Giro del mondo: Giappone, Nuova Zelanda e Canada

Le affascinanti atmosfere dell'Oriente, la natura incantata del Sud Pacifico e le atmosfere sonnolente dell'estremo Nord… per i miei 50 anni
Scritto da: Zenzen
giro del mondo: giappone, nuova zelanda e canada
Partenza il: 27/07/2013
Ritorno il: 24/08/2013
Viaggiatori: 4
Spesa: 4000 €
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Mi è difficile descrivere in sintesi le emozioni di questo strepitoso mese vissuto all’insegna della cultura/tradizione/natura. Volevo abbracciare il mondo ed è il mondo che ha abbracciato me con le affascinanti atmosfere dell’Oriente, la natura incantata del Sud Pacifico e le atmosfere sonnolente dell’estremo Nord.

50 anni sono una tappa importante nel cammino della vita e per un Viaggiatore meritano una celebrazione speciale.

“Un viaggio è sempre una scoperta, prima di luoghi nuovi è la scoperta di ciò che i luoghi nuovi fanno alla tua mente e al tuo cuore. Viaggiare è sempre, in qualche forma, esplorare se stessi.”

È così che ho pensato di festeggiarli, con un “superviaggio”, disorientandomi, ricorrendo i fusi che si distribuiscono sulla superficie terreste.

Mi sono quindi dapprima concentrata sull’itinerario che inizialmente avrebbe dovuto svilupparsi nell’arco di 4 settimane con la visita di 4 Paesi siti in continenti diversi.

Alla fine di lunghe consultazioni con l’agenzia inglese a cui ho delegato la finalizzazione del biglietto aereo, decido che la nostra avventura (è coinvolto anche il resto della mia famiglia, marito e due figli rispettivamente di 11 e 13 anni) inizierà da Londra per toccare in sequenza Giappone, Nuova Zelanda e Canada.

GIAPPONE 27/07/13 – 4/08/13

Tokyo

Facendo io ZEN di cognome, era scritto nel libro del mio destino di finire prima o poi in Giappone.

Ed eccoci qua… alle ore 8.00 del 28 luglio 2013 atterro con la mia famigliola all’aereoporto internazionale NARITA di Tokyo. La sensazione che abbiamo da subito è quella di essere stati catapultati in un mondo assolutamente svincolato dalle nostre abitudini e convenzioni. Ci impressiona immediatamente l’ordine, la disciplina, l’autocontrollo del popolo giapponese che anche nelle situazioni di maggiore congestione dà l’impressione di avere sempre tutto sotto controllo.

Tokyo è una metropoli popolatissima ed un totale caos da noi sarebbe la logica derivazione di questo fiume di persone che continuamente si muovono tutt’intorno. Ma qui tutto sembra avere un suo naturale flusso, un ordine prestabilito.

E Tokyo è anche la città dei contrasti perché la tecnologia più evoluta si contrappone alla tradizione più radicata: il ragazzotto con l’I-phone di ultima generazione messaggia a fianco di coetanee che sfilano indossando il kimono o coetanei che si dilettano con i manga.

Ciò che colpisce particolarmente è in ogni caso l’assoluta riservatezza dei giapponesi: in metropolitana c’è chi legge, chi scrive messaggi con il cellulare, chi sonnecchia ed il silenzio regna sovrano. Non riesci mai ad incontrare lo sguardo delle persone, perché abbiamo imparato che qui, il guardare diretto negli occhi viene considerato una violazione di privacy.

E’ piacevole vagare per la città anche senza una meta precisa per prendere confidenza con le mille sfaccettature di una cultura lontanissima dai nostri stereotipi, ma dopo una full-immersion nella frenetica vita metropolitana è altrettanto piacevole concedersi un meritato riposo nel Ryokan familiare laddove abbiamo deciso di soggiornare che rimane in una zona strategicamente più tranquilla.

Le parti storiche di Tokyo che visitiamo il giorno seguente sono ormai un tutt’uno con la parte moderna della città e questo mix lo realizziamo perfettamente ad Akakusa e nella fattispecie con la visita al tempio Senso-ji a cui si accede tramite il Kaminarimon (Porta del Tuono).

Cerchiamo di immergerci per quanto possibile in questa che per i giapponesi è una vera e propria isola spirituale che stride un po’ con la dimensione commerciale dettata dalla sequenza di negozietti che si trovano nella strada di accesso che vendono di tutto, dalle cianfrusaglie per turisti ai manufatti artigianali di alta qualità in autentico stile Edo.

La vista che si gode dalla terrazza della Tokyo Sky Tower è comunque suggestiva e dà un’idea della city che un tempo doveva rappresentare pienamente la tradizione nipponica.

Ci spostiamo un po’ e siamo a Yanaka laddove visitiamo tramite una gradevole passeggiata a piedi il Nezu-jinja con i suoi magnifici torii molto colorati e il Tenno-ji, risalente al XIII secolo, che vanta una gigantesca statua di Budda e giardini impeccabili.

Successivamente ci concediamo nella baia di Tokyo divagazioni tecnologiche con la visita al Toyota Mega Web laddove i miei figli si dilettano nella sperimentazione della guida virtuale.

La baia ci diletta con le sue luci all’imbrunire e ci regala gli ultimi momenti di relax al di fuori del turbinio metropolitano che suonano come momento di saluto ad una città che nelle sue contraddizioni a nostro modo di vedere sa creare curiosità ed ammirazione per noi che arriviamo dal vecchio occidente.

Kyoto/Nara

Un’altra peculiarità del Giappone è “l’alta velocità” ed è così che grazie allo Shinkansen in tre ore scarse arriviamo alla stazione monumentale di Kyoto.

La Kyoto Tower che assomiglia ad un missile sospeso in cima al Kyoto Tower Hotel ci consente di farci una prima idea della pianta della città.

Dato che il nostro ryokan si trova abbastanza lontano dal centro città, il viaggio che facciamo in bus per raggiungerlo, ci consente di realizzare che a Kyoto vecchio e nuovo coesistono essendo state inglobate le strutture storiche dalla modernità che avanzava.

In realtà, anche se le principali attrattive di Kyoto sono situate in centro, quasi tutti i luoghi di grande richiamo turistico sono concentrati nei quartieri periferici, lungo le pendici dei monti orientali e occidentali (rispettivamente, Higashiyama e Arashiyama).

Kyoto con i suoi 17 siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, più di 1600 templi buddhisti e oltre 400 santuari shintoisti ha un patrimonio culturale immenso e quindi avendo noi solo due giorni a disposizione per la visita dobbiamo necessariamente selezionare i siti da vedere.

Dovendo sceglierne un paio, non posso non citare il Kinkaku-ji, il celeberrimo “Padiglione d’Oro” di Kyoto che ci ammalia specchiandosi nel suo tranquillo laghetto. Lo fissi e tutte le persone che hai intorno miracolosamente svaniscono. Ho provato a testare la stessa identica alchimia una volta ritornata in Italia inserendolo come desktop del mio cellulare ma ahimè, la magia non ha più funzionato!

Affascinantissima poi la passeggiata sotto i torii vermigli del Fushimi-Inari Taisha che sembrano procedere all’infinito finchè c’è spazio. Ho voluto immortalare la mia presenza sotto uno di questi torii recante la scritta ZEN per ricordarmi di meditar, una volta tornata in Italia, la decodifica dello stesso che ho appreso durante il mio soggiorno giapponese.

“Si dice che lo Zen non sia una questione di fede, ma di disciplina. Lo Zazen, la meditazione Zen, non viene praticata ai fini di ottenere qualcosa, ma per liberarsi di qualcosa : “l’ego” che si è formato grazie alle proprie esperienze di vita” (forse un po’ di meditazione Zen ogni tanto potrebbe avere una valenza terapeutica anche da noi!”).

Nel terzo giorno di permanenza a Kyoto ci trasferiamo in giornata a Nara, la prima capitale del Giappone, che conserva la pianta urbana ortogonale realizzata secondo i precetti cinesi nell’VIII secolo.

Passeggiando tra le viuzze di Nara, la sensazione è quella di un deja –voux rinforzata anche da una percezione di profonda quiete che si respira all’interno dei suoi templi con parchi annessi dove vagano serafici branchi di cervi selvatici. Il fiore all’occhiello di questa località è il Daibutsu (Grande Buddha) che è custodito nel padiglione Daibutsu-den dell’imponente complesso templare Todai-ji.

Il Daibutsu-den è l’edificio di legno più grande al mondo incorniciato da uno splendido giardino ed incastonato per l’occorrenza in uno stupendo cielo turchese che lo fanno sembrare quasi finto tanto è perfetto nella sua magnificenza.

Ci piange un po’ il cuore nel lasciare questa oasi di pace che salutiamo per dirigerci nuovamente a Kyoto e di qui ad Osaka laddove attendiamo di imbarcarci con il volo che solcherà l’Oceano Pacifico facendoci raggiungere la terra di Cook.

NUOVA ZELANDA: 4/08/2013 – 16/08/2013

Con un volo di 10 ore che solca l’Oceano Pacifico atterriamo nell’isola dei Maori. Ad Auckland è inverno e quindi cominciamo ad attingere dalla valigia che contiene i capi più pesanti considerando di spendere la maggior parte dei giorni (una settimana circa) nell’isola del Nord per poi traghettare nell’isola del Sud che supponiamo proporci le temperature più rigide. L’obiettivo è quello di spendere il minor tempo possibile nella visita delle città per goderci tutto lo spazio verde che i neozelandesi hanno a disposizione.

Isola del Nord

Ci impossessiamo dell’auto presa a noleggio all’aereoporto e ci avviamo verso il centro di Auckland con l’obiettivo di raggiungere la Tower che ci permette di godere di una bellissima vista sulla baia.

A mio figlio non sfugge però alla vista neanche il complesso di strutture sportive che gravita sempre in una zona molto centrale ed è così allora che ridiscesi, non possiamo esimerci dal fare una sosta ai bordi del “green” dove aitanti giovinotti si danno battaglia giocando a rugby così come vuole la tradizione locale.

Il rugby in Nuova Zelanda è lo sport nazionale ed il nero il colore emblema di questa Nazione.

I mitici All Blacks, squadra di rugby professionistica, si sono fatti conoscere in tutto il mondo grazie alla scenografica haka, una danza che non è solo una danza di guerra o intimidatoria come spesso viene considerata, ma vuole essere anche espressione della passione, del vigore e dell’identità della razza. esprimendo il sentimento interiore di chi la esegue.

Lasciata Auckland ci dirigiamo costeggiando verso la Bay of Island facendo tappa a Pahia in uno splendido bungalow, all’interno di un campeggio alle porte della cittadina. Avvistiamo lungo il porticciolo locale alcune agenzie che prenotano le escursioni in barca laddove ci raccontano di aver intercettato in giornata alcuni esemplari di orche e molteplici delfini.

La mattina successiva una nebbiolina molto suggestiva ci accoglie all’imbarco per dissolversi quando siamo in zona strategica per gli avvistamenti ed i delfini non ci tradiscono dilettandoci numerosissimi e leggiadri come consuetudine e volteggiando anche molto prossimi alla nostra imbarcazione (le orche, ahimè oggi sembrano far festa!). Dopo questa fantastica esperienza decidiamo di lasciare la costa ovest dell’Isola del nord e di spostarci su quella est laddove si incontrano spiagge di sabbia lavica per visitare Karakere, la scenografica spiaggia di “Lezioni di piano”.

L’atmosfera è veramente magica ed il contesto idiallico: c’è una foschia impalpabile che lascia solo intravedere il contorno delle rocce che si profilano all’orizzonte voltando le spalle al mare, una calma surreale che viene magnificata dallo sciabordio dell’onda che delimita uno spazio assolutamente immacolato. (non a caso siamo nel set di un film!).

Per continuare a trattare di “atmosfera” ci trasferiamo a Rotorua, cittadina che si è sviluppata su un territorio che costituisce una delle zone più attive di tutta la nuova Zelanda dal punto di vista geotermico, ricca di geyser zampillanti, sorgenti termali fumanti e pozze di fango in continua ebollizione.

La terra intorno a noi “fuma” ovunque e l’atmosfera ha un che di mistico con questa profusione di gas molto simile all’incenso ma con una profumazione decisamente diversa e meno gradevole.

La rievocazione dell’eruzione del Tarawera che viviamo in maniera virtuale all’interno del Museo di Rotorua ci ricorda che la costituzione della falda in cui è sito questo Paese lo mette molto a rischio da un punto di vista della stabilità.

Ci congediamo da Rotorua assistendo dal vivo alla raffigurazione di una “haka”, rituale che cerca comunque di impressionare. Chi la esegue rotea e spalanca gli occhi, digrigna i denti, mostra la lingua, si batte violentemente il petto e gli avambracci, dà quindi un saggio di potenza e coraggio, che si ricollega allo spirito guerriero dei Maori.

Stiamo puntando verso il Tongariro National Park che ci accoglie con le sue cime splendidamente innevate ma nel contempo con condizioni metereologiche non molto invitanti. Riusciamo pertanto a regalarci dopo un avvistamento d’insieme, solo un breve trekking entro i confini del parco ed un splendido tramonto che purtroppo non è però presagio di bel tempo. Il mattino successivo infatti piove grosso ed allora decidiamo di intraprendere la nostra discesa verso Wellington.

A Wellington siamo i protagonisti “paganti” di una scena di un poliziesco in quanto all’ingresso in città veniamo inseguiti a sirene e luci spiegate da una macchina della polizia locale che ci contesta la guida a 70 km/h con un limite supposto di 60 km/h. Facciamo buon viso a cattivo gioco e felici di essere sopravissuti all’accaduto limitando i danni ci prepariamo alla traversata dello stretto di Cook che ci condurrà nella più selvaggia Isola del Sud.

Isola del Sud

Una placida e suggestiva traghettata attraverso i fiordi dello stretto di Cook ci conduce a Picton, porto d’attracco dell’isola del Sud.

Grazie alla sinuosa Queen Charlotte Drive ci è consentito percorrere in auto gli altrettanto scenografici Marlborough Sounds, intricato dedalo di insenature, promontori, picchi rocciosi, spiagge e canali con soste in punti veramente spettacolari.

Il tramonto ci accoglie a Nelson dove abbiamo il piacere di addentare una pizza “Italian style” e di goderci la testimonianza di Stefano, giovane virgulto lombardo trasferitosi a queste latitudini, per il quale vivere in questo Paese è sinonimo di una qualità di vita che in Italia oramai ha solo la dimensione del sogno (e come dargli torto!)

Secondo il buon detto “rosso di sera bel tempo si spera”, una magnifica giornata ci accoglie il giorno successivo ed è così che prendendo il taxi d’acqua letteralmente “al balzo” decidiamo di concederci un tour lungo le insenature del bellissimo Abel Tasman National Park.

I paesaggi sono veramente da cartolina con questa catena di rilievi marmorei e calcarei che sembrano letteralmente tuffarsi nell’acqua. Le sue insenature sono il naturale rifugio di numerosi uccelli, foche che si crogiolano al sole approfittando della temperatura primaverile e pesci che nuotano indisturbati nelle sue acque cristalline. Abbiamo la fortuna di imbatterci in un gruppetto di mante che ci deliziano con i loro eleganti volteggi intorno alla nostra imbarcazione. Al rientro, approfittando del fatto che siamo a bordo per un breve tratto da soli, mio figlio, opportunamente assistito, ci fa provare il brivido della guida in derapata.

Rientriamo su Kaiteriteri con la sua incantevole spiaggia dorata che abbiamo però la sfortuna di ammirare sotto una pioggia battente che non attutisce comunque un’atmosfera che è più da isole del Pacifico che della Nuova Zelanda.

Come da suggerimento di Lindi, ragazza olandese conosciuta al Tongariro National Park che da alcuni anni vive a Christchurch, decidiamo di puntare verso la costa ovest, direzione Westport.

Un timido raggio di sole ci accoglie al nostro arrivo a Punakaiki laddove abbiamo piacere di visitare le meraviglie realizzate dalla furia della natura a Pancake Rocks. La vista che si offre ai nostri occhi è veramente emozionante con questo intrico di archi, grotte percorsi da zampilli, cascate, ristagni d’acqua che rendono il quadro immacolato come se vi avesse appena nevicato.

Lo sguardo si ipnotizza letteralmente e non può non riaffiorare alla memoria il ricordo dell’istantanea scattata alcuni anni prima nella Great Ocean Road in Australia dove si stagliavano superbi i “12 Apostoli”, spuntoni di roccia che resistono da millenni ai flutti oceanici.

Ci diciamo quanto siamo fortunati a poter presenziare a questi strabilianti spettacoli della natura e fiduciosi di appropinquarci nell’immediato al prossimo, dopo aver costeggiato per alcuni chilometri ancora la selvaggia costa ovest, ci godiamo nel passaggio da una costa all’altra i paesaggi desolati dell’Arthur Pass.

Abbracciamo con lo sguardo la straordinaria vista che si apre a 360 gradi sui picchi innevati, e sui vari corsi d’acqua che fluiscono lungo questi sterminati spazi verdi che sembrava profilati dal pennello di un artista.

Con i polmoni ben ossigenati ci tuffiamo nell’atmosfera cittadina di Christchurch, capitale del Canterbury. La visita della città è al tempo stesso interessante ed emozionante perché è ancora comune vedere passeggiando all’interno del suo centro storico cumuli di macerie che costituiscono l’eredità lasciata dai terribili terremoti del 2010 e del 2011.

Ci hanno tra l’altro spiegato che la rinascita risulterebbe più lenta perché è volontà della comunità locale riutilizzare il più possibile tutti i materiali danneggiati anche nell’ottica di generare occupazione per la gente del posto.

Piacevolmente sorpresi dalle condizioni atmosferiche decisamente favorevoli decidiamo di trascorrere gli ultimi nostri due giorni in Nuova Zelanda a pochi chilometri dalla vitalità urbana di Christchurch ossia ad Akaroa, tranquillo porticciolo della Banks Peninsula.

Con il suo susseguirsi di baie e spiagge tranquille ed appartate che abbiamo modo di costeggiare con una imbarcazione locale, la Banks Peninsula chiude degnamente questi cinque giorni vissuti nella serafica Isola del Sud che ci lascia da un lato il rimpianto di non essersi fatta conoscere in toto ma dall’altro il desiderio di tornare in questa magica terra per una ulteriore visita, chissà!

Un primo segno favorevole del destino fa si che ci imbarchiamo alla volta di Auckland, dove è prevista la connessione intercontinentale per il Canada con un paio d’ore d’anticipo, solo alcuni minuti prima che la terra che ci lasciamo alle spalle torni a tremare in maniera vigorosa per alcuni secondi.

CANADA: 16/08/2013 – 24/08/2013

Tredici ore di traversata transoceanica ci trasportano in un contesto più nordico ed è così che alle ore 15.00 del 16 agosto 2013 sbarchiamo all’aereoporto internazionale di Vancouver.

Vancouver

Vancouver, città costiera della provincia canadese della Columbia Britanica, è costantemente classificata fra le prime tre città più vivibili del mondo e senza sindacare sui parametri che consentono di arrivare a stilare questa graduatoria ci rendiamo conto sin da subito di muoverci in un contesto estremamente gradevole.

Un aspetto di questa piacevolezza è rappresentato anche dall’armonica integrazione di persone di razza e provenienza diversa che rendono questa città il simbolo della multietnicità (ci hanno raccontato che la comunità cinese rappresenta ben il 25% dell’intera popolazione!)

La qualità di vita è anche legata imprescindibilmente a mio modo di vedere ad un profondo rispetto delle regole che si traduce inevitabilmente nel rispetto per la persona ed è così che mi piace riportare il seguente aneddoto. Ho dovuto bontà mia, “accusare” il rimprovero di un pizzaiolo locale al quale per errore avevo dato una mancia troppo abbondante: mi ha restituito tutti i soldi, roba da non credere!

La prima visuale della città ce l’abbiamo passeggiando lungo la baia dove incrociamo una folla estremamente eterogenea composta da manager in giacca e cravatta che hanno la fortuna di consumare il loro break in riva all’oceano, amanti della tintarella, podisti e ciclisti atleticissimi che si godono momenti di relax.

Per dimostrare che anche noi non siamo qui a battere la fiacca decidiamo di noleggiare due tandem con i quali percorriamo in tutta la sua lunghezza lo Stanley Park, ossia il polmone verde della città.

Il giro che si snoda su parecchi chilometri ci consente di apprezzare l’ampiezza della baia e di percepire come mare e montagna si integrino magnificamente senza soluzione di continuità.

La città inoltre dispone di moltissime aree verdi, campi sportivi ed una grande rete di piste ciclabili che permettono ai cittadini ed ai visitatori di godere la città in bici o a piedi.

La vista dal belvedere dell’Harbour Centre Building ci dà la possibilità di apprezzare poi la “city” in tutta la sua profondità e di ammirare lo “Sky Tower” che soprattutto all’imbrunire offre degli scorci veramente suggestivi e ci saluta momentaneamente prima del nostro trasferimento in traghetto all’isola di Vancouver.

Isola di Vancouver

Dopo una piacevole traversata con il ferry arriviamo a Victoria, capitale dell’isola di Vancouver, cittadina gradevolissima che abbiamo il piacere di visitare in una tiepida giornata di sole.

Il clima è sicuramente uno dei punti forti della vita a queste latitudini, dove ci spiegano che la temperatura non scende mai sotto lo zero d’inverno ed anche d’estate non espone la popolazione a picchi fastidiosi di caldo.

La cattiva notizia è che per la prima volta nell’arco della vacanza ci capita di faticare “sette camicie” per trovare un posto dove dormire che quasi miracolosamente arriviamo a localizzare a Nanaimo.

Avendo risalito già per parecchi chilometri la lunghezza dell’isola in direzione nord, decidiamo di puntare direttamente su Tofino, località molto rinomata della costa ovest. Tofino è un po’ la Portofino dell’isola di Vancouver ed in effetti anche i suoi prezzi si propongono come quelli di una località esclusiva. Per ridurre i danni decidiamo di soggiornare nella locanda di una coppia di coreani quanto mai bizzarri che provano a suggerirci gli accorgimenti da prendere per l’avvistamento degli orsi. Purtroppo la tabella delle maree è tale per cui il tentativo che intraprendiamo autonomamente non va a buon fine. Dovremmo riprovarci alzandoci all’alba la mattina seguente per partecipare ad un avvistamento di massa ma la pigrizia ci frena un po’ ed è così che (con un po’ di rammarico) risulteremo tra i pochi turisti che visitando il Canada sono riusciti a non individuare neanche un esemplare di questo imponente mammifero.

Ci rifacciamo risalendo sotto un pioggia battente l’isola fino alla sua punta estrema (Port McNeil) dove ci aspetta il giorno seguente una splendida escursione per l’avvistamento delle balene e soprattutto delle orche di cui esiste una colonia stanziale in questa località.

Lo spettacolo è di quelli che ti lascia a bocca aperta sottolineando la capacità della natura di far scendere la creatura umana dal suo piedestallo. Qui comandano la scena questi enormi e fantastici esseri marini e noi umani ci sentiamo veramente “piccolini”, ipnotizzati in un atteggiamento di sorpresa e di ammirazione rispetto ad un equilibrio così perfetto!

Rientrando mestamente a Vancouver per l’ultimo volo che ci riporterà alle nostre latitudini, dopo un mese fantastico vissuto intensissimamente, mi ritorna alla mente la celebre frase di Mark Twain “Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite”.

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