Sulawesi nord e sud

In tre settimane abbiamo esplorato il nord di Sulawesi, tra l'isola di Bangka, il parco naturale di Tangkoko e i vulcani di Tomohon, il sud con relax sulle spiagge di Bira e poi soft trekking nella terra dei Toraja
Scritto da: trolleypacker76
sulawesi nord e sud
Partenza il: 27/07/2013
Ritorno il: 20/08/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Ce ne aveva parlato Francesca, incontrata nel lontano 2008 durante il nostro primo viaggio nel sud est asiatico in Thailandia, e per anni il nome di Sulawesi ci è ronzato nella testa. Mare stupendo, natura incredibile, una cultura profondissima. Fino a che finalmente, eccoci pronti al check in di Milano Malpensa, Gigi e Francesca destinazione Sulawesi.

TAPPE: JAKARTA > MANADO > ISOLA DI BANGKA > TANGKOKO > TOMOHON > MAKASSAR > BIRA > TANA TORAJA > JAKARTA

All’inizio avevamo preso in considerazione le isole Togean attraversando Sulawesi da nord a sud via terra e via mare, ma abbiamo concluso che in tre settimane avremmo dovuto fare questo itinerario troppo di corsa, soprattutto considerati i lunghissimi tratti via terra tra Manado e Gorontalo e tra Ampana e Rantepao (se cercate su Thornthree ‘road from ampana to rantepao’ verrà fuori la domanda fatta da me, e da qui la conclusione che questa doveva essere una vacanza e non il Camel Trophy…).

Spesa totale: tutto incluso, dai voli ai fazzoletti di carta 2.000 euro precisi a testa.

Voli Milano Jakarta A/R + assicurazione sanitaria Expedia: Etihad 746 euro a testa

Volo Jakarta Manado: Garuda 97 euro a testa

Volo Manado Makassar: Air Asia 93 euro a testa

Volo Makassar Jakarta: Garuda 114 euro a testa

Vale la pena sottolineare che la rupia da fine estate e nel corso dell’autunno ha perso tantissimo sull’euro rispetto ad agosto, considerate sulle stesse cifre un bel 20% in meno al momento in cui scrivo

JAKARTA

Arriviamo a Jakarta dopo due scali e 20 ore di viaggio la mattina all’alba. Il tempo già butta male e sul taxi inizia a piovere a dirotto. Il taxi è rigorosamente Blue Bird, come raccomandato dalle guide e dagli altri viaggiatori, e anch’io posso confermare che è una compagnia affidabile, senza contare che ha taxi praticamente ovunque. Arriviamo alla guesthouse Six Degrees ma visto che la camera si libererà solo nel pomeriggio ci facciamo un caffè, ci riposiamo un po’ e al termine dell’acquazzone andiamo alla scoperta della città. Che effettivamente ha confermato le aspettative di città invivibile e alquanto brutta, assediata da un traffico inimmaginabile. A mio avviso da vedere c’è veramente poco: merita il Museo Nazionale con una collezione enorme proveniente da tutte le isole dell’arcipelago, mentre la zona storica-coloniale Kota non è nulla di speciale. Restaurata solo in parte, non merita una sosta in città. Ma tant’è… ce la giriamo un po’, è domenica e tutti sono in giro a passeggio. Accanto alla stazione di Kota, monumento risalente anch’esso al periodo coloniale, si affollano banchetti che vendono cibo e merce da poco. Tutto è molto sporco e misero, i marciapiedi pieni di buche e sono felice di essermi tenuta ai piedi le scarpe da trekking. Prossimi al collasso, torniamo alla GH e ne usciamo verso le 22 – è già buio da tre ore – per mangiare un boccone. La zona in cui siamo – Jalan Cikini Raya – è vicina all’università e per strada girano molti ragazzi. Vicino c’è anche un centro culturale chiamato TIM con intrattenimento e posti dove mangiare ma a quest’ora sta chiudendo. A locali abbastanza chic, pieni di 20-30enni con iPad, si alternano immondezzai a cielo aperto; 200 metri in giù c’è la stazione con la gente, incluse donne e bambini, che dorme sui gradini, ma nella via perpendicolare ci sono molte ville di lusso con ringhiere altissime e telecamere.

Il giorno dopo ci svegliamo con grandissima calma e in attesa di riprendere l’aereo per Manado andiamo a rinfrescarci nel più lussuoso centro commerciale della città, Plaza Indonesia. Questa città pare non abbia mezze misure e inquietano (e in parte rassicurano) le misure di sicurezza contro possibili attentati, che in un passato nemmeno troppo lontano non sono mancati. Arrivando con il taxi ogni auto viene controllata ai metal detector, sia dentro che sotto attraverso specchi. Tanto che con un certo sollievo ci dirigiamo in aeroporto, con larghissimo anticipo a causa del traffico: 40 minuti solo per percorrere i 2 km tra il Plaza Indonesia e la guest house, e poi via – in coda – verso l’autostrada. Dai che da domani le vacanze iniziano sul serio!

BANGKA

Arriviamo a Manado che è sera tardi e dormiamo in una guets house in città (Grace Inn Hotel), ma tra andare e tornare avremmo fatto meglio a pernottare vicino all’aeroporto. L’indomani abbiamo appuntamento con un taxi che ci porterà al porticciolo di Likupang e quindi all’isola di Bangka, dove sorge il resort Coral Eye, gestito da due ragazzi italiani che da biologi marini si sono reinventati una nuova professione. Nel migliore dei modi, perché il posto è favoloso in ogni senso: molto semplice e accogliente, tuttavia appaga anche la vista con un design curato e pulizia minuziosa e il gusto con un’ottima cucina italo-indonesiana (dove vi capita di sentir gridare ‘A tavolaaaa!!!’ al di là della linea di Wallace..). Oltre ai turisti quasi tutti italiani, e casualmente quasi tutti di Milano, come noi – forza del passaparola – vengono ospitati anche ricercatori di biologia marina sia italiani che stranieri visto che insieme al resort hanno messo in piedi anche un laboratorio per progetti di studio sui pesci e coralli. Insomma, questo è un posto speciale.

Qui abbiamo passato tre giorni in completo relax sulla spiaggia o in veranda, la mattina in barca per fare snorkeling (eccellente come visibilità, come specie viste tra pesci e coralli) ed esplorare calette magnifiche come quella di Pulisan o davanti all’isola di Gannga. La sera, nuvole permettendo, stando sul pontile si vedono stellate spettacolari e alle 22, quando si spegne il generatore, si piomba nel buio più completo. Si sente solo il rumore delle foglie e degli animali, nella foresta fuori dalla nostra comoda cameretta. Tre giorni sono veramente volati…

TANGKOKO

Dopo tre giorni è ora di partire e da qui siamo andati direttamente al parco naturale di Tangkoko, dove avevamo in programma un giro alla sera e uno alla mattina all’alba per vedere la foresta e gli animali. Appena arrivati, il diluvio: ha piovuto ininterrottamente e fortissimo dalle 4 del pomeriggio fino alle 4 della mattina dopo. Abbandoniamo quindi il progetto del giro serale nella foresta. Siamo alloggiati alla guest house Mama Roos insieme a una famiglia olandese e a un ragazzo australiano che sta viaggiando da 6 mesi. Il cibo non è male, ma il posto in sé è terrificante (il letto puzzava di umano… sacco lenzuolo tassativo!). Almeno non abbiamo preso le pulci, come capitato ad altri italiani nella guest house Tarsius, incontrati pochi giorni dopo. Alle 4 in piedi e dopo una veloce pre-colazione alle 5 ci avviamo con le guide nella foresta che è ancora buio pesto. Fortunatamente ha smesso di piovere. Il giro di 5 ore ci porta su e giù per le colline ed veramente fantastico: abbiamo visto i tarsi (pressoché addomesticati, dato che una delle colonie che abitano il parco è stata abituata a sopportare l’orda di 50 turisti che spara loro addosso i flash delle macchine fotografiche e ad accettare come cibo le cavallette dalle guide), i buceri – impressionante il rumore dello spostamento d’aria prodotto dalle ali -, piccoli serpenti e un intero branco di una sessantina di macachi neri tra adulti e cuccioli. Tornando abbiamo chiacchierato a lungo con la nostra guida, che ci ha raccontato della vita in quest’angolo ai nostri occhi fuori dal mondo: in particolare ci ha colpito il diverso tipo di socialità, che almeno dalle nostre parti non si ritrova quasi più, con le chiese (perché in questo minuscolo paesino ci sono 11 chiese cristiane e una moschea) a fare da punto di riferimento.

TOMOHON

Chiusi i bagagli, ne approfittiamo per mangiare dato che il pranzo è incluso e poi via con una macchina con autista verso Tomohon (300mila rupie il passaggio). Il tempo è incerto. Se sull’isola non aveva mai piovuto, solo nuvole che andavano e venivano, qui sulla terra ferma la pioggia è una costante nonostante sia la stagione secca. Dei due giorni previsti Tomohon infatti ha diluviato per buona parte della giornata: meno la mattina, acqua a secchiate il pomeriggio. Meno male che l’albergo Happy Flower è accogliente e finalmente con abbondante acqua calda per una doccia come si deve (occhio che però le camere economiche non ce l’hanno, e qui fa freschino).

Come città in sé Tomohon non è un gran che, come del resto quasi tutte le città indonesiane. Tuttavia non è troppo grande né trafficata e si gira bene con i pulmini pubblici, i mikrolet che costano circa 3000 rupie a testa a viaggio e dopo un po’ si capisce come funzionano e dove fermano. Anche gli abitanti sono molto gentili e ci hanno dato indicazioni per prendere i minibus giusti.

Per il giorno successivo avviamo prenotato attraverso l’hotel una gita con guida e auto privata (500mila rupie a testa, molto costoso rispetto ad altre gite fatte due anni fa a Java e Bali, ma qui non c’erano agenzie turistiche a portata di mano) comprensivo di un minitrekking al vulcano Mahawu (non il più famoso Gunung Lokon, che in quei giorni dava segni di ‘effervescenza’ ed era chiuso al pubblico), pranzo al ristorante e poi un giro nei dintorni di Tomohon per vedere la spettacolare cascata di Kali alta 70 metri.

Facciamo appena in tempo a finire il giro che si rimette a piovere senza sosta. Il posto sulla strada consigliatoci per mangiare è chiuso (è domenica sera) quindi ripieghiamo su un piatto di mie con bakso, noodles con polpette, veramente cattivi. E col codone tra le gambe torniamo in hotel sotto l’acqua.

L’indomani abbiamo il volo per Makassar alle 18.30 quindi prendiamo un’altra gita con auto e guida per visitare il mercato tradizionale di Tomohon e la regione del Minahasa. Il mercato è molto interessante ma bisogna avere lo stomaco forte. Astenersi anime sensibili e amanti degli animali: oltre alla parte con frutta, verdura, prodotti confezionati e pesci c’è la macelleria. Splatter nel vero senso della parola nel senso che la carne – manzo, maiale, polli, e poi pitoni, ratti e pipistrelli – è macellata su banconi piastrellati, senza frigoriferi o quasi, con sangue rappreso e sporcizia dappertutto. La cosa peggiore, va detto, è il fatto che qui mangiano anche i cani. Al mercato li vendono vivi e ammassati in gabbie strettissime, ad aspettare la morte, che arriva con un bastone in testa (esposto in bella vista anche questo). Insomma, sappiatelo.

La regione è poi abbastanza bella, ma a consuntivo del viaggio e anche per colpa del tempo nuvoloso che non valorizzava i paesaggi l’abbiamo trovata la tappa più debole. Molto interessanti le tombe Waruga, sarcofagi risalenti all’epoca pre-cristiana, ma per il resto i laghi li ho trovato abbastanza tristi (interessanti per le coltivazioni di fiori di loro sul lago Tondano e i vapori sulfurei visti girando a piedi intorno al lago Linow). La cosa migliore è stata girare i macchina su e giù per valli e paesi, fino all’arrivo in aeroporto per prendere in perfetto orario il volo Air Asia per Makassar, strapieno di famiglie e bambini urlanti. Sono tutti in viaggio, visto che in settimana cade la festa del Lebaran che celebra la fine del Ramadan e tutti festeggeranno in famiglia o andando in vacanza.

MAKASSAR

Arriviamo a Makassar che è sera tardi, ma abbiamo preso un albergo sul lungomare e facciamo in tempo a gironzolare. E’ strapieno di ragazzi, alcuni dei quali ci chiedono di fare delle foto con loro, le prime di una lunga serie. Siamo un po’ una curiosità esotica… mah. Non aspettatevi però il lungomare con passeggiata fiorita come in Italia: si tratta di un marciapiede un po’ più largo, con una spiaggia risicata e poco altro. Sono tutti dall’altro lato della strada dove si affollano i baracchini di cibo e bevande oltre a qualche locale e a un provvidenziale KFC.

La mattina prendiamo subito il taxi per andare alla stazione dei bus e andare verso Bira, località di mare molto popolare soprattutto per gli indonesiani che si preparano a festeggiare. Un po’ come andare via da noi la settimana di Pasqua: un casino. Al terminal Mallengkeri troviamo subito un minibus con intorno un gruppo di turisti italiani e francesi che stanno contrattando. Pullman veri e propri non se ne vedono, ma pare che ne partano un paio la mattina presto. Ci aggreghiamo, e la discussione non verte tanto sul prezzo da tirare giù ma su come limitare il numero delle persone che ci possono stare a bordo, perché per gli indonesiani lo spazio sui mezzi pubblici è virtualmente infinito. Alla fine chiudiamo a 8 passeggeri più autista a 90mila rupie a testa (5,5 euro), ma non è stata una cosa così scontata… La Lonely poi dice che da Makassar a Bira ci vogliono 4 ore. Si, magari con lo shuttle: noi senza trovare troppo traffico ce ne abbiamo messe sei, inclusa una mezz’ora per la pausa pasto in un ristorantino sulla strada dove abbiamo pagato bevande e snack per due (involtini a base di riso e di noodles, più patata dolce disidratata) la bellezza di 12mila rupie: 80 centesimi di euro!

BIRA

Bira è un paesino che di interessante non ha quasi nulla e la cui parte sul mare è completamente occupata da strutture turistiche, per la maggior parte guest house ma anche i cosiddetti resort non hanno una bella cera, a parte uno o due. Noi siamo nella guest house Sunshine che è quella con il miglior rapporto qualità prezzo, prenotata via email per tempo, gestita da Nini, indonesiana, e Gav, inglese, con la simpaticissima bambina Sunshine, gentilissimi e precisi nell’organizzare transfer e gite in barca. Sistemazione super economica (130mila rupie la doppia, a parte i giorni del Lebaran a 250 perché tutti gli alberghi raddoppiavano i prezzi) e per certi versi romantica, anche se bisogna avere un po’ di spirito di adattamento: tipo dividere due soli bagni con 20 persone… Inutile dire che si sporcavano rapidamente e i cestini per buttare la carta igienica si riempivano in tempo zero. Le camere nella casa di legno sono comunque accoglienti anche se spartane, lenzuola pulite, e la terrazza fuori ha una vista favolosa.

La spiaggia di Bira in sé non è molto utilizzabile, se non per una passeggiata. Manca totalmente l’ombra e nel mare passano avanti e indietro i motoscafi che trainano i ‘bananoni’ gonfiabili, per cui gli indonesiani vanno pazzi. E’ pieno di famiglie e di ragazzi in vacanza, e decisamente vivono il mare in modo diverso che da noi. In spiaggia vanno tutti in gruppo, fanno il bagno completamente vestiti, non stanno sdraiati a pisolare e non staccano le dita un secondo dallo smartphone scattando continuamente foto (tra di loro e all’ignaro straniero) e mandando messaggi a raffica.

Ma a tre km a piedi, che si raggiungono su un facile sentiero prima nel villaggio e poi al limitare della foresta, c’è il paradiso: Bara beach, che è la classica spiaggia tropicale da cartolina, con le palme, la sabbia candida e il mare azzurrissimo. Unica pecca l’immondizia portata dal mare, che nessuno qui raccoglie. Almeno cerchiamo di non sporcarla ulteriormente… Nei cinque giorni in cui siamo stati a Bira siamo sempre venuti qua, tra dormite, bagni, letture. Relax totale, e – anche se all’inizio ci siamo chiesti che diavolo avremmo fatto qua per cinque giorni – il tempo è volato. Snorkeling scarso in confronto a Bangka. La visibilità è inferiore, ci sono molte zone rovinate e soprattutto le correnti sono fortissime e molto pericolose. Si, ci sono pesci ma non ho visto né tartarughe né squali, che da queste parti dicono sia facile avvistare. Solo un grosso barracuda, schizzato lontano in un secondo. Un giorno ho fatto un’escursione in barca con altre persone del Sunshine all’isola di fronte e la corrente era impressionante. Bisognava lasciarsi trasportare, e poi la barca veniva a raccoglierci. Paura!

Se vi arrischiare ad andare in giro in motorino, ci sono un paio di posti interessanti a 30 km: il porto dove costruiscono le barche di legno e spiagge molto belle e deserte.

Vita notturna zero, a parte il sabato sera che coincideva con il culmine del Lebaran dove dai locali sulla strada per andare a Bara arrivava una musica assordante. Tappi per le orecchie consigliati. Sulla strada principale ci sono un po’ di negozi di generi alimentari (abbiamo preso per 3.000 rupie una sim card della Simpati con incluso un po’ di credito per navigare da mobile) e ristorantini: il migliore, Salassa, era sempre chiuso per le vacanze del Lebaran, quindi siamo quasi sempre andati a finire al Bira Beach che fa anche una simil cotoletta impanata di pollo o pesce niente male. Per trovare da mangiare senza attendere troppo bisogna presentarsi alle 7, che tanto è già buio, e al più tardi abbiamo tirato mezzanotte chiacchierando con i tanti italiani che abbiamo incontrato, di Firenze, Monza e una coppia di Bologna con un bimbo di tre anni. Decisamente questa è stata la vacanza all’estero in cui ho trovato più compatrioti, per quanto lontana e relativamente poco nota sia Sulawesi.

E’ qui che una sera, mangiando con Laura e Simone di Firenze, abbiamo incontrato una guida toraja che aveva accompagnato a Bira dei turisti. Incontro super fortunato, perché Markus si è rivelato una guida molto professionale e preparata e ci ha preparato seduta stante un pacchetto di 4-5 giorni tutto incluso (guida, auto, trekking 2D1N, ingressi ai funerali, doni per gli ospiti e quant’altro) per la nostra prossima tappa a Tana Toraja, che tra l’altro coincide quasi completamente con quella dei nostri occasionali compagni di viaggio.

TANA TORAJA

E via di nuovo verso Makassar per prendere il bus notturno che ci poterà a Rantepao, la città più turistica della regione di Tana Toraja. Siamo partiti la mattina alle 10 da Bira a bordo di un kijang, la tipica jeep a 9 posti, che tra un guasto e l’altro, stridendo e sbuffando ci ha portato al terminal Mallengkeri in ben 8 ore!

Qui abbiamo dovuto cambiare terminal e andare al terminal Daya dall’altra parte della città da dove partivano i bus verso nord. Questa in compenso – lontanissima, mezz’ora di taxi e l’ultima parte di strada nel buio pesto – è una vera stazione dei bus con tante compagnie e biglietterie come dio comanda (e strapiena di zanzare, occhio). Abbiamo preso un bus della Bintang Prima solo perché era il primo nome citato dalla Lonely, ma ce ne sono diverse altre con bus ugualmente nuovi, magari cercate di non prendere l’ultima fila di sedili perché è quella con meno spazio per i piedi. Per giunta nel vano scale sotto di noi si è infilato un passeggero indonesiano, che probabilmente era riuscito a scucire all’autista un passaggio gratis. Siamo partiti alle 22 e dopo un viaggio molto confortevole siamo arrivati a Rantepao verso le 6 del mattino, abbastanza freschi e riposati.

E qui ci è capitato un piccolo imprevisto, sul quale voglio mettervi in guardia. Facendo le nostre ricerche prima di partire avevamo trovato il sito www.bongatoraja.com, ben fatto e ricco di informazioni utili, e per questo aspetto molto consigliato. Però è stato difficilissimo contattare i responsabili di questo che si propone come servizio turistico e alla fine ci siamo riusciti solo attraverso la chat di Facebook. Ci hanno dunque prenotato due notti alla guesthouse Riana assicurandoci posto e prezzo, ma quando ci siamo presentati là il proprietario della guest house ci ha detto di non aver nessuna prenotazione a nome nostro e nemmeno ha detto di conoscere questa agenzia… mah? Mistero… Truffa non è, perché non abbiano anticipato caparre né nulla. Però trovarsi alle 6 di mattina senza alloggio prenotato in alta stagione non è stato il massimo (comunque, il Riana non è un gran che, rispetto alle recensioni che si trovano online, ed è anche piuttosto lontano dal centro). In quattro e quattr’otto ci siamo messi in moto per trovare un’altra sistemazione e dopo aver gettato un occhio a posti allucinanti (Wisma Irama da brivido) abbiamo trovato una stanza economica e senza acqua calda al Wisma Maria I, in pieno centro città. La camera è un po’ quel che è, le lenzuola consunte, fili che pedono, mobile ammaccato, ma questo passava il convento e il prezzo era ridicolo: 120mila rupie (circa 8 euro) a notte. C’è da dire che una volta sistemati abbiamo provato la tanto celebrata colazione del Wisma Maria, in una saletta ristorante veramente carina e ben arredata, con fiori freschi sul tavolo, marmellata VERA (non la solita gelatina fosforescente) e pane appena sfornato. Spettacolo. Giusto per completezza, le camere con acqua calda al piano terra sono un po’ meglio rifinite.

Giusto il tempo di fare colazione e ci viene e prendere Markus insieme ai fiorentini, due spagnoli, e una coppia spagnola lei e svizzero-costaricano lui, per visitare un funerale toraja in una località remota in mezzo alla foresta, oltre Makale.

E qui apriamo parentesi sui funerali, anche qui astenersi cuori sensibili, schifiltosi e animalisti. L’impatto è forte, l’odore e la vista del sangue, intestini ed escrementi è impressionate, ti prende allo stomaco. Tuttavia questo è il momento culminante della vita di una persona nella cultura Toraja e merita rispetto questo modo di celebrarlo per quanto lontano dalla nostra sensibilità.

Sangue a parte, il funerale toraja è un momento fortissimo e interessante, da approfondire se possibile per il mix di credenze cristiane e pagane animiste che convivono legate insieme e per questa cultura della morte così diversa dalla nostra. Per loro poi è un momento di festa (dopotutto il caro estinto è molto diversi anni fa) e un’occasione per ritrovarsi tra parenti e amici che arrivano da tutte le parti dell’Indonesia come abbiamo scoperto chiacchierando con alcuni dei ragazzi presenti. La nostra guida Markus ha iniziato bene portandoci in un posto lontano da Rantepao dove in pratica c’eravamo solo noi insieme ai circa 1500 invitati. Dopo il funerale, durante il quale tra una cerimonia e l’altra sono stati uccisi, macellati, cucinati e spartiti una trentina di maiali (per i tre bufali non siamo arrivati in tempo), siamo andati a visitare alcune tombe e uno spiazzo con i ‘menhir’ dove una volta si svolgevano i funerali, poi dopo pranzo abbiamo visitato altri tipi di tombe scavate nella roccia, molto spettacolari. La sera cena all’Aras caffè, il miglior ristorante della città, con i fiorentini e l’altra coppia.

Il giorno dopo abbiamo visitato il mercato dei bufali che c’è solo il martedì, veramente impressionante perché ce ne sono vendita migliaia. Quest’animale è importantissimo per la cultura toraja: oltre a quelli da lavoro, ci sono quelli ‘status symbol’ dal colore pezzato che costano una fortuna, anche decine di migliaia di euro, e vengono coccolati fino al momento in cui un coltellaccio affilato non taglierà loro la gola di netto per celebrare il caro estinto. Dopo il mercato, Markus ci ha quindi portati a vedere un altro funerale con oltre un centinaio di bufali, ma è stato molto diverso dal giorno precedente. Funerale d’alto bordo, e quindi una vera ecatombe che fa status. Non abbiamo interagito con i parenti, solo sbirciato un po’ la mattanza che stavolta ci ha lasciato piuttosto sconvolti per lo spargimento di sangue e la quantità di bufali sacrificati (ci hanno detto che dovevano essere circa 130 in 3 giorni).

Nel pomeriggio visita ad altre tombe di cui Markus ci ha dato una spiegazione interessante e commovente: fino a qualche decennio fa i bambini nati morti o a pochi giorni dalla nascita venivano sepolti dentro i tronchi degli alberi, il buco veniva coperto, in modo che il bambino e il suo spirito continuassero a ‘crescere’ dentro l’albero. Infatti le ‘toppe’ che coprono le tombe sono ormai inglobati all’interno della corteccia e dei rami.

Il giorno dopo con i fiorentini e gli spagnoli siamo partiti per il trekking sulle montagne, con pernottamento in un villaggio. Anche qui Markus ha pensato a tutto, recuperando dei panini favolosi: pollo e avocado, buonissimi, più un pollo per la famiglia che ci avrebbe ospitato la notte. Poi fantastico: lui in infradito e con i piedi perfettamente puliti, noi con le scarpe da trekking a zampettare rischiando a ogni passo il volo nelle risaie. Il paesaggio è favoloso e abbiamo camminato tra la foresta e le risaie, senza troppa fatica, schivando un acquazzone rifugiandoci giusto per un pelo in una tettoia di fortuna. Il villaggio in cui siamo arrivati è veramente fuori dal mondo, ci si arriva a piedi o con una mulattiera piena di buche e fossi sulla quale cui passano appena appena le moto. Tipo che le auto arrivano al massimo al un villaggio più in là, lontano 3-4 km. La casa è quella tipica dei toraja con il tetto a chiglia di nave, e devo dire che alla fine non abbiamo dormito male. Su materassi posati per terra (dentro il nostro sacco lenzuolo) e zanzare e insetti non ce ne erano. Il bagno un po’ quel che era, con la turca, ma ce lo siamo fatti andare bene per una notte. Il villaggio è pieno i bambini che aspettano caramelle e dolcetti, ma sono felici di giocare con noi e curiosi delle foto che scattiamo. Non ce ne aspettavamo così tanti, e i lecca lecca che avevamo portato li abbiamo dati alla famiglia ospitante che li ha distribuiti quando la maggior parte dei bambini si è allontanata. Quando comincia a calare il sole arrivano dai campi anche gli adulti che si avvolgono nel loro sarong toraja, un anello di stoffa colorata non intorno alla vita ma drappeggiato a mantello e portato sopra la testa tipo cappuccio, che qui portano tutti. Un po’ con la traduzione Markus, un po’ a gesti chiacchieriamo con loro e impariamo un po’ di dialetto toraja.

Una famiglia ci ha anche invitato a rendere omaggio a un componente della famiglia morto: infatti a Tana Toraja si usa conservare il defunto in casa, mummificato con iniezioni di formalina, in una bara coperta da un telo. Il funerale si fa solo quando si sono raccolti i soldi per acquistare gli animali da sacrificare e allestire i palchi che dovranno aspettare i parenti. Ovviamente il tutto dipende da quanto la famiglia è ricca: qui il funerale era previsti solo dopo pochi mesi.

Cena di pollo e maiale cotto nel bambù, riso, chiacchiere sulla veranda e poi a letto che non sono nemmeno le 10 che qui si spegne tutto. Alla mattina splende un sole stupendo, cielo azzurrissimo e senza una nuvola e dopo colazione tiriamo su le nostre cose e ci avviamo su per il sentiero. Attraversiamo altre risaie, su e giù, incontriamo un gruppo di donne che sino andate al mercato nel paese vicino con le ceste in testa e gruppetti di scolari, visto che la scuola con chiesetta bianca annessa sta qua. C’è stato anche un funerale di recente perché l’odore del sangue impregna l’aria, si sente forte passando vicino al terreno rituale ancora allestito. Villaggio dopo villaggio arriviamo a un bivio e ci separiamo dagli spagnoli che vanno a fare rafting, mentre noi procediamo con la camminata scendendo dalla montagna. Il sole picchia forte ma me ne accorgo troppo tardi, tanto che mi costerà un bel colpo di sole. Infatti dopo pranzo schianto a terra con nausea galoppante e mal di testa, ma ormai siamo arrivati e posso permettermelo. La nuova sistemazione per le prossime due notti (trovata sempre da Markus, è un amico suo) è pure molto più bella ed è pulitissima: in una camera ci siamo noi, nell’altra i fiorentini. Si chiama guest house Panorama, proprio sulla piazza Merdeka – il grande pratone – non lontano dal Wisma Maria. Gigi è stanco e si è pure preso il raffreddore per le 4 gocce d’acqua e il vento, i fiorentini sono collassati anche loro. Riemergiamo la mattina dopo e troviamo la forza di fare l’ultima gita che, per fortuna, è super soft: solo un giro a bordo di una comoda auto. Forse questa è stata la visita meno significativa dopo tutte le emozioni dei giorni scorsi, ma non avrei potuto reggere di più: quindi risaie, tombe, terrazze panoramiche e dopo pranzo siamo già di ritorno, ormai ristabilita perfettamente. Ne approfittiamo per fare un po’ di shopping a Rantepao, anche se non c’è moltissimo da comprare a parte i soliti negozietti sulla via principale: i posti più interessanti sono il negozio di tessuti molto belli ma cari chiamato Todi, elencato sulla Lonely, e le sculture che vende l’Aras Cafè, che anche quelle non sono gratis. Noi poi abbiamo la passione per il caffè che qui a Tana Toraja è spettacolare: ci siamo fatti procurare un po’ di arabica da Markus, e devo dire che era molto buono, e poi ne abbiamo comprato nella ‘torrefazione’ Rezeki, un negozietto vicino alla moschea per un totale di circa un kg e mezzo.

L’ultimo giorno ci siamo dati al relax completo – eccetto la sveglia alle 5 per le prove audio in vista delle celebrazioni dell’Indipendenza che si svolgono proprio sul pratone davanti alla guest house – e siamo andati all’hotel più bello di Rantepao chiamato Toraja Heritage Hotel: pagando la modica somma di 20mila rupie si può usufruire della piscina, drink analcolico incluso. E qui siamo stati fino allo scoppio di un temporale che ci ha fatto battere in ritirata al ristorante, che per la cronaca non è un gran che. Nel pomeriggio nuovi giro di shopping e relax nel giardinetto della guest house, guardando le esibizioni militari che si sono trascinate fino al tramonto, in attesa di prendere il bus che ci riporterà a Makassar, stavolta direttamente all’aeroporto.

JAKARTA BIS

E dopo il viaggio della speranza con 10 ore di bus (dormito male tra la temperatura polare, coperte non pulitissime e video di musica melodica toraja a volume molesto), 6 di attesa all’aeroporto, 2 di volo…. finalmente si arriva a Jakarta dove abbiamo prenotato un hotel come si deve per l’ultima notte, Alila. E’ molto confortevole e siamo stati bene, anche se un po’ troppo business. In più pur essendo in centro è lontano da qualunque luogo di interesse turistico e bisogna sempre uscire in taxi. Stasera per celebrare degnamente la fine delle vacanze ci concediamo una cena in un ristorante super, Tugu Kunstkring Paleis che è in un edificio coloniale olandese restaurato e gestito da una catena di hotel indonesiana, nella quale eravamo capitati a Malang due anni fa in viaggio di nozze. Il posto è favoloso e il cibo ottimo, soprattutto il granchio morbido, pollo all’arancia e un altro piatto di agnello con spezie elaborate. Ci siamo anche concessi una tazza di vero kopi luwak dato che quello che si trova nei locali non sempre è autentico. Caro ma nemmeno tanto: tutta la cena sarà costata circa 50 euro in due, ma ce la si può cavare anche con molto meno.

ULTIMO GIORNO

Persa l’occasione di far un tour organizzato della città nella speranza di capirla meglio (è pure lunedì, tutti i musei sono chiusi), siamo andati per conto nostro dalle parti di chinatown. Anche qui una delusione, e per tornare nella zona dei centri commerciali del primo giorno ci abbiamo pure messo 1 ora di taxi, a causa del traffico indicibile e soffocante. Ci abbiamo privato, ma con Jakarta non ingrana. Comunque è ora di avviarsi verso l’aeroporto, e qui vi salutiamo.

Per qualunque informazione sono qui, buon viaggio anche a voi.



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