Indonesia on the road

Il viaggio ci ha portati da Yogyakarta (Java) a Bali. Lungo la strada abbiamo visitato tantissimi posti fantastici
Scritto da: Franz_Zena
indonesia on the road
Partenza il: 18/08/2010
Ritorno il: 02/09/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Periodo di viaggio: Agosto 2010

Prezzo: 1500 Euro

Giorni: 15

Il viaggio che sto per raccontarvi si è svolto più di un anno fa, ma non avendo avuto modo di pubblicare il diario di viaggio prima, lo faccio imperdonabilmente solo ora.

Tutto è iniziato quando il capo, in un assolato pomeriggio di metà luglio, mi dice “Fra, devi fare le ferie…” un attimo di pausa che è sembrato durare 45 minuti, passati tutti più o meno in apnea, per poi continuare “…ad Agosto”. Ecco, se mi avesse detto “Fra, devi… …scrivere un rapporto di 150 pagine” o “Fra, devi… …imparare il cinese per tradurmi il manuale del mio rasoio elettrico” sarebbe stato meglio. Io sono un fanatico delle vacanze in “Low Season”, e adoro viaggiare in primavera o autunno, e quindi, prendere le ferie ad agosto non è il mio massimo.

Così, questa volta con Lula, la mia compagna di viaggio, ho iniziato a pensare dove andare, una meta oltre confine, possibilmente dove la temperatura media non sia costantemente oltre i 40 gradi o dove non siano in corso uragani, tifoni, piogge monsoniche o guerre civili… alla fine abbiamo scelto l’Indonesia.

Abbiamo acquistato i voli, ci siamo procurati una Lonely e ci siamo messi a scegliere quali destinazioni visitare in quei 15 giorni indonesiani.

Una nota sui voli: quelli diretti, visto che non mancava molto alla partenza, avevano prezzi esagerati, così, risparmiando un bel po’, abbiamo preso un volo su Bangkok per poi proseguire in Indonesia. E qui inizia il nostro viaggio. Buona lettura!

Milano-Yogyakarta

Siamo partiti da Milano alle 17.00 del 18 Agosto 2010. Il volo ha lasciato Malpensa alla volta di Copenhagen. Qui, l’aeroporto, che mi aspettavo fosse uno scalo internazionale, magari intercontinentale, e quindi grosso e trafficato, si è rivelato un aeroporto in miniatura… un diorama! Per lunghi attimi ho avuto paura di romperlo ad infilarci gli zaini dentro. Scherzi a parte, l’aeroporto è piccolo, efficiente, pulito e tranquillo. Qui c’era un solo negozio che forniva un po’ tutto quello che si vende al Duty Free, ma il reparto “caffetteria” era demandato ad alcune vending machines. Quindi, dopo non aver preso caffè ed essendosi inventati svariati modi di ingannare il tempo, come gare di carrelli giù per i corridoi deserti, siamo partiti alla volta di Bangkok con volo SAS.

Il volo è stato piacevole e siamo atterrati in perfetto orario, ma poi abbiamo dovuto aspettare molto prima di prendere il volo successivo per Jakarta. Nel frattempo, mi sono goduto questi pochi attimi della mia adorata Thailandia. Una breve passeggiata fuori dall’aeroporto, un caffè al Black Canyon Coffee e poi, una volta fatto il check in, ci siamo concessi nella zona Duty Free un bel piatto di Pad Thai ai gamberetti con succo di Anguria.

Il volo della Air Asia è stato perfetto e preciso. Come da manuale, gli spuntini erano a pagamento, ma conoscendo già il mondo delle Low Cost, mi sono portato nello zaino degli snack. Arrivati a Jakarta abbiamo affrontato il primo assaggio di Indonesia. Infatti, pianificando il viaggio, avevamo deciso di evitare Jakarta e dirigerci subito a Yogyakarta, ma per farlo avremmo dovuto prendere un volo la mattina successiva. Visto che siamo sbarcati alle 23.45 circa ed il check-in sarebbe stato attorno le 4.30, abbiamo deciso di passare la notte in aeroporto.

Prima cosa, una volta presi i bagagli non abbiamo visto le indicazioni per il pagamento del visto, quindi siamo arrivati al controllo dei passaporti credendo di poterlo fare allo stesso bancone come succede in tanti altri paesi, ma siamo stati rispediti indietro a fare un’altra coda. Fatto il visto siamo stati trattenuti al controllo passaporti per un interrogatorio. Per me c’è stato l’insormontabile problema che il mio poliziotto era convinto che Genova e Ginevra fossero la stessa città ed io sarei dovuto essere svizzero, ma avevo, stranamente, un passaporto italiano, con una città svizzera sopra… Invece Lula, essendo lombarda è stata interrogata sulla futura campagna acquisti dell’Inter. Poliziotti annoiati che vogliono rifarsi sui turisti e turisti stanchi che vogliono uscire non è un bel mix…hanno messo a dura prova la nostra pazienza!

Se esiste una sola occasione per lasciare la prima impressione, bene, il popolo indonesiano se l’è bruciata!

Siamo stati ammessi in Indonesia all’alba delle 00.30 passate. A questo punto, scavalcando tassisti che dormivano in aeroporto, siamo usciti. E qui il delirio! Da una parte non trovavamo indicazioni sul nostro prossimo volo e nessuno era in grado di darci informazioni, dall’altra eravamo assediati da tassisti che ci strattonavano e gridavano incavolati per farci salire sule loro auto. Per fortuna abbiamo incontrato quella che sembrava la versione giovanile di Mr. Corrodile Dundee il quale era anche lui alla ricerca del gate di un volo che, per puro caso, avevo visto poco prima, mentre lui aveva visto il mio e mi ha detto che avrei dovuto lasciare questo terminal e andare al terminal 3, a distanza di passeggiata. A distanza di passeggiata? E’ un concetto un pò relativo… Del tipo: seconda stella a destra poi dritto fino al mattino (Peter Pan docet)? O del tipo: secondo incrocio, rampa a sinistra e dritto fino al cavalcavia dove lancerai lo zaino giù per un dirupo e quindi attraverserai un parcheggio? La risposta corretta è la B.

Ci siamo fatti avanti fino alla fine del terminal cercando di scrollarci di dosso i tassisti che ci chiedevano un sacco di soldi per andare all’altro terminal, e noi imperterriti abbiamo proseguito per la nostra strada a piedi rischiando di venire investiti molteplici volte dai tassisti che ci tagliavano la strada schivandoci di pochi centimetri o proprio puntandoci per fermarsi un attimo prima di investirci. Tutto questo per obbligarci a salire sui loro mezzi. Ma noi siamo testardi e più veniamo affrontati, più ci intestardivamo, e tra una spinta e una zainata, siamo arrivati fino alla strada dove i tassisti non potevano entrare in quanto contromano (la rampa a sinistra). Salvati dalla viabilità! Come aveva detto il giovane australiano, ci abbiamo messo poco ad arrivare a piedi, ed avevamo ancora svariate ore di attesa, ma l’aeroporto era chiuso e quindi ci siamo accampati per una notte insonne su una panchina. Poi, all’alba, in concomitanza dell’arrivo di alcuni piccoli pullman, l’aeroporto ha aperto i battenti e siamo entrati.

Il volo per Yogyakarta è stato fantastico. Il panorama era intervallato da aree limpide e zone di nubi dalle quali svettavano le cime di diversi vulcani, alcuni dei quali fumanti! Era bellissimo!

A Yogyakarta avevamo due opzioni per il mezzo di trasporto verso il centro: contrattare con qualche tassista già assediato da orde di turisti o prendere il treno locale ad un prezzo infinitesimale di quanto chiesto dai tassisti. Neanche a dirlo, poco dopo avevamo già fatto il biglietto ed aspettavamo il treno.

A me piace prendere i mezzi di trasporto locali e mischiarmi tra la gente. In genere prendo mezzi di trasporto privato quando non ne posso fare a meno. Questa si è rivelata una scelta azzeccata, sia perché il treno era ventilato sia perché il nostro albergo era vicino la stazione e quindi, una volta scesi dal treno ci siamo trovati quasi davanti all’albergo.

Una volta fatto il check-in nel bellissimo albergo Istana Batik, che aveva un graziosissimo cortile interno con piscina, siamo entrati nella nostra spartanissima camera e per un attimo ci siamo seduti sul letto, era metà mattina del 20 Agosto. La matematica diceva che ci eravamo fatti quasi 40 ore di viaggio, ma con il fuso orario scendevamo a circa 30, una gran bella tirata!

Senza aspettare altro tempo, dopo una breve nuotata in piscina, abbiamo fatto gli zaini piccoli e siamo subito partiti per un tour della cittadina.

Yogyakarta, onestamente, non è quella gran bellezza. Il centro città è tutto attorno Jalan Malioboro e ai lati stradine graziose addobbate dalle tipiche bandierine indonesiane si alternavano a vicoli per nulla accattivanti. Gli edifici sono decadenti e sotto un porticato sul lato destro della strada si snoda un mercatino di cianfrusaglie a prezzi troppo alti per essere il Sud Est Asiatico. Prima tappa, seguendo i consigli della Lonely, è stato l’Ente Turismo Statale dove abbiamo prenotato un tour ai siti archeologici per il giorno successivo ed il pullman che da Yogyakarta ci avrebbe portati prima al Monte Bromo e poi a Kuta, Bali.

Soddisfatti di aver già prenotato gli spostamenti dei giorni successivi, ci siamo diretti giù per Jalan Malioboro per visitare, prima il Kraton, cioè il palazzo del sultano, che sfortunatamente era chiuso e poi il Taman Sari. Questo, conosciuto anche come il Palazzo dell’Acqua è un edificio di pietra candida con all’interno diverse piscine. La tradizione vuole che alcune di queste piscine fossero riservate alle mogli e alle concubine del sultano, mentre il sultano aveva sia una piscina privata che una stanza in una sorta di torre da dove poteva scrutare le sue dame.

Il palazzo di per se è molto bello, è elaborato ed ispira fantasie su come sarebbe potuto essere nei suoi tempi d’oro. Oggi, l’acqua torbida delle vasche che vira da un verde smeraldo opaco al verde più brillante della tempera non ispira un bagno, nemmeno in una giornata calda come quella e col riverbero del sole sulla pietra bianca. E poi cos’erano quelle cosine scure che si muovevano? Larve di zanzara… Cavoli, non mi sono portato il repellente… E’ stato quindi molto più piacevole appollaiarsi nella camera dove si rifugiava il sultano; lì c’era ombra ed un piacevole fresco. Furbo il sultano!

Dal palazzo, grazie ad alcuni ragazzi che ci hanno fatto vedere una porta laterale, ci siamo trovati in un quartiere popolare: case di indonesiani, popolate da indonesiani in terra indonesiana. Finalmente non vedevo facce di turisti vicino, a parte Lula, ovviamente. A questo punto è iniziata una gara: quando eravamo nel palazzo ho sentito la guida di un gruppo di turisti dire che sarebbero andati alla Masjid Bawah Tanah o Moschea Sotterranea; questa era anche la nostra destinazione ed è iniziata la gara. Saremmo riusciti noi armati di cartina e sorrisi a farci strada nel dedalo di vicoli ed arrivare prima del gruppo di turisti? Siamo partiti a passo veloce dalla porticina al lato del palazzo. I vicoli si aprivano su scorci di vita quotidiana e piazzette davvero belle e toccanti, i bambini indonesiani ci circondavano e posavano per la macchina fotografica di Lula, mentre col mio inglese, i sorrisi, la mappa e la gestualità tipicamente italiana estorcevo indicazioni agli stessi bambini. In breve ci siamo trovati davanti alla moschea, che però sembrava chiusa, ma poi, grazie ad altre indicazioni, passando per quello che sembrava un giardino e su delle scale che portavano sul tetto di una casa, siamo arrivati all’ingresso vero. Eravamo soli, eravamo i primi!

La moschea è circolare ed è su due piani, con una serie di scale al centro. Se non fosse stata un luogo culto, avrei detto che sarebbe potuta essere l’ambientazione per la casa di qualche elfo o creatura di un libro di Tolkien.

Eravamo liberi di scorrazzare, fotografare, posare e dire cavolate, quando poi abbiamo sentito delle voci… Erano gli altri turisti che erano arrivati con un ritardo ciclopico. No, nessuna guida può competere coi ragazzini Yogyakartesi! La moschea non è grande ed in breve è arrivato il momento per la prossima tappa, il mercato degli uccelli.

Quando siamo usciti dalla moschea ci siamo fatti strada fino a quella che poteva essere Jalan Taman e qui, complice il caldo e le ore senza sonno, abbiamo ceduto alle insistenze di un portatore di Bechak, che sarebbe un rickshaw a pedali. Al prezzo di 6 Euro, 3 per l’andata e 3 per il ritorno, ci siamo fatti portare al mercato degli uccelli. Il vecchietto che spingeva il Bechack credo che ci abbia maledetti per quel percorso sotto il sole ed in mezzo a quel traffico.

Il mercato degli uccelli è un’area dove si vende ogni tipo di uccello, a partire dal pollame per passare attraverso i canarini per arrivare ad uccelli stranissimi e pipistrelli. Una menzione d’onore era per i galli destinati al combattimento. Io trovo che sia una tradizione, se così si può definire, semplicemente crudele, ma gli esemplari erano davvero bellissimi. Poi, altra nota un po’ triste, è la tradizione di colorare i pulcini: un po’ ovunque nel mercato si trovano gabbiette con pulcini tinti di colori vivaci, da un giallo fluorescente a fucsia al verde e blu. Dicono che portino fortuna al padrone, ma non so se vale lo stesso per l’animaletto. Fosse stato per me, li avrei comprati tutti e portati nel pollaio di mio zio, convinto animalista, che avrebbe garantito loro una lunga vita da pascià avicoli.

Fatte le foto di rito ai coloratissimi uccelli siamo tornati a Malioboro Street dalla quale abbiamo preso una via per arrivare al fiume; all’inizio del ponte, proprio dove iniziava il parapetto, si apriva davanti a noi un’area fitta di piccole case e baracche. Di tanto in tanto, col tramonto che stava lentamente calando, si sentivano cantare dei galli. Qui i galli sono ovunque in quanto oltre essere una fonte di sostentamento, sono anche parte del già citato sport nazionale Indonesiano: i combattimenti di galli. Credo che il canto del gallo assieme alla danza Kechak di Bali potrebbero essere, per me, la colonna sonora di questo viaggio.

Siamo entrati nel dedalo di baracche tra la gente che stava lavorando in casa: chi riparava qualcosa, chi cucinava e chi semplicemente era sdraiato sul pavimento a guardare l’immancabile TV, e galli, tanti galli un po’ ovunque, tutti racchiusi nelle loro ceste a cupola. Poco più avanti, quando stavamo emergendo su un’altra delle strade principali di Yogyakarta abbiamo assistito al tramonto da un ponte, un attimo di relax mentre il cielo diventava arancione e piano piano virava sul viola. Alcuni bambini erano nel fiume sottostante e giocavano, altri tentavano di pescare qualcosa nelle sporchissime acque, mentre altri ancora erano raccolti attorno ad una pozza d’acqua sprofondati nella contemplazione di chissà che cosa.

Anche questa è Yogyakarta!

Quella sera abbiamo cenato in un ristorantino dove abbiamo preso un buon Nosi Goreng, che poi, sarebbe diventato il piatto più comune del nostro viaggio. Un’altra bella passeggiata ed una volta tornati in albergo non ci siamo fatti mancare una bella nuotata in piscina e poi una mezza nottata di sonno; il mattino dopo ci saremmo dovuti svegliare all’alba, anzi, molto prima.

Borobudur, Candi Pawon, Candi Medut, Prambanan

La mia sveglia ha suonato alle 4.30; alle 5.00 avevamo appuntamento con il nostro trasporto per il Borobudur. Abbiamo visto che fuori era ancora buio pesto, e ci sembrava di essere andati a dormire solo un quarto d’ora prima, o anche meno. Quindi, ci siamo preparati, abbiamo mangiucchiato dei biscotti e siamo usciti. Dopo una brevissima attesa è arrivato un nuovissimo SUV con autista ed una ragazzina è scesa per venirci incontro; la ragazzina si è presentata: era la nostra guida di nome Amber; ci ha fatti accomodare in auto e siamo partiti. Lei ci ha spiegato di essere iscritta alle scuole superiori con indirizzo turistico e questo era una sorta di tirocinio obbligatorio. Subito ci siamo sentiti in colpa per averla fatta svegliare a chissà che ora del mattino.

Dopo un lunghissimo tratto di strada nell’oscurità, siamo arrivati al Borobudur che albeggiava. “Borobudur”: sembra una parola magica da recitare con cappello a cono in testa e bacchetta magica in mano; ma è il tempio buddista più grande al mondo, o almeno così si dice; è un tempio montagna ed è anche una delle maggiori attrattive dell’intera Indonesia.

Siamo entrati assieme a pochi altri turisti e ci siamo avvicinati al tempio quando ormai c’era già più luce. Ora non ci restava che andare dritti in cima, lassù dove in passato c’era la Sancta Sanctorum proibita alla gente comune, figuriamoci ai non buddisti… Quando si sale, è davvero difficile resistere dal fare qualche deviazione per vedere i bassorilievi tutt’attorno, e anche noi siamo stati rapiti da qualche scorcio. Quando siamo arrivati in cima, nell’area famosa per i numerosi pinnacoli fatti a forma di piccoli stupa, ci è apparsa davanti lei, l’alba!

Il cielo è passato dal rosa, all’arancio ed un attimo prima che spuntasse il sole è apparso anche lui, minaccioso, come un gigante che brandendo una clava ti punta da lontano con un dito; era il vulcano Merapi dal quale si alzava una impressionante colonna di fumo. Pochi mesi dopo il nostro ritorno in Italia, il Merapi avrebbe eruttato causando ingenti danni a tutte le aree circostanti, e vista la colonna di fumo di quel giorno, non ci sarebbe poi parso così strano.

L’alba è esplosa in bagliori brillantissimi dorati ed il cielo arancione è diventato turchese. La foschia che avvolgeva il tempio, velocemente si è diradata e ci ha lasciato appena il tempo di scattare qualche bella foto dal tempio alle aree circostanti, ancora sonnecchianti nella nebbia.

Col sole è iniziato il tour del Borobudur: ovunque si vedevano scorci di interesse, dalle numerose statue di Buddha, agli stupa forati che si dice che portino fortuna qualora allungando una mano si riesca a toccare la statua del Buddha all’interno, poi i bassorilievi ed ancora portali con figure mitologiche simili a quelle presenti anche ad Angkor in Cambogia. Già, dicono che i cambogiani, o meglio, i Khmer, si siano ispirati al Borobudur per i loro templi. Non so se sia vero, anche perché il Borobudur è stato costruito nell’anno 800 circa, i principali templi di Angkor attorno all’anno 1000 (l’Angkor Wat è del 1200, non sono un fenomeno con le date, ma questo lo ricordo perché è coetaneo di Palazzo S. Giorgio di Genova), ma i primi templi proto Khmer (non ricordo il nome del regno prima dei Khmer) sono coetanei del Borobudur. Forse hanno una matrice comune, ma è innegabile che ci siano molte somiglianze, tra le quali, il caldo, anche se non è un elemento architettonico.

Il momento migliore per visitare il sito è all’alba perché dopo, non appena le pietre si scaldano, diventa una vera fornace.

Siamo tornati all’auto e ci siamo diretti verso un altro complesso di templi, il Prambanan. Lungo il percorso ci siamo fermati a visitare altri due piccoli templi, il Candi Pawon ed il Candi Medut. Sono due piccoli templi Hindu simili a due piccole torri. Circa un anno dopo avrei sentito una ragazza indonesiana paragonare l’Angkor Wat al Candi Medut credendo che non sapessi di che cosa stesse parlando; è come paragonare un ananas ad un gatto! Non c’entrano nulla l’uno con l’altro.

Dal carino sebbene piccolo Candi Medut, dopo una pausa pranzo lungo la strada per un piatto di riso fritto e satay (spiedini) siamo arrivati al Prambanan. Questo in realtà non è un solo tempio ma nell’area svettano sei grossi templi simili a giganti guglie, tre enormi e tre più piccoli, circondati da una marea di strutture più piccole. In realtà l’area, nonostante i turisti classifichino tutto “Prambanan”, cosa che per uno studioso equivale ad una bestemmia, è completamente cosparsa di altri templi: alcuni esistono solo agli occhi degli archeologi, altri molto belli come il Candi Sewu. Esiste una bella leggenda, che è quella della Principessa di Pietra o di “Rara Jonggrang” che narra della creazione leggendaria di questi templi e magari una volta ve la racconto…

La nostra visita è iniziata con i primi sei templi: tre sono pinnacoli giganteschi, e tre più piccoli. La guida che abbiamo letto sul posto diceva che i tre templi maggiori erano dedicati a Brama (il creatore), Vishnu (il conservatore) e Shiva (il distruttore), al quale è dedicato il tempio più grosso. Visto che in uno dei templi più piccoli, precisamente in quello davanti al tempio di Shiva, è stata trovata una statua di Nandi, il Bue cavalcatura di Shiva, si presume che questi templi minori siano dedicati appunto alle cavalcature degli Dei.

Il complesso di templi è davvero spettacolare, e se i Javanesi l’hanno costruito per impressionare, devo dire che sono riusciti nel loro intento, davvero un posto da favola!

Da qui ci siamo spostati al Candi Sewu, che però era quasi del tutto coperto da impalcature per un restauro, quindi abbiamo solo potuto immaginare come potrebbe essere il tempio senza quelle coperture. Sono sicuro che a lavoro finito sarà bellissimo!

Da questi templi siamo tornati a Yogyakarta. Qui un bel bagno in piscina e poi cena in Malioboro street. Ci siamo fermati in uno stand ai lati della strada dove ci hanno dato due ottimi Nosi Goreng e pollo. Poi a dormire, perché il giorno dopo sarebbe stato faticoso. Nella notte un boato a fatto scuotere l’albergo, gli americani della stanza affianco hanno gridato e Lula si è solo che girata dall’altra parte. Mi chiedo se sia stato un saluto del Merapi, o qualcos’altro.

Verso Bali on the road

La mattina della partenza per Bali ci siamo alzati in assoluta calma, abbiamo fatto una abbondante colazione e poi, in perfetto orario è arrivato il pick-up a prenderci. Era un pulmino bianco già stracolmo di turisti. L’autista ha caricato i nostri bagagli sul retro e non ho potuto far altro che sottolineare a Lula che c’erano solo zaini ad eccezione del suo trolley…

Siamo partiti giù per le strade di Java. Lungo il percorso c’erano una serie di villaggi non particolarmente attraenti e campi. Onestamente, ci aspettavamo qualcos’altro; memori della bella e brillante Thailandia, l’entroterra indonesiano si è rivelato un po’ deludente. Il viaggio è stato lunghissimo e, ad esclusione della pausa pranzo, non ci siamo quasi mai fermati. Alla sera, verso le 19.00 quando iniziava a fare scuro, siamo arrivati ad un villaggio alla base della caldera del Monte Bromo, con molta probabilità Cemoro Lawang, ma non ne ho la certezza. Qui hanno scaricato i nostri bagagli e siamo stati invitati in un ufficio turistico dove hanno fatto la spunta dei nostri nomi e ci hanno spiegato che subito dopo sarebbe arrivato un pick-up più potente per portarci sulle pendici dell’enorme vulcano fino al bordo della caldera dove c’era il nostro albergo. Per la visita della caldera avremmo potuto scegliere tra due opzioni: la prima, a pagamento, implicava svegliarsi alle ore 3.00 quando delle jeep sarebbero venute a prenderci per portarci su un’altura a vedere l’alba ed in lontananza avremmo potuto anche vedere il vulcano Semeru che ogni 20 minuti rilascia uno sbuffo di fumo, dopo di che, le jeep ci avrebbero portati nella caldera attraverso una pianura di sabbia denominata “Mare di Sabbia” per arrivare alle pendici del piccolo vulcano attivo all’interno del Bromo stesso. La seconda opzione era gratuita ed implicava svegliarsi prima dell’alba e scendere nella caldera a piedi, attraversare il “Mare di Sabbia”, salire da soli sul vulcano e poi tornare indietro entro le ore 10.00 quando saremmo ripartiti per Bali. Io e Lula ci siamo guardati ed il richiamo dell’avventura ci ha fatto dire “Opzione B”; siamo stati gli unici, tutti gli altri turisti avevano scelto la prima opzione; avevamo fatto una cavolata? L’avremmo scoperto il mattino successivo.

La jeep scassata ci ha portati al Bromo Permai Hotel che è appena passabile, va bene giusto per una notte, anche se non è il peggiore in cui sono stato. La cena è stata discreta e si gelava dal freddo, per fortuna che avevamo due felpe. Di notte, da una piazza lungo la strada, che dava sul cratere, nel buio d’inchiostro, riuscivamo a scrutare una sagoma più nera: era il cono del piccolo vulcano dal quale si alzava una colonna di fumo, era laggiù e sembrava di poterlo toccare, ma chilometri di oscurità e chissà che altro ci separavano. A domani! No, a tra poche ore…

Bromo, è la pronuncia locale di Bhrama, il Dio Hindu della creazione. E’ dai vulcani che è emersa Java. E noi eravamo al cospetto del creatore dell’isola. Già questo pensiero metteva soggezione.

Alle ore 3.30 è suonata la sveglia nella camera gelida; ci siamo vestiti, contenti di muoverci per scaldarci ed abbiamo lasciato la camera con le nostre piccole torce in mano. La Lonely diceva che era facile fare il nostro percorso, bastava seguire una linea di pietre bianche, come una versione moderna di Pollicino trekker. No, qui la guida ha sbagliato, non ci sono pietre bianche, se le sono portate via per farci perdere, per estorcerci l’obbligo di prendere una guida locale. Noi ci siamo addentrati nel mare di sabbia, c’era nebbia, silenzio, buio totale, il cielo era una distesa di velluto nero, le stelle erano sparite aldilà della coltre di nebbia; noi continuavamo ad avanzare. Poco lontano abbiamo sentito il rumore di una campanella ed è emerso un vecchio con un asino: era una delle guide improvvisate che sono in agguato per i turisti che si perdono. Alla fine dopo lunghe trattative fatte senza mai fermarci, al costo di 2 Euro siamo stati costretti ad assumerlo. La consolazione è stata che la sua compagnia è durata circa 10 minuti. Infatti eravamo già quasi alle pendici del vulcano, ma obiettivamente, alla base del vulcano c’è un dedalo di crepe e passaggi che senza una guida, in quel buio, non avremmo mai potuto trovare la scalinata per la vetta.

Arrivati in cima al cratere, che era sopra il mare di sabbia e nebbia, abbiamo rivisto le stelle. Eravamo soli: Io, Lula ed il vulcano che con la sua bassa voce brontolava e sbuffava. Qui ci siamo seduti su un cumulo di cenere compatta ed abbiamo fatto colazione: acqua fredda, Ringo e Ritz. Seduti sulla bocca del vulcano, soli, mentre l’alba dorata esplodeva davanti a noi…la colazione perfetta!

Il mare di nebbia è diventato un lago d’ oro ai nostri piedi, mentre le nostre ombre sul bordo del vulcano erano proiettate nella colonna di fumo alle nostre spalle. Poi, lentamente la nebbia si è diradata rivelando il piccolo deserto che era alla base del cono e che avevamo attraversato quella notte. A tratti mostrava una rigogliosa boscaglia, a tratti un paesaggio primordiale per poi perdersi nella nera pianura.

Col sole sono arrivati tantissimi turisti e sono emerse guide improvvisate e venditori di offerte da lanciare nella caldera. A questo punto siamo tornati indietro quando ormai la scalinata era una processione di turisti che salivano quasi spalla-a-spalla. Scendendo abbiamo incontrato alcuni nostri compagni di pullman, incavolati perché il loro tour li aveva portati su un’altura gremita di persone dove i flash formavano un unico lungo bagliore e c’era troppa confusione. Sembrava che io e Lula avevamo fatto la scelta migliore!

Un pullman scassato ci ha recuperati dall’albergo per portarci a valle. Noi credevamo che fosse solo il pullman per Cemoro Lawang, invece è stato quello che ci ha portati a Bali. Lungo la strada abbiamo fatto una breve sosta per un breve pranzo e poi via verso Ketapang. Finalmente è apparso il mare ed alcune belle spiagge sabbiose. Da Ketapang, che era già il tramonto, ci siamo imbarcati sul traghetto che ci ha portati a Bali. Durante la breve attraversata una bella luna piena ha fatto capolino sopra Bali, come a darci il benvenuto su una nuova realtà indonesiana. Una volta sbarcati, abbiamo dovuto affrontare ancora alcune ore di viaggio culminati con una tempesta tropicale. Siamo arrivati a Kuta che pioveva a dirotto e l’albergo che abbiamo prenotato era irraggiungibile. La strada era sconosciuta all’autista e quando gli abbiamo dato il numero di telefono, nessuno ha risposto, così alla fine ci siamo fatti lasciare in Jalan Legian, via costellata di locali ed alberghi dove ne abbiamo cercato uno noi. Dopo alcuni tentativi, abbiamo trovato il Paradiso Bungalow Hotel che si è rivelato fantastico: era pulito, la camera spaziosa, c’era la piscina ed anche una SPA. La stessa sera, stanchi e stravolti dalla tirata in viaggio, ci siamo concessi una bella cena in Jalan Legian, un chill-out al Raggae Bar ed una nuotata in piscina al chiaro della luna.

Il giorno successivo ci siamo svegliati tardi e dopo un’abbondante colazione abbiamo preso un autista free-lance che poi ci avrebbe accompagnati per i giorni successivi. L’autista aveva un nome simile Nyowman, ma noi lo abbiamo battezzato Gnam-Gnam per la sua abitudine di cercare di mangiarci soldi sparando prezzi altissimi per ogni cosa. Sembra che a Bali siano abituati a fare prezzi alti, dicono che sia per colpa dei Giapponesi che non trattano. Pagano qualsiasi prezzo. Chissà se è vero?

Con Gnam-Gnam siamo andati a vedere la penisola di Nusa Dua, che è molto turistica. Qui abbiamo visto, oltre la spiaggia, il piccolo tempio induista Pura Bias Tugel dove c’erano in corso delle cerimonie per la gente locale. Poi siamo andati ai Waterblow. I Waterbow è una formazione di roccia particolarmente acuminata dove piccole grotte al livello del mare si aprono con aperture sull’alto. Quanto arriva un’onda si forma una specie di Geyser.

La tappa successiva è stata Padang-Padang, la spiaggia per i surfisti: la spiaggia è piccola, ma molto bella e ci siamo promessi di tornare alla fine del viaggio, ora non avevamo tempo. Da Padang-Padang siamo andati al tempio Pura Luhur Ulu Watu: questo tempio è a strapiombo sul mare ed è davvero molto scenografico, soprattutto al tramonto. Il tempio è anche infestato dalle scimmie che a tratti diventano pericolose, quindi bisogna fare molta attenzione. Al tramonto, pagando il biglietto, si può assistere alla danza tradizionale Kecak, dove ballerini rievocano il poema epico Ramayana al suono del canto di tanti coristi che pronunciano ripetutamente la parola Kecak a varie velocità, lo spettacolo è molto coinvolgente e ci è piaciuto tantissimo. Il tour di quel giorno si è concluso con una cena di pesce grigliato sulla spiaggia di Jimbaran, sotto le stelle, alla luce di candele ed in riva al mare. Assolutamente romanticissimo!

La mattina successiva siamo partiti per Ubud con Gnam-Gnam e dopo aver preso albergo al bellissimo Sri Hotel, siamo partiti all’esplorazione di Bali. Quando preparavamo il viaggio ed avevamo pensato al percorso di massima avevamo battezzato questa giornata come “Giornata delle Risaie” perché il tour sarebbe stato incentrato sui paesaggi. Gnam-Gnam ci ha portati a vedere tantissimi paesaggi di risaie a terrazze, uno più bello dell’altro, come Wanakeling e Jatiluwith. Lungo il tragitto ci ha portati a conoscere la sua famiglia: ci ha ammessi nella sua dimora e ci ha mostrato il tempio Hindu di famiglia (una grossa piazza con tanti piccoli templi a torre) e i suoi parenti. Ci ha chiesto di toglierci le scarpe ed entrare in casa sua. Ed ora il dilemma del turista: assecondare gli usi e costumi e rischiare di prendersi dei funghi o declinare ed offendere la gente? Siamo entrati, ma mentre Lula che ha un istinto di autoprotezione più forte del mio è uscita subito con la scusa di avere una irrefrenabile necessità di parlare con una parente di Gnam-Gnam, io l’ho aiutato a fare il caffè. Il pavimento era letteralmente coperto di formiche, le camere di una sporcizia inaudita. Ma io volevo assicurarmi che almeno avesse fatto bollire per bene l’acqua del caffè “You know, I love the coffee when is very-very-very hot!” e poi giocando sulla sua evidente misoginia “…cold coffee is for ladies! We men drink it boiling!”, così ha sorriso ed ha aperto il gas a manetta. Da vero uomo… A volte le mie provocazioni funzionano. Quando ho portato il caffè, camminando evitando le macchie di roba appiccicosa ed insetti schiacciati, praticamente ero una versione di un cameriere equilibrista che imita la Fracci sulle punte, Lula mi ha chiesto “sicuro che abbia fatto bollire l’acqua…?”, “sicuro, ci sono milioni di formiche e solo Vishnu sa cos’altro a testimoniarlo…”.

Dopo il caffè dal gusto di segatura e ruggine (alla faccia del famoso caffè indonesiano) ci ha portati a fare un tour del giardino, del grosso pollaio, dei galletti da combattimento e poi siamo partiti. La tappa successiva è stata il bellissimo tempio Pura Ulun Danu Beratan. Mentre eravamo in auto continuava a parlare come se fossi il suo partner in business, o forse complice. Voleva che io gli mandassi tanti italiani da ospitare a casa sua. Magari qualcuno che odio potrei anche mandarcelo, ma no, non era il caso. E non capiva la mia resistenza alle sue idee.

Il tempio Pura Ulun Danu Beratan è in un lago vulcanico ed è costituito da alcuni templi induisti sulla terra ferma e due, simili a pagode, in due isolette vicino alla riva. Questo è forse il tempio più scenografico di tutta Bali ed è sempre presente nei set fotografici di chi c’è stato. Se si cerca su un motore di ricerca “Bali” appare questo tempio. La popolarità è tutta meritata, è davvero bellissimo. Purtroppo, la bellezza del posto si scontra con la confusione dei turisti. Forse questo è stato il posto dove abbiamo incontrato più persone, tra le quali, gli unici Italiani di tutto il viaggio. Il posto è rimasto nella nostra Top List come uno dei posti più belli di tutta la vacanza.

Dopo ad essere usciti dal tempio ci siamo fermati in un mercato locale a comprare della frutta, poi abbiamo proseguito per altre risaie. Gnam-Gnam stava diventando un po’ irritante non rispondendo alle domande di Lula, ma solo alle mie; guidava come un pazzo e poi quando dovevamo tornare dalle risaie, facendo manovra, è finito con una ruota in un fosso e noi siamo dovuti scendere a spingere con Lula che ha rischiato di caderci dentro. Neanche a dirlo, lui fa “Thank you Fra…” di risposta gli ho detto “Say Thank You to Lula too…” e lui grugnendo l’ha ringraziata.

Siamo tornati a Ubud che piovigginava. La sera si è svolta con una cena al famoso Lotus Bar e poi un massaggio in un bellissimo centro benessere ed una nuotata nella piscina dell’albergo. Mentre nuotavamo è arrivato l’annoiatissimo guardiano notturno che voleva passarsi qualche minuto esercitando il suo inglese: per trovare un argomento, oltre al tempo ed al cibo “Satay is very good” e lui “Yeee Sat’ vewy gooooo”, ho provato a chiedere dei combattimenti di galli ed abbiamo finito per parlare di pollame “Chicken Satay is very good!”, “Yeee Chik’n Sat’ vewy gooooo”; sembra che parlare di mangiare sia un argomento di conversazione universale. Allora in questo caso, io sono poliglotta!

Il mattino successivo è venuto a prenderci Gnam-Gnam per l’ultima volta. Durante il viaggio è diventato estremamente irritante ed abbiamo deciso di cercarci un altro tassista per i giorni successivi.

La prima tappa è stata il Gunung Kawi che è un complesso templare in una piccola valle; risaie a terrazza circondano il tempio ed il panorama è molto scenografico. Quel giorno era in corso una cerimonia induista e questo ci ha permesso di vedere tantissimi fedeli che portavano offerte. E’ stato bellissimo: i colori, l’incenso ed i Balinesi stessi coi loro sorrisi! Questo è forse stato il posto dove abbiamo sentito meglio la spiritualità Balinese. Mentre stavamo girovagando per questo tempio non ci siamo accorti ma abbiamo sforato di una buona mezz’ora l’appuntamento con Gnam-Gnam. Quando l’abbiamo raggiunto si è lamentato del ritardo e siamo partiti per il tempio successivo, il Tampak Siring. Se c’è un’area particolare a Bali, quella è di questo tempio. Quest’area è costituita da alcune vasche nelle quali sgorgano delle fontanelle di acqua sacra. Lo scopo di andare a Tampak Siring è quello di farci il bagno. Noi da turisti sempre pronti ad immergerci nelle tradizioni locali, dopo aver opportunamente chiesto ad un guardiano se:

  1. Un turista poteva immergersi per chiede Buona Fortuna agli Dei? Risposta “Yes”;
  2. E’ contro le regole usare come sarong il mio asciugamano azzurro con Casper che tiene un gelato? Risposta “No”.

Siamo entrati nella gelida acqua. Il rito vuole che si dovrebbero fare abluzioni nell’acqua e passare sotto le numerose fontanelle pregando gli Dei. E’ stata una gran bella esperienza! Quando siamo usciti alcuni turisti americani si sono convinti ad imitarci e si sono immersi anche loro. Questa volta il ritardo accumulato per tornare da Gnam-Gnam è stato 45 minuti.

Lungo la strada per il prossimo tempio ci siamo fermati ad una piantagione di caffè dove abbiamo potuto vedere le vere piante di caffè ed assaggiare il famoso caffè “Kopi Luwak” o “Caffè di Zibetto”. Per chi fosse curioso e non schizzinoso, il caffè era ottimo ed aveva un retrogusto di caramello. Soprattutto era spettacolare la vista dalla terrazza dove ci hanno servito il caffè, che dava su una valle di foresta lussureggiante. Sulla strada per il tempio ci siamo fermati a Penelokan che è un punto panoramico su un lago vulcanico ed il vulcano Batur, un posto davvero molto scenografico.

Mentre preparavamo il viaggio abbiamo letto molti avvertimenti sul tempio Pura Besakih dove il posto sembra gremito di malintenzionati pronti a derubare, truffare e sfruttare ogni singolo turista che ha la malaugurata idea di avvicinarsi ai confini del tempio. Ma noi con il nostro enorme ritardo accumulato nel corso della giornata siamo comunque voluti andare al tempio. Lungo la strada Gnam-Gnam ci ha detto che avremmo dovuto prendere una guida, un suo amico. Quando abbiamo detto di no, lui s’è arrabbiato dicendo che noi non saremmo riusciti a girare per il posto. Abbiamo accettato la sfida! Scesi dalla macchina ci siamo diretti al Besakih, ma era tanto tardi che pure le bancarelle di cianfrusaglie lungo la strada stavano chiudendo. D’un tratto ci si avvicina una delle tante potenziali finte guide che ci ha chiesto se avessimo avuto bisogno dei suoi servigi, ma dopo il mio secco “No”, s’è messo a ridere e se n’è andato. L’area del Besakih è costituita da una quantità smisurata di templi; ve ne sono alcuni induisti che si articolano lungo la collina come in una linea immaginaria e sono circondati da centinaia di piccoli templi. L’area è bellissima, ma quando eravamo quasi in cima alla collina abbiamo deciso si regalarci un po’ di relax. Ci siamo seduti su un muretto e ci siamo mangiati un bel po’ di frutta immersi nella quiete più totale. Il sole si avviava al tramonto e le ombre dei pinnacoli dei templi si allungavano ogni minuto. Ed il silenzio! Finalmente quella che sembrava la colonna sonora giusta per un luogo sacro. L’assenza di grida e schiamazzi.

La parte più bella del tempio è in cima dove c’è la parte più elaborata, quindi consigliamo ai turisti di mettersi il cuore in pace e farsi una bella scarpinata fino alla cima dell’area, dove c’è la parte più bella.

Sul ritorno ad Ubud ci siamo ancora fermati al Klungkung che è una sorta di antico palazzo di giustizia, ma questa volta eravamo davvero troppo in ritardo ed era già chiuso. Abbiamo potuto solo sbirciare dal cancello.

Tornati ad Ubud, dopo esserci sentiti mandare a quel paese da Gnam-Gnam, e finalmente liberi, siamo andati per qualcosa di meno culturale. Prima tappa, una birra, poi un massaggio in un centro estetico. Abbiamo scelto due scrub, per me uno alle spezie, che bruciava come il fuoco e per Lula uno allo yogurt che era gelido. A me piacciono i massaggi, ma questo scrub è stato addirittura doloroso,non credo che lo rifarò volentieri. Il problema è poi stato farsi la doccia perché quando abbiamo aperto l’acqua,abbiamo scoperto che il muro del bagno era invaso di formiche.

La notte stessa io mi sono sentito male, ed il giorno dopo, per fortuna non pianificato, si è svolto in una giornata di relax ad Ubud. Lula ne ha approfittato per farsi fare un massaggio Ayurvedico con Shirodara, ma l’ha fatto in un piccolo centro massaggi e non è stato fenomenale. Nel pomeriggio siamo andati a fare un giro per le agenzie locali dove abbiamo prenotato il pulmino per Kuta per due giorni dopo ed un autista per il giorno seguente.

L’ultimo giorno ad Ubud si è aperto con la partenza per Goa Gajah, la grotta dell’elefante:è bella perché fuori è scolpita con le sembianze di un volto di un gigante con la bocca aperta, mentre all’interno c’è un piccolo cunicolo che porta ad una statua di Ganesh, il Dio mezzo elefante ed è per questo che viene chiamata la Grotta dell’Elefante. Tutto attorno c’è un parco con vasche e percorsi nel bosco, un posto lussureggiante.

La tappa successiva è stata la lontana Goa Lawah, la Grotta dei Pipistrelli. L’intera area è circondata da un piccolo complesso templare, ma è impressionante la grotta stessa popolata da chissà quante migliaia di pipistrelli. L’odore pungente di guano di pipistrello permeava l’aria, così come il gridare acuto dei pipistrelli. E’ una cosa da vedere, semplicemente impressionante! L’autista, prima di salire in macchina ci ha suggerito di andare a vedere la spiaggia, e questo gli ha fatto guadagnare moltissimi punti. La spiaggia di sabbia nera era fantastica: deserta e bellissima. Oltre a noi ed un’altra coppia di turisti c’era solo una famiglia, completa di servitù che reggeva degli ombrelli, a fare un sorta di rito sulla spiaggia. O forse sarà stato un picnic? Avremmo dovuto chiederglielo…

Ultima tappa del giorno è stata Padangbai, dove abbiamo visto le tipiche imbarcazioni con gli occhi dipinti e la spiaggia con la sabbia che sembra cous-cous, e per l’appunto, l’abbiamo soprannominata “Cous-Cous Beach”.

Alla sera ci siamo concessi una bella cena in un bellissimo ristorante e poi drink in un locale raggae con musica dal vivo.

Tornati a Kuta i giorni si sono divisi tra la spiaggia di Padang-Padang, la spiaggia di Kuta ed una giornata di rafting. Quando siamo tornati dal rafting abbiamo preso un autista locale per andare a vedere il tramonto al Pura Tanah Lot, il tempio che è raggiungibile solo con la bassa marea, sennò è su un’isola. Qui c’è un’altra trappola per turisti: sedicenti sacerdoti attingono acqua marina da una pozza sotto il tempio e dichiarando che sia santa, aspergono i turisti in cambio di denaro, dicendo che così potranno anche salire al tempio. I turisti possono salire per una rampa di scale, ma poi si trovano davanti al cancello chiuso del tempio. Ovviamente, anche noi siamo caduti in questa trappola!

A ovest del tempio c’è una scogliera dalla quale si può vedere il tramonto ed anche una bella prospettiva del tempio stesso; noi ci siamo seduti su una roccia a guardare il tramonto mentre le onde si infrangevano sulle rocce davanti a noi.

L’ultima giornata di mare l’abbiamo trascorsa a Kuta. Poi abbiamo fatto le valigie e siamo tornati via Bangkok in Italia.

Il viaggio è stato bello e ci ha fatto toccare tantissimi posti, ci ha dato tante bellissime emozioni e ci ha arricchiti parecchio.

Spero che questo diario vi sia piaciuto!

Francesco e Lula



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