissimo e, per finire, è anche a pagamento (anche se ora sono le sette passate e il parcheggio è ormai libero).

Proseguiamo a piedi sotto il grande faro ed oltre, sui sentieri che arrivano al capo.

Il vento è così forte che si riesce a camminare con difficoltà e, per sentirsi parlare, bisogna gridare.

Forse, però, è proprio questo il tempo più appropriato per vedere un posto del genere! Anche perché – a giudicare dalla vegetazione inesistente, se si escludono muschi, licheni e qualche sofferente ciuffo di erica – questo genere di condizioni non devono essere poi così insolite. Sulle rocce intorno c’è una colonia di uccelli marini e vale la pena fermarsi ad osservare le loro abitudini e il loro modo di vivere. Andrea ne è molto interessato e si ferma con Lisa ad osservarli a lungo! Qui il vento è molto più forte che a Fort La Latte ed il tempo non promette niente di buono.

Tutto considerato, pensiamo che valga la pena tornare lì, qualche chilometro indietro, e passare la notte in tutta tranquillità! GIORNO 13 – GIOVEDI 17 LUGLIO 2003 Un ultima occhiata a Fort La Latte e siamo di nuovo sulla strada. Passiamo sulla litoranea che segue questo tratto della Cote d’Emeraude, con belle viste sul mare e sulle scogliere, fino a Sables d’Or les Pins.

La strada che abbiamo in programma per oggi è lunga, non potremo seguire oltre le strade litoranee, più scenografiche, ma più lente e tortuose e spesso intasate dal traffico dei vacanzieri.

Abbandoniamo momentaneamente la costa per trovare un percorso più rapido alla volta della Cote de Granit Rose.

All’interno le strade sono scorrevoli ed un tratto di autostrada, questa volta gratuita (in Bretagna le autostrade sono quasi sempre gratuite), ci permette di superare agevolmente anche la città di St.Brieuc. Imbocchiamo fortunosamente l’uscita giusta ed in breve varchiamo l’immaginaria linea che separa la Bassa Bretagna, la vera “Bretagna Bretone”, dall’Alta Bretagna, la “Bretagna Gallica”, la “Bretagna Straniera”.

Immaginaria, ma non troppo! Si percepisce subito che ora c’è una diversa consapevolezza dell’essere bretoni: insegne e scritte in bretone improvvisamente si moltiplicano e i cartelli stradali riportano le indicazioni sia in francese che in bretone.

Da qui in poi saranno sempre di meno le auto locali senza uno dei caratteristici adesivi – magari con qualche inconfondibile disegno celtico – che riportano la sigla della Bretagna o la scritta “Io sono bretone”, oppure la “Gwenn ha Du” (letteralmente “Bianco e Nero”), la bandiera nazionale bretone.

Al di qua di questa linea sono molto più sentite anche le tradizioni, i costumi, la musica.

Speriamo che, prima o poi, prima di lasciarla definitivamente, riusciremo ad arrivare nel posto giusto al momento giusto e ad approfittare di una delle tante feste del folklore locale! Una breve deviazione dall’itinerario principale ci porta a Treguier.

Dicono che la sua cattedrale di St.Tugdual sia la più bella chiesa gotico-fiammeggiante di tutta la Bretagna. Certo non può rivaleggiare con le più famose cugine di Rouen o di Bayeux, ma nel complesso è una bella chiesa; soprattutto ha un elegante chiostro, dal quale si ha un bel colpo d’occhio sull’abside e sulle torri, di cui una è coronata dalla caratteristica alta guglia traforata tipica dell’architettura bretone.

Lasciamo la piccola città ed arriviamo in breve tempo a Perros-Guirec, elegante località balneare. E’ ormai ora di pranzo! Il tempo è di nuovo migliorato ed è tornato fuori un bel sole.

Troviamo un parcheggio a poca distanza dalla spiaggia e dall’inizio del Sentiero dei Doganieri – che abbiamo intenzione di percorrere nel pomeriggio – e ci fermiamo a mangiare.

La guida consiglia il pomeriggio come momento migliore per l’escursione sul sentiero pedonale che segue la Cote de Granit Rose e noi, come al solito, seguiamo fiduciosi i suoi consigli! Ma, forse, chi l’ha scritta non ha incontrato una giornata così bella! E così calda!! Tanto calda che la Plage de Trestraou è affollata di gente distesa a prendere il sole e potremmo benissimo aggiungerci anche noi, vista la temperatura.

In effetti la passeggiata è proprio bella.

Nel primo tratto si seguono dall’alto dei continui affioramenti rocciosi dalle forme contorte e tormentate che la bassa marea ha momentaneamente lasciato scoperti, poi il sentiero scende praticamente sulla riva del mare, all’altezza degli scogli.

Infine, arriva in mezzo ad enormi massi di granito rosa, a volte separati da piccole baie, altre volte raggruppati in enormi cumuli, dalle forme bizzarre, che sembrano il frutto di giochi di giganti. Questo ha fatto meritar loro nomi curiosi come quello che è stato dato al più grande: il Castello del Diavolo.

Probabilmente non siamo nemmeno arrivati alla metà dei 5 chilometri di lunghezza della passeggiata, ma dobbiamo pensare che bisogna farne altrettanti al ritorno! E con Judy al guinzaglio e Andrea stanco, che ormai vuole stare quasi sempre sulle nostre spalle, la cosa non è da sottovalutare!! Abbiamo visto abbastanza o, meglio, dobbiamo accontentarci! Cerchiamo di ottimizzare gli sforzi separandoci: Roberto rifarà l’intera strada a ritroso per riprendere il camper, Lisa e il resto della truppa raggiungeranno la strada asfaltata che passa poco più in alto e lì il gruppo si riunirà.

Così avviene.

Concludiamo il giro della costa in camper, sulla Corniche Bretonne, passando per Tregastel, con bellissimi scorci su baie – ora lasciate completamente in secca dalla marea – affollate di barche e barchette adagiate sui fondali asciutti, spesso inclinate sul fianco a causa delle loro derive, dall’aspetto di animali agonizzanti fuori dal loro elemento naturale.

Intorno, è molto bello il contrasto di colore tra il verde della vegetazione rigogliosa ed il rosso sbiadito della roccia nuda.

Prossima destinazione St.Pol de Leon.

Ci arriviamo dopo una sessantina di chilometri ed un’oretta di viaggio, che ha costituito un’irresistibile ninna nanna per Andrea, a causa della stanchezza accumulata nella lunga passeggiata.

Come al solito, visita separata! Per non svegliarlo.

Qui ci sono due chiese: l’immancabile bella cattedrale e, soprattutto, la cappella del Kreisker, famosa per il suo agilissimo campanile – il più alto della Bretagna – sormontato da un’elegante guglia, traforata a mo’ di merletto, e fiancheggiata, ai quattro angoli, da altrettanti pinnacoli.

La cappella è chiusa, ma poco importa! Quello che volevamo vedere era proprio il campanile, che è stato preso a modello per un gran numero di chiese in tutta la Bretagna per la sua eleganza.

E’ tardi, tanto per cambiare! Rivediamo i programmi.

Ci fermeremo prima del previsto, a St.Thegonnec anziché a Guimiliau, e rimanderemo la visita di entrambe le chiese all’indomani.

Per fortuna anche qui c’è una bella area di sosta per camper – questa volta dotata di colonnina, ma anche di un comodo scarico a pozzetto di cui approfitteremo domani mattina prima della partenza – piccola, ma proporzionata alle esigenze, visto che nessuno dei mezzi che arrivano rimane senza posto.

Alla fine sarà praticamente piena! Accanto a noi si piazza un altro equipaggio italiano, che scopriamo essere stato a Cap Frehel insieme a noi.

Il parcheggio è a due passi dalla chiesa e la tentazione di dare un’occhiata sfruttando l’ultimo sprazzo di luce della giornata è troppo forte.

Del resto i calvari bretoni erano tra le aspettative più grandi di questo viaggio! Facciamo una capatina! L’ora non è delle migliori per godere di questi monumenti di pietra scura e le nuvole minacciose che sono tornate ad oscurare il cielo non aiutano, ma la prima curiosità è soddisfatta! Ci accontentiamo di un’occhiata e rimandiamo la visita più approfondita all’indomani, sperando in un tempo migliore, quando anche la chiesa sarà aperta. Tornando verso casa ci lasciamo prendere dalla tentazione di uscire per cena, o, quantomeno, di comperare qualcosa di pronto.

Per la prima ipotesi, abbiamo visto la caratteristica insegna blu e rossa di un ristorantino Les Routiers, ma leggendo il menù appeso fuori dalla porta preferiamo rimandare ad una occasione migliore.

Un’altra soluzione potrebbe essere una bella pizza “all’italiana” fatta da un “pizzaiolo volante” che ha parcheggiato il furgone poco lontano dal camper, ma i prezzi sono inaspettatamente proibitivi.

Finiamo con l’arrangiarci con quello che abbiamo. Magari faremo una bella zuppa calda, visto che, con un po’ di vento e una pioggerellina fina fina, la serata ha preso proprio un aspetto invernale! GIORNO 14 – VENERDI 18 LUGLIO 2003 Oggi la giornata è quasi del tutto dedicata ai calvari bretoni, anzi, sarebbe più giusto dire, agli enclos paroissiaux (letteralmente “recinzioni parrocchiali”), cioè agli antichi complessi parrocchiali, caratteristici soprattutto del Finistere.

I calvari sono solo uno degli elementi che li compongono, forse il più originale.

Ce ne sono una miriade da queste parti, alcuni sono poco più di semplici croci, altri sono veri e propri gruppi scultorei. Noi, ovviamente, visiteremo soltanto i più belli, ma già questo non è cosa da poco! Il primo è, naturalmente, quello di St.Thegonnec, a pochi passi dal nostro camper. Oggi la giornata è molto più luminosa, anche se il tempo è comunque variabile, e la luce del mattino ci fa ben apprezzare i particolari delle sculture che lo adornano, raggruppate in scene della passione di Gesù Cristo. Ci sono i personaggi tradizionali della storia di Cristo, ma sono curiosamente tutti vestiti di abiti del ‘600. Smorfie animalesche tradiscono la cattiveria di alcuni.

Il calvario serviva anche da pulpito e queste scene venivano additate dal pastore durante i suoi sermoni: quelle facce malvagie servivano a sottolineare le sue parole con uno scopo, per così dire, “didattico” per i suoi fedeli! Un po’ come accadeva con gli stupendi affreschi che coprivano ogni centimetro delle pareti esterne delle chiese della Bucovina! Certo, qui la pietra scura dà al tutto un aspetto molto più tetro, ma, in fondo, il concetto che sta alla base di entrambe, le colorate scene rumene e le grigie sculture bretoni, è lo stesso: “ricordati che devi morire”! Intorno al calvario gli altri elementi caratteristici chiudono l’enclos, il recinto: il muro di cinta, l’arco di trionfo, l’ossario e la chiesa.

Quest’ultima è stata colpita da un incendio pochi anni fa ed il suo interno è ancora interessato da lavori di restauro. Per fortuna il fuoco ha risparmiato il bel pulpito di legno scolpito.

Arrivare da qui a Guimiliau è davvero questione di minuti! Questo calvario è ancora più grande e più bello del precedente.

Non a caso è il più celebre! Ci divertiamo ad osservare le scene – formate da oltre 200 statue – una ad una, ponendo l’attenzione sui dettagli, sugli abiti, sulle espressioni. E’ davvero interessante! Alle scene derivanti dalle storie bibliche qui se ne aggiungono delle altre derivanti dalla tradizione locale che, naturalmente, possono essere ricondotte alla medesima morale! La calma finisce quando arriva una comitiva tedesca della terza età in tour organizzato, del resto pretendere di terminare la visita praticamente da soli, come siamo stati fino ad ora, in un luogo così famoso sarebbe stato pretendere troppo! Ci dedicheremo agli altri edifici prima che si sposti tutto il gregge! Anche questi sono complessivamente più belli dei precedenti.

Sia la chiesa che l’ossario hanno forme più delicate ed equilibrate: uno stile più “pulito”.

All’interno la chiesa racchiude delle pregevoli sculture in legno.

Ma la cosa più bella è il portico di accesso alla chiesa, che presenta bellissimi intagli elaborati di pietra e le statue dei dodici apostoli.

Riprendiamo la strada, non prima di avere acquistato, nel forno locale, due generose porzioni di Kouign Amann: la squisita “bomba calorica” fatta di farina, zucchero e burro – tanto burro, il nome significa proprio torta al burro – che è un prodotto caratteristico della pasticceria regionale.

Una delizia che avevamo già avuto modo di assaggiare nei giorni scorsi e che riassaggeremo volentieri ad ogni occasione. I calvari che visitiamo oggi sono tutti a poca distanza l’uno dall’altro.

Il prossimo è quello di Lampaul-Guimiliau.

Il complesso parrocchiale che vi sorge è più semplice dei precedenti.

Qui la cosa più interessante è l’interno della chiesa, che è ravvivato da sculture in legno colorate a tinte vivaci. In particolare dalla bellissima “trave trionfale” in legno, con scene intagliate policrome ed un grande gruppo della crocifissione. Qualche chilometro in più ed arriviamo a Sizun.

Le guide indicano che qui sorge uno dei complessi parrocchiali più belli della Bretagna.

A noi non sembra niente di eccezionale, se paragonato con i precedenti, forse anche complice il fatto che Judy non può entrare nemmeno nel recinto e questo ci obbliga a visitarlo in due turni.

Unica eccezione è l’elegante ed elaborato ossario del sedicesimo secolo, decisamente più bello dei precedenti.

Andrea comincia a dare segni di insofferenza alla visita di tutte queste chiese che ai suoi occhi sembrano tutte uguali. Per fortuna c’è la prospettiva di chiudere la giornata con una visita che per lui è decisamente più interessante, l’acquario di Brest. Questo mitiga un po’ la sua fretta, ma comincia comunque ad essere difficile trattenere la sua smania di proseguire.

Prossima fermata, La Martyre. Questo è un villaggio davvero piccolo e poco frequentato dai turisti.

Ci siamo solo noi e un’altra coppia di stranieri.

Questo complesso è il più antico della regione.

Ed anche abbastanza malridotto.

Le fondamenta del portico di ingresso della chiesa hanno ceduto da un lato e questo si è inclinato incredibilmente dalla stessa parte.

Sia l’ossario che la chiesa riportano i soliti particolari macabri con teschi, ossa e la Morte con in mano una testa mozzata, all’insegna del solito monito: “ricordati che devi morire”! Andrea, per fortuna, non fa particolarmente caso a questi dettagli, la sua attenzione è presa dal camminamento che sale sulle mura fino al pulpito che si trova sopra l’arco d’ingresso! Nella sua fantasia sono gli spalti di un castello e lui è un cavaliere intento a respingere l’attacco degli assedianti! La Roche Maurice dista soltanto quattro chilometri e mezzo.

E’ l’ultimo dei calvari in programma per oggi e l’ultima visita della mattina. Una mattina, a dire la verità, un po’ stiracchiata, visto che ormai sarebbe già l’ora di pranzo.

Decidiamo, però, di rimandare la sosta e spostarci il più rapidamente possibile perché nell’auto parcheggiata accanto a noi c’è un ragazzo dagli atteggiamenti un po’ equivoci ed in giro non si vede nessuno.

Effettuiamo velocemente la visita per andarcene al più presto! La chiesa risulta essere, per noi, tra le più belle che abbiamo visto oggi.

Ha più la struttura di una piccola chiesa di città che di una semplice parrocchiale di paese ed è arricchita da un elegante e snello campanile dalle forme tradizionali.

L’ossario è senza dubbio il più interessante che abbiamo visto, con caratteristiche che lo rendono unico: i giochi di colore, tra il granito color miele e la pietra grigia, la decorazione a pannelli scolpiti che illustrano scene di vita terrena, la curiosa raffigurazione di Ankou, la morte, che ricorda – con le sue parole “Vi voglio tutti” – il comune destino a chi intinge le mani nell’acquasantiera.

Una piacevole sorpresa da un luogo da cui, invece, non ci aspettavamo molto! Per il pranzo – non trovando, lungo la strada, alcuna piazzola di sosta attraente – ci spostiamo nella grande spianata dove si svolge il frequentatissimo Pardon di Le Folgoet.

A giudicare dalle foto che sono nel piccolo museo, dev’essere una grande occasione per assistere ad un imponente evento di folklore locale! Si svolge nella quarta domenica di luglio! Che peccato! Ce lo perdiamo solo per pochi giorni! Di fronte al museo c’è la chiesa, edificata per devozione sul luogo dove la fede di un uomo semplice, secondo la leggenda, fece sgorgare una sorgente miracolosa.

La chiesa ha una originale pianta quadrata e custodisce un eccezionale parete in granito finemente scolpito che divide la piccola navata dal coro e dall’altare.

La storia del povero Salaun – il nome Le Folgoet significa, appunto, “il bosco del folle”, facendo riferimento alle sue vicende – appassiona anche Andrea, che domanda, interessato, chiarimenti sulla sua leggenda e vorrebbe bere dalla fonte che affiora dietro l’abside.

Vagando intorno alla chiesa scopriamo anche che, poco oltre, c’è un ampio parcheggio destinato a pullman e camper ed attrezzato con la solita colonnina multifunzione.

Sulla strada di Brest ci fermiamo nell’ennesimo hiper-marchè a fare la spesa con calma, molta calma, una calma che poco si addice ai nostri tanti impegni di oggi! Inutile dire che adesso siamo in ritardo e rischiamo di mancare l’appuntamento con l’acquario.

Infatti arriviamo ad Oceanopolis che sono le sei.

Alla cassa ci fanno presente che per una visita completa occorrono almeno due ore e l’orario di chiusura è fissato per le sette. Non importa! Entriamo lo stesso, vedremo quello che potremo! In effetti è vero che per visitare l’intera “cittadella” un’ora non basta, ma tutte le spiegazioni, gli audiovisivi, i pannelli esplicativi eccetera sono rigorosamente solo in francese e, quindi, rinunciarci non ci costa poi molto! Restringendo la nostra attenzione soltanto alle vasche degli animali riusciamo a vedere tutti e tre i padiglioni che la compongono, concludendo – un po’ di corsa – con il padiglione dedicato ai climi temperati che, dei tre (gli altri due riguardano i mari tropicali e quelli polari), è il meno interessante.

La visita è molto spettacolare, tra leoni marini e squali, multicolori pesci tropicali e meduse fosforescenti, pinguini e murene, fantastici cavallucci marini e … Chi più ne ha più ne metta! Anche l’organizzazione del percorso è ben studiata, con la possibilità di osservare la grande ricchezza di flora e di fauna delle vasche più grandi da diverse prospettive, sia sopra che sotto il pelo dell’acqua. In quella che ricostruisce l’ambiente delle barriere coralline vengono ricreate persino le onde! Finalmente Andrea è al centro della visita e la sua pazienza di tutta la giornata è ricompensata! Siamo, forse, gli ultimi ad uscire, ma la visita è stata un successo.

Merito di Lisa, che ha insistito nonostante l’ora tarda.

Lasciamo il parcheggio ancora affollato di molti camper – che probabilmente passeranno qui la notte – e ci dirigiamo verso il centro della città, che, essendo stata distrutta quasi completamente durante la seconda guerra mondiale, non presenta grandi attrattive.

Attraversarla non presenta particolari problemi, ma sembra non finire mai. E’ più grande di quanto ci aspettassimo! Proseguiamo alla volta della Pointe de St.Mathieu, per una ventina di chilometri.

Lì è segnalata la possibilità di fermarsi in un bel parcheggio adiacente alle suggestive rovine dell’abbazia. Ma, quando ci arriviamo, la solita sbarra a due metri di altezza ci proibisce l’ingresso.

Ci vuole un po’ di tempo per trovare gli artigianali segnali che ci rimandano ad un altro parcheggio più lontano. Anche qui non siamo soli e dopo qualche ora si aggiunge anche un terzo camper.

Questo non è altro che un grande prato, più o meno in piano; l’ideale per far correre un po’ Judy in santa pace ora che, finalmente, le sue ferite sono guarite del tutto.

Ceniamo e poi andiamo a goderci il tramonto sul belvedere della punta.

Non sarà il più bel tramonto che abbiamo visto, ma è comunque un momento suggestivo per apprezzare le scogliere ai nostri piedi e le rovine della chiesa dietro di noi, dominata dalla cima rossa e bianca del faro.

Siamo nel punto più occidentale del nostro viaggio.

Una delle punte estreme del Finistere, che, per le nostre reminiscenze di latino, significa la fine della terra.

Ci tornano alla mente le parole che un famoso poeta portoghese scrisse a proposito del Cabo da Rocha: “…Dove finisce la terra e comincia il mare…”.

Come dire… Tutto il mondo è paese!! Mentre stiamo rientrando a casa – quella sulle ruote – la luce del faro comincia lentamente il suo ritmico balletto notturno. GIORNO 15 – SABATO 19 LUGLIO 2003 Il cielo è sempre coperto e continua a soffiare il vento.

Prima di lasciare Pointe de St.Mathieu cerchiamo di scoprire dov’è il forte sul mare raffigurato nella bella immagine di un poster pubblicitario che abbiamo visto nei pressi dell’abbazia. Arriviamo alla conclusione che si trova a due passi da noi.

E’ il fort de Bertheaume , uno dei tanti forti che proteggevano lo strategico porto militare di Brest, e sorge su uno scoglio nei pressi del villaggio di Plougonvelin.

Sarà la nostra prima meta di oggi. Scendiamo in paese e poi su una strada laterale, seguendo le indicazioni per il forte, fino ad un prato utilizzato da parcheggio.

Lasciamo il camper accanto ad un altro paio che devono aver passato la notte qui, con il panorama del mare davanti alle finestre. Certamente un bel posto per pernottare, molto più tranquillo dell’affollata area attrezzata che abbiamo incrociato poco prima.

Prendiamo il sentiero costiero che corre alto sopra la scogliera e in pochi minuti, dopo qualche svolta ed un ponticello di legno un po’ traballante, arriviamo in vista del forte, che giace poco sotto di noi.

La vista è bella, ma non ci entusiasma come l’immagine sul poster ci aveva fatto sperare.

Probabilmente la giornata un po’ uggiosa non aiuta! Ripartiamo appena rientrati e stavolta evitiamo la città di Brest seguendo la lunga tangenziale, attraversiamo l’imponente Pont de Bretagne e siamo a Plougastel-Daoulas.

Anche qui c’è un calvario, anzi qui c’è solo il calvario, perché il complesso parrocchiale che lo circondava è andato distrutto con i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Non sapendo precisamente dove si trova parcheggiamo lungo una strada centrale, vicino al museo, e proseguiamo la nostra ricerca a piedi. Il calvario stesso è stato ricostruito, esattamente come l’originale, mentre la vicina chiesa ricorda soltanto le forme di quella precedente e ne incorpora alcuni particolari, che probabilmente sono gli unici sopravvissuti.

Il fatto che non sia circondato dal suo ambiente naturale toglie molto all’atmosfera di questo monumento, che resta, nonostante tutto, imponente nel suo genere.

Ai lati della croce di Cristo, questa volta ci sono anche le croci dei ladroni – identificati dalla presenza di un piccolo angelo, sulla croce del ladro buono, e da un demone, su quella di quello cattivo – sotto, su due livelli, le solite scene finemente scolpite. Un altro particolare interessante è la presenza di escrescenze sul tronco della croce: queste stanno a significare che il calvario è stato eretto in occasione della fine di una pestilenza e ricordano i bubboni che caratterizzano quella malattia.

Gli unici turisti oltre noi sono una comitiva di italiani in viaggio organizzato.

Ne approfittiamo per intrufolarci e “rubare” alla guida qualche spiegazione, chissà che non ci scappi qualche informazione curiosa che non è riportata sulle nostre guide! Riprendiamo l’autostrada e, poi, la corniche de Terenez ci porta nella penisola di Crozon.

Arriviamo sulla sua parte estrema, fino alla Pointe de Pen Hir.

Ci sono molti veicoli parcheggiati e non mancano, come al solito, i camper.

Siamo di nuovo sulle scogliere.

E che scogliere!! Forse le più selvagge.

Le pareti di roccia sono così scoscese che vengono utilizzate per le arrampicate in roccia; anche mentre siamo lì ci sono diversi alpinisti aggrappati alle corde sopra le onde spumeggianti.

Davanti alla punta una fila di faraglioni, chiamati “mucchio di piselli”, fanno bella mostra di sé.

Sul promontorio troneggiano anche due grandi monumenti dedicati ai caduti di guerra. Poco lontano, un bunker di artiglieria – del genere che abbiamo già incontrato tante volte – è stato riutilizzato per creare un piccolo museo ed il resto delle fortificazioni giacciono abbandonate più oltre.

Roberto e Andrea si avventurano tra le rovine scendendo nei camminamenti protetti e fino agli ingressi delle casematte, ridotte ad orinatoi o a discariche di rifiuti.

Peccato, questo è il complesso più articolato fra quelli che abbiamo incontrato finora e potrebbe diventare una attrazione interessante, se ristrutturato a dovere! Più avanti, ormai alle porte del paese di Camaret sur Mer, passiamo accanto ad un piccolo allineamento di menhir, poi proseguiamo,verso la penisola che si stacca verso nord e chiude la rada di Brest.

Ci fermiamo, prima, in un piccolo parcheggio sopra una grande spiaggia, per consumare il pranzo guardando il mare, infine al forte di Pointe des Espagnols, con il panorama della città di Brest al di là dello stretto braccio di mare.

Ritorniamo verso l’interno e, prima di abbandonare la penisola di Crozon, saliamo al Menez Hom.

Si tratta di un colle di soli 330 metri di altezza, ma è uno dei punti panoramici più celebri della Bassa Bretagna.

Al termine della breve strada che sale fin quasi alla cima ci sono molte macchine e i soliti, immancabili, camper.

Quassù il vento è fortissimo, ma il panorama merita lo sforzo che bisogna fare per restare in piedi! Lo sguardo spazia a 360 gradi, ad ovest sulle baie e le punte da cui proveniamo, ad est sulle verdi colline dell’interno. Ora è la volta del nostro ultimo calvario, quello di Pleyben, il più vasto complesso parrocchiale di questo tipo di tutta la Bretagna.

La chiesa – con il vasto recinto che la precede – si trova in un’ampia piazza al centro del paese e gli spazi, per la prima volta così aperti, permettono di avere una bella prospettiva dell’insieme con la slanciata torre campanaria rinascimentale.

Il calvario, davvero imponente, rappresenta scene della vita di Cristo con i soliti, curiosi, costumi seicenteschi.

La particolarità che ci rimarrà più impressa di questo complesso sono, invece, le originali sculture policrome in legno che ornano le travi sotto il tetto della chiesa.

Rappresentano personaggi e scene della mitologia e della religione.

Sono proprio deliziose nel loro aspetto naif! Anche questa volta siamo costretti a visitare la chiesa separatamente a causa del sonno di Andrea, che si risveglia, come al solito, al momento di ripartire. Proseguiamo alla volta di Locronan, piccola località che sembra rimasta ferma nel tempo.

E si fa ogni sforzo per mantenere questa immagine! L’accesso al piccolo centro durante la giornata è vietato alle auto e si costretti a lasciare qualsiasi mezzo nei parcheggi – a pagamento – appena fuori del paese. Noi arriviamo così tardi che il parcheggio ormai è libero e facciamo appena in tempo a goderci l’atmosfera della piazzetta ancora libera dal traffico che il divieto decade ed il traffico irrompe.

Il borgo, formato quasi completamente dalle semplici casette di granito tipiche della Bretagna, è tutto raggruppato intorno alla piazza, dove sorge anche la quattrocentesca chiesa gotica.

Per fortuna la chiesa è ancora aperta e possiamo entrare a visitarla.

Nonostante l’estrema cura per mantenere l’atmosfera “vecchi tempi”, nell’aria c’è qualcosa di artefatto, che non ci convince. Sulla piazza ci sono diversi locali dove si può mangiare, dal ristorante di buon livello al bistro.

Presi dalla smania di assaggiare, finalmente, quella specialità locale che è la galette, commettiamo l’errore di rivolgerci al primo che capita, senza documentarci sulle guide.

La fregatura è in agguato.

Le galette sono alquanto improvvisate ed il sidro, da supermercato, ci costa quanto un Dom Perignon.

Forse avremmo dovuto dare più peso al fatto che il locale era vuoto! Questo posto non è adatto per passare la notte, tant’è vero che non ci sono altri camper.

Per di più è arrivato il momento di ricorrere di nuovo ai servizi di un campeggio e di ricaricare le nostre apparecchiature elettriche.

Il posto più vicino con dei campeggi segnalati sulle guide è Douarnenez.

Oggi dovrebbe esserci anche una festa in città.

Stai a vedere che riusciamo anche a vedere qualcosa del folklore locale! Seguiamo il consiglio della guida per un campeggino a conduzione familiare che, in effetti, si trova a Treboul, al di là del porto-canale.

Scomodiamo tutta la famiglia per sistemarci, nonostante l’ufficio sia già chiuso.

Il figlio è la prima persona che incontriamo a parlare un buon inglese con la tranquillità con cui parla il francese. Quando glielo diciamo, lui si scusa addirittura per la “pigrizia” dei suoi connazionali.

Lisa non perde l’occasione per chiedere informazioni sulla festa che dovrebbe svolgersi in città.

La risposta, deludente, è che non è niente di particolare e certo non è l’occasione giusta per vedere costumi tradizionali o balli folkloristici.

Cominciamo ad essere pessimisti! GIORNO 16 – DOMENICA 20 LUGLIO 2003 Lasciamo Treboul attraversando le vie deserte di Douarnenez.

E’ domenica mattina e in giro non c’è anima viva, quando usciamo dalla cittadina, dopo aver fatto un giro dalle parti del porto, avremo incrociato si e no una decina di veicoli ed altrettanti pedoni.

Arriviamo in una mezz’oretta a Quimper e non fatichiamo a trovare un comodo parcheggio a due passi dal centro – giusto al di là del fiume Odet, che la attraversa – proprio davanti all’ufficio turistico.

Abbiamo appena iniziato il nostro giro per le stradine della città vecchia e stiamo ammirando una curiosa casa a graticcio che, sotto il peso dei suoi anni, si è paurosamente piegata su un lato (tanto da domandarsi come abbiano fatto a renderla ancora abitabile con quell’inclinazione spaventosa), quando un inatteso suono di cornamuse invade improvvisamente l’aria e, subito dopo, una fila di tamburini in costume tradizionale svolta di colpo un angolo e ci è praticamente addosso.

Roberto e Lisa hanno sempre avuto un debole per le cornamuse. Andrea è certamente la prima volta che le sente e, davanti al rullare dei tamburi e al loro rombo corale, rimane a bocca aperta! Poi, preso dall’eccitazione, vuole a tutti i costi mettersi in processione dietro alla banda.

Lo accontentiamo di buon grado.

Il viaggio non dura molto, poco dopo la banda si dispone a semicerchio in una piazzetta e, davanti ad un folla che lentamente si va ingrossando, si esibisce in un concerto entusiasmante di musiche tradizionali di chiara origine celtica.

Anche il bar davanti a cui suonano si chiama Keltia! Tutte cose che la dicono lunga sullo spirito di questa regione, o forse sarebbe meglio dire di questa nazione! Lo ascoltiamo fino in fondo, osservando estasiati i caratteristici movimenti che i suonatori fanno all’unisono, poi riprendiamo la nostra visita.

Altre belle strade con antiche case a graticcio ci portano verso la piazza della cattedrale.

Sapevamo che era appena cominciato il Festival de Cornouaille, una delle principali manifestazioni del folklore bretone, ma non immaginavamo che già fosse nel pieno del suo svolgimento! Le nostre aspettative si gonfiano di colpo quando arriviamo nella piazza e la troviamo piena di tende ed altre strutture.

Ma allora, la fortuna non ci ha abbandonato! Proprio quando pensavamo di aver perso ormai ogni speranza ci ritroviamo nel cuore della festa! C’è già parecchia gente e, qua e là, orchestre che si preparano a suonare e gruppi in costume che, facendosi largo tra la folla, cercano di raggiungere l’angolo della piazza a loro assegnato.

Al centro, su un grande palcoscenico coperto, si alternano artisti e gruppi per noi sconosciuti, ma che qui sembrano molto noti; chi canta, chi suona strani ed originalissimi strumenti tradizionali (di cui leggiamo i nomi sulla guida, ma che non sapremo mai mettere in relazione con i rispettivi oggetti).

Davanti, la gente spontaneamente si prende a braccetto e comincia a ballare.

Nel giro di pochi minuti le nuvole, che già coprivano completamente il cielo, diventano più scure e minacciose finchè non arriva l’inevitabile acquazzone a raffreddare gli animi.

E’ il fuggi fuggi verso il primo riparo disponibile.

Noi ne approfittiamo per visitare la bella cattedrale, ma il nostro pensiero è rivolto alla coinvolgente musica che abbiamo ancora nelle orecchie.

Il temporale è passeggero.

La gente di qui dev’esserci abituata perchè non si scompone più di tanto: non fa in tempo a spiovere che la festa riprende più viva di prima! Ascoltiamo ancora della buona musica e Lisa, da appassionata di balli folkloristici, osserva attenta, con l’orecchio al ritmo e l’occhio ai passi.

Accanto alla cattedrale, a quattro passi da noi, c’è la fermata dell’immancabile trenino turistico e ad ogni suo passaggio la voglia di salirci di Andrea aumenta! E’ giusto, una volta di più, pagare il prezzo della sua pazienza! Un bel giretto non ce lo leva nessuno! Ma, tutto sommato, stare un po’ seduti e goderci così, in tutta comodità, i monumenti della città, alla fine, non dispiace neanche a noi adulti.

In piazza c’è ancora musica e, vista l’ora, decidiamo di continuare ad ascoltarla approfittando anche degli stand gastronomici del festival.

Ci accomodiamo sui tavoloni all’aperto – nello stesso stile delle nostre sagre di paese – con il vento che permette a fatica di tenere bicchieri e posate sul tavolo (ma anche per questo nessuno si scompone!). Il menù è, naturalmente, tutto tradizionale: dalla zuppa alla bistecca di tonno, dalla carne cotta nel sidro al dolce.

E non può mancare sidro e birra a fiumi! Una delizia! Nel frattempo ci siamo anche informati sugli spettacoli che ci sono in programma ed abbiamo scoperto che – incredibile! – oggi è, praticamente, la giornata più interessante! C’è anche uno spettacolo, a pagamento, di balli tradizionali in costume, nel pomeriggio, in un padiglione di periferia. Non possiamo perdercelo! Prima dell’orario di inizio abbiamo giusto il tempo di completare la visita del centro.

Ripassiamo, infine, l’Odet diretti verso il camper. E’ un piccolo fiume tranquillo, che scorre poco sotto il livello delle strade, e i numerosi e frequenti ponticelli fioriti, sotto certe prospettive, coprono la vista dell’acqua facendolo sembrare un delizioso giardino, ben curato, come ci è apparsa tutta la città.

Ci spostiamo i periferia con il camper e raggiungiamo senza problemi il luogo dello spettacolo.

Sul palcoscenico si alternano sette delle compagnie folk più importanti di tutta la Bretagna.

Lo spettacolo è veramente bello: i ricchi costumi colorati rappresentano un po’ tutte le tradizioni bretoni e i balli sono a volte strettamente legati alla tradizione, altre volte a quelle tradizioni si richiamano soltanto – nei passi e negli schemi – testimoniando la vitalità di un folklore che, pur essendo molto legato al passato, ha una sua reale vita attuale ed una evoluzione costante.

Ogni compagnia ha pure il proprio complesso musicale che suona dal vivo ed anche questo contribuisce all’atmosfera.

Riusciamo ad assistere a cinque esibizioni – per oltre due ore di spettacolo – poi dobbiamo capitolare, anche perchè Andrea, nel frattempo, si è pesantemente addormentato, complice, forse, il buio e l’aria pesante e calda che col tempo si è formata all’interno del padiglione.

Inutile dire che i nostri programmi originali per la giornata sono completamente saltati e dobbiamo rivedere le ulteriori tappe odierne e quelle dei prossimi giorni.

Decidiamo di lasciare per la giornata di oggi la visita di Concarneau e di arrivare per la notte fino a Pont Aven. Concarneau è una importante e famosa località turistica, ce ne rendiamo conto subito entrando in città e progressivamente avvicinandoci al centro. Decidiamo quindi di lasciare il camper un po’ distante dalla parte più turistica della città.

Lo parcheggiamo lungo la strada, con qualche dubbio, che ci viene tolto quasi subito da un poliziotto che controlla lo scontrino del parchimetro, ma non ci dice niente.

Scendiamo in centro a piedi, verso la ville close, la città murata, che è, a tutti gli effetti, una piccola città nella città, occupando per intero l’isola che si trova davanti alla baia del porto.

Abbiamo fatto bene a lasciare il camper così distante, qui non vediamo spazi di sosta consentiti a mezzi come il nostro.

La gente è davvero tanta e peggio ancora all’interno delle mura, dopo aver oltrepassato il ponte e l’unica porta che vi sia apre.

Anche qui, come a Mont St.Michel, c’è un po’ l’atmosfera del bazar! Tutto dedicato al turismo! Facciamo una passeggiata fino al capo opposto dell’isola – dove un traghettino pedonale la collega ai quartieri che sorgono sulla riva sud della baia (qui c’è un grande parcheggio alberato in cui parecchi camper sembrano sistemati per una sosta molto più lunga della nostra) – poi concludiamo la visita percorrendo un tratto dei bastioni sul cammino di ronda.

Sarà stata la folla oppure il commercio esasperato che la sua presenza causa, ma la visita ha deluso le nostre aspettative… Tutto sommato la ville close è più bella da fuori che da dentro! Pont Aven non è lontano.

Prima di scendere nel piccolo centro città una deviazione sulla destra ci porta al parcheggio indicato per i camper perchè dotato dei servizi necessari (colonnina, tombino e perfino servizi igienici).

Ce ne sono già parecchi, di camper, un po’ da tutta Europa, ma trovare un buon posto per la notte non è difficile.

Mangiamo e poi, come al solito, sfruttiamo le ultime ore di luce per scendere a visitare il paese.

Questa località è molto celebre per la scuola di pittura che in passato – ed in parte anche oggi – vi si sviluppò e che ora richiama molto turismo.

Tutto il paese è tirato a lucido e non c’è una pietra fuori posto.

Questo toglie molto alla naturalità del suo aspetto, ma il suo carattere di borgo sorto alla confluenza di due piccoli fiumiciattoli – il cui corso le tre vie principali seguono tuttora – è rimasto ancora intatto. Le numerose gallerie d’arte nulla tolgono alle pittoresche casette e ai mulini – perfettamente restaurati – che lo caratterizzano, anzi si integrano in maniera tutt’altro che sfacciata.

Passeggiamo su e giù per le vie principali, fino ad arrivare all’immancabile porto sul fiume; qui il mare non è poi così lontano! Rientriamo in camper che ormai è buio pesto.

Il cielo è ancora molto variabile, ma la temperatura continua ad essere abbastanza piacevole.

Speriamo che la pioggia continui a non crearci troppi problemi, come, tutto sommato, ha fatto fin’ora! GIORNO 17 – LUNEDI 21 LUGLIO 2003 Ci svegliamo sotto la pioggia dopo che ha piovuto anche durante la notte.

Non c’è molto di buono da aspettarsi da un cielo come quello di oggi.

Ripercorriamo, stavolta in camper, le vie del centro di Pont Aven e proseguiamo il nostro viaggio verso sud-est.

Quimperle non offre molto al turista, se non la chiesa di Ste.Croix, ed il fatto che ricomincia a piovere proprio nel momento in cui stiamo uscendo dal camper non ci aiuta ad apprezzarla.

Per fortuna la chiesa è a quattro passi! Anche di questa molto è rifatto e l’unica parte interamente originale è l’abside, che all’esterno mostra una serie di stupendi finti capitelli romanici di una fattura finissima.

All’interno vorremmo passare pochi minuti, tanto per dare un’occhiata, ma appena entrati ci abborda una delle guide volontarie di un programma di valorizzazione delle chiese bretoni che avevamo già avuto modo di notare in altre città.

Non ce la sentiamo di dire di no ad un ragazzo gentile ed impacciato che fa del tutto per farsi capire in un inglese un po’ stentato.

La visita è interessante e dettagliata – forse troppo dettagliata! – ma almeno è stata l’occasione per conoscere uno dei pochi francesi (almeno tanti sono quelli che abbiamo incontrato fin’ora) che ha il piacere di sforzarsi ad usare una lingua che non sia la sua! Quando usciamo, fortuna vuole che il forno dove Lisa va a comprare una baguette è anche una fornita pasticceria.

Domani lasceremo la Bretagna ed è l’occasione giusta per far scorta di Kouign Amann prima che il destino ce ne separi definitivamente! L’occasione viene sfruttata in pieno! Avremo la nostra “dose” per diversi giorni! Per arrivare a Carnac la strada è lunga, un bel tratto di autostrada ci aiuterà ad accelerare i tempi! Arriviamo che è quasi ora di pranzo.

Mentre ci stiamo preparando ad iniziare la prima visita – quella degli allineamenti di Kermario – una folata di vento improvviso chiude la porta del camper sulla gamba di Andrea che sta scendendo.

E’ la tragedia! In effetti il colpo è duro e sulla piccola caviglia c’è un segno profondo ed anche una piccola ferita.

All’inizio temiamo addirittura una frattura! Mentre Lisa cerca di consolarlo, Roberto esce con Judy e inizia la visita, raggiunto poco dopo dagli altri (il nostro Ciccio è proprio un tipo coraggioso, per quanto ancora piccolino!).

Questa zona è famosa nel mondo come quella con la maggior concentrazione di formazioni megalitiche.

Davanti ai nostri occhi si stendono una decina di file parallele di menhir – grosse pietre piantate nel terreno in senso verticale, alcune alte poche decine di centimetri, altre addirittura metri – disposte con regolarità a perdita d’occhio.

Nel complesso una visione affascinante, anche per il mistero che avvolge il significato di queste opere.

Certo, sarebbe ancora più affascinante se fosse possibile camminare fra le pietre ed ammirarle da vicino, anzichè dover restare al di qua di una recinzione distante almeno una decina di metri dalla pietra più vicina! Un pieghevole prova a spiegare che questo recente provvedimento si è reso necessario per salvaguardare l’ambiente intorno alle pietre e, addirittura, la stabilità delle pietre stesse.

A dire la verità con la poca gente che c’è, sembra un provvedimento esagerato.

Resta il dubbio che il motivo vero sia un altro, visto che si può entrare partecipando a visite guidate… A pagamento, naturalmente! In un angolo, sempre protetto dalla solita recinzione, c’è anche un piccolo dolmen, una sorta di semplice costruzione di pietre verticali, chiuse, in alto, da altre pietre poste orizzontalmente.

Il pensiero ritorna ad uno dei primi viaggi fatti insieme, nel lontano ’86, quando in Spagna ne visitammo uno ad Antequera, in Andalusia, anche se quello era coperto da un grande tumulo di terra, che ne faceva una camera funeraria, e questo non lo è.

Ci spostiamo all’altro complesso importante, quello di Menec, troviamo un bel posto all’ombra (è tornato a splendere il sole e il caldo si fa sentire di nuovo) nel parcheggio dell’area turistica e ci fermiamo, finalmente, a mangiare.

Qui le pietre sono in numero ancora superiore, ma sono mediamente più piccole delle precedenti.

Complessivamente, quindi, il colpo d’occhio è meno impressionante.

Ci sono anche una specie di piccolo museo ed un centro turistico che funziona come ufficio di informazione e prenotazione delle visite e come negozio di cartoline, souvenir e chincaglierie varie.

Forse è anche per questo che da questa parte c’è molta più gente che a Kermario! La prossima tappa è la città di Vannes, che ci fa penare non poco per trovare un parcheggio.

Anche qui – nel centro, stretto dalle mura seicentesche lungo le quali si distendono dei coloratissimi giardini fioriti – una bella cattedrale gotica e tante vecchie case a graticcio, dal muro di una delle quali spuntano due curiose figure di legno chiamate “Vannes e sua moglie”.

Una cittadina piacevole e dall’atmosfera dinamica, piena di bei negozi, che sfruttiamo per comprare regali e ricordi.

Stavolta ci dirigiamo verso l’interno, su una tranquilla strada di campagna semideserta che attraversa, come al solito, una paesaggio. In cima ad una breve ma ripida salita una moltitudine di scritte colorate sull’asfalto e due enormi simulacri di biciclette ci fanno supporre di essere sul tracciato di qualche gara ciclistica famosa.

Chissà? Per due ignoranti di ciclismo come noi, potrebbe benissimo essere appena passato il Tour de France! Josselin è una sorpresa.

Parcheggiamo inizialmente in basso, lungo il fiume, accanto ad una mezza dozzina di houseboat i cui occupanti si stanno godendo il tepore del tardo pomeriggio, chi tuffandosi dal tetto della cabina nelle acque del fiume, chi con una partita di Domino nel soggiorno dell’imbarcazione.

Dev’essere una vacanza molto rilassante! Il lento fluire del fiume, qualche chiusa da superare, una passeggiata sui viali che spesso corrono sulle rive, una partita a Domino e poi una cenetta con il turrito castello come panorama.

Non male, davvero! Scopriamo che questo è un tratto del sistema di vie navigabili che va, addirittura, da Nantes a Brest.

Ci spostiamo, poi, più in alto, nel parcheggio vicino all’ingresso del castello e al centro del paese, dove c’è già un altro camper che molto probabilmente pernotterà qui.

Il castello è ormai chiuso e riusciamo soltanto a rubare qualche scorcio dalle strade vicine, ma un giro per le vie del centro ci fa scoprire un inatteso, antico, gioiellino immerso nella pace e nella tranquillità.

Riprendiamo la strada consultando le nostre carte alla ricerca del luogo giusto dove passare la notte.

C’è una descrizione entusiastica di Rochefort en Terre.

Ci dirigiamo lì! Nel parcheggio sterrato in fondo alla valle dove ci sistemiamo ci sono altri due camper, entrambi francesi. Quando arriviamo stanno già cenando e noi li imitiamo di lì a poco.

La passeggiatina serale è ormai di prammatica e, quindi, dopo cena saliamo in paese.

Appartiene alle Petit Cites de Caractere de Bretagne, e questo appellativo se lo merita in pieno.

E’ veramente piccolo, ma curatissimo e pieno di fiori.

Sulla strada principale, tra le molte case antiche, un paio di palazzetti signorili spiccano per bellezza ed eleganza.

Più avanti, sulla piazza della parrocchiale, sapientemente illuminata, c’è anche un piccolo calvario.

Sulla cima della collina si trova l’immancabile castello, che in questo caso è, in effetti, poco più di una villa. Vaghiamo tra strade e viuzze, ormai deserte per la tarda ora, scattando qualche foto senza troppa convinzione, vista la scarsa illuminazione.

Ci prenderemo un po’ di tempo domani mattina per tornare a fare qualche scatto con la luce del sole.

GIORNO 18 – MARTEDI 22 LUGLIO 2003 La passeggiata mattutina di Judy è l’occasione per salire di nuovo in paese.

Con la luce del giorno Rochefort en Terre ha perso, in qualche misura, il suo fascino, ma resta, comunque, uno dei villaggi più caratteristici che abbiamo visto.

Forse i commenti entusiastici che ci hanno fatto arrivare fin qui erano esagerati, ma è stato comunque un ottimo consiglio.

Oggi ci giochiamo il “jolly”! E’ ora di “consumare” il giorno che, nel programma di viaggio, avevamo lasciato libero per eventuali imprevisti.

Per fortuna non ci sono stati mai grossi problemi e adesso che siamo, purtroppo, così vicini al ritorno possiamo utilizzarlo.

Lo dedicheremo soprattutto al mare.

Lungo la strada per Guerande attraversiamo il confine che separa Bretagna e Pays de Loire.

Un confine molto recente.

Il dipartimento di Nantes – la Loire Atlantique – è stata tolta alla Bretagna per essere annessa alla regione vicina solo negli anni quaranta.

Un confine anche molto discusso, come scopriremo presto! Quando arriviamo a Guerande la prima cosa da fare e cercare il minuscolo parcheggio predisposto per i camper.

Dobbiamo fare una buona metà del giro delle vecchie mura prima di incontrare il cartello indicatore che ci interessa. Il parcheggio è molto comodo per la visita della città, visto che è a due passi dal centro, ma non può contenere che tre o quattro mezzi – e neanche di grandi dimensioni – pur essendo dotato di servizi igienici e degli impianti idrici, compreso un comodo canaletto per lo scarico, di cui approfitteremo.

Lasciamo il camper nell’unico posto che si è appena liberato ed entriamo a piedi nella città vecchia dalla bella porta porte St.Michel, di gran lunga la più poderosa della città – tanto che viene anche chiamata castello – in cui è stato allestito anche un piccolo museo.

La cittadina è un centro turistico molto frequentato, per la sua storia, le saline e la vicinanza con il mare e con stazioni balneari importanti come La Baule, ma questo non ne ha fatto il mercato che abbiamo visto in altre località. Qui la presenza commerciale è più composta, più discreta.

Ci sorprende la presenza di numerose scritte ed insegne commerciali in bretone.

Anche le auto continuano ad avere i soliti distintivi bretoni.

In effetti, sembra che non sia cambiato molto nei sentimenti della gente al di qua di quel confine! Il centro non ha particolari spunti di interesse, se non la piccola e bella chiesa e, soprattutto, le mura, che sono sopravvissute pressochè intatte e la cingono in un anello quasi perfetto.

Terminiamo il giro all’ufficio turistico per farci consigliare un campeggio sul mare e poi ci avviamo alla volta della località che ci hanno indicato.

Dobbiamo tornare leggermente sui nostri passi e, quindi, piegare verso est, verso l’oceano, per raggiungere Pont Mane.

Per pochi minuti di ritardo troviamo chiusa – per la pausa del pranzo – la reception del campeggio che abbiamo scelto; ci fanno entrare, ma ci dobbiamo sistemare in modo provvisorio. Questo e i successivi problemi per trovare un posto definitivo dotato di elettricità ci ridurranno il tempo a disposizione.

Pazienza, arrabbiarsi non serve a niente! Il campeggio è semplice, ma è come lo volevamo: in pineta, in riva al mare e dotato di una bella piscina e di un ristorante. Non ci serve altro.

Dopo il riposino pomeridiano Andrea e Lisa si godono un bel bagno in piscina.

Quando tornano si va tutti quanti – Judy compresa – a passeggio sul fondo dell’oceano!! E’ difficile giudicare le distanze, ma la grande baia su cui si affaccia il campeggio sembra quasi del tutto vuota.

Se avevamo già camminato sulla sabbia di Arromanche, o avevamo già visto dalla terra ferma la potenza del mare a Mont St.Michel, è solo qui che viviamo in prima persona l’emozione della marea. Prima di arrivare alla battigia camminiamo quasi mezz’ora in questa fascia perennemente contesa fra terra e mare, fermandoci ad osservare quello che quest’ultimo ha lasciato dietro di se.

La pendenza del terreno è così lieve che si ha l’impressione di camminare in piano.

Il fondo è formato da sabbia morbida, leggermente ondulata dal movimento dell’acqua e disseminata di un’infinità di forellini che indicano la presenza di molluschi nel sottosuolo. Quei molluschi che sono la preda dei cacciatori, armati di pala e di secchiello, che, sparpagliati un po’ dovunque, setacciano metro per metro la baia. Se sei fortunato e fai attenzione puoi anche riuscire a vedere il piccolo spruzzo di acqua salata che qualcuno di loro ogni tanto emette.

Sparsi qua e là si trovano ciuffi di alghe di diversi generi – alcuni già asciugati dal sole, altri ancora di colori vivaci – e conchiglie di tutti i tipi. Ne raccogliamo una serie, minuscole e molto semplici, ma dai colori sgargianti: dal giallo al viola, dal verde al rosso.

Andrea scorrazza qua e là – intozzando i piedi nell’acqua bassa rimasta intrappolata negli avvallamenti della sabbia (come fanno sempre i bambini anche nelle pozze lasciate da un acquazzone) che il sole ha piacevolmente scaldato – e chiamandoci, eccitato, a gran voce, ad ogni scoperta di cose nuove.

Quando, finalmente, arriviamo sulla riva del mare – dove realmente è in questo momento la riva del mare – ci voltiamo indietro e ci sentiamo quasi persi in un elemento che non è il nostro, con l’improvvisa consapevolezza di trovarci virtualmente sotto metri e metri d’acqua.

Di colpo ci sentiamo in balia del mare, come se potesse ricominciare a crescere repentinamente e travolgerci nel tempo di pochi secondi.

Bisogna combattere con la razionalità questa sensazione di smarrimento.

Andrea, è ignaro di tutto questo e continua a scorrazzare tranquillo! Percorriamo a ritroso, lentamente, come siamo venuti, lo spazio che ci separa dalla terra ferma. Nel campeggio è arrivato, nel frattempo, un gruppo di cavalli e di pony per il divertimento dei bambini, che possono fare un giro in sella.

Mentre aspettiamo per le mules et frites – probabilmente saranno le ultime – che abbiamo ordinato al ristorante, Andrea non si fa sfuggire l’occasione.

Che strano, fin’ora aveva sempre rifiutato di salire in groppa ad un cavallo! Arriva anche la nostra cena e ce la portiamo in camper.

Avevamo detto che sarebbe stata una giornata dedicata soprattutto al mare e così è stato.

Non certo come l’avremmo passata sulle spiagge di casa nostra, ma è servita per dare l’addio in bellezza all’oceano e alle sue maree, l’emozione più grande di questo viaggio! Per la prima volta una giornata rilassata, ci voleva proprio perchè comincia a farsi sentire la stanchezza di tre settimane molto intense.

GIORNO 19 – MERCOLEDI 23 LUGLIO 2003 Stamattina ce la prendiamo molto più comoda del solito.

Diamo l’addio all’oceano e poi lasciamo Pont Mane.

Abbiamo tempo, quindi lasciamo stare l’autostrada e, invece, prendiamo le strade che costeggiano la zona umida della Grande Briere. Oggi tutta l’area è protetta da un parco naturale.

Passando lungo la strada non si vede molto della vicina palude, ma si vedono le influenze che la sua presenza ha avuto sul panorama.

C’è molto verde e incrociamo diverse costruzioni caratteristiche con bei tetti di canne, dai piccoli cottage alle grandi fattorie.

Alla periferia di Le Havre prendiamo l’autostrada che, risalendo il corso della Loira, ci porta velocemente fino a Nantes.

L’ingresso in città è tranquillo e procediamo spediti.

Quando ci troviamo a due passi dalla cattedrale – e già stiamo cercando il parcheggio che le nostre carte indicano come il più conveniente – dei lavori stradali ci sbarrano la strada e ci lasciano in balia dei sensi unici.

Trovare una soluzione alternativa è meno semplice di quello che si può pensare.

Giriamo inutilmente intorno al quartiere centrale, non riuscendo ad arrivare agli stessi parcheggi per altre strade. Alla fine manchiamo un bivio ci ritroviamo su una strada con la limitazione in altezza insufficiente per il nostro mezzo e dobbiamo ricorrere ad una manovra poco ortodossa per reimmetterci su una corsia adeguata.

Rinunciamo! Cercheremo un parcheggio più lontano! Lo troviamo, come ormai è successo spesso, nei pressi del bacino portuale sul canal St.Felix.

E’ un parcheggio a pagamento – con parchimetro – e ci sono già un altro paio di camper.

Passiamo, stavolta a piedi, nei pressi del castello, ma lo visiteremo al ritorno. Per adesso saliamo direttamente alla cattedrale, attraversando una bella esplanade alberata.

A parte cattedrale e castello, della Nantes antica è rimasto molto poco; il monumento più importante è la porte St.Pierre, sotto cui passiamo per entrare nella place St.Pierre. La grande chiesa gotica ha la facciata per metà coperta dalle impalcature dei lavori di restauro, l’altra parte – in particolare la torre di destra – è già stata restaurata ed è di un bianco abbagliante.

Dopo essere entrati a visitarne anche l’interno giracchiamo un po’ per le vie adiacenti dando un’occhiata agli edifici più meritevoli e facendo qualche acquisto di prodotti tipici bretoni in un negozio specializzato.

Anche qui ancora scritte in bretone ed adesivi sulle macchine! Ci sono anche dei manifesti che, per quanto capiamo, invitano la gente a partecipare ad un movimento pro-Bretagna.

Altro che se siamo ancora in Bretagna! Almeno nello spirito della gente, a dispetto di falsi confini disegnati a tavolino! Riscendiamo al castello.

E’ circondato da una possente cinta di mura turrite e da un profondo fossato.

Superiamo il vecchio ponte levatoio e siamo all’interno, nel grande cortile su cui si affacciano alcune delle costruzioni che una volta lo circondavano completamente. La leggerezza e l’eleganza delle decorazioni contrastano con la severità dell’esterno. Prima di lasciare la città c’è il tempo di fermarsi per l’ultima volta ad un grande magazzino, in periferia.

Dobbiamo fare scorta di viveri per i pochi giorni che ci rimangono e – perché no! – anche riportarci a casa un po’ dei sapori di questa terra.

E non bisogna dimenticare i vini! Lungo tutto il nostro cammino abbiamo sempre trovato ottimi vini estremamente a buon mercato, per finire in bellezza con il Muscadet, il vino caratteristico di questa zona. Era l’unico vino bretone, gli hanno tolto anche quello! Con il camper stracolmo di prelibatezze proseguiamo ancora verso sud.

In un’ora di piacevole viaggio passiamo dall’autostrada alle solitarie stradine di campagna e, alla fine, siamo a Puy du Fou.

Vedemmo in televisione – in una puntata di quasi un anno fa di “Sereno Variabile” – un servizio su un parco a tema molto particolare, un parco sulla storia francese (che non è poi così diversa dalla nostra!).

L’idea ci piacque e ne parlammo ad Andrea. Anche lui ne fu entusiasta. Ed eccoci qua! Si può dire che tutto il viaggio è stato, praticamente, costruito intorno a questa meta. Tenerla in serbo tra gli ultimi appuntamenti è stata un’ottima scelta.

Questa prospettiva è spesso servita, nei giorni scorsi, a tenere accesi l’interesse e l’aspettativa di Andrea per questo viaggio.

Ora siamo qui, a pregare che il tempo di domani sia almeno un po’ meglio di quello di oggi, dal momento che saremo all’aperto per tutta la giornata.

Raggiungiamo l’area destinata ai camper.

E’ un enorme prato con, in un angolo, la solita attrezzatura standard di carico e scarico, che stavolta è a pagamento. C’è anche un chiosco dove, al mattino, si può comprare pane fresco, croissant e caffè fumante. Contiamo oltre settanta veicoli che non ne occuperanno neanche la metà.

Sono quasi tutti francesi e noi siamo gli unici italiani.

I prati vicini sono l’ideale per il gioco preferito di Judy, noi tiriamo un sasso e lei lo trova, lo riporta e, poi, se le va, ce lo lascia anche, perché lo tiriamo di nuovo.

Dopo cena, serata tranquilla, in trepida attesa.

Avremmo voluto assistere anche al fantasmagorico spettacolo serale, chiamato Cinescenie. Uno spettacolo sulla storia del castello di Puy du Fou che impegna molti animale e centinaia di comparse e comprende anche uno spettacolo pirotecnico.

A giudicare dalle poche immagini che abbiamo visto sui depliant e su internet dev’essere proprio un “colossal”! Purtroppo non è in programma né per stasera né per domani e, comunque, ci hanno detto all’ufficio informazioni che i biglietti sono già esauriti da mesi per tutte le prossime serate! GIORNO 20 – GIOVEDI 24 LUGLIO 2003 E’ arrivato il grande giorno.

Dopo la pioggia della notte ora il tempo è ancora molto incerto, ma almeno non piove! Bisogna accontentarsi! Non è ancora orario di apertura e siamo già in fila, fuori dai cancelli del parco di Puy du Fou.

La gente si sta raggruppando velocemente.

Gli enormi parcheggi sono ancora quasi vuoti, devono aspettarsi una gran folla! Inganniamo il tempo, nell’attesa, studiando il depliant che ci hanno consegnato con i biglietti per organizzare la giornata. Ci sono diverse ricostruzioni che riguardano le diverse epoche storiche; dall’epoca romana al medioevo, dai vichinghi al settecento.

In ognuna c’è uno spettacolo che viene ripetuto più volte al giorno.

Quelli più semplici sono frequenti, quelli più complessi e spettacolari sono più rari, fino allo spettacolo dei gladiatori che ha luogo una sola volta al giorno.

Per riuscire a visitare il parco in un’unica giornata bisogna pianificare con precisione i diversi orari delle rappresentazioni, che sono, per di più, sparpagliate in un vasto parco. Cominciamo dall’assalto al donjon, che è il primo ad iniziare in ordine di tempo.

Come noi la pensa la maggior parte della folla! Davanti alla grande gradinata gremita c’è il campo dei tornei di un turrito maniero francese dove le schermaglie tra i soldati e il buffone di corte movimentano la scena – a cui vengono simpaticamente invitati a far parte anche un gruppetto di spettatori – in attesa dell’inizio del torneo.

Quando irrompono i cavalieri il torneo e le evoluzioni hanno inizio, senza esclusione di colpi.

Poco dopo è la volta dell’attacco inglese al castello.

I duelli riempiono il campo mentre grandi macchine da guerra, che sputano lingue di fuoco, si avvicinano al donjon.

Per un attimo sembra che la fortuna abbia voltato le spalle ai francesi, ma, con un ultimo sussulto di valore patriottico, le sorti della battaglia vengono rovesciate e la vittoria sorride ai padroni di casa, per la soddisfazione del pubblico. C’è giusto il tempo di trovare un posto che inizia un altro spettacolo, quello dei rapaci.

Questa volta ci sono due alte gradinate contrapposte, con al centro una piccola scena.

Si comincia con un classico spettacolo di falconeria, poi, in un crescendo di emozioni, vengono liberati gli uccelli più grandi – sono aquile reali ed enormi condor – che prima volteggiano in alto – usciti dalle gabbie agganciate, lassù, ad pallone frenato – e poi, richiamati dai falconieri che sono sparpagliati tra la gente, iniziano dei passaggi a pochi metri sopra le nostre teste in un via vai che ci lascia senza parole.

Se alzassimo una mano probabilmente arriveremmo a toccarli! Eccezionale! Da togliere il fiato! Chiude l’esibizione uno stuolo di piccoli falchi che, incrociandosi sopra le nostre teste con un sottofondo musicale, danno l’idea di una sorta di emozionante danza al tempo della musica.

Ci si potrebbe domandare quanto sia appropriato qui uno spettacolo del genere, che a prima vista non sembra avere molto a che fare con la storia di Francia.

In effetti – ripensando a quanti rapaci abbiamo visto in questo paese, qua e là, immobili nel vento a scrutare un prato oppure appollaiati sul palo di qualche recinzione – ci accorgiamo che sono animali così comuni che facilmente possono avere avuto un ruolo importante nella vita di un tempo. Il prossimo spettacolo è quello dei gladiatori ed è in programma per il primo pomeriggio, abbiamo il tempo di girare per i vari angoli del parco. Torniamo alle gabbie dei rapaci, poi arriviamo al villaggio del medioevo, chiuso nelle mura, dove si svolge uno spettacolo di menestrelli, finchè non arriva l’ora di tornare in camper per il pranzo.

E’ un pranzo molto frugale e rapido, visto che il tempo è poco e dobbiamo anche far sgranchire le zampe a Judy (l’ingresso nel parco è vietato agli animali).

Arriva presto l’ora di dirigerci all’anfiteatro “gallo-romano” (per i francesi, evidentemente, ammettere che un periodo della loro storia è stato completamente appannaggio di un popolo straniero è troppo difficile!).

Essendo lo spettacolo unico la fila è anche più folta che per gli altri.

Per fortuna l’anfiteatro ha una capienza di ben seimila posti e ce n’è per tutti, anche se alla fine quelli rimasti vuoti non saranno poi tanti! All’ora prestabilita una processione introduce nell’arena il governatore in trionfo, seguito dai suoi soldati, dai prigionieri e da animali esotici come cammelli, struzzi e una tigre.

Salito sul palco d’onore, il governatore da il via ai “giochi”.

Anche il capo delle guardie, innamorato di una prigioniera cristiana, diventa un gladiatore dopo aver salvato la vita vincendo una spettacolare gara tra tre quadrighe.

Per ultimi entrano i leoni.

Alla fine la giustizia e l’amore trionfano, mentre il pubblico stesso è chiamato ad esprimere il suo giudizio sul governatore.

Il pollice verso è scontato! Il tempo ora è migliorato sensibilmente e, anche se non è uscito il sole, fa proprio caldo.

Passiamo per il villaggio dell’anno mille, poi ci divertiamo a dirigere – tramite un pannello sistemato sulla riva del laghetto – il balletto delle fontane, tanto caro ai nobili del settecento.

Nel villaggio del settecento c’è un carillon animato – che, naturalmente, non manchiamo di veder battere le ore – ed uno spettacolo di musiche tradizionali: poche canzoni popolari, con la musica di vecchi strumenti della tradizione locale e la voce di due brave cantanti.

In un padiglione coperto c’è uno spettacolo che si avvicina molto ad un son et lumiere. E’ un magistrale intreccio di luci e immagini (a volte proiettate su una cortina di acqua a cascata), musiche, testi e giochi d’acqua.

Molto originale e suggestivo. Naturalmente i testi sono in francese e, quindi, il significato ci sfugge del tutto.

Prima dell’ultimo spettacolo c’è giusto il tempo di entrare anche in un percorso che illustra il destino del castello e della famiglia di Puy du Fou nei giorni della rivoluzione francese, con l’assassinio dei suoi due giovani rampolli.

Chiudiamo la giornata con la ricostruzione di una leggenda, tra santi e guerrieri, vichinghi e damigelle, miracoli e battaglie.

Anche stavolta un divertente inizio – fatto di sketch da commedia – fa da prologo ad un episodio epico di lotta del male, i vichinghi predatori, contro il bene, i francesi, credenti, che difendono la fede contro gli invasori.

Anche stavolta una spettacolare rappresentazione con cavalli lanciati al galoppo ed, infine, l’apparizione improvvisa, fra fuoco e fumo, di una intera nave vichinga che sorge dalle acque.

E’ ormai orario di chiusura, dobbiamo avviarci verso l’uscita.

Tutto sommato possiamo essere soddisfatti: abbiamo sfruttato la giornata al massimo e c’è rimasto davvero poco altro da vedere! E’ stata una giornata memorabile! Un parco che non dimenticheremo facilmente! Divertente sia per gli adulti che per i bambini.

Grazie Osvaldo Bevilacqua, ci hai dato proprio un buon consiglio! GIORNO 21 – VENERDI 25 LUGLIO 2003 Tempo ancora bruttino.

Oggi è l’ultimo giorno del nostro viaggio, da domani inizieremo il rientro, ma già la seconda parte della giornata di oggi sarà di trasferimento.

Siamo proprio arrivati in fondo! Lasciamo Puy du Fou. Di nuovo su tranquille stradine di campagna.

Attraversiamo il fiume Sevre Nantais e, con esso, il confine tra Pays de Loire e Poitou-Charentes. Continuiamo a procedere in un paesaggio di dolci colline, mentre da un bosco, sulla nostra destra, fa capolino non lontano un bel castello settecentesco dalle tinte vivaci, affacciato sul fiume.

Le strade tranquille durano troppo poco e presto passiamo su strade più importanti.

Ancora un poco e diventano strade nazionali ed itinerari europei, diamo pian piano l’addio alla tranquillità delle piccole strade dipartimentali.

La nostra ultima meta è Poitiers. Parcheggiamo lungo un grande viale di circonvallazione e ci avviamo a piedi per le viuzze del centro. La prima impressione non è proprio positiva.

Passiamo in un quartiere degradato di case malridotte, vicoli sporchi, negozi abbandonati.

Pochi minuti e la chiesa di Ste.Radegonde ci riconcilia con la città. La chiesa, antichissima, ha un aspetto molto severo, sia all’esterno che all’interno, ma intorno all’altare c’è un semicerchio di stupende colonne tortili coronate da bei capitelli ed ancora ricoperte dai loro vivaci colori originali.

Molto, molto suggestive nella penombra del coro! Ci spostiamo un po’ e siamo al battistero di St.Jean.

Si dice che sia il più antico edificio cristiano della Francia, di origine romana.

Oggi custodisce resti antichi, oltre alla sua originale vasca battesimale.

Quando arriviamo sta per chiudere, abbiamo soltanto il tempo di dare un’occhiata veloce. Siamo in una zona decisamente più moderna ed elegante della città.

La cattedrale è a due passi.

E’ enorme e sulla imponente facciata spiccano tre bellissimi portali duecenteschi coperti di rilievi.

La luce entra nell’interno filtrata dalle stupende antiche vetrate colorate.

Proseguiamo verso il cuore della città, seguendo per un po’ il filo azzurro, dipinto sul selciato, che indica un percorso turistico tra le vie del centro.

Quando sbuchiamo nella piazza dell’università il gioiello della città ci viene incontro.

E’ Notre Dame la Grande, la cui stupenda facciata è decorata con archi e archetti, sculture e rilievi che rappresentano scene bibliche e affiancata da due torricine cilindriche coronate da tetti a pigna.

Un insieme delicato ed elegante, ricchissimo, ma equilibrato! Un capolavoro dell’architettura romanica.

All’interno, anche qui è il coro la parte più interessante, con i suoi affreschi duecenteschi. Restiamo per qualche minuto ad ammirare la sua bellezza nella piazza antistante, ma una leggera pioggerellina ci consiglia di accelerare il passo verso il camper.

Per pranzare ci spostiamo in un posto più tranquillo, poi lasciamo la città attraversando il grande campus universitario immerso nel verde.

E’ ormai cominciato il viaggio di ritorno.

Per oggi continueremo a viaggiare su strade ordinarie.

La prima parte del percorso si svolge in un bel paesaggio ed incontra paesi che meriterebbero più di un semplice passaggio come il nostro.

Sarà per un’altra volta! Abbiamo ancora in sospeso il nostro appuntamento a Torino. Se vogliamo mantenere l’impegno, oggi dobbiamo arrivare dalle parti di Clermont-Ferrand.

Dopo aver oltrepassato il Parc Regional de la Brenne il panorama diventa più piatto e monotono.

La strada torna panoramica solo nel suo ultimo tratto, quando – avvicinandosi alle alture dei vulcani dell’Alvernia – si arrampica sulla cresta delle colline.

E’ ormai tardi.

Ci dirigiamo a Chatelguyon, nei dintorni di Riom: una piccola stazione termale dove è segnata la presenza di campeggi.

Ci arriviamo da una stradina secondaria e, ovviamente, non c’è uno straccio di indicazione.

Per orientarci, siamo costretti a fermarci a studiare la piantina del paese che, per fortuna, troviamo su un provvidenziale tabellone informativo.

La nostra solita fortuna! Rispetto al campeggio siamo al capo opposto della cittadina! Cerchiamo di fissare nella memoria l’intero tragitto.

Una svolta a destra, poi due a sinistra, si passa davanti alla caserma dei pompieri, una rotatoria, poi un’altra, un’altra ancora e, infine, svolta a destra.

E’ inutile… Ci perderemo sicuramente! Ci manca poco… E invece no! Ce la facciamo al primo colpo! Il camping municipal è un campeggio semplice ed economico – adagiato sul fianco della collina – e non ha le attrezzature per il carico e scarico.

Non importa, ci arrangeremo domani, in Francia questo problema davvero non esiste! Ci sistemiamo con le ultime luci del giorno.

Siamo tornati più a sud e anche le giornate sono tornate ad una lunghezza per noi più abituale. Un bel tramonto ci fa sperare in un tempo migliore.

Peccato che ormai ci interessa fino a un certo punto! GIORNO 22 – SABATO 26 LUGLIO 2003 Lasciamo il campeggio di Chatelguyon con calma, con la consapevolezza che la prossima notte la passeremo in Italia.

Scendiamo fino a Riom e qui ci fermiamo nell’ormai consueto supermercato per un ultimo pieno di gasolio prima di entrare in autostrada.

A Clermont-Ferrand entriamo infine in autostrada.

I chilometri da fare oggi sono tanti, ma bisogna dire che le condizioni di viaggio sono davvero ottime, niente a che vedere con quelle delle autostrade italiane.

Tutto sommato, il prezzo non è poi così sproporzionato al servizio che offrono.

Accanto a noi scorre, quasi senza che ce ne accorgiamo, un paesaggio ormai noto, anzi, diventato piuttosto familiare.

Passiamo St.Etienne e poi Lione, senza colpo ferire.

Siamo nel primo pomeriggio e la giornata si è fatta caldissima ed afosa.

Sapevamo che in Italia l’estate continuava a farla da padrona, ma non immaginavamo di incontrare il caldo – quello vero – così presto! Cerchiamo inutilmente un’area di sosta per il pranzo da un po’ di tempo.

Incredibilmente non se ne vede l’ombra.

Quando troviamo un’area di servizio ci fiondiamo, ma la delusione di non trovarci un albero è grande, quei pochi che ci sono già gremiti! Guarda, guarda! E’ dotata di un bellissimo impianto di scarico con tanto di sistema di auto-pulizia! Proprio quel’che ci voleva, ne approfittiamo di corsa, risvegliando l’interesse dei più vicini automobilisti in sosta.

Eccezionale! La fermata non è stata poi del tutto inutile! Riprendiamo la strada, ma alla prossima area di sosta dobbiamo accontentarci di quello che c’è: l’ombra anche qui è molto poca e la gente, al contrario, è proprio tanta.

Accendiamo il ventilatore al massimo, sperando che sia sufficiente a darci un po’ di refrigerio.

Al termine della sosta siamo ancora in perfetto orario.

Ricompaiono i primi rilievi alpini.

Chambery è ormai l’unico nodo con un po’ di traffico, il resto è un viaggio scorrevole e tranquillo.

Passando, mandiamo un saluto a St.Jean de Maurienne, che ci ha dato il benvenuto in Francia, e al suo bel campeggio, con un po’ di rimpianto di non averlo potuto sfruttare anche oggi.

Sarà per il fatto che era la prima notte di viaggio, sarà perché era solo la prima notte in Francia, ma ci resta un ricordo molto piacevole di quel campeggio! Una piccola deviazione all’ultimo supermercato a Modane, ovviamente per un pieno economico subito prima di entrare in Italia, è il nostro addio alla Francia.

Un’altra emorragia al portafoglio e possiamo attraversare di nuovo il traforo del Frejus. Abbiamo appuntamento con Carlo dentro Torino, al castello del Valentino, ci arriviamo senza problemi e lui è già lì che ci aspetta.

Portiamo il camper in una delle tre aree segnalate per la sosta in città – quella che è più comoda rispetto a casa loro – e poi in macchina con lui raggiungiamo Monica ed il piccolo Giorgio.

Hanno organizzato una cenetta coi fiocchi; ce la godiamo in terrazza, dove si può sperare di godere della poca brezza che soffia.

Restiamo con loro tutta la serata: abbiamo finalmente il tempo di scambiare due chiacchiere ed aggiornarci sui sette mesi che sono passati dall’ultima volta che li abbiamo visti, sui figli che crescono e sulle vicende delle rispettive esistenze.

Quando Carlo ci riaccompagna al camper è già passata mezzanotte, ma il parcheggio è stracolmo.

C’è una festa popolare nel parco vicino e la musica va a tutto volume.

Durerà ancora per un pezzo! Si preannuncia una notte pessima.

E il caldo asfissiante non aiuta.

GIORNO 23 – DOMENICA 27 LUGLIO 2003 Questa a Torino è stata di gran lunga la notte peggiore di tutto il viaggio! Forse la notte peggiore che abbiamo mai passato in camper! Il caldo è stato asfissiante.

Il termometro all’interno del camper è sceso sotto i trenta gradi solo per un paio d’ore appena prima che sorgesse il sole.

Il fatto, poi, che eravamo praticamente soli a sostare qui stanotte (c’è un altro furgone attrezzato, ma ci siamo accorti della sua presenza solo stamattina) ci ha costretto, per motivi di sicurezza, a tenere aperte solo le botole e le finestre più alte.

Passare dalle affollate e, di conseguenza, sicure aree di sosta francesi a questa, deserta, italiana ci lascia un po’ sconcertati.

Eppure Torino è una città che dovrebbe attirare turismo! Probabilmente gli altri due parcheggi indicati dal “Portolano” saranno più frequentati.

Il rumore poi è stato continuo almeno fino alle quattro.

Prima la festa, con la musica e la voce dello speaker che sembravano qui, a due passi.

Poi le chiacchiere e i giochi della gente che, pian piano, è venuta a riprendere le auto.

Per ultimo, fin molto dopo le tre, un gruppo di ragazzi extracomunitari, che si sono fermati a lungo a cantare le loro canzoni natie. Le avremmo anche apprezzate molto, se fosse capitato di ascoltarle in un’altra circostanza! Partiamo con le palpebre ancora pesanti.

Torino è quasi deserta.

La strada è lunga, ma la prospettiva di dormire la prossima notte nel nostro comodo letto, al fresco di casa, non è poi così male! Un’altra notte così sarebbe impossibile da sopportare! Il traffico è abbastanza scorrevole, considerando che stiamo percorrendo lo stivale verso sud nell’ultima domenica di luglio.

E’ tempo di bilanci. Approfittiamo della calma degli ultimi chilometri per scambiarci reciprocamente le nostre opinioni sui giorni passati.

Sono un po’ discordanti.

Lisa è entusiasta… Dei luoghi, dei monumenti, del folklore che abbiamo avuto la fortuna di incontrare.

Anche per Roberto i posti sono molto belli e i monumenti splendidi, ma ormai nell’Europa occidentale siamo un po’ tutti uguali: stesso stile di vita, stesse abitudini, stessa organizzazione.

E’ mancata la “differenza” nella gente, che si trova andando un po’ più lontano.

E poi, non si può dire che i francesi brillino per apertura e per disponibilità! Naturalmente ogni medaglia ha il suo rovescio: se da una parte viene meno la possibilità di confrontarsi con altri mondi, con altre culture, dall’altra si ha il vantaggio di non avere un problema, che fosse uno, di carattere organizzativo! Siamo ormai a casa.

Anche per quest’anno il viaggio è terminato! Bisogna aspettarne un altro per poter ripartire, ma i preparativi cominceranno assai prima! Un anno, in fondo, non è poi così lungo, anche se a pensarci adesso sembra un tempo interminabile!



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