West Coast on the road: dalla California a Las Vegas, l’America dei confini invisibili e delle porzioni giganti

Il nostro itinerario: San Francisco - Los Angeles - Death Valley - Las Vegas - Page - Williams - Los Angeles - San Francisco
Scritto da: Viviaggia
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Ci sono infinite possibilità di esplorazione per gli USA occidentali, dal coast-to-coast della California al tour dei parchi. Noi abbiamo scelto di fare un mix: San Francisco, Los Angeles e Las Vegas e poi miglia su miglia tra deserto, strade isolate, paesini dormitorio e panorami mozzafiato.

Il viaggio è stato intenso e vario e, nonostante i ritmi serrati per i pochi giorni a disposizione, non abbiamo mai sentito la fatica. Vediamo un po’ le singole tappe.

San Francisco

san francisco

Lo ammetto, abbiamo aggiunto la tappa di San Francisco solo perché il volo costava la metà rispetto a quello per Los Angeles. Ciononostante, la scelta è stata indubbiamente vincente perché ci ha permesso di scoprire qualcosa in più della California. San Francisco è una città dal clima fortemente instabile, dove si dice ci siano estati freddissime a causa della nebbia e del vento. In effetti, pur essendo aprile abbiamo indossato i piumini e di sera anche il maglioncino. Per visitarla, dunque, è essenziale vestirsi a cipolla ed essere pronti a qualsiasi clima.

Quando si pensa a San Francisco la mente vola subito al Golden Gate Bridge, il celebre ponte rosso mattone che un tempo era anche il più lungo al mondo. Il ponte è tristemente noto per il numero di suicidi e non è certamente piacevole da attraversare, tra vento, auto in coda e rumori. Vederlo imporsi sul paesaggio circostante, con quel senso di familiarità dato dalle sue infinite riproduzioni, è però notevole. Dal parco intorno al Ponte possono inoltre vedersi sia il resto della città che l’isola di Alcatraz ed è dunque una meta da non perdere.

L’immagine che meglio descrive San Francisco è però, secondo me, quella delle sue ripidissime salite, su cui si inerpica orgogliosa la cablecar (tram dal fascino retrò, la cui direzione è ancora oggi invertita a mano da solerti lavoratori; un’attrazione che vale gli 8 dollari della corsa singola).

Transitando tra i ripidi sali e scendi di San Francisco si notano villette in stile liberty di color pastello, fino alle famose Painted Ladies; si imbocca la discesa di Lombard Street (8 tornanti concentrati in un tratto di strada piccolissimo, ritenuto da alcuni il vicolo più tortuoso al mondo); si incontrano i colori e i profumi di una delle più antiche China Town d’America; si osservano i murales che fanno capolino dai muri del centro.

Il centro commerciale si snoda intorno a Union Square, dove si trova anche Macy’s (non illudetevi: non è niente in confronto a quello di NY) e, all’ultimo piano di questo edificio, una sede della Cheesecake Factory (quella in cui lavoravano Penny e Bernadette in The Big Bang Theory).

Los Angeles los angeles

Se penso all’agglomerato urbano di Los Angeles e alla sua immensa estensione, mi chiedo come sia possibile viverci senza sentirsi infinitamente piccoli e soli e quanto debba essere difficile farsi notare, in una città come questa. Per questo non mi è sembrato un caso vedere ovunque, per le strade di LA, senzatetto messi agli angoli delle strade, intenti a urlare contro il vuoto o a parlare senza auditorio.

L.A. non è definibile in poche parole e noi ne abbiamo visitato in realtà sono una parte, per cui non posso che proporne una conoscenza infinitamente parziale.

Inizierò dalla nostra prima meta: Hollywood! L’aurea di magia e mistero che immaginavo di trovare sulla Walk of Fame si è invece tradotta nel baccano di negozi di souvenir collocati a ogni angolo, in un tratto di strada che non parla affatto di cinema. Lo stesso Dolby Theatre (quello della Notte degli Oscar, per intenderci) è inserito in una specie di galleria commerciale e nulla ha del fascino del Lido di Venezia durante la settimana della Mostra del Cinema.

Ciò che invece mi ha stupita è stato Beverly Hills: un quartiere perfettamente pulito e ordinato, pieno di alberi e verde, silenzioso e deserto, cosparso di ville dall’architettura notevole nascoste il più possibile dallo sguardo altrui. Lì si respirano esclusività e opulenza, ma anche il bisogno di privacy delle celebrità. Unica nota stonata sono gli autobus scoperti che accompagnano i turisti a vedere le ville dei VIP. Lo ammetto, lo abbiamo fatto anche noi, ma seguendo una nostra mappa presa da internet. Le ville sono bellissime, straordinarie. Immancabile poi il passaggio a Cielo Drive (luogo dei cinque omicidi perpetrati dalla famiglia Mason, cui è ispirato il film “C’era una volta a Hollywood).

Per noi che amiamo cinema e serie TV, tappa irrinunciabile è stato il tour agli Studios della Warner Bros (prenotati in anticipo tramite getyorguide). Altri preferiscono il parco a tema degli Universal Studios, ma io non mi sarei mai persa l’occasione di vedere il set di Friends e The Big Bang Theory. Decidete in base ai vostri gusti e, se avete tempo, fateli entrambi.

Il tour alla WB, della durata di circa 3 ore, si snoda tra edifici anonimi che vengono modificati in base alle esigenze delle riprese, visita degli stage in cui si registra con totale isolamento sonoro, illustrazioni degli effetti sonori e visivi e, per gli amanti di Harry Potter, esperienza diretta con bacchetta e magie. Nonostante sia un’evidente attrazione per turisti, per me è stato bellissimo: è lì che nascono i film e le serie che allietano tante mie serate (e che, diciamolo, ci hanno salvati durante il lock-down). Inoltre, mi sono seduta sul posto di Sheldon e ho bussato per tre volte alla porta di Penny 🙂

Per l’ora del tramonto siamo andati a fare una passeggiata da Venice Beach a Santa Monica. Questo lungomare non mi ha entusiasmata e mi è sembrato un mix tra Brighton e Valencia. Lo stesso Pier di Santa Monica non mi ha restituito alcuna autenticità, a parte la scritta che segna la fine della Route 66. Il pontile era gremito ed era impossibile rilassarsi. Alla fine, non credo che andrei a Los Angeles per il mare, nonostante avere un lungomare così curato ed esteso sia sempre un valore aggiunto per ogni città.

L.A. è solitamente congestionata dal traffico e, per girarla senza grandi stress, sarebbe preferibile dormire in zone diverse (per esempio, un paio di notti a Hollywood e poi a Santa Monica). Noi abbiamo avuto la fortuna di visitarla nei giorni di Pasqua e Pasquetta, quando il traffico era del tutto gestibile. Siamo riusciti a fare 60 miglia in due giorni, restando sempre in città, percorrendo Sunset Boulevard e salendo fino all’Osservatorio di Griffith, di giorno e di notte, per osservare da vicino la scritta Hollywood e ammirare il panorama di luci di LA LA Land.

Abbiamo assaggiato vino e birra californiani e per me la birra batte di gran lunga il vino, se paragonata con i prodotti italiani. Ad ogni modo, non è facile trovare alcol e i prezzi scoraggiano ampie degustazioni.

In generale, L.A. non è una meta economica ed è bene avere chiare le idee su cosa si vuole visitare, perché il tempo a disposizione si riduce di molto a causa degli spostamenti.

Death Valley

Death Valley

Non esistono parole o immagini che possano descrivere la Death Valley e la sensazione di smarrimento e quiete che si prova attraversandola. In primo luogo, è bene sapere che bisogna arrivare alla Death Valley con il pieno di carburante e le scorte di acqua e cibo, perché per miglia e miglia non si incontra altro che il deserto (non città, non stazioni di servizio, non auto di altri passanti). Essendo il punto più caldo della terra, è bene garantirsi una scorta d’acqua che possa bastare per sé e per l’auto e che sia adeguata anche in caso di problemi con il veicolo. Nella D.V. i cellulari non prendono e i navigatori delle auto interrompono la navigazione, per cui è necessario scaricare prima le mappe offline. Io consiglio di scaricarle per le varie tappe fino alla meta finale: non avendolo fatto, abbiamo dovuto trovare la strada per Las Vegas affidandoci a una cartina (che per fortuna avevo comprato prima di partire). Per chi ci va d’estate è consigliabile non accendere l’aria condizionata in modo da non avere un eccessivo sbalzo termico e, in ogni caso, fate attenzione ai cartelli che vi dicono continuamente che il caldo può uccidere.

Provenendo da L.A. è possibile fare tappa ad Agua Dulce e visitare le Vasquez Rocks (in cui riconoscerete l’ambientazione di Star Trek e la scena in cui i ragazzi di The Big Bang Theory vengono derubati mentre vanno al Comicon di Las Vegas). Lungo la strada, dopo infinite miglia, incontrerete una stazione di servizio a Trona: fermatevi, rifate le scorte e godetevi la gente del posto. La D.V. è salite in cui non si vede l’orizzonte e subito dopo discese che regalano la vista di rettilinei infiniti; è tinte tenui; è montagne di vari colori (verde, azzurro, bianco, rosso, marrone); è cespugli secchi che attraversano la strada rotolando; è laghi di sale (come nel Badwater Basin, il punto più basso degli USA continentali); è dune di sabbia altissime che riportano ai deserti dell’Arabia (Sand Dunes, che troverete sulla sinistra provenendo da L.A.); è villaggi abbandonati di minatori; è stelle fino all’orizzonte; è silenzio assoluto, irreale; è assenza di suoni e luci.

Il parco della D.V. è vastissimo. Noi siamo partiti dal Furnace Creek Visitor Center e abbiamo proseguito fino a Zabriskie Point e Dante’s View (da cui si vedono in contemporanea il punto più alto e quello più basso degli USA continentali). Poi siamo tornati indietro e, per arrivare a Las Vegas, abbiamo scelto la strada più lunga, che passa da Artist’s Drive, Artist’s Palette (una montagna dai colori variegati che assomiglia alla tavolozza di un pittore) e Badwater Basin (l’alternativa, che arriva a Death Valley Junction, richiede un’ora in meno di strada ma non consente di visitare le maggiori attrazioni del parco).

Abbiamo dormito a Beatty e abbiamo così fatto esperienza di un ristorante di proprietà di un veterano (interamente addobbato a tema militare, compresi spillatori di birra con proiettili e armi in mostra) e conosciuto un po’ della vita di questo paesino che sopravvive per la sua vicinanza con la DV.

Las Vegas

Superato il silenzio assoluto della Death Valley, si arriva nella città delle luci, dei rumori, degli eccessi, del fake. A Las Vegas si passa in pochi metri da Parigi a New York, da Venezia alle esplosioni dei vulcani, dalle rovine dell’antica Roma a fontane danzanti. La Strip è un brulicare di auto e persone, dominata da alberghi enormi che attirano i turisti con attrazioni gratuite (come l’eruzione del vulcano del Mirage, qualcosa che può accettarsi solo nel contesto di L.V.). All’interno degli alberghi, sotto colonne di finto marmo e un cielo altrettanto finto, negozi di stilisti europei fanno bella mostra di sé e offrono ai turisti uno svago in più. La vera attrazione, però, sono i casinò, disseminati al piano terra dei più grandi alberghi, popolatissimi, dove nel baccano generale si distinguono il suono della pallina che gira sulla roulette, le chiacchiere dei croupier, le chips delle puntate di gioco (non chiamatele fiches o penseranno che state cercando un pesce) e le risate stridule di ragazze strizzate in abiti fascianti e iperscollati.

Las Vegas è anche altro, mi hanno detto, ma in questo OTR non abbiamo avuto il tempo per approfondire. La città si è comunque mostrata con la sua anima autentica, per me non paragonabile ad alcun altro posto conosciuto sinora. E anche se il fake e il kitsch la fanno da padroni, a L.V. questo si può perdonare.

Page, Horseshoe Bend e Antelope Canyon

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Ecco una meta che vale il viaggio. Io non riesco ancora a capire come mai nella nostra guida “Western USA”, versione inglese, solo un rigo sia dedicato a quello che dal mio punto di vista è il migliore e più particolare dei siti visitati. Iniziamo con l’Arizona, Stato che si distingue per il colore rosso e arancione che domina sulle montagne e che fa da sfondo a tutto il viaggio fino al paese di Page.

Al tramonto, dopo quattro ore e mezzo di guida e una breve visita al Lake Powell, ci siamo goduti uno spettacolo della natura: l’Horseshoe Bend, staffa di cavallo scavata dal Colorado, di altezza imponente, in cui il rosso della pietra e il verde del fiume regalano un contrasto cromatico che lascia senza fiato. Per fare le foto abbiamo dovuto metterci in fila, tanto era pieno di gente, ma ne è valsa la pena.

La sera abbiamo dormito in un Motel a Page (una cittadina piena di alloggi per turisti) e abbiamo cenato da Big John’s Texas BBQ, con i tavoli condivisi e la resident band a suonare musica Country. Anche questa è stata un’esperienza “americana”.

La mattina dopo siamo arrivati all’Antelope Canyon, straordinario Canyon scavato nel corso di millenni dal Colorado, dalla pioggia e dal vento. La roccia è liscia, sinuosa, dai contorni rotondi e accogliente al tatto, tanto da regalare un senso di morbidezza indubbiamente insolito. I giochi della luce che si infiltra tra le fessure del Canyon rendono l’immagine indimenticabile ed è impossibile passeggiarci senza sentirsi stupiti.

L’Antelope Canyon è sito nella riserva Navajo e l’accesso è possibile solo prenotando un tour con una guida Navajo e previo rispetto delle loro rigide regole. Il consiglio è di prenotare con anticipo di mesi e, se l’Upper e il Southern sono pieni, di provare con l’X Canyon. Chi non trova posto non si scoraggi: i più fortunati riescono a sostituire chi all’ultimo momento non si presenta al tour. Attenzione all’orario: Utah, Arizona e Navajo Reserve non hanno lo stesso orario, in quanto in alcuni punti si applica l’equivalente della nostra ora legale e in altri no. Coordinate il vostro orologio sull’orario di Page e non fidatevi del cellulare (che spesso registra l’orario del vicino Utah).

Unico rimpianto che ho è stato non avere tempo per conoscere meglio il mondo degli indiani e vedere i loro villaggi. Se potete, prenotate una visita anche per quello.

Grand Canyon

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Lo ammetto: dopo l’Antelope, il Grand Canyon mi è sembrato molto meno spettacolare di quanto avessi immaginato. Certo, l’estensione è incredibile, la vastità del varco è notevole, la foresta e gli animali che ci vivono sono bellissimi e gli scorci da cui vedere in lontananza il Colorado sono unici. Forse facendo delle escursioni a piedi lo avremmo apprezzato meglio, ma in questo OTR non c’era spazio per il trekking.

D’inverno si può accedere solo dalla South Rim e, pagato il pedaggio, si segue un percorso che regala diversi punti di interesse. Chi non vuole guidare può servirsi della navetta gratuita, ma in generale non ci sono problemi di parcheggio. I centri per i visitatori sono numerosi e ben visibili: qui la desolazione della DV è ben lontana.

Per rientrare verso LA abbiamo deciso di percorrere la mitica Route 66 e arrivare fino a Williams, ultima cittadina a essere servita dalla Highway (anche Flagstaff sarebbe stata una valida alternativa). A Williams abbiamo avuto il primo pasto veramente buono dell’America, abbiamo cenato in un locale western (Miss Kitty’s Steak House) e abbiamo conosciuto il proprietario, vestito come un cowboy e impegnato nella campagna elettorale per il Parlamento.

Da Williams parte anche un treno che porta al Grand Canyon e da qui passano treni merci lunghissimi, di cui non si vede mai la fine e che finora non avevo visto neanche nei film.

Qualche consiglio utile per scoprire la West Coast 

Per questo viaggio ho letto molti blog e ho consultato vari siti. Soprattutto per L.A. e la D.V., essere ben informati e sapere già cosa vedere è stato essenziale. Per i tour, poi, è stato importante prenotare con larghissimo anticipo.

Per fare questo viaggio (2700 km in 5 giorni) è bene avere un’auto performante (noi abbiamo preso la Mustang), non andare mai in riserva, evitare di fare benzina dentro la DV (costava oltre un dollaro in più a gallone) e comprare ciò che serve alle stazioni di servizio. I voli interni sono molto economici e gli aerei sono molto più comodi di quelli europei, per cui si può pensare anche di includere degli spostamenti aerei (come abbiamo fatto noi da San Francisco a Los Angeles e viceversa). In generale, i Motel sono puliti, ma non tutti hanno il deposito bagagli o altri servizi che potrebbero sembrare scontati.

Il cibo è poco salutare, pieno di carni rosse, uova e salse e condito in modo grasso. Spesso la frutta è servita come contorno e vi consiglio di sceglierla, quanto meno per rinfrescare la bocca. Le bibite e il caffè sono con refill gratuito e questo consente sia di risparmiare che di bere senza controllo. Nei ristoranti americani classici, quelli con le salse sul tavolino e la signora che ti versa il caffè, non si trovano alcolici. Le porzioni sono su base americana (enormi), per cui aspettate di finire il piatto prima di ordinarne un altro. I vegetariani possono provare l’impossible burger e spesso non avranno grandi alternative a quello e alle uova. Delle birre, provate le IPA della West Cost. Molte arrivano anche da noi e non è un caso.

Comprate una scheda americana quando siete lì o attivate un piano dati USA con il vostro gestore. Prima di comprare una SIM americana, accertatevi che il vostro cellulare la legga (per esempio, AT&T non accetta Xiaomi).

Programmando il viaggio da soli, abbiamo risparmiato oltre la metà rispetto al costo dell’agenzia. Certo, risparmiare e muoversi dall’altra parte del mondo richiede un po’ di esperienza, ma per noi viaggiare è anche strutturare il viaggio. Armatevi di spirito di adattamento, dimenticate le vostre abitudini e lasciatevi travolgere dalla varietà di questo viaggio attraverso una parte d’America

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