Lisbona, caleidoscopio di emozioni senza tempo

Un dolce perdersi tra le vie colorate del Portogallo più autentico
Scritto da: DomeSte
Partenza il: 09/06/2014
Ritorno il: 13/06/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
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Cari Turisti per Caso, eccoci a raccontarvi il nostro ultimo splendido viaggio nella capitale portoghese.

1° giorno

Ad accoglierci subito a Lisbona c’era una fresca brezza marina, che spirava dall’Atlantico e ci ha dato il benvenuto. Ci siamo recati al nostro albergo, l’HF Fenix Urban, una struttura che ci sentiamo vivamente di consigliarvi, sia per l’ottima posizione (infatti eravamo a pochi metri dalla stazione metro Parque), sia per la calda accoglienza del personale, della sua disponibilità e della sua gentilezza.

Come prima tappa del nostro soggiorno, abbiamo deciso di visitare i quartieri di Bairro Alto e Chiado. Non appena siamo sbucati fuori dalla metro, siamo stati subito accolti dalla statua di Fernando Pessoa, immortalato mentre siede a un tavolino di un bar. Facendoci strada nella bella piazza di Praça Luìs de Camoes, ci siamo diretti verso il Convento do Carmo, un convento carmelitano sopravvissuto al terribile terremoto del 1755 che quasi distrusse l’intera città. Vedere una struttura così imponente, quasi spogliata di tutta la sua bellezza, con solo le colonne e gli archi esposti al cielo azzurro del Portogallo, è stata un’emozione che ci ha colpiti non poco. Dopo una breve sosta nel piccolo (ma molto ricco) museo interno al convento, ci siamo recati a piedi verso il Miradouro de Sao Pedro de Alcantara, uno dei tantissimi punti panoramici sparsi per la città, dai quali è possibile godere sempre di nuovi e meravigliosi squarci sulla città. Da questo, in particolare, abbiamo ammirato il castello in tutta la sua imponenza troneggiare su uno dei sette colli di Lisbona, tra fontane e panchine sparse in un’ampia terrazza immersa nel verde. Da qui, perdendoci tra le viuzze colorate della città, ornate da ghirlande e nastri, appese ai balconi e alle finestre per la festa di Sant’Antonio, patrono della città, che si sarebbe svolta da lì a qualche giorno, siamo giunti presso il Miradouro de Santa Catarina. Questo punto panoramico è uno dei più frequentati dai giovani studenti lisboeti, dove si strimpella la chitarra per richiamare le note nostalgiche del Fado, dove ci si beve una birra con il sole che casca oltre le colline e dove si può ammirare in lontananza la statua del Cristo Rei, che svetta oltre il ponte 25 de Abril, quasi come se si trattasse di una città americana attraversata da contorni brasiliani.

Dopo questa prima giornata lisboeta siamo già convinti che i giorni che seguiranno saranno carichi di bellezza, tutta da scoprire, tutta da gustare.

2° giorno

Abbiamo deciso di visitare il Castelo de Sao Jorge, passando prima da due piazze simbolo di Lisbona: Praça da Figueira e Rossio. Nella prima potrete osservare la statua di Dom Joao I, uno dei re del Portogallo; nella seconda, acciottolata con un mosaico a forma di onde, e ornata da due fontane ai rispettivi capi, potrete ammirare la statua del primo imperatore del Brasile, Dom Pedro IV, posto su un piedistallo alto più di venti metri. Questa zona è nota per la forte presenza di spacciatori di hashish, che vi fermeranno per potervelo vendere, ma basterà un semplice “no” deciso per non essere ulteriormente infastiditi. Per poter arrampicarci fino al Castelo decidiamo di prendere lo storico tram 28, ma a causa degli innumerevoli turisti che ogni ora invadono questo suggestivo mezzo di trasporto, optiamo per il tram numero 12, molto simile nell’aspetto, per non dire identico. Il conducente, con grida simpatiche e divertite, ci fa scendere a Largo das Portas do Sol, vicino al Miradouro de Santa Luzia, una piazzetta che si affaccia sul fiume, ricca di allegri venditori ambulanti, con i quali ci fermiamo a chiacchierare in maniera molto amichevole. Salendo per una stradina ripida giungiamo a destinazione. È quasi ora di pranzo, ma le persone in coda alla biglietteria sono numerosissime; infatti il consiglio è quello di visitare questo luogo nelle tarde ore del pomeriggio, quando il sole inizia a dorare il cielo, e quando la quiete giunge dopo i clamori della giornata. Si entra subito in un grande spiazzo verde, ombreggiato dai pini, con i bastioni che offrono una vista aperta su tutta la città. All’ingresso, tra le rovine, si aggirano i pavoni, che stridono e paupulano, quasi da far apparire i loro versi come urla di bambine. Tra tutti gli undici torrioni del castello, vi consigliamo di visitare la Torre di Ulisse, in cui si narra che un tempo fosse custodito il tesoro reale e tutti i documenti più importanti.

A causa del grande caldo, cerchiamo un posto riparato per consumare il pranzo al sacco, e, dopo aver mangiato, finiamo nel sito archeologico, situato in un angolo tranquillo della fortezza, tra le rovine dell’ultima residenza reale. Un allegro e strambo suonatore di flauto medievale ci accoglie all’ingresso della fortezza. Qui, salendo ripidi scalini e arrampicandosi sulle torrette più alte, dove sventolano le bandiere del Portogallo, è possibile godere della vista del fiume che corre verso l’oceano, o scorgere i tetti delle case dell’Alfama, i borghi autentici di Lisbona. Ed è proprio tra le viuzze di questo borgo che decidiamo di scendere, una volta finita la visita al Castelo. È subito bello avventurarsi nell’intricato quartiere costeggiato da case color pastello, come in Rua Santa Cruz do Castelo, e perdersi tra i numerosi negozietti di souvenir, in uno dei quali compriamo delle splendide miniature di Porto, il vino locale. Sono tutte vie che corrono dritte verso il fiume, verso il basso, a volte tortuose, spesso acciottolate, ed è meraviglioso notare i colori, le sfumature che questi assumono sotto la luce del giorno, le balconate decorate, i panni stesi al sole, i profumi delle case che fuoriescono dalle finestre, le calçadas, ovvero le scalinate, che finiscono sempre per perdersi tra case rivestite da splendidi azulejos, con il parlottare fitto della gente del posto, impegnata più che mai ad arrostire sardine tra i fumi delle griglie, in vista della festa di sant’Antonio, e tra le note della musica che i locali sputano fuori, un miscuglio di fado nostalgico a musica più leggera, che spazza via tutto.

Scendendo per Rua do Limoeiro, arriviamo alla Cattedrale del Sé, la cattedrale gotica di Lisbona, costruita nel 1150 sul sito di una moschea subito dopo che i cristiani riconquistarono la città. Dopodiché giungiamo, in verità senza rendercene conto, poiché restiamo spesso con il naso all’insù a scorgere dettagli che di volta in volta si fanno sempre più particolareggiati, alla Casa dos Bicos, un’eccentrica dimora del viceré dell’India Afonso de Albuquerque, con una facciata bugnata a punta di diamante davvero molto particolare; oggi quest’edificio è la sede della Fondazione José Saramago, dov’è contenuta gran parte della biblioteca dello scrittore portoghese, vincitore del Premio Nobel nel 1998. Di fronte, a un centinaio di metri, sorge un ulivo, sotto il quale furono sparse le ceneri di Saramago nel 2011. A piedi, costeggiando il fiume, giungiamo nella meravigliosa Praça do Comércio, il luogo simbolo di Lisbona, sia per bellezza scenica, sia per importanza storica: infatti, in passato, chiunque arrivasse in nave a Lisbona sbarcava in questa piazza, che era, e che forse è tuttora, la porta d’accesso alla capitale portoghese. Al centro della piazza si erge la statua equestre e settecentesca di Dom José I, ornata da statue che suonano le trombe, cavalli che impennano ed elefanti. Alle spalle della statua sorge l’Arco da Vitòria, un tripudio monumentale di colonne con statue di personaggi leggendari come Vasco da Gama e il Marques de Pombal, tutte avvolte da dettagliate figure allegoriche come Gloria, Genio e Valore. In piazza fervono i preparativi per allestire il maxi schermo in vista dell’inizio dei mondiali di calcio in Brasile, con una grande euforia e una gran voglia di sostenere il Portogallo. I portici ci conducono sulle rive del Tago, dove suonatori di strada ci intrattengono con una melodia blues intensa, e dove la gran parte delle persone decide di inoltrarsi fino a toccare con la punta dei piedi l’acqua fredda del fiume. Due colonne bianche spuntano dalle acque scure, come a voler rappresentare il valico oltre il quale Lisbona finisce. O inizia, dipende dalle prospettive.

Attraversando il Pàtio da Galé, dove Rua do Arsenal serpeggia fino a Praça do Municipio, vi consigliamo di fare un salto presso il Lisbon Shop, un negozio che vende souvenir portoghesi al 100%, come borse di sughero, tram in miniatura, tazze a forma di galletto, specialità gastronomiche e tutto quello che desiderate. Dopo aver speso qualche soldino in questo ridente negozio, ci siamo rilassati in Praça do Municipio, seduti accanto a strane decorazioni, che ricordavano un po’ gli astri delle costellazioni. Per poter ritornare in albergo percorriamo tutta Rua Augusta, risalendo i viali dedicati allo shopping, fino a risbucare nella piazza del Rossio, giusto in tempo per concederci un bicchierino di ginjinha, un liquore tipico a base di ciliegie, presso un locale in cui chi viene a Lisbona non può esimersi di visitare. È un posticino minuscolo, quasi una sorta di sgabuzzino, dove il proprietario vi verserà un bicchierino di questo liquore, facendovi scegliere tra la ginjinha sem, quella senza le ciliegie, o la ginjinha com, quella con le ciliegie, a nostro avviso molto più gustosa e aromata. E con il bicchierino in mano e il sole sorridente già oltre la sera che avanza, torniamo in albergo, brilli di ginjinha e ubriachi di Lisbona.

3° giorno

È il giorno per cui forse è valsa la pena aver viaggiato fino in Portogallo. Di buon mattino, spinti da un’irrefrenabile voglia di scorgere l’oceano e di vedere un luogo che dalle foto spulciate sembra essere pervaso di magia, decidiamo di spingerci fino al confine massimo occidentale del continente europeo: a Cabo da Roca, nel distretto di Sintra. Per poter raggiungere questa località bisogna fare tappa prima a Cascais, paesino di mare, abbarbicato su una scogliera. Arrivare a Cascais è molto semplice. Vicino Praça do Comercio basta raggiungere la fermata metro Cais do Sodré, che funge un po’ da centro di smistamento: infatti da qui, oltre alla metro, partono sia i traghetti che i treni. Fate un bel biglietto andata e ritorno (il prezzo si aggira attorno ai 9 euro) e poi scegliete un posto vicino al finestrino per poter godere della vista di questi binari che serpeggiano lungo il Tago prima, sul mare poi: sembrerà di trovarsi sopra un treno che viaggia sull’acqua, soprattutto in prossimità di Estoril.

Arrivati a Cascais veniamo investiti da un caldo atroce, arroventato da un cielo senza macchie, sgombro da nuvole, che sembra quasi essere artificiale. Arrivare a Cabo da Roca è semplice, ma un po’ snervante, poiché bisogna attendere un autobus che dal terminal di Cascais (che si trova appena fuori la stazione ferroviaria, sotto un grosso centro commerciale) vi porterà a destinazione. L’inconveniente è che l’ultimo bus di ritorno da Cabo da Roca è alle 18.30, un orario che impedisce così di immortalare il tramonto o di vedere il mare tingersi di venature vermiglie (ovviamente il problema non sussiste se siete in auto), per cui il consiglio è di raggiungere questa località fin dal mattino, onde evitare di arrivare nel tardo pomeriggio e poi essere costretti a restare solo pochi minuti. Altro doveroso consiglio: munitevi di giacca a vento, magari anche di una maglietta a manica lunga, perché le folate di vento sono temibilissime e il freddo, nonostante il sole comandi il cielo, s’insinua nelle ossa come un veleno. Il bus si arrampica su una collina, avanzando stoico per viuzze strette e comandando un’altura che pian piano accresce le sue dimensioni. In capo a una mezz’ora siamo arrivati. Ad accoglierci c’è subito questo faro enorme, che svetta sulle scogliere, con le sue righe orizzontali rosse e bianche. Storicamente deve averne viste molte, di spedizioni, ma scopriamo con un pizzico di amarezza che è un faro risalente al diciottesimo secolo, rimasto abitato fino al 1970 e poi divenuto solo simbolo turistico. Sarebbe stato bello credere che questa costruzione avesse potuto veder salpare i primi vascelli di Vasco da Gama, o aver visto intrepidi uomini di mare spingersi fin oltre il confine stabilito dallo sguardo: l’infinito. Un cane nero si aggira per i sentieri sterrati. Forse è lui, oggi, l’unico vero guardiano del faro.

Percorriamo un lungo viale asfaltato. Il vento a volte s’alza e ferisce, fa quasi male, è tremendo. Un ragazzo che abbiamo conosciuto al terminal, di origini indonesiane, ha solo una camicia addosso. Ci dice che non sa per quanto tempo resisterà ancora, inizia a battere i denti. Avessimo avuto una maglia in più gliel’avremmo prestata. Il ragazzo scatta un paio di foto al piccolo obelisco commemorativo, sul quale è riportata la celebre frase del poeta Luis Vaz de Camoes: “Aqui, onde a terra se acaba e o mar começa” ovvero “qui, dove la terra finisce e il mare comincia”. Quest’obelisco ci informa che ci troviamo nel punto più occidentale d’Europa. Già lo sapevamo, ma leggerlo lì, con i nostri occhi, ci appare come una scoperta nuova. Tanti turisti si accalcano lungo gli steccati in legno che fanno da cordone di protezione. Il mare è in bonaccia, non sembra neanche essere accarezzato dal vento che ci spettina tutti. È un luogo silenzioso, e in questo silenzio è riposta tutta la sua magia. Da lontano soltanto i richiami delle comitive, sempre un gradino troppo rumorose, troppo disordinate. In certi luoghi bisogna avere rispetto, e di fronte quelle scogliere e a quella suggestione che colava da ogni punto in cui i nostri occhi andavano a posarsi, bisogna saper tacere e lasciare che a parlare siano solo le onde che, quasi inudibili, si schiantano sulle rocce. Non le senti da così in alto, ma ti sembra di riceverne l’eco, e quasi pensi che tutta la forza del mare sia riposta lì, cento metri sotto di te, sotto ai tuoi piedi. Scogliere a perdita d’occhio, da nord a sud, quasi a non vederne la fine. È l’ultimo lembo di terra. Oltre, dopo aver oltrepassato l’oceano freddo, soltanto l’America. Ed è in qualche modo spiazzante pensare che guardando nell’orizzonte, lungo l’incerta via delle acque che svaniscono, oltre tutto quel mare blu notte, ci sia un altro continente con un’altra storia da raccontare. Pazzesco, poi, pensare che i più grandi navigatori, con le dita tra la barba, riflettendo,scrutavano quell’orizzonte per potersi poi spingere oltre i loro stessi limiti, portando l’uomo a invadere nuove terre, a scoprire nuove meraviglie, a conquistare il mondo non ancora conosciuto. Seduti sopra uno spuntone roccioso, ci facciamo queste domande, proviamo a immaginare come questi naviganti stessero lì, con il nostro stesso carico di quesiti, a domandarsi quale tipologia di nave fosse più adatta ad affrontare quella distesa sconsiderata di acqua, quale vele impiegare, quanti uomini arruolare, quali calcoli cartografici facessero, semplicemente usando la mente e la loro curiosità. Il cane nero ritorna a gironzolare tra i turisti in cerca di qualcosa da mangiare. Il vento si alza e si abbassa come una musica incerta. Percorriamo tutto il sentiero che costeggia le scogliere, restando attenti a non mettere i piedi troppo in prossimità delle sporgenze. Scattiamo fotografie, ovviamente, ma solo dopo aver assaporato tutta la potenza straordinaria di quel paesaggio maestoso; prima di fiondarsi a scattare è importante lasciarsi penetrare dal luogo, dalla sua selvaggia composizione, dal suo fascino senza tempo. Un piccolo sentiero fuoriesce dalla staccionata e va a perdersi in un piccolo prato, ai piedi del faro. In teoria è un sentiero che non andrebbe percorso, termina vicino un precipizio che cade a strapiombo sul mare, ma decidiamo ugualmente di percorrerlo, non fino alla fine, ma quanto basta per poter lasciare che le vertigini ci solletichino poco le tempie. Ed è come restare in una bolla che borbotta l’unica lingua del vento e del mare, a intermittenza, con parole forse dolci, chissà, mica le si può comprendere. Siamo rimasti abbastanza, sono passate un paio d’ore, così ci inoltriamo vicino al piazzale dove giungono gli autobus turistici, e facciamo visita al piccolo negozietto di souvenir, una piccola casupola dall’aspetto intimo. Dentro, neanche farlo apposta, un intero scaffale con maglioni, giacche, coperte: l’avessimo saputo l’avremmo detto al ragazzo indonesiano! Poi i celebri azulejos, raffiguranti le caravelle cinquecentesche, simbolo delle prime spedizioni. Insomma, un bel posticino da cui uscire con il ricordo ancora fresco di Cabo da Roca. Ma il fiore all’occhiello per i patiti di souvenir è sicuramente l’ufficio interno del distretto, sito accanto a questo negozietto, appena superato un breve colonnato. Qui, direttamente sul momento, una signora gentile ed eccezionalmente brava, probabilmente una grafologa di professione, inciderà il vostro nome sopra un documento ufficiale, con il caratteristico stilema medievaleggiante, un po’ arcaico, ornato da timbro rosso fuoco, indicando che sì, voi avete raggiunto il punto più occidentale d’Europa! Avrete la possibilità di scegliere tra due tipologie di documento, in base al vostro gusto personale: uno risulta essere quasi un attestato d’altri tempi, sbucato fuori direttamente dal 1400, suppergiù, l’altro invece è più moderno. Entrambi sono costellati da fotografie mozzafiato, e il prezzo di questa simpatica operazione si aggira intorno agli undici euro. Forse un po’ troppo caro, ma sicuramente uno dei più bei ricordi del posto. Non c’è tempo per cuccarsi altro vento, aspettando il tramonto, per cui saliamo sull’autobus e torniamo a Cascais, stanchi, una stanchezza dovuta ancora agli occhi carichi di stupore, alla pelle sferzata dalle folate fredde del vento atlantico, al panino mangiato troppo in fretta con il cane nero del faro che gironzolava attorno per chiederne un pezzetto.

Da Cascais di nuovo il treno per Lisbona, altro viaggio sulle acque cristalline dell’oceano prima, del fiume poi. Ma non scendiamo a Cais do Sodré, bensì alla stazione Alcantara-Mar, perché è impensabile rientrare senza aver gustato qualcosa di nuovo da questa Lisbona dai mille colori. Infatti con una luce già dorata che si posa sui tetti delle case, come una carezza leggera, ci incamminiamo verso il lungo fiume, per andare alla scoperta della Torre di Belem. Bisogna dire che se volete raggiungere questo monumento usando il treno che parte dalla fermata Cais do Sodré, evitate di scendere alla fermata “Belem”, poiché è stata soppressa; il consiglio è di scendere subito prima, appunto Alcantara-Mar, e poi proseguire per un breve tratto in autobus, o a piedi, in base alle vostre esigenze di tempo. L’autobus ci lascia vicino a Praça Afonso de Albuquerque, con una bella statua che svetta al centro. Non ci sono molte persone, c’è una strana quiete attorno, e con la luce soffusa del sole che cala, tutto assume i contorni della grazia. Attraversando la grande distesa verde del giardino, sbuchiamo di fronte un’imponente fontana. Giochi di spruzzi, vapore, getti potentissimi, regalano uno spettacolo nel quale ci perdiamo per qualche minuto. Di fronte, imponente, magnifico, sorge il Mosteiro dos Jeronimos, dalle sembianze fiabesche e gotiche, e patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Questo edificio prese vita grazie all’immaginifica fantasia di Diogo de Boitaca nel 1501 per omaggiare la scoperta della rotta per le Indie effettuata da Vasco da Gama. Moltissimi anni fa era abitato da monaci che avevano il compito spirituale di dare conforto e ristoro ai marinai e di pregare per l’anima del re. Dal 1833 questo monastero divenne orfanotrofio e scuola, fino al 1940. Con rammarico arriviamo tardi, oltre il termine dell’ultima visita, così non ci rimane altro che osservarlo dall’esterno. Sul lungofiume, ad accoglierci, il fantastico Padrão dos Descobrimentos, alto ben 52 metri, forse il maggiore tributo all’epoca delle scoperte. Al suo interno è anche possibile prendere un ascensore che vi porterà sopra un punto panoramico in cui dominerete il fiume a 360 gradi. Una bella passeggiata lungo la sponda del fiume è quello che ci vuole per ritrovare un po’ di serenità. In più il sole va tramontando oltre i tetti della città, ed è l’ora che più preferiamo l’imbrunire. Superiamo un faro in miniatura, una palestra ambulante in cui tutti possono andare a fare un pochino di attività fisica (strano ma incredibilmente vero), e un parcheggio marittimo per piccole imbarcazioni. La Torre di Belem è bellissima: non per nulla il re la scelse come sua lussuosa residenza, anche dopo che il terremoto del 1755 distrusse la città. Progettata da Francisco de Arruda per difendere il porto di Lisbona, questo monumento è eccezionale per il suo impatto visivo. Vedere una torre che spunta fuori dalle acque lucenti del Tago è qualcosa di favolistico, come trovarsi di fronte l’incipit di una fiaba antichissima. Un autoscatto doveroso, un saluto fugace alla città che entra nella notte e non vediamo l’ora di rientrare per cena al nostro albergo. Adesso sì, siamo davvero stanchi, e il riposo è tutto quello che ci occorre.

4° giorno

Per questa giornata scegliamo di visitare poco e di prendercela con calma, rilassandoci. La prima tappa è presso l’Elevador de Santa Justa, l’unico ascensore verticale di Lisbona, costruito in ferro battuto tra Ottocento e Novecento. In cima si può godere di una vista a 360 gradi della città. Questo Elevador è situato in Rua Aurea, a pochi passi dalle fermata metro di Baixa-Chiado. In pochi minuti ci ritroviamo in Praça Rossio, e, sfogliando la nostra guida, optiamo per una visita presso il più alto miradouro di Lisbona, il Miradouro da Senhora do Monte. Arrivarci non è poi così semplice come parrebbe dalla cartina su cui è indicato; infatti, dopo aver preso per un breve tratto il tram 28, scendiamo nei pressi di Rua da Graça e tentiamo di orientarci da soli. L’impresa risulta essere più complicata del previsto, così ci rivolgiamo a un anziano signore, che con molta cortesia e chiarezza, pur parlandoci in portoghese, ci indica la giusta direzione e le giuste vie da seguire per giungere a destinazione. Gli abitanti di questo paese ci sono in pochi giorni entrati nel cuore per la loro disponibilità, la loro gentilezza, il loro calore e l’attenzione non scontata che dedicano ai forestieri. Attraversiamo una zona dell’Alfama dalle vie tortuose e irte, forse un quartiere non dei più centrali, ma tutto addobbato a gran festa, con la musica che invade l’aria e bizzarre vecchiette che danzano sulle rotaie del tram a ritmo, mentre gli uomini osservano compiaciuti seduti all’ombra di un giardino. La salita è resa massacrante a causa del caldo torrido che cola giù, e arrivare nei pressi del miradouro ci è sembrata un’idea forse azzardata. Ma giunti in cima alla salita, ecco che si apre davanti a noi una visuale incredibile su tutta la città. Ci troviamo nel punto più alto di Lisbona, addirittura riusciamo a vedere il Castelo da una postazione leggermente rialzata, e lo sguardo abbraccia ogni angolo della città, senza che nulla possa sfuggire al controllo dei nostri occhi. All’ombra di alti pini, nei quali il vento si aggira, godiamo di una frescura che ci rigenera e ci conforta, seduti su una panchina, già esausti.

Il ponte 25 de Abril scorre sul Tago, e sembra atterrare direttamente sulle case del lungofiume. Lo scenario è pazzesco, e sapere che questo punto panoramico è uno dei meno conosciuti della città è in qualche maniera spiazzante, perché lo spettacolo che offre è una gioia per gli occhi. Forse non è così celebre a causa della sua postazione, e raggiungerlo può sembrare a molti una fatica facilmente evitabile. Il nostro consiglio è quello di sudare la vostra maglietta, ma di fare un piccolo sacrificio: ne varrà la pena. Una madonnina è incastonata in un piccolissimo santuario, nel centro della piazzola, ed è tutta bianca, immacolata. Oltre il parapetto, incastonate in un piccolo lembo d’erba, alcune mattonelle riportano una frase romantica, simbolo dell’affetto dei portoghesi per la loro capitale: “Que amor è este que me faz ir e voltar, Lisboa?”. Dopo un tempo che si dilunga in ore, scendiamo nuovamente in Praça do Comercio, per scattare un po’ di foto, per goderci la tranquillità paciosa del Tago, per vedere Lisbona, questa volta, dal basso verso l’alto, e per assimilare quell’odore di mare che da ogni via sembra investirci come la potenza di un oceano che va a invadere una spiaggia disabitata. In men che non si dica scende il crepuscolo, con la notte abbarbicata sui tetti del Baixa e del Rossio, pronta a investire nuovamente la città, mentre noi andiamo a cenare. Strepitosa Lisbona, strepitosa.

5° giorno

Fortunatamente abbiamo il volo in serata, per cui questo ultimo nostro giorno possiamo spenderlo per visitare ciò che ci manca, con tutta calma. Il cielo è splendente, lavato da qualsiasi forma di nuvola, e il caldo è cocente. Percorriamo una zona periferica, quella dei Sete Rios, per poter osservare il gigantesco Aqueduto das Aguas Livres, l’Acquedotto delle Acque Libere, lungo ben 18 chilometri e composto da 109 archi, e situato nei pressi di Praça de Espanha. Il punto più alto, e forse anche il più spettacolare, si trova nei pressi di Campolide, dove l’arco misura quasi 65 metri. Di fondamentale importanza, questo acquedotto portò acqua potabile a Lisbona, e attraversa una parte della città quasi come se si trattasse di un enorme ponte in muratura. Infatti squarcia le colline di Caneças, nella parte nord di Lisbona. Questo luogo fu storicamente famoso per le numerose imprese di brigantaggio del bandito chiamato Diogo Alves, vissuto nell’Ottocento, che rapinava le sue vittime e poi le buttava giù dal ponte dell’acquedotto. Dopodiché, quasi fosse per noi una sorta di calamita, ritorniamo nei pressi di Praça do Comercio, dove, incamminandoci per la piazza in prossimità del fiume, scorgiamo con sorpresa un cartello che accende la nostra curiosità: Sex Wc, the sexiest wc on earth. Un bagno super sensuale! Al costo di 1 euro, entriamo in questo bagno pubblico ipercolorato, con carta igienica di svariati colori appesa alle pareti, e un lavabo di colore giallo oro in stile arte ultramoderna. Numerose gigantografie ritraggono donne succinte e svestite con uomini procaci e sensuali, nell’atto d’amore più evidente. Questo bagno sì, è davvero il bagno più sexy del pianeta!

Usciamo fuori molto divertiti, e pochi metri avanti ci imbattiamo nel Lisboa Story Centre, forse uno dei musei più belli che abbiamo mai avuto modo di visitare! Si tratta di un viaggio della durata di un’ora alla scoperta delle origini della città, partendo dagli albori e giungendo ai giorni attuali, il tutto narrato in maniera interattiva e virtuale, grazie all’accompagnamento delle audio guide distribuite all’ingresso. Strepitosa è la ricostruzione di una vera stiva di un vascello cinquecentesco, o la ricostruzione della defenestrazione di un uomo politico ottocentesco. Ma vogliamo tacere e lasciare a voi la scoperta di questo posto meraviglioso e magico, in cui per un’ora ci è sembrato di essere davvero in un’altra epoca. I 7 euro meglio spesi di tutto il viaggio, e non è un’esagerazione! Questo museo è davvero una bomba: è interessantissimo senza scadere nella monotonia. Una volta terminata la visita, da buoni italiani quali siamo, in onore dell’ultimo giorno della nostra permanenza, abbiamo deciso di pranzare in un ristorante italiano di Praça do Comercio.

Purtroppo l’ora del ritorno è arrivata, e salire sulla metro diretti all’aeroporto è quanto di più doloroso possa esserci. In tutti gli altri viaggi il distacco è sempre stato velato da tristezza, ma questa volta lo sentiamo più irruento, perché questa città ci è entrata nel cuore, forse senza neanche rendercene conto. Un signore ci guida all’aeroporto, lui è diretto in Brasile, noi in Italia. È un allegro portoghese che scherza molto e parla piano, ci dà l’in bocca al lupo in vista dei mondiali, e poi svanisce come un miraggio, tra le migliaia di persone che aspettano ognuna il proprio volo. Verso casa, di nuovo, con l’aereo che saluta questo paese dall’alto delle sue ali. Il nostro non è un addio a questa città, ma soltanto un arrivederci, perché prima o poi, dopo che l’avremo metabolizzata del tutto, torneremo a perderci tra le sue strade uniche e la sua gente meravigliosa.



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