Cracovia, una ferita chiamata Storia
La pensilina blu sulla destra a 100 metri dall’uscita dell’aeroporto è il principio di questa mia prima volta in Polonia. Con 3.80 zloty a testa prendiamo l’autobus che ci porterà nella fredda Cracovia dopo 1 ora di viaggio. Ogni autobus o tram è dotato, sia a fianco della pensilina sia sopra al mezzo, della macchina automatica per fare il biglietto, anche perché per esperienza personale i controlli sono serrati.
Approdiamo così nel distretto Kazimierz (il quartiere ebraico) dove alloggeremo presso il comodo ed efficiente Hotel RT Regent.
Il tempo non è dei migliori e non migliorerà nei 3 giorni successivi; quella fitta pioggerellina “londinese” ci accompagnerà in tutti i nostri tragitti, ma paradossalmente la visita ad Auschwitz è stata allietata da un sole splendente.
Oggi Kazimierz si presenta come un quartiere ricco di vita ed arte. Splendidi murales nascosti negli anfratti delle vie e originali bar fanno da cornice ad un consistente quantitativo di sinagoghe. Essendo ora di pranzo ci fermiamo in Plac Nowy, il vecchio centro di commercio della comunità ebraica e ci ritroviamo a nostra insaputa ad assaporare una delle tradizioni più radicate della Polonia: la Zapiekanka. Non c’è un singolo polacco che, prima di rientrare a casa dopo una serata bagorda in discoteca, non consumi la popolare baguette con formaggio fuso, funghi e ketchup , rivisitata anche in stile esotico con ananas, mirtilli e salsa piccante. Per stomaci forti insomma.
A sedere nei tavolini della circolare piazza e assaporando la Polonia hai così un primo scorcio della vita di Cracovia, mercatini delle pulci in ogni dove e vite apparentemente scandite dalla semplicità.
Procedendo verso il Nuovo Cimitero Ebraico si possono ammirare in Via Szeroka, due importanti sinagoghe di cui una ancora funzionante, la bianca Sinagoga di Remuh, per poi contemplare l’imponente Chiesa del Corpus Domini e perché no meravigliarsi nel cortile che ha fatto da sfondo ad una delle scene memorabili di Schindler List: al numero 12 di Via Jòzefa, oggi occupato dal locale “Mleczarnia”, la bambina con il cappotto rosso camminava fra omicidi spietati e deportazioni di massa.
Ci dirigiamo così verso il Planty, il gotico parco che circonda il centro storico e che dona a Cracovia una sfumatura vagamente inglese, raggiungendo la collina del Wawel , sede dell’omonima Cattedrale e del Castello.
Stanislaw Wyspianski scrisse: “Qui tutto è Polonia, ogni pietra, ogni briciola, un uomo che entra qui diventa parte della Polonia… qui siete circondati dalla Polonia eternamente immortale”
E’ domenica mattina e la cattedrale ospita un centinaio di fedeli nella classica veste folcloristica tipica di Cracovia. Un orda di uomini allegrano questa giornata uggiosa con i loro abiti dai colori vivaci, blu rossi bianchi ricamati con fiori, mentre le donne sfoggiano lunghe gonne e corone con nastri svolazzanti.
La Cattedrale di Wawel è la chiesa più importante della Polonia e ospita i numerosi sarcofagi della stirpe reale che ha dominato la nazione per cinque secoli. Entrare all’interno della Cattedrale è come fondersi in un tutt’uno con l’oro e la cappella funeraria del re più amato dal popolo, Sigismondo I, è ben riconoscibile dall’esterno proprio per questo motivo.
Uno scorcio più ampio di Cracovia lo si può ammirare dalla torre della Cattedrale, dove trova spazio l’omonimo orologio di Sigismondo, la seconda campana più grande della Polonia.
Consiglio a chiunque di affrontare il traballante percorso che porta sino in cima. Vecchie scale in legno sembrano darti poca fiducia, anfratti e travi da scavalcare, scricchiolii da ogni parte il tutto in una penombra medioevale, la stessa in cui è perennemente avvolta Cracovia per poi trovare all’apice la Vistola che scorre lentamente e la Chiesa di Santa Maria che si staglia sopra tetti rossi e camini fumanti.
A fianco della Cattedrale sorvegliata da un’imponente statua di Giovanni Paolo II il Castello, un fiabesco palazzo rinascimentale su tre livelli, che ospita il famoso quadro di Leonardo Da Vinci, la “Dama Con L’Ermellino”.
Cracovia è una città che si può benissimo girare a piedi, ma considerando la pioggia senza tregua optiamo per salire su uno dei vecchi tram cigolanti che ci porteranno nel fulcro della città: Rynek Glowny, l’immensa piazza del Mercato.
La piazza medievale più grande d’Europa entrata di diritto fra una delle più imponenti piazze del mondo è avvolta da un sapore affumicato e una penombra arcaica. Ormai è calato il buio e la Chiesa di Santa Maria si staglia nel silenzio circostante interrotto a tratti dalla sinfonia di qualche musicista di passaggio.
Oro, blu di Prussia e porpora si giostrano abilmente all’interno della Basilica fino a sfociare in un tripudio di brillantezza nell’altare in legno più antico del continente.
Dalla parte opposta il vecchio Mercato dei Tessuti, le Sukiennice, testimonianza dell’anima commerciale della città. Il mercato coperto di Cracovia ha una soffitta addobbata da maschere cui leggenda afferma rappresentino allegoria di vizi umani, mentre lungo il percorso le numerose bancarelle danno sfoggio ad ambra, tovaglie tipiche e oggetti in legno spesso prodotti artigianalmente.
Volgendo lo sguardo verso Ulica Florianska, la via commerciale della città, si arriva sino alle antiche mura, dominate dalla Porta Floriana e dal Barbacane che insieme rappresentavano il sistema di fortificazione di Cracovia. Oggi questa via è ricca di movida a tutte le ore, trattorie, negozi e bar, ma è anche una sorta di atelier a cielo aperto grazie agli artisti che esibiscono le proprie opere appendendole alla cinta muraria.
Sono appena le 18.30 e stanca per il lungo camminare mi siedo su una panchina di fronte alla Chiesa di San Floriano assaporando il via vai che va scemando, fantasticando sul bellissimo evento che ospiterà quella sera stessa, le sinfonie di Vivaldi e rendendomi conto che devo al più presto pensare alla cena. Come di consuetudine in vacanza non ceno mai prima delle 21.00 e la prima sera in questo paese del nord ne ho pagato le conseguenze: i ristoranti chiudono alle 21.30.
Ricordo di aver scorto nascosta fra i palazzi lungo la via per tornare all’hotel una minuscola trattoria a conduzione familiare. Pierożki u Vincenta è un localino con 15 tavoli in tutto, avvolti nelle opere di Van Gogh e nel profumo dei Pierogi, il tradizionale raviolo nazionalpopolare servito in questo specifico ristorantino in 30 modi diversi. Intimo, accogliente ma soprattutto dalla cucina ottima, qui si assaporano solo Pierogi e si beve birra polacca gustosissima.
I restanti due giorni che rimangono a nostra disposizione li sfruttiamo al meglio per le cosiddette “gita fuori porta”.
E’ una mattina fredda e piove a dirotto. Di fronte al Centro Commerciale Galeria Krakowska, più precisamente in Ul. Kurniki, ogni 20 minuti parte l’autobus diretto alle Miniere di Sale Wieliczka. A 40 minuti da Cracovia le miniere sono tutt’ora attive e si estendono per 300 km di cui solo l’1% sono accessibili ai turisti.
Naturalmente sbagliamo la fermata a cui bisogna scendere ritrovandoci dispersi nella città di Wieliczka sotto ad una pioggia battente. Arriviamo così in ritardo per il tour in italiano (ore 13.10) e ci uniamo obbligatoriamente a quello inglese: è assolutamente vietato visitare le miniere senza guida, vi perdereste.
Quando mi dissero che avrei dovuto affrontare una discesa con una notevole quantità di scalini mai avrei immaginato di passare minuti di sconforto senza vederne la fine. 800 scalini scavano a gruppi di 6 una sorta di scala a chiocciola fino a raggiungere una profondità di 400metri, per poi sfociare in tunnel bianchi sempre lunghi e silenziosi fatti interamente di sale.
Correnti, scricchiolii e luci soffuse vi accompagneranno per circa due ore e mezza nel cuore della terra, fra mulini e rappresentazioni lavorative che dimostrano il duro lavoro di un minatore e i suoi rischi.
Sin dall’inizio mi son chiesta in che modo sarei risalita. L’idea di riaffrontare 800 scalini non era delle più apprezzate ma fortunatamente i vecchi e claustrofobici ascensori da miniera in ferro ci hanno riportato ad una velocità esorbitante sino alla superficie sentendomi per 5 secondi un vero e proprio minatore.
L’indomani il sole splende più che mai sopra la rossa Cracovia e ci aspetta il viaggio emotivamente più desolante che io abbia mai fatto. Dalla stazione degli autobus un colorato bus con direzione Oświęcim attraverserà la Piccola Polonia e terminerà la sua corsa al Museo Statale di Auschwitz-Birkenau.
“Il lavoro Rende Liberi” la cinica insegna posta all’entrata del campo è di fronte a noi. Essendo stavolta in anticipo di due ore per la visita guidata in italiano, decidiamo di comprare una guida cartacea e di affrontare il percorso autonomamente e gratuitamente.
Il pensiero di camminare sulla stessa ghiaia, di toccare le stesse mura, di salire gli stessi scalini che 70 anni fa hanno visto perire 1.500.000 ebrei mi crea una sensazione di sconforto che mi accompagnerà per tutte le 3 ore di visita, al termine della quale sono stata costretta, causa ritardo dell’autobus, a sedermi al freddo e nel silenzio dinanzi a quella scritta rielaborando ogni singola foto vista e ogni singolo orrore percepito.
La visita al Campo di Concentramento non si può esprimere a parole, bisogna esserci. Per quanto le segrete con le celle speciali, il Muro della Morte, la camera a gas e il crematorio rimasti in piedi e la miriade di foto di prigionieri possano farti sobbalzare il cuore, nulla ti mette più tristezza nel vedere le montagne di oggetti personali, scarpe e valigie ammucchiate nelle enormi stanze dei blocchi.
“Chi non ricorda la storia, è condannato a riviverla” scrive George Santayana. E Cracovia ne porta i segni giorno dopo giorno.