Tunisia: un viaggio alla scoperta del Mal d’Africa

Dagli affollati souq alla quiete del Sahara, dalla capitale tunisina ai villaggi berberi... un viaggio tutto da scoprire, con intervalli di mare cristallino
Scritto da: IreneL
tunisia: un viaggio alla scoperta del mal d'africa
Partenza il: 31/07/2013
Ritorno il: 14/08/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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D’accordo sulla destinazione, il mio ragazzo ed io abbiamo iniziato una ricca raccolta di informazioni che, secondo il nostro stile, ci hanno portato ad una vacanza completamente auto-organizzata, complice anche un’ottima guida turistica a portata di mano; così abbiamo prenotato volo, su Tunisi-Cartagine, e residence, con un paio di mesi di anticipo sulla partenza, usufruendo di buone offerte low cost. Tramite internet abbiamo anche prenotato un servizio navetta (Holiday Taxis.com) che per 9€ a testa ci ha efficientemente portati dall’aeroporto al nostro Residence ad Hammamet. La struttura che ci ha accolto ed ospitato per tutta la nostra permanenza tunisina si chiama Residence Romane. E’ molto vicina al mare, comoda per il centro di Hammamet (circa 5 minuti in taxi al costo di 4 dinari = 2€) e dotata di giardino e piscina interni, ristorante ed un davvero ottimo rapporto qualità/prezzo.

Al momento del nostro arrivo siamo stati accolti molto gentilmente, con un fresco cocktail di benvenuto, ed accompagnati in camera. La stanza matrimoniale era spaziosa, l’arredamento basic e non troppo curato (ma non era una delle nostre necessità primarie), la vista molto carina con un balcone affacciato sul giardino interno ed annessa piscina; il tutto era dotato di alcuni importanti confort, quali aria condizionata, frigo in camera e cassetta di sicurezza. L’unica cosa un po’ fastidiosa è stata il letto…che in realtà erano due! Messi uno accanto all’altro, restava comunque dello spazio che nelle primissime notti ha causato un po’ di torcicolli, ma poi ci si è fatta l’abitudine.

Al Residence Romane avevamo scelto il servizio mezza pensione che ci ha permesso di usufruire ogni sera di una selezione di piatti del ristorante La Fontana, annesso alla struttura del Residence stesso ed affacciato sulla strada principale. Il cibo era discreto e si poteva scegliere fra piatti tipici (quali Brik, Ojja e Couscous), piatti più internazionali, tra cui una versione tunisina di pizza (il consiglio è di non provare la Margherita, un po’ troppo lontana dal concetto italiano di pizza, ma buttarsi su quelle condite!) e piatti derivanti dall’influsso francese (da non perdere le crepes!). La prima sera abbiamo deciso di iniziare subito a sperimentare il patrimonio culinario locale partendo dal couscous, che, anche se un po’ insipido, ci è piaciuto molto. Ce ne erano due versioni: con pesce o carne; entrambi prevedevano un pesce (orata) o un pezzo di carne (coscia di pollo) interi, che ci sono sembrati freschi e sicuramente molto buoni, anche se un po’ impegnativi da affrontare (soprattutto l’orata, che era da pulire e sfilettare!).

I primi giorni di vacanza sono trascorsi tranquilli, tra mare e piscina, tanto per iniziare ad ambientarci al nuovo clima, molto caldo, ma ventilato, e all’atmosfera coinvolgente e un po’ caotica tipica della cultura araba. Il nostro hotel era un’isola di pace e relax, tanto che a volte dava quasi l’impressione di essere surreale (il mio ragazzo lo definirà qualche giorno dopo uno di quegli hotel “perfetti” da giallo di Agatha Christie!). Per quasi un’intera settimana non è stato al completo ed eravamo letteralmente coccolati dal personale: receptionist che si informava quotidianamente se tutto era di nostro gradimento e ci illustrava gentilmente le varie escursioni disponibili, camerieri sorridenti e cordiali che per rimediare ad un ritardo nel servizio del dessert ce l’hanno portato in camera, signora delle pulizie che decorava il letto (i letti, in realtà) ogni giorno con fiori profumati.

L’hotel era dotato anche di una spiaggetta privata raggiungibile in 5 minuti a piedi, della quale però non abbiamo mai usufruito. Il costo di ombrellone e lettini era di 10 dinari al giorno, ma, subito accanto alla spiaggia privata, il litorale continuava con spiagge libere e tranquille, per cui abbiamo sempre optato per quella soluzione. Il mare era bellissimo, soprattutto di mattina, calmo, trasparente e limpido, con colori meravigliosi. Il fondale era sabbioso con qualche zona rocciosa in cui si poteva scorgere, muniti di maschera od occhialini, qualche pesciolino, specialmente piccole orate e branzini. Infatti, già dalle prime ore in spiaggia, abbiamo notato la presenza tra gli scogli di alcuni pescatori rocamboleschi, intenti a catturare questi pescetti da consegnare poi ai ristoranti della zona (che ce li avrebbero serviti sul couscous per cena!).

Durante questi primissimi giorni di relax il contatto con la “vera vita” l’abbiamo avuto soltanto nel pezzetto di strada che ci portava al mare oppure al cash-point (non presente in hotel), e le sole persone locali con cui ci siamo rapportati sono state quelle presenti in spiaggia. Ci sono voluti un paio di giorni almeno per abituarsi alla loro diversità e loro alla nostra. Soprattutto in spiaggia è facile iniziare a guardarsi attorno un po’ come alieni in un nuovo pianeta e spesso anche i tunisini reagiscono allo stesso modo alla nostra presenza. Ovviamente ciò che più li sconcerta è vedermi in bikini, mentre le loro donne e ragazzine si immergono in mare avvolte nell’ abito tradizionale lungo fino alla caviglia e completo di velo a coprire i capelli. Questa nostra “spudoratezza” nel mostrarci in pubblico ai loro occhi appare provocante, e non è raro che gli uomini cerchino di contrattare con i turisti per acquistare le loro donne. Ovviamente è capitato anche a noi, ma non in spiaggia, dove abbiamo però assistito a numerose proposte a favore di turiste, soprattutto se bionde.

Altra cosa che ci è apparsa subito bizzarra è notare qualche cammello a passeggio sulla spiaggia; il nostro primo pensiero è stato che i loro padroni volessero venderci passeggiate turistiche sul lungomare, mentre invece abbiamo constatato che quelle bestiole giravano cariche di merce non meglio identificata che conducevano da un lato all’altro del litorale.

Durante la prima settimana, abbiamo fatto qualche escursione in giornata, per iniziare ad assaporare appieno il nostro viaggio. Le tappe sono state in ordine Nabeul, Hammamet Yasmine e la Medina di Hammamet.

Nabeul dista pochi kilometri da Hammamet e, su suggerimento del nostro receptionist, abbiamo percorso la distanza a bordo di un taxi, per una spesa di circa 10 dinari (=4,5 €) a viaggio. Il giorno giusto per visitare questo paese è il venerdì, poiché ogni settimana si tiene un tradizionale mercato, all’interno delle mura dell’antico Mercato dei Cammelli. Ciò che viene venduto oggigiorno varia dai souvenir tipici tunisini (oggetti in ceramica, specchi “a porta”, oggetti in legno e pelle,…), agli indumenti tradizionali, piuttosto che, per gli amanti del genere, a serpenti e scorpioni imbalsamati o tartarughe vive. La zona del mercato è molto vasta, e dalla parte opposta rispetto alla porta d’entrata, dovrebbe esserci una zona in cui ancora si commerciano e scambiano cammelli, ma purtroppo noi non siamo riusciti a raggiungerla, anche a causa del caldo africano. Infatti questo mercato ha un difetto per noi turisti non abituati al clima: è completamente scoperto e la visita si svolge totalmente sotto al sole, tra spinte e spintoni di una folla frettolosa e recalcitrante. Per questo motivo la visita a Nabeul è stata l’occasione per fare il nostro primo acquisto: due bei cappelli di paglia, un po’ cowboy style, che ci saranno poi molto utili per proteggerci dal caldo, anche nei giorni seguenti. Inoltre il mercato di Nabeul è molto fornito di un altro souvenir tipico: quadretti dipinti su pelle di cammello ed incorniciati con legno e corde. Per chi intende acquistarne uno (noi l’abbiamo fatto!), il consiglio è di cogliere l’occasione, approfittando qui della varia scelta, che non incontreremo più in nessun altro Souq.

Un paio di giorni dopo l’escursione a Nabeul, abbiamo deciso di cambiare completamente stile e dirigerci ad Hammamet Yasmine: complesso di hotel lussuosi e centri benessere a circa 10 km da Hammamet, costruito interamente a scopo turistico per offrire tutti i confort che un occidentale in vacanza si aspetta. In pratica è come immergersi in un enorme villaggio-vacanze a 5 stelle, in formato città!

Il taxi (10 dinari anche stavolta) ci ha lasciati davanti all’ingresso di Carthageland, un parco divertimenti con giochi acquatici, in cui però abbiamo deciso di non cimentarci, e, dopo una breve passeggiata per le vie centrali, ricche di negozietti molto carini (molto migliori rispetto a quelli a cui eravamo abituati nel circondario del nostro Residence) in cui abbiamo acquistato una decina di cartoline a ben 2 dinari totali (meno di 1 €), ci siamo recati sulla spiaggia per una giornata all’insegna del relax e dell’abbronzatura. Le spiagge di Yasmine non sono strepitose, infatti il mare nel pomeriggio era molto sporco, tanto che non ci siamo nemmeno bagnati. Il pregio di questa zona è di essere molto attrezzata per i turisti: non ci sono spiagge libere, ma solo lidi, molti dei quali hanno locali sulla spiaggia per il pranzo e/o l’aperitivo, con musica e dj; vi sono molteplici punti di partenza per parasailing, moto d’acqua ed escursioni di gruppo in “banana” e passano parecchi venditori ambulanti a proporre oggetti di qualsiasi tipo, anche piantine sradicate (non abbiamo ancora ben capito quale fosse l’utilizzo previsto, né come gli acquirenti stranieri intendessero riportarle nei loro paesi d’origine!). Ovviamente questi “lussi” hanno un prezzo ed infatti un ombrellone a Yasmine ci è costato ben 20 dinari!

Dopo una giornata in spiaggia ed essendo un po’ più scuretti (soprattutto io, il mio ragazzo aveva il colorito di un pomodoro maturo!), siamo tornati sulla via principale, dove abbiamo fatto il nostro primo incontro con la pasticceria tipica tunisina, avvenimento che ha compromesso seriamente l’equilibrio alimentare della vacanza. I nostri preferiti erano i makroud, biscotti di semola ripieni con datteri o fichi, e la versione locale di baklava, più ricca di nocciole rispetto a quella turca, che avevamo assaggiato ad Istanbul, ed un po’ meno zuccherosa, ma, in realtà, non abbiamo disdegnato nessuno dei pasticcini assaggiati. Abbiamo fatto un po’ di scorta da portare con noi in hotel per addolcire i pranzi dei giorni seguenti, e, belli soddisfatti, siamo saliti su un taxi per il rientro ad Hammamet.

Pensando di visitare la Medina di Hammamet e dopo l’accaldante esperienza di Nabeul, abbiamo pensato di dirigersi verso la nostra meta di prima mattina…sbagliando! Infatti, appena varcata la soglia di una delle porte della Medina, ci siamo subito resi conto di essere decisamente in anticipo e la maggior parte dei negozietti era ancora chiusa. Nello stesso tempo abbiamo scoperto con piacere che la Medina di Hammamet è circondata da mura molto spesse, che mantengono la temperatura interna piacevole, e buona parte dei Souq è ombreggiata. Incoraggiati dal clima più favorevole e da un paio d’ore da attendere prima dell’apertura di tutti gli shop, abbiamo visitato il forte interno della Medina stessa, che ci ha regalato un’ottima vista panoramica, e sul golfo di Hammamet, e sull’intrigo di viuzze che compone il labirinto di Souq della Medina stessa. Scesi dal forte, Ribat in arabo, abbiamo visitato la piccola Moschea della Medina, ma solo esternamente, poiché era periodo di Ramadan e vi potevano entrare solo i fedeli. Abbiamo poi deciso di concederci una pausa rinfrescante in un caffè subito fuori le mura, a base di Bogà, bibita gassata al limone, simile alla Sprite. Giunti circa alle 11 di mattina, siamo rientrati agguerriti nella Medina, pronti a fare acquisti e soprattutto preparati all’estenuante contrattazione che ci aspettava. Con tutti, o quasi, i negozi aperti, l’aria era molto più chiassosa ed abbiamo impiegato qualche minuto a fare l’abitudine alle voci dei venditori che cercavano in tutti i modi di trascinarci letteralmente all’interno dei loro locali per acquistare qualsiasi oggetto. Uno degli espedienti più utilizzati era di fermare i turisti per chiedere loro quanto costasse una merce particolare in Europa; lo ammetto, ci siamo cascati anche noi ed un signore baffuto è riuscito a farci entrare nel suo negozietto lasciandoci poi soli per almeno 10 minuti (con la più totale fiducia che non fossimo dei ladri!) affermando, in un italiano stentato: “Guardare con calma, e non avere paura, qui noi non mangiare nessuno, esserci Ramadan”. Non abbiamo comprato nulla da quel signore, ma si è guadagnato definitivamente la nostra stima!

Dopo circa un’ora di acquisti siamo usciti dalla Medina con: posacenere di ceramica tradizionale (non fumiamo, ma ci piaceva), mattonella di ceramica (da usare come sottopentola) e braccialetto di argento berbero con incisione in arabo. La sosta rinfrescante stavolta è stata a base di gelato al Cafè Sidi Bou Hidid, locale molto carino dallo spiccato gusto marittimo proprio fuori le mura della Medina, e con una splendida vista sul mare; poi è giunto il momento di rientrare in hotel.

Queste brevi visite dei primi giorni ci hanno fatto innamorare della caotica, ma calorosa atmosfera araba e ci siamo sentiti definitivamente pronti per la perla delle escursioni che avevamo in programma: i due giorni nel deserto. Abbiamo prenotato presso la nostra reception, per un costo di circa 100 € a testa, comprensivi di pernottamento e pasti, e la mattina seguente siamo partiti per questa avventura alle ore 5:45.

Che sarebbe stata un’esperienza meravigliosa era chiaro fin dall’inizio; o meglio da quando, scesi ancora un po’ assonnati per raccattare cibo dal buffet della prima colazione, Kaiss (spero sia scritto correttamente), il cameriere del turno di notte, ci ha regalato due mazzetti di Yasmine, in segno di buon auspicio. Questi fiori tradizionali vengono staccati dalla pianta ed uno ad uno infilati in fili d’erba robusti, legati fra di loro, formando così un mazzolino allungato veramente singolare. Col loro profumo inebriante tutt’attorno, siamo saliti sul pullman ed abbiamo dormito un’oretta, il tempo di fare il giro degli altri hotel da cui caricare tutti i partecipanti all’escursione. Al nostro risveglio abbiamo piacevolmente scoperto che tutti i nostri compagni d’avventura erano inglesi o americani e potevamo quindi parlare e spettegolare in assoluta libertà; cavandocela bene con l’inglese, non abbiamo avuto problemi a capire la guida, Adel, e tutte le spiegazioni che ci ha fornito.

prima tappa: El Jem

In questo villaggio abbiamo visitato il Colosseo romano, il più grande e meglio conservato della Provincia d’Africa e il secondo più importante dopo quello di Roma. Il tempo destinato a questa visita era di circa un’ora, quindi ci siamo velocemente arrampicati sulle gradinate per raggiungere le arcate più alte, e, altrettanto velocemente ci siamo immersi nei sotterranei, luogo dove si trovavano le celle in cui erano rinchiusi bestie feroci, schiavi e gladiatori. La giornata era meravigliosa e perfetta per le nostre foto, ma molto presto siamo dovuti ripartire. Nonostante per noi italiani non fosse la prima volta che entravamo in contatto con edifici antichi dalle dimensioni gloriose, questo anfiteatro ci ha sorpreso, soprattutto per la posizione in cui si trovava, a 40 km dalla costa, punto da cui venivano trasportati i blocchi di pietra necessari alla costruzione, e per il clima, caldo al punto da rendere impossibile l’idea di poter costruire qualcosa in quel luogo.

Ripartiti per la prossima meta, ed un po’ più svegli che durante il tragitto precedente, abbiamo avuto modo di osservare il paesaggio che stavamo attraversando a tutta velocità a bordo del nostro pullman. Eravamo letteralmente circondati da distese di ulivi. A volte compariva qualche cactus o mandorlo a spezzare la verde monotonia delle piante di ulivo, ma esse mantenevano comunque il dominio assoluto. Questo è il segnale che la zona in cui ci trovavamo era ancora fertile; il deserto avrebbe dovuto attendere ancora molte miglia. Adel ci ha fornito anche un po’ di numeri: la Tunisia è il secondo paese al mondo per numero di piante d’ulivo sul territorio, dopo la Spagna, e il quarto per la produzione di olive, dopo Spagna, Italia e Grecia.

Un’altra caratteristica delle distese di terre che abbiamo attraversato è stata la presenza di sole abitazioni in costruzione, praticamente non si è vista una casa terminata, anzi spesso sono state costruite soltanto bianche mura di cinta con porta d’accesso. Vedendoci un po’ sconcertati, Adel ci ha spiegato che è frequente in Tunisia, poiché molte persone, causa la loro povertà, si costruiscono la casa da soli, utilizzando le risorse economiche che hanno a disposizione in quel momento; se i soldi non bastano a finire l’edificio non importa, loro iniziano e continueranno una volta che avranno le finanze per poterlo fare. Inoltre, anche chi termina la costruzione, lascia spuntare dal tetto i ferri dei muri portanti, in modo da poter facilmente alzare di un piano l’edificio, in futuro.

Dopo qualche ora di viaggio notiamo che gli ulivi iniziano a diradarsi fino ad arrendersi ad un paesaggio completamente desolato. Non siamo ancora nel deserto vero e proprio, ma in una distesa infinita di terra in cui fa capolino ogni tanto qualche ciuffetto d’erba secca, il Grande Erg Orientale. Un paesaggio surreale, lunare: siamo a Matmata. Ed è facile capire perché i registi di Star Wars abbiano deciso di ambientare proprio in questa zona il set delle loro riprese. La cosa più sconvolgente è stata vedere spuntare, in mezzo a tutto quel nulla, un’antenna televisiva e rendersi conto che lì sotto, letteralmente scavati nella roccia, abitavano delle persone, i berberi. Abbiamo visitato una di questa abitazioni, che definirei meglio come grotte, accolti da una gentile signora in abito tradizionale, che stava macinando la farina fra due pesantissime pietre.

Ancora un po’ allibiti dalla scoperta di quelle abitazioni perfettamente mimetizzate nel loro habitat, siamo giunti in orario di pranzo al Sidi Driss Hotel, anch’esso scavato nella roccia, teatro di alcune scene di Star Wars, dove il set cinematografico è stato conservato integralmente.

Il pomeriggio trascorre in autobus fino a Douz, la Porta del Sahara, così definita perché posizionata sul confine nord del deserto del Sahara. Ad attenderci una delle esperienze più incredibili della vacanza: la passeggiata a bordo di cammello al tramonto! In modo un po’ kitsch, ci hanno fatto indossare i tradizionali abiti beduini, con annesso copricapo, ma poco ci importava: non vedevamo l’ora di salire a bordo del nostro nuovo mezzo di trasporto. Il mio ragazzo, abituato ad andare a cavallo, si sentiva molto più a suo agio di me, che invece ho avuto qualche difficoltà a gestire l’altezza spropositata del mio cammello (il più alto del gruppo) e il suo moto ondeggiante. Superati i primi passi, però, siamo entrati in sintonia e, soprattutto, lo spettacolare paesaggio che avevamo di fronte ha catturato tutte le mie attenzioni. Le dune di sabbia a protendersi fino all’orizzonte cambiavano colore col passare dei minuti e si dipingevano di un giallo scuro sempre più intenso e forte, che quasi diventava arancione nei confini di terra che sfioravano il sole, ormai una sfera luminosa, circondata da un’aurea rosa intenso. Sicuramente il più bel tramonto mai visto, violento e accecante, ma da cui non si riusciva a distogliere lo sguardo.

Il giorno seguente la sveglia è alle 4, partenza dall’hotel alle 4:45, prima tappa Chott El-Jerid.

Questo lago di sale è una distesa incredibile che si estende dal confine settentrionale del deserto fino a Chebika. A vederla dall’autobus sembrava semplicemente terra, quando invece scendendo per esplorare il terreno, abbiamo capito che si trattava di qualcosa di molto più speciale. Quella terra era letteralmente impregnata di sale e bastava rovesciarci sopra un goccio d’acqua per vedere la parte bagnata diventare completamente bianca! Anche solo camminarci sopra dava una stranissima sensazione, perché sembrava che il terreno calpestato si crepasse un pochino, e veniva quasi spontaneo procedere in punta di piedi. Abbiamo visto qualche immagine di Chott EL-Jerid scattata d’inverno, appena bagnato dalla pioggia, e si presentava come un tappeto bianco a perdita d’occhio, che, se non avessimo saputo cosa fosse, avremmo definito facilmente neve.

Proseguendo ancora un po’ siamo giunti nel luogo di appuntamento con il nostro prossimo autista che ci ha caricato sulla sua 4×4 per un Safari nel deserto. Il signore in questione aveva una guida molto sportiva e voleva proprio farci divertire…in pratica è stato come andare sulle montagne russe, circondati però da una distesa infinita di sabbia. Sembrava veramente di essere immersi nel nulla, persi direi! Ogni tanto si vedevano dei pali della luce e pareva così strano che più di una volta ci è venuto da chiederci come ci fossero finiti lì o chi li avesse potuti portare.

A bordo della 4×4 e continuando a saltare su e giù per le dune, abbiamo raggiunto un altro set di Guerre Stellari e, dopo una breve pausa, abbiamo proseguito il viaggio verso l’oasi di Chebika. E’ stato stranissimo notare, dapprima in lontananza, questa macchia verde nel mezzo di una distesa di sabbia e sullo sfondo i monti dell’Atlante, nuovamente brulli e aridi. Con la nostra autovettura siamo poi entrati fin dentro l’oasi, e la cosa incredibile è stata che siamo passati dalla desolazione alla vegetazione più rigogliosa e verdeggiante nell’arco di un solo centimetro; esiste un confine ben definito tra deserto e oasi, e attraversare quella linea significa passare dal giallo al verde, dalla sabbia alla terra, dal sole all’ombra. La vegetazione che cresce in questa zona è dominata dalle palme da dattero, più basse e tozze di quelle che vediamo in Italia, e con le foglie rivolte molto di più verso il basso. In Tunisia si dice che le palme abbiano i piedi in paradiso e la testa all’inferno, ed abbiamo capito il perché!

Salendo sul pendio su cui si estende l’oasi, abbiamo poi raggiunto anche una piccola cascata d’acqua di 3 metri. È stato spettacolare vedere l’acqua, e non era un miraggio! Ci è sembrato veramente di essere nei giardini dell’Eden.

E con questa immagine paradisiaca in mente abbiamo ripreso un lungo viaggio di ritorno fino ad Hammamet.

Di nuovo al nostro residence, abbiamo deciso che negli ultimi quattro giorni disponibili rimasti volevamo visitare ancora alcune mete, per cui abbiamo prenotato un’auto a nostra disposizione per un’intera giornata, destinazione Tunisi, Cartagine e Sidi Bou Said.

Tunisi, la capitale, ci è apparsa avere un aspetto piuttosto curato, entrando nel centro cittadino. Il nostro autista, Adel (pare essere un nome molto diffuso!), ci ha spiegato che il viale principale che porta dall’Obelisco alla Porte De France viene soprannominato “Champs Elisee” di Tunisi, ed è questo il viale principale in cui si è svolta la rivoluzione araba del 2011 e dove si trova l’Ambasciata francese. Adel ci ha lasciato proprio davanti alla Cattedrale di Tunisi (sì, una cattedrale cristiana!) ed a piedi abbiamo raggiunto l’ingresso alla Medina. Anche qui purtroppo siamo stati visitatori troppo mattutini e la maggior parte dei bazar erano ancora chiusi. Questo però non ci ha impedito di notare che la Medina di Tunisi è veramente molto grande ed è divisa in numerosi Souq che vendono prodotti molto diversi. Nonostante i mercati siano stati condizionati dall’avvento di souvenir turistici e mercanzia di bassa qualità e povero gusto, si riescono ancora a distinguere i Souq degli orafi, dei profumieri, dei mercati di stoffe, … Inoltre la Medina di Tunisi è in alcuni punti letteralmente sommersa dagli edifici che ne compongono le strette viuzze, tanto che dà quasi l’impressione, a chi si avventura, di essere sottoterra. Vi sono addirittura degli archi in muratura anticamente costruiti proprio per garantire il passaggio ai cammelli con pieno carico.

Stavolta siamo usciti dalla Medina quasi indenni da spese ed acquisti selvaggi, fatta eccezione per qualche makroud di pasticceria artigianale, che ci avrebbero garantito il giusto apporto nutrizionale per quella giornata.

Raggiungere Cartagine da Tunisi comporta il passaggio su una strada decisamente bizzarra: sia a destra che a sinistra ci si trova il Mar Mediterraneo. Non si tratta però di un ponte, come si potrebbe pensare, ma bensì di uno strettissimo corridoio di terra emersa, quasi come fosse una lunga e stretta isola, sulla quale riesce a passare a mala pena una strada a senso unico.

Arrivati a Cartagine impariamo che i siti archeologici interessanti da vedere sono più di uno, dislocati ad una certa distanza uno dall’altro, alcuni, però, conservati in pessimo stato. Per questo motivo non li abbiamo visitati proprio tutti, ma solo i principali.

La prima tappa è stata il Tophet, uno grande spiazzo sacro dove si svolgevano i sacrifici dedicati agli dei, di cui spesso i bambini ne erano vittime. Attualmente rimangono solo molte steli funerarie in un giardino verdeggiante e sembra di camminare in un piccolo cimitero, dove l’atmosfera ci ha imposto un dovuto silenzio e rispetto.

Grazie al nostro autista gli spostamenti sono stati veloci e non ci hanno richiesto nessuna fatica, ed in pochi minuti abbiamo raggiunto il porto di Cartagine. Dell’antico porto militare non è rimasto nulla, se non la forma circolare con al centro un isolotto, dove vi era il comando. Poco dopo, però, all’entrata per le Terme di Antonino, abbiamo notato delle illustrazioni didattiche che ci mostravano un prospetto del medesimo porto nell’epoca di suo massimo splendore, quando poteva contenere fino a 200 navi, tutte nascoste alla vista di chi arrivava dal mare.

Il complesso che ci ha impressionato di più è stato sicuramente quello delle Terme di Antonino. Lo stato di conservazione non è dei migliori, ed infatti si possono vedere (e si ci può avventurare!) soltanto i sotterranei delle terme, dove si trovavano gli spogliatoi, e un’enorme colonna facente parte del porticato d’ingresso. Ma questo è sufficiente per rendere chiaramente l’idea delle proporzioni gigantesche che il complesso doveva assumere in origine; ed inoltre è stata un’ulteriore prova del grandissimo gusto estetico degli antichi. L’ultima area del complesso erano le piscine, che si affacciavano direttamente su uno strapiombo sul mare, e non è stato difficile poter immaginare di quale meravigliosa vista mozzafiato si sarebbe potuto godere qualche secolo fa.

L’ultima tappa Cartaginese è stata la Città di Byrsa, una delle sette colline, i cui insediamenti facevano parte delle grande Cartagine. Questa città è legata alla leggenda della Regina Didone, che si dice abbia chiesto agli abitanti del luogo il terreno contenuto in una pelle di vacca, per poi ritagliarne piccole strisce, e circondarvi l’intera collina di Byrsa. In questo sito è possibile godere di un’altra suggestiva vista panoramica sul porto, prima del quale si possono vedere le fondamenta degli insediamenti punici, caratterizzati da piccoli negozi artigianali affacciati sull’antica strada principale, dietro ai quali vi era l’abitazione dei proprietari.

All’interno dello stesso sito vi è anche il piccolo Museo di Cartagine, contenente qualche mosaico (uno a pavimento molto grande) e alcuni ritrovamenti archeologici della zona, tra cui due sarcofagi.

È giunto per noi il momento di dirigersi verso Sidi Bou Said, un piccolo villaggio dai suggestivi colori bianco e blu, di cui sono dipinti tutti gli edifici e le abitazioni. Prima di raggiungere il centro del paesino, attraversiamo una zona residenziale molto lussuosa, al confine tra Cartagine e Sidi Bou Said, dove, Adel ci spiega, abita la classe ricca della popolazione tunisina, spesso politici, e dove vi è anche la residenza estiva del Presidente.

Sidi Bou Said è un paese arrampicato su una collina. Attraversarlo è molto veloce. Non vi sono siti archeologici, ma regala scorci spettacolari a strapiombo sul mare cristallino e ha un’atmosfera molto romantica ed accogliente, simile a quella delle isole greche. Caratteristica della Tunisia sono le porte! Innanzitutto esse riflettono la tradizione araba, per cui all’interno di una grande porta d’accesso alle abitazioni, vi sono in realtà intagliate due o tre porte: una per gli uomini, una per le donne e una terza più piccola, opzionale, per i bambini. Inoltre queste porte differiscono di città in città per colori e decorazione, cosicché ciascuna città ha la sua porta tipica. La più famosa è quella di Sidi Bou Said, dal forte colore turchese, con un cornicione a righe bianche e nere. A Sidi Bou Said è anche possibile entrare in alcune delle abitazioni, conservate secondo l’antica tradizione.

Terminata la passeggiata bianca e blu, siamo tornati verso Hammamet, dove la nostra tranquilla vita marittima ci ha accolto con affetto per gli ultimissimi giorni.

L’unica ulteriore escursione che ci siamo concessi è stata una scappata alla Medina di Hammamet per il tramonto. E abbiamo scoperto una città che pullula di vita, molto più che di giorno. Avevamo notato questa differenza tra giorno e notte anche in altre località della Tunisia, soprattutto nei villaggi del sud, ai confini col deserto, in cui alle 3 di notte barbieri e negozi erano in piena attività, con le strade piene di gente, mentre dopo le dieci di mattina non si vedeva più anima viva. Questi popoli hanno un po’ lo spirito dei pipistrelli, vivono la notte, non per i divertimenti notturni, ma per adattarsi al clima torrido africano.

Il centro di Hammamet si è riempito di odori e voci, bancarelle per le strade, pannocchie di mais ad ogni angolo e bambini che giocano a pallone. Non è stato difficile incontrare individui che si sono spacciati per ex-lavoranti del nostro hotel e volevano trascinarci nel negozio di loro cugino, fratello o nonno, ma ormai abituati a questi espedienti arabeggianti, non ci abbiamo nemmeno badato. Affascinati, invece, dall’atmosfera vivace che ci circondava, abbiamo deciso di cenare al Restò La Plage, un ristorante proprio sulla spiaggia, che ci ha regalato un meraviglioso punto di osservazione per il tramonto sul mare. Il cibo era molto buono, soprattutto quello a base di pesce, e, nonostante avessimo l’impressione di essere in un ristorante di lusso, abbiamo speso in due l’equivalente di 30 €!

L’ultimo giorno in spiaggia ci ha lasciato il ricordo sorridente di una banda di ragazzini tunisini, di massimo 13-14 anni, che volevano comprare un mio bacetto (con annessa foto-ricordo per immortalare l’evento), al prezzo di 1 dinaro! Dopo una buona mezz’ora di contrattazioni in francese tra la banda ed il mio ragazzo, l’avevano spuntata con un appuntamento per il giorno seguente, equipaggiati di soldini e macchina fotografica. Peccato che, all’orario stabilito, noi ci trovavamo già in Italia, afflitti da un notevole Mal d’Africa.

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Cammelli

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El Jem

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I Berberi di Matmata

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Deserto

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Oasi di Chebika

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Cartagine, Cittàdi Byrsa

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Sahara

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Chott El-Jerid

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Safari

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Golfo di Hammamet



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