Immersa tra le montagne dell’Appennino, c’è una antica diga dalla storia tragica
Diga di Molare, appenino ligure-piemontese, torrente Orba, i tesori nascosti vicino a casa.
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Turisti per caso mi ha già pubblicato più di 50 viaggi e gliene sono molto grato, spero mi pubblichi anche questo benché sia di un solo giorno perché è un viaggio particolare in un luogo selvaggio completamente fuori dal turismo di massa ma anche un viaggio nella memoria di una tragedia che in pochi conoscono.
La visita alla diga di Molare
Partiamo la mattina presto da Genova, siamo in cinque, Renato, Stefano, Lella, Laura e Paolo, ci dirigiamo con l’auto nell’appennino ligure-piemontese in località Garone nel comune di Rossiglione. Qui c’è la prima peculiarità: per arrivare nel “nostro” Appennino, selvaggio come pochi altri posti in Italia, raramente abitato e ricco di boschi di castagno dove è la norma incontrare un cinghiale, un capriolo, una vipera ed ultimamente essendo stati riinseriti anche i lupi, attraversiamo la “valle del latte”, ricca di pascoli e mucche.
Lasciamo l’auto sul ciglio della strada ed intraprendiamo il cammino a piedi lungo una vecchia mulattiera nei boschi che ci condurrà al torrente Orba. L’Orba è la seconda peculiarità di questo viaggio, un torrente di una bellezza indescrivibile che nasce una decina di chilometri prima a 1000 metri dal versante settentrionale del monte Reixa, attraversa i paesaggi fiabeschi ed incontaminati del comune di Urbe ed in seguito, dopo essere passato sotto un ponte medioevale e percorso il terreno della più antica badia cistercense italiana in località Tiglieto, raggiunge tramite canyon inaccessibili la zona della diga di Ortiglieto dove siamo diretti noi.
In realtà la meta della nostra gita non è la diga di Ortiglieto, costruita successivamente, bensì la diga di Molare, entrata in funzione per produrre energia idroelettrica nel 1925.
Terminata la mulattiera che era in origine la strada di servizio della diga, ci troviamo a bocca aperta davanti ad uno spettacolo mozzafiato, l’enorme manufatto di cemento lungo 200 metri leggermente arcuato, alto 47 metri e munito di 12 scaricatori a sifone dalla portata di 500mc/sec, praticamente intatto, completamente circondato da boschi e vegetazione senza nessuna traccia d’acque. Dopo la catastrofe del 1935 che in breve di seguito descriverò, infatti, il fiume Orba ha cambiato percorso e non passa più di qua, quindi la diga è lì che giganteggia in mezzo ai boschi incontaminati, penso rappresenti un “unicum” in Italia e forse nel mondo.
La diga si può percorrere a piedi sulla parte superiore e visitare anche all’interno con molta prudenza, munendosi di potenti torce e calzature adeguate. Superata la diga e continuando per la mulattiera di servizio, dopo la casa del guardiano completamente abbandonata, si arriva a Sella Zerbino, dove sorgeva una seconda diga molto più piccola, luogo che fu la vera causa della tragedia e la ragione per cui la diga di Molare è ancora integra nonostante il disastro.
Il Disastro di Molare del 13 agosto 1935
Il lago di Ortiglieto era generato da due sbarramenti posizionati attorno a Bric Zerbino e si estendeva a monte per circa 5 km. La capienza era pari a 18 milioni di metri cubi d’acqua. Le dighe quindi erano due: una la principale (quella descritta prima) ed ancora integra, la secondaria alta solo 14 metri e lunga 110 metri, fatta solo perché il lago non fuoriuscisse nella località Sella Zerbino.
Dopo una calda estate siccitosa, il 13 Agosto 1935 si abbatté su Molare e Ovada un vero e proprio nubifragio. Ad Ortiglieto così come in tutta l’Alta Valla Orba iniziò a piovere, la precipitazione è di 554 mm (182 in 2 ore), superando tutti gli analoghi eventi in Europa da oltre due secoli. L’evento portò nell’arco di meno di 24 ore una precipitazione pari a quasi il 30% di quelle medie annue. Per dare un’idea della portata dell’evento basti immaginare che piovvero più di 15 metri cubi al secondo di acqua ogni kmq, statisticamente un evento di tale “portata” ha tempi di ritorno di circa 1000 anni! Alle 13.00 le due dighe erano sommerse, scavalcate dall’acqua per circa 2.5 m. Alle 13.15 la Diga Secondaria e tutta la Sella Zerbino collassarono sotto la spinta di una massa d’acqua e fango stimata tra i 20-25 milioni di metri cubi.
Per 115 persone fu la fine, mentre altre migliaia videro in un attimo sparire tutto ciò che possedevano. L’onda di piena, infatti, dopo aver travolto tutti gli sbarramenti di compensazione costruiti a monte dell’abitato di Molare e dopo avere abbattuto il ponte di Molare e distrutte le abitazioni situate in sua prossimità, proseguì verso Ovada. Tutte le case del Borgo vennero colpite: circa 35 furono spazzate via, le altre gravissimamente lesionate. Le vittime, come già detto furono 115 e per molti fu letale l’orario della tragedia: alle 14, con la pioggia che cadeva forte, quasi tutte le famiglie erano ancora riunite nelle case per il pranzo.
Io ho trascorso parte della mia infanzia sull’appennino ligure-piemontese ed ho fatto centinaia di volte il bagno nel torrente Orba, penso a mio figlio che pur nascendo in un borgo di mare ha imparato a nuotare qui nelle fredde e correnti acque dell’Orba e mi sento legato a questo territorio ed un po’ me la “prendo“ quando penso alle migliaia di turisti che frequentano la nostra bella Liguria solo per la costa ed il mare, spesso ammassandosi su spiagge strapiene ed ignorano completamente i tesori nascosti e pressoché deserti dell’entroterra ligure.
Dopo un pranzo al sacco, risaliamo la mulattiera a piedi e torniamo all’auto, con un’ultima sosta sulla “panchina gigante” di Rossiglione dove si può ammirare il verdissimo paesaggio (vista la stagione) appenninico; molte volte io stesso ho fatto lunghi viaggi, ma non dobbiamo dimenticarci di apprezzare i tesori che abbiamo vicino che spesso rischiamo di trascurare.