India: i cinque sensi sono messi alla prova, anzi li aggredisce

Con tutte le sue contraddizioni e accesi contrasti, l’India mi ha affascinato. Quanto è diversa da noi: la si può amare od odiare, ma non si può restare indifferenti
Scritto da: 2perplesso
india: i cinque sensi sono messi alla prova, anzi li aggredisce
Partenza il: 21/02/2015
Ritorno il: 03/03/2015
Viaggiatori: 18
Spesa: 3000 €
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Tour di 14.000 km totali, 6000 foto, 18 partecipanti al tour, 11 giorni, 1: io (sola, soletta)

Con tutte le sue contraddizioni e accesi contrasti, l’India mi ha affascinato. Quanto è diversa da noi: la si può amare od odiare, ma non si può restare indifferenti. Ho scelto il tour Mistral perché per me era prioritario vedere Varanasi, la città sacra: il cuore dell’India, e il viaggio è stato al di sopra delle mie aspettative.

L’unico neo i voli aerei: Air India che, pur avendo velivoli comodi, ha radicati ritardi di due-tre ore per ogni volo nazionale e internazionale.

Ho cercato di leggere preventivamente sull’India per comprendere questo stato, quasi un continente, che è la culla di una delle più antiche civiltà del mondo. Con i suoi 1.250.000.000 abitanti è il secondo paese nel mondo per popolazione, ma tanta strada deve ancora fare se ci sono ancora le caste: sacerdoti, guerrieri, commercianti e servi; ma esistono anche i fuori casta, gli ‘intoccabili’. Ed è impossibile passare ad una scala superiore e sposarsi tra caste diverse. Tale sistema è attualmente ancora vitale, nonostante la Costituzione dell’India sancisca l’eguaglianza di tutti i cittadini. La nostra guida, giovane uomo – Gajendra, che io chiamavo Agenda – è un ‘guerriero’ ed ha una moglie che ha conosciuto qualche giorno prima del matrimonio perché indicata e scelta da un parente stretto.

Con un solo sguardo si può vedere storia e tradizione che convivono in un presente più dinamico che mai, nonostante lo sviluppo economico, unito sempre all’estrema povertà che purtroppo persiste. L’India ha una storia plurimillenaria ed ha conosciuto invasioni e conquiste ed i dominatori stranieri hanno saccheggiato lasciando peraltro influssi che l’India ha assorbito. Ora, quando si parla degli inglesi, il cui dominio durò due secoli, concludono: ’’è chiuso il problema, se ne sono andati’’.

Partita dunque da Milano sabato sera 21.02.2015, fatto scalo tecnico a Roma, siamo arrivati a Delhi il 22.02.2015 alle 12.20, dove la Guida Mistral ci ha accolto con una coroncina di fiori gialli per ciascun ospite e accompagnato all’Hotel Crowne.

Sono stanca morta, il viaggio è stato allucinante. Giusto per capire: la cena è stata servita da Air India alle 2.20, spente le luci alle 3.30, colazione alle 6.

Correre, correre, abbiamo tante cose da vedere. L’hotel è galattico (la mia camera potrebbe essere adatta ad una prima notte di nozze). Sono tutti hotel a 5 stelle quelli prenotati, ma questo è stato l’unico con WiFi completamente gratuito. Ho fatto un errore in entrata nel paese: dovevo comperare subito in aeroporto il cip per le telefonate e internet. Con 10 euro avrei avuto tutti i collegamenti ad un costo irrisorio (da tener presente!). Si riparte dopo mezz’ora e si va in centro. E’ domenica e c’è un traffico tremendo (sarà molto peggio durante la settimana quando tutto sarà aperto), ci sono i mercatini dell’usato, della frutta e verdura.

Dobbiamo raggiungere la grande Moschea, in un dedalo di viuzze: è uno spaccato dell’India che si ritroverà in molti altri posti e situazioni e l’impatto è veramente forte. Il rumore costante di clacson, bus, tuk tuk, moto, tante moto, biciclette, mucche, che sfrecciano o pascolano incuranti del flusso di persone che in certi momenti raggiunge il livello di calca. Poi quando scendi dal bus, ricevuto istruzioni dalla Guida, veniamo attaccati dai venditori di cartoline, elefantini, collane… Dopo un po’ si fa il callo. L’importante è non rispondere o fare commenti, in modo che dopo un po’ desistono. Dobbiamo rinviare la visita alla Moschea perché è il momento della preghiera.

Allora ci siamo spostati al Raj Ghat, uno splendido parco con il memoriale del Mahatma Gandhi. Si tratta di una piattaforma di marmo nera che segna il punto in cui fu cremato Gandhi, dopo che fu ucciso nel 1948. Tutti gli ospiti devono togliere le calzature prima di entrare.

E poi al Gurdwara Bangla Sahib: è il più importante tempio Sikh in Delhi, noto anche per la piscina all’interno del suo complesso, conosciuto come il “Sarovar” ed è immediatamente riconoscibile per la sua splendida cupola dorata. Costruito alla fine del XVIII sec., è il più vasto della città: un po’ la Mecca della religione Sikh, importante centro di pellegrinaggio anche da parte di persone di altre religioni e colpisce per l’atmosfera che vi regna, caratterizzata da un grande fervore religioso. Si entra con la testa coperta e scalzi o con il copri scarpe di tessuto fornitoci da Mistral. Di lato le cucine che visitiamo, perché qui molti volontari danno da mangiare gratuitamente a 10.000 persone bisognose ogni giorno dell’anno.

Oggi, scendendo dal bus, mi è saltato all’occhio un fatto che mi ha lasciata perplessa. Il ragazzo che aiuta l’autista ha sei dita: un secondo pollice che esce dal primo e che lui utilizza normalmente. Ho collegato allora ad un fatto accaduto 40 anni fa a Bhopal. Ricordate? Un incidente per un inquinamento gravissimo di una azienda americana che produceva fitofarmaci. Morte e inquinamento con disastro ambientale è stato pagata per decenni dalla popolazione. Forse non c’entra nulla, ma non so perché ho collegato al vecchio fatto. Questo ragazzo è anche chiamato dalla Guida ‘freccia umana’, perché ogni volta che il bus deve girare, spesso con inversione di marcia, deve mettere fuori il braccio dal finestrino per fermare il traffico.

Lunedì 23 febbraio 2015

Si vola, con due ore di ritardo, a Varanasi la città sacra, la città dove ogni induista sogna di morire, e ci sistemiamo all’Hotel Radisson.

Avanti subito, alla scoperta del Sito archeologico di Sarnath. Ci accompagna anche una Guida locale per le spiegazioni specifiche. Prima al Museo, non molto grande e non si può fotografare (…mi girano sempre, quando non si può) e dove tra l’altro vi è esposto il Capitello con 4 leoni orientati verso 4 direzioni che sono il simbolo dell’India. Poi al parco archeologico che è il luogo dove Buddha tenne il primo sermone. Luogo mistico e rilassante, in un bellissimo parco ben tenuto vi sono i resti archeologici delle varie Stupe. Sul luogo dove Buddha tenne il suo sermone sorge la grande Dhamekh Stupa dove ancor oggi i pellegrini strisciando per terra e pregando fanno il giro della stessa.

Ed ecco una delle prime visite ai negozi per turisti: il lavoro ai telai manuali per i tappeti e le sete più belle dell’India, ma è un nulla di fatto per tutti. Abbiamo tempo di acquistare e decidere. Rientrando in hotel la guida ci propone una visita non prevista dal programma perché a tutti interessa vedere alle 19.00 ogni sera la Puja, la preghiera alla grande Madre Ganga. Organizzata la partenza dall’hotel con i tuk tuk, il percorso per strada è allucinante: rifiuti dovunque, cumuli di macerie, inquinamento dell’aria altissimo, il traffico, la velocità, il rumore, le mucche, le scimmie, i bufali, le immondizie, gli odori forti, i mendicanti, i buchi per terra per farti cadere: è stordimento, ma in un’atmosfera spesso magica. Tutte le strade sono immancabilmente ricoperte da corposi escrementi di mucca. All’imbrunire si riempie di gente: indiani, sadu, santoni e turisti si mescolano ai colori e agli odori: è un crescendo… E poi ecco il placido Gange, da questo punto posso vedere le grandi scalinate che scendono alle sue acque, e rimango a bocca aperta e contemplo la vista. Sono nel posto più sacro di tutta l’India. Gajendra cerca la postazione giusta, ma io suggerisco una terrazza che mi era stata segnalata da un amico in Facebook e la scelta è vincente. In alto, comodamente seduti, con la vista più bella di Varanasi, fotografando a raffica, partecipiamo alla cerimonia, che ha inizio verso le 19.00 ed è eseguita da 7 giovani sacerdoti, i bramini, dura circa mezz’ora ed avviene in diverse fasi e modalità, con lumini, petali di rosa, candelabri, fuoco, fumi.

Molti fedeli lasciano andare nelle scure acque del Gange piccoli lumini votivi. Spettacolare nella sua spiritualità.

Che giornata entusiasmante! Questa è l’India: questo volevo vedere ed essere partecipe….Il viaggio vale Varanasi.

Cena, doccia, letto…stanca….

Oggi è martedì 24 febbraio 2015…

… e la sveglia è alle 5. Dobbiamo andare a vedere l’alba sul Gange. Le strade sono ancora vuote. Vedo solo alcune persone che dormono ai lati della strada, sui gradini, fra le immondizie. Bisogna arrivare con il bus vicino ai ghat (scalinate dalle quali si accede al fiume), poi si prosegue a piedi nell’ultima parte del percorso e, anche se è prestissimo, le strade ora, avvicinandosi al fiume sacro, cominciano ad essere affollate di turisti e pellegrini.

Ci sono all’incirca 80 ghat e idealmente un Indù dovrebbe pregare ad ognuno di essi. Vicino al fiume vengono offerti dei lumini ad olio e fiori e, anche se noi non li abbiamo acquistati, è pura magia vederli scorrere lentamente sopra il pelo dell’acqua. Ci aspettano per l’itinerario fluviale con il barcone a remi. Mentre il sole sorge timidamente, i pellegrini iniziano a bagnarsi nel fiume e l’atmosfera è magica, ed io fotografo. Mi hanno già soprannominato ‘mitraglia’. Ovviamente sono tantissimi i turisti che fanno questo giro, ma l’esperienza non perde fascino, soprattutto se si osservano i rituali mattutini: gli uomini con il perizoma, le donne con il sari. Il barcone percorre il fiume prima da una parte, sino al crematorio con forno elettrico e poi dall’altra sino al Ghat Jalasai, il famoso Ghat dedito alle cremazioni su legna all’esterno.

Qui è proibito fotografare, ma con discrezione si riesce a fare qualche scatto in lontananza. I morti vengono bruciati sulle pire. Si vedono lungo la riva, rialzate sui gradini, grandi cataste di legna di acacia, mango e per i più ricchi sandalo. Servono 500 chili di legna. Il morto (sembra da ridere, ma è triste, perchè è ‘imburrato’ per poter prendere fuoco prima) viene posto su metà e poi ricoperto dall’altra metà della legna. Dopodichè le ceneri vengono disperse nel fiume. Solo cinque “categorie” di morti vengono gettati “interi” con un peso nel Gange, in quanto ritenuti già puri di per sé: bambini, donne incinte, uomini morsi dal cobra, lebbrosi e santoni. La scena è a dir poco impressionante: si vedono corpi che bruciano sopra enormi cataste di legna. Il primogenito del defunto, vestito di bianco e rasato a zero, al massimo con un piccolo codino, accende il rogo e rimane accanto alla salma finchè questa non sia stata consumata dalle fiamme. Se dopo tre ore il cranio non si è consumato, dovrà tragicamente romperlo con un bastone di bambù. Dalla strada arrivano piccoli cortei con uomini che sostengono lettighe di bambù, in cui sono adagiati i cadaveri. Vengono appoggiati a terra e messi in coda per la cremazione. La persona deceduta, dato il clima, viene cremata dopo sole tre ore dalla morte. Qui non ci sono donne ad assistere al rito. Quello che mi ha fatto specie e che c’è sempre qualcuno che fruga tra le ceneri per cercare l’oro (denti, collane, anelli, orecchini) perché i morti vengono bruciati con tutto quello che hanno addosso al momento del decesso.

Lasciamo il Gange e a piedi percorriamo la parte più vecchia di Varanasi, ma la città è blindata. Ad ogni angolo polizia armata per il controllo anti-terrorismo, forse dovuto alla questione del Kashmir? Adesso ricordo che entrando in molti hotel passano un carrello-specchio per controllare sotto il bus che non ci siano bombe. Mi pareva di tornare indietro nel tempo, ai tempi della DDR.

Purtroppo in questo periodo storico in India si avverte chiaramente una grande paura per gli attentati: qui è impressionante la costante presenza di poliziotti e militari in assetto di guerra e i continui controlli con metal detector/apertura bagaglio/perquisizione personale ogni volta all’aeroporto o un monumento/tempio o in una stazione ferroviaria.

Non si può fotografare qui nella parte antica di Varanasi. Peccato, perché le stradine con i suoi cavi elettrici volanti, le case abbandonate, le immondizie, gli animali vaganti, i colori dei sari sarebbero tutte immagini da fissare in molte foto. Moltissimi indiani camminano ancora a piedi nudi e si distendono per terra dove capita. Le case non hanno l’acqua corrente e quindi si lavano i panni e le stoviglie e il corpo in strada alle fontanelle pubbliche. Nella città vecchia c’è chi assaggia il paan, una miscela di noce di betel, pasta di lime e altre spezie che non so, avvolte in una fogliolina verde. Si mette in bocca, si mastica e si sputa. Mastica e sputa, tutti masticano e sputano schizzi rossi che si stampano sulla strada lorda. E’ la città più lurida che abbia mai visto.

Rientriamo in hotel per la colazione e alle 9.30 ripartiamo con il bus che ci porta all’aeroporto, dove in 45’ alle 12.30 raggiungiamo ‘puntuali’ Khajuraho. Mettiamo giù i bagagli all’Hotel Ramada e raggiungiamo il vicino paese con la guida locale per la spiegazione dei templi induisti del gruppo occidentale: i più belli per me. Questi templi, patrimonio Unesco, in pietra arenaria, sono all’interno di un parco all’inglese con prati, fiori ed alberi ornamentali, ed è stato sviluppato a scopi turistici, perché originariamente (1947) il paesaggio era semi-desertico. Costruiti a cavallo dell’anno mille, originariamente erano 85, ora ne sono rimasti 22. Scoperti solo nel 1819 fu scritto per l’occasione “ ho trovato 7 templi indù, con sculture che rivelano grande maestria, ma l’artista si è talora lasciato prendere la mano…”. Hanno una architettura molto raffinata e sono noti per le sculture erotiche che li adornano e che raffigurano in pose plastiche le varie posizioni del kamasutra, il libro noto a noi occidentali come quelle del sesso e delle sue varianti. Bene spiega la nostra guida le varie posizioni: non è facile, alle volte anzi è imbarazzante, ma lui è molto semplice perché la sensualità è intesa come base dell’amore, fonte di piacere ma anche di risveglio spirituale per la coppia. Forse originariamente questi templi erano un grande centro religioso e culturale, non monastico. Quelli che ancora sono attivi hanno una bandiera in cima.

Un giro anche ai templi jainisti del gruppo orientale. E’ una zona più circoscritta della precedente e ci sono ovviamente meno templi. Qui però sono differenti: non ci sono infatti sculture erotiche. I templi qui sono decisamente più semplici ma comunque sempre interessanti.

La Guida locale ci porta a visitare un negozio di souvenir, ma gli è andata buca. Nessuno ha comperato niente.

Alle 19 ci è stato proposto uno spettacolo di danza folk con musiche e balli di molte regioni dell’India. Ho partecipato, ma troppo povero… no, non mi è piaciuto. Sarebbe stato meglio farsi fare in hotel il massaggio ayurvedico: ‘’è un trattamento dolce e rilassante, molto efficace per la cura del corpo, per la bellezza fisica e l’armonia spirituale che si propone di ripristinare una condizione di equilibrio nell’organismo, generando benessere fisico e mentale’’. Quelli che lo hanno fatto sono stati molto soddisfatti (40 minuti 35 euro).

Cena e a letto. Un piccolo gruppo si sveglierà domani mattina alle 5 e andrà in un parco nazionale, dove è possibile che oltre ai soliti animali, vedano anche la tigre.

Mercoledì 25 febbraio 2015

Non hanno visto la tigre, ma molta natura incontaminata. Ripartiti tutti alle 9.30, abbiamo 180 km. da percorrere in bus tra campi di coriandolo, ceci, colza e grano.

La guida per strada ci racconta un po’ la storia dell’India, gli usi, le abitudini, le pensioni, l’assistenza medica e sociale ed i matrimoni. In campagna il matrimonio è combinato e la famiglia della donna deve dare tutta la dote (dai mobili, alle stoviglie, ecc), mentre il marito regala solo una collanina d’oro. Non bisogna nascere donna in India. L’India è il quarto paese più pericoloso al mondo per le donne. Ancora oggi un importante strato della popolazione femminile indiana continua a vivere in una condizione di discriminazione e di inferiorità rispetto agli uomini. Solo il 40% delle donne dell’India lavora ed i 2/3 lavorano in agricoltura. Mi è rimasta impressa una frase letta molto tempo fa ” nascere femmina in India è una sentenza di morte”. Gajendra è inutile che tu dica che l’uomo ascolta la donna, che lo consiglia… la donna da voi è una nullità…

E poi ecco un gruppetto di monaci Jainisti che camminano nudi per la strada. Rappresentano una religione-filosofia che pone la regola ” vivi e lascia vivere, ama tutti, servi tutti”, dove per “tutti” s’intende ogni creatura, umana, animale e vegetale, ma anche la terra, l’acqua, l’aria….Non è facile incontrarli.

E poi eccoci a Orchha: è un piccolo paese, molto tranquillo.

Pranziamo in un bel locale e poi è davvero piacevole passeggiare per le sue stradine, lungo il fiume, osservando gli abitanti intenti nelle loro attività quotidiane. Ci sono alcune bancarelle di souvenir, alcuni piccoli negozietti e localini, i barbieri, ma nessuno ti chiama per offrirti qualche cosa, non ci sono venditori asfissianti. Molto belle le bancarelle dei venditori di colori in polvere.

Orchha è una città-palazzo medioevale abbandonata, tranne una piccola parte che è stata restaurata ed ora hanno realizzato un hotel di charme. Il ponte che attraversa il fiume Betwa porta all’isola fortificata e a tre imponenti palazzi del XVII secolo. Avrebbero bisogno estremo di accurato restauro. E’ possibile visitare questi meravigliosi palazzi senza guida, perché per vedere bisogna percorrere nei vari piani stanze, gradinate, corridoi lunghissimi e tanti passaggi, panorami e viste, con stucchi, legni, ceramiche, soffitti dipinti, pavimenti con iscrizioni su testi indiani antichi che evocano lo splendore del passato. Pappagallini, scimmie e avvoltoi da contorno. Da ricordare: in tutti i siti dove si entra a pagamento la maggior parte delle volte la videocamera paga un biglietto supplementare, mentre la macchina fotografica no (come non avesse la ripresa….). Questo sito è sicuramente da vedere e da godere!

Poi scendiamo al paese dove straordinariamente per noi ci sono tre matrimoni nella piazza. Io ne seguo uno in particolare: lui giovanissimo, triste, elegante, con i brillantini sulle sopracciglia, lei non si vede perché ha un sari che le copre la testa e il viso. Uno dei parenti mi si avvicina e mi invita a farmi fare le foto con gli sposi. Che tenerezza! I soliti matrimoni combinati.

Si prosegue e si arriva a Jhansi perché qui si prenderà il treno intercity per Agra. Il treno indiano è davvero un’esperienza indimenticabile, quella è uno spaccato di vita della vera India. E’ sul treno che riesci a cogliere gli sguardi della popolazione, la loro vita di tutti i giorni ed è attraverso il treno che compì quello che Forster chiamava “A passage to India”. Abbiamo atteso il treno tra le gente che bivaccava per terra, poi dopo un’attesa decente siamo saliti in treno, ma noi eravamo in prima classe, con servizio ineccepibile per la cena, anche se il vagone non era molto pulito, con una ‘signora’ che ha mollato due rutti portentosi, ma sul treno di terza classe – mi dicono – bisogna dividere quasi tutto con i compagni di viaggio, dalla frutta secca, alla musica incessante di musicisti vaganti nei corridoi, al contatto notturno con la polizia che fa controlli anti-terrorismo. Fa un brutto effetto la terza classe perché le finestre di questi vagoni sono con le sbarre, senza vetri e la gente resta seduta anche sui gradini di accesso al mezzo con le porte aperte.

Alle 22.30 siamo arrivati ad Agra, grande e inquinata città. Cena e pernottamento all’Hotel Four Point by Sheraton. Sono tutti pretenziosi questi hotel 5 stelle: stupendi, accoglienti, eleganti, ma con WiFi a pagamento… Che bello: per ben due notti dormiremo qui, senza dover fare e disfare le valigie. In questo tipo di viaggi bisogna andar via leggeri: tante magliette, due pantaloni, felpa, impermeabile e cappello, due paia di scarpe comode. Le mutande si possono lavare tutti i giorni….

Giovedì 26 febbraio 2015

Cielo grigetto, ma poi migliorerà, al mattino è fresco.

Prima che arrivi la massa di turisti andiamo al Taj Mahal. Qui c‘è il monumento simbolo dell’intera India, raffigurato ovunque: si tratta di uno splendido monumento costruito per… amore e iniziato nel 1631. Oltrepassato uno dei tre ingressi: ordine, armonia e serenità, è come il Paradiso del Corano “un lussureggiante giardino circondato da mura e diviso simmetricamente da canali d’acqua”. Tutto bianco di marmo a intarsi, che formano bellissimi disegni ornamentali e che emanano magici luccichii con i raggi del sole, elegante, severo con i suoi 4 minareti di circa 40 metri costruiti ai suoi lati che sono stati volutamente inclinati verso l’esterno. Questo per preservare la costruzione principale, impedendo in caso di terremoto che i minareti stessi crollassero verso di essa. Pur essendo un monumento funerario dà una carica e dà un significato politico che simboleggia la forza dell’islam (così mi suggeriscono). Ci vollero 22 anni e 20.000 persone per costruirlo e ci furono artigiani che arrivarono da tutta l’Asia: marmi da Jaipur e pietre preziose e semi-preziose da Cina, Afghanistan e Yemen. Ho girato in lungo e in largo in questo Paradiso perché anche il parco è bellissimo con le sue piante rare, i pappagalli verdi, le scimmie e gli scoiattoli.

Ed eccoci ad una nuova tranche di visite d’obbligo (??!!): un grande negozio dove vendono marmi intarsiati, tappeti, gioielli, vestiti e pietre semi-preziose già tagliate (lapislazzuli, corniola, madreperla, malachite, turchese e onice).

Pranzo in hotel e poi si riparte e visitiamo il Mausoleo di Itimad-ud-Daulah, tomba costruita dalla figlia intorno al 1620 a forma di urna con splendide pareti rivestite di mosaici policromi con interni molto raffinati. Alcune aperture con graticci elegantemente traforati permettono alla luce di filtrare all’interno. Tutto attorno giardini, scimmie nervose, e la vista sul fiume di Agra Yamuna, con acque molto inquinate.

Abbiamo raggiunto poi il Forte Rosso, rosso dal colore della pietra arenaria ed è Patrimonio Unesco. Il forte, eretto a metà del 1500, molto ben conservato, ha massicce doppia mura che si elevano oltre 20 m. di altezza e misura 2,5 km. di circonferenza, progettate per resistere a lunghi assedi ed è circondata da un fossato. All’interno grandiosi palazzi con pareti di marmo intarsiato chiaro che creano un insieme cromatico di grande effetto e altre strutture eleganti, con arcate e chiostri. Da lì si vede il Taj Mahal, con il quale troppi fanno dei confronti, ma è un’altra cosa.

Rientrato in hotel poco dopo le 17, un gruppetto di sette decide di andare in centro e anch’io mi incammino sul bordo della strada, non esistono marciapiedi e si cammina in mezzo ad un traffico terribile ed assordante, con il rischio di essere investiti in ogni momento. Si fermano 2 tuk tuk e accettiamo la proposta di farci scarrozzare, dato che il centro non è vicino. Ci lasciano girare tra le bancarelle di frutta e verdura e i bazar che non offrono un granchè e ci riportano all’hotel Four Points Sheraton per le 18.50: ora è buio e non è salutare neppure stare in giro. Trovo pericoloso questo traffico disordinato e questi mezzi spericolati.

Nella pausa pranzo dell’hotel ho avuto due ore gratuite per spedire foto e messaggi, ne avrò altre due domani mattina. Cena tranquilla e a nanna a scrivere il diario.

Venerdì 27 marzo 2015

Si riparte e si raggiunge la Città della Vittoria, a 35 Km da Agra, che fu costruita da Akbar perchè divenisse la nuova capitale dell’impero della dinastia Moghul e oggi è una delle principali attrazioni architettoniche indiane. Fatehpur Sikri è però un’altra città fantasma. Questo suggestivo complesso di costruzioni è tutto quello che rimane della città voluta da Akbar come sua capitale ideale. Akbar voleva farne un centro culturale, commerciale e amministrativo dell’impero, mentre gran parte dell’esercito e del tesoro rimaneva ad Agra. Inaugurata nel 1571, ebbe un immediato successo, ma appena 14 anni dopo venne praticamente abbandonata, quando Akbar dovette accorrere in difesa dei confini nord-ovest dell’impero. La corte lo seguì, ma non fece mai ritorno.

La nostra strada prosegue e siamo entrati in Rajasthan e anche il territorio cambia. A 16 km. da Agra c’è il Parco Nazionale Keoladeo Ghana che è una delle più grandi riserve del mondo per gli uccelli migratori.

Pranzo per strada ad un palazzo nobiliare del Mahraja di Bharatpur.

Proseguendo per Jaipur facciamo una breve deviazione per un luogo delle meraviglie, che mi ha lasciato interdetta: davvero unico nel suo genere. Siamo ad Abhaneri per vedere l’antico pozzo-palazzo imperiale, costruito nell’8 secolo e la sua incredibile architettura con l’intricata e perfetta geometria dei suoi gradini. Chand Baori è profondo 20 metri, composto da circa 3500 scalini disposti su tredici grandi scalinate. Scavavano profonde trincee nella terra per trovare l’acqua e poterci contare durante tutto l’anno. Rivestivano i muri di queste trincee con blocchi di pietra e creavano scale che portavano giù all’acqua. La maggioranza dei pozzi a gradini sopravvissuti servivano originariamente anche a scopo ricreativo, oltre che a fornire acqua. Questo perché la base del pozzo forniva sollievo dal calore del giorno, e un sollievo ancora maggiore si poteva ottenere se il pozzo era coperto. I pozzi a gradini servivano anche come luogo per riunioni sociali e cerimonie religiose. Solitamente, le donne frequentavano maggiormente questi pozzi perché erano quelle che attingevano l’acqua. Inoltre, erano loro a pregare e ad offrire doni alla dea del pozzo per le sue benedizioni. Questo fece sì che in taluni casi i pozzi assumessero anche significative caratteristiche ornamentali e architettoniche, venendo costruiti spesso insieme a dimore e all’interno di aree urbane. Ciò assicurò anche la loro sopravvivenza come monumenti.

Un giro nel piccolo paese tra le capanne di fango, la buganville e a fotografare i bambini.

Arrivati e sistemati a Jaipur al Lemon Tree Hotel.

Sabato 28 febbraio 2015

(una tirata di orecchi a mio fratello Fabrizio che oggi compie gli anni!)

Jaipur è una grande città ed è chiamata anche la “città rosa” per via del colore di moltissimi suoi edifici. Puntualissimi come sempre, di primo mattino partiamo alla scoperta di Jaipur. Prima tappa Amber Fort che si trova 10 km fuori dalla città. Il Forte appare maestoso, adagiato sopra una collina che si affaccia su un lago. La salita al Forte la facciamo, come previsto, a dorso di elefante ballonzolante, in 15 minuti, come praticamente quasi tutti gli altri numerosi turisti che qui incontriamo. Visitiamo edifici ricchi di storia, molto eleganti con archi, specchi e pareti intarsiate, giardini. Dopo aver attraversato un bel giardino, arriviamo alla Sala delle Udienze Private, dove il Maharaja riceveva importanti personaggi. La sala è molto bella ed è adornata di molti specchi di varie dimensioni, che con i raggi solari dovevano creare bellissimi giochi di luce, unitamente a quella fioca delle numerose candele che, ci dice la guida, venivano accese attorno ai tappeti stesi a terra. Visitiamo poi gli appartamenti delle donne che si affacciano su di un ampio cortile nella parte più vecchia del Forte. Il panorama da quassù è davvero magnifico e sulle colline tutt’intorno si possono ancora vedere le antiche mura erette a protezione della città. Visitiamo poi altre sale, tutte molto interessanti. La discesa dal Forte la facciamo con le jeep sino al bus.

A mezzogiorno ‘ci tocca’ la visita in un grande negozio per turisti dove vendono un po’ di tutto, ma la parte interessante è il taglio delle pietre preziose. Ecco… mi fa gola il rubino color sangue di piccione che stanno lavorando.. Ma non basta, visita anche in un altro negozio di gioielli. Pensavo che non avessero design, anche perché l’oro è povero, invece devo dire che alcuni pezzi erano veramente belli.

Nel pomeriggio al mercato dei fiori, della frutta e verdura, in un frastuono di clacson e traffico.

Abbiamo un po’ di tempo per girare nella frenetica città vecchia e ne approfittiamo per mangiare per strada (ci fidiamo!) alcune tortine fritte a forma tonda con spaghetti di zucchero e miele, spolverate da scaglie di frutta secca: speciale!

Una foto spetta anche allo splendido Palazzo del vento (Hava Mahal) costruito per le donne di corte in modo che potessero osservare lo svolgimento delle processioni e della vita quotidiana nelle strade, con raffinate finestre in arenaria rosa realizzate a nido d’ape.

Qui i venditori dei bazar sono impossibili. Parlano tutti italiano e vogliono che tu vada a vedere il loro negozietto. E se ti interessa qualcosa da comperare… che contrattazioni asfissianti…Puoi arrivare ad una riduzione del 60% rispetto al prezzo iniziale se sei determinato. Ho conosciuto uno del gruppo (G.S.) con una invidiabile faccia tosta…

Domenica 1 marzo 2015

Dato che siamo andati tutti a dormire presto ieri sera, stamattina mi sono svegliata alle 5 e mezza; guardo fuori della finestra e vedo un contorno di città: pochissime luci e molto molto vento. Le luci sono poste solo sulle strade principali e di sera l’illuminazione è molto scarsa e si vedono spesso falò (sia per bruciare un po’ di spazzatura che per scaldarsi).

Mi sa che oggi pioverà: peccato!

Prima tappa al City Palace. Si tratta di una grande palazzo, tutto di colore rosa, in parte dedicato alle visite dei turisti ed in parte ancora residenza dell’attuale Maharaja, un grande complesso di cortili, giardini ed edifici. Anche qui possiamo visitare diverse sale, tra cui la Sala delle Udienze Private, con in bella mostra 2 enormi recipienti per l’acqua, tutti in argento e dal peso di 350 kg ciascuno. Notevoli le porte del cortile Niwas Chowk che rappresentano le 4 stagioni e stupendi i bassorilievi della cosiddetta Porta dei Pavoni. Molto bella la sala delle udienze pubbliche, tutta finemente decorata e con le sedie di colore rosso. E qui casca il palco. La nostra guida aveva anticipato: qui non si può fotografare, ed io invece ho furtivamente fatto qualche clic, ma mi hanno beccato. Mi hanno fatto cancellare le foto, ma ne ho salvate 7 che mi sono costate 1 euro l’una, perché mi hanno dato la multa. Mi spiace per la nostra guida, lui è molto corretto. Molto interessante la sala dove sono esposti i vestiti dei Maharaja, da quelli nuziali a quelli utilizzati per il gioco del polo. Impossibile non notare l’enorme vestito che apparteneva ad un Maharaja alto circa due metri e dal peso di 200 kg.!

Quando usciamo piove e non siamo molto attrezzati.

Attendiamo un po’ e poi raggiungiamo, nelle vicinanze, l’osservatorio astronomico, il Jantar Mantar, costruito intorno al 1700 dal Maharaja Jai Singh II che era anche un abilissimo astronomo. Appena lo vediamo ci sembra di avere di fronte delle strane sculture, in realtà si tratta di strumenti che venivano utilizzati per calcolare il tempo, la posizione del sole, delle costellazioni, ecc. Una in particolare ci colpisce in quanto è gigantesca: si tratta di un orologio, perfettamente funzionante. Incredibile, in considerazione del periodo in cui questi strumenti sono stati costruiti.

Pranzo e nel pomeriggio lasciamo Jaipur con la pioggia e raggiungiamo Chomu, dove siamo ospiti in un palazzo nobiliare: è un hotel di charme l’Hotel Palace Chomu. Sembra di entrare in una favola: fuori tutto fango, mucche e maiali vaganti, dentro (all’interno di mura) un palazzo di un maharaja con camere una diversa dall’altra poste su due piani. Ottima accoglienza anche all’entrata dell’hotel con regalo di ghirlande di fiori. Cortili e giardini ben curati con piante, fiori, piscine. La mia camera, al piano terra con il bagno sotto la torre, ha un salottino e un’alcova: spettacolo! Ho trovato come benvenuto acqua minerale, tè, caffè, frutta e un vassoio di dolcetti. Piove, piove forte, ma in 4 usciamo per vedere i barbieri posti lungo la strada, i venditori di frutta e verdura, ma non siamo abbastanza equipaggiati e decidiamo di rientrare. Faccio il tè, mangiamo i biscottini sperando che il tempo sia più clemente. Dato che ci avevano suggerito di girare la residenza per scoprire gli angoli più nascosti mi guardo intorno. Hanno una piccola biblioteca dove NON funziona il WiFi, vedo il tramonto dall’alto dell’edificio e poi seguo un fragore di percussioni e mi trovo in un cortiletto interno dove molte donne con bambini sono sedute a terra, all’interno di un sottoportico.

Mi invitano, tolgo le scarpe, ballo con loro al canto di un uomo e del suo compagno che suona. Una donna anziana mi si avvicina e mi dipinge il viso con la polvere rossa e gialla. Che esperienza! Resto lì un po’, ballo con loro e anche Manu mi fa compagnia, poi vado a lavarmi e cambiarmi. Questo era l’anticipo probabilmente della festa di Holi che si terrà in tutta l’India a breve ed è la festa dei colori: sono tutta impiastricciata. L’hotel ci ha prestato alcuni ombrelli e con Gajandra andiamo in centro. Non è piccolo il paese di Chomu ma non c’è molto da vedere: fango che azzanna le caviglie, pozzanghere grandi come laghi, mucche, nonostante la domenica parecchie bancarelle di frutta e verdura coperte da fogli di plastica e gli immancabili barbieri.

Rientriamo dopo 40’ e nuovamente mi cambio. Cena nel ristorante elegante e raffinato con danze indiane e musica live.

Lunedì 2 marzo 2015

Pioviccica. Abbiamo almeno 5 ore di bus prima di arrivare a Delhi, tra campi e strade allagate per la pioggia di ieri. Cosa succederà a giugno quando arriveranno i monsoni? Percorriamo l’autostrada a tre corsie a pagamento e si vede di tutto, anche mezzi contromano.

Le strade nazionali sono asfaltate al centro ma in terra battuta ai lati con un bel gradino e quindi con nuvoli di polvere portate dal vento, non ci sono ristoranti o bar dove sedersi e guardare intorno, le fognature sono le solite malamente coperte ai lati delle strade, gli uomini in gran numero urinano per strada dove capita, ne ho la prova fotografica.

Arrivati a Delhi si passa attraverso il mercato degli ambulanti, ma non sono tanti quanti domenica scorsa, andiamo direttamente alla grande Moschea, la Jama Masjid o Moschea del Venerdi che è il più grande luogo di culto islamico di tutta l’India e tra i più imponenti dell’Asia. Può ospitare nel suo cortile fino a 20.000 fedeli ed è seconda per dimensioni soltanto a quella di Istanbul. Qui ho pagato 300 rupie per l’utilizzo della macchina fotografica, ma avrei dovuto pagare per tutte le macchine e il cellulare. A noi donne viene imposto di coprirsi con un camicione lungo fino ai piedi e viene dato anche agli uomini se con i pantaloncini corti. Fu costruita in arenaria rossa tra il 1650 e il 1656.

Un giro in bus per la capitale da 10 milioni di abitanti a fotografare come i giapponesi lungo le arterie principali. Clic, clic: il Parlamento, la Porta dell’India ( India Gate è una specie di porta-arco alto oltre 40 metri con scolpito alle pareti i nomi di indiani caduti durante la seconda guerra mondiale), ma quando si arriva nella zona delle ambasciate tutto cambia: prati curati, alberi secolari, piante fiorite, ‘pulito’, silenzioso: è un altro mondo. Gli inglesi qui hanno lasciato il segno.

E poi alla splendida zona archeologica di Qutub Minar. Peccato avere poco tempo. Questi imponenti edifici risalgono ai tempi della dominazione islamica in India e sono considerati dei capolavori dell’antica architettura afgana. Il Qutb Minar è un minareto in mattoni, slanciato, la cui costruzione ebbe inizio nel 1193, subito dopo la caduta dell’ultimo regno Hindu di Delhi; ha un’altezza di 74mt e la sua base misura 15mt di diametro,la cima si assottiglia fino a soli 1,5mt. E’ ritenuto il più alto del Mondo ed è Patrimonio Unesco. Tutto il complesso mi è parso ben tenuto. In questo complesso mi hanno incuriosito anche l’Alai Minar, l’altro minareto incompiuto, e la colonna di Ashoka completamente in ferro e con neanche una macchia di ruggine dopo tanti secoli! Dicono che, se abbracciata, porta fortuna. Sarebbe stato più bello visitare il sito all’ora del tramonto.

Arriviamo finalmente all’Hotel Suryaa, il più grande ed elegante del viaggio con 246 camere, 600 dipendenti, di cui 65 cuochi e 50 camerieri, ma NON ha il WiFi gratuito.

Siamo tutti un po’ stanchi: troppe ore in bus, ma stasera è stata organizzata la cena in un locale tipico e allora è giusto andarci perché….è l’ultima sera in India! Bel locale, caratteristico, cena piccante come è usuale in tutta l’India.

A me è piaciuto nel complesso il cibo indiano, ma non ho fatto molte scelte diverse: riso, pollo, verdure, dolci.

Martedì 3 marzo 2015

Nebbia. Si torna a casa. Facciamo colazione in un ambiente molto elegante con pietanze da pranzo di nozze, ma io mi accontento sempre di tè, pane tostato con burro, marmellata e succo d’arancio. Come sono monotona…

Mi suggeriscono, in attesa della partenza, di dare un’occhiata alle boutiques dell’hotel. Di solito sono sempre le più costose, invece avevano una scelta notevole ed i costi erano i minori in assoluto di tutti i negozi che abbiamo sinora visitato. Così, io che non avevo comperato nulla, tranne il tè verde per mio figlio e le sigarettine (perché piccole con foglie di tabacco) per mio marito, mi sono comperata due anelli tipici indiani, in argento, pietre dure, un po’ voluminosi: belli, proprio belli.

All’aeroporto salutiamo la nostra guida e troviamo una fila tremenda. Sono disorganizzati e già si sa che si partirà con due ore di ritardo. Ti fanno timbro, su timbro su tutto, ti controllano personalmente e i bagagli. Meno male che c’è ritardo altrimenti avremmo avuto tempi stretti. E pensare che c’è un grande cartellone pubblicitario che recita ‘’qui passano 3 milioni di passeggeri al mese’’, ma se fossero più organizzati, li passerebbero in metà tempo. Finalmente saliamo in aereo, ma ancora fermi perché un turista italiano di un altro gruppo è stato trovato con il nome errato sul ceck in e pur avendo segnalato l’errore era andato avanti, ma all’ultimo momento è stato bloccato. Ha dovuto far intervenite l’Ambasciata italiana. Va bene, alla fine siamo partiti, non ho dormito neppure un minuto e alle 20.30 siamo atterrati alla Malpensa.

Per fortuna che mi sono fatta ospitare a Milano da Franco, altrimenti sarei arrivata a casa cotta. E ciò nonostante sono andata a letto come fossero state le 4 del mattino.

E’ finita, peccato… ma mi è restata la voglia di mangiare un’altra fetta di India. Vediamo se riesco a convincere Silvano..

Alla prossima…

Paola

Grazie alla nostra guida.

Con le parole di un grande poeta indiano, Nobel per la letteratura Rabindranath Tagore, grazie all’India per la serenità, la spiritualità, il colore, i sorrisi delle donne, dei bambini e degli uomini che ci hanno accompagnato in questo viaggio. Quando sarai questa sorgente, quando incontrerai quest’acqua, quando riempirai questa brocca, quando irrigherai questo mondo, quando toglierai questa sete, allora mi potrò sedere.

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