Pennellate cubane: mare, monti, città, paesi e persone.
Parlare di Cuba è difficile, e quando ti chiedono “come è andata a Cuba?”, non si sa proprio da dove iniziare. Andare a Cuba è facilissimo, l’offerta turistica è esuberante, difficile è scegliere dove andare, soprattutto se è la prima volta: Cuba è grande, con paesaggi e contesti assai differenti fra loro. Il mare? Le città storiche? La natura? Se poi chiedi consigli a chi c’è stato, diventa ancora più difficile, perché Cuba è vissuta in modi e stili del tutto differenti. Per molti è la classica vacanza di mare in hotel con aggiunta di salsa e mojito, per alcuni è la terra della revolucion e dei suoi luoghi cult, per altri è la città di Habana, i suoi locali, musica e cocktail, per altri ancora è un paradiso per immersioni e pesca. C’è chi è partito solo ed è tornato in Italia con una moglie, c’è chi è partito per una vacanza e ci ha comprato casa. Era il nostro primo viaggio a Cuba e volevamo assaggiare un po’ di tutto, farci un’idea, capirci qualcosa. Fra mille proposte abbiamo infine trovato quella che faceva al caso nostro:un pacchetto di 8 giorni di cui i primi 2 all’Habana, 3 giorni di tour nella splendida e caratteristica provincia di Pinar del Rio e finale relax a Varadero. L’esperienza è stata positiva e ne siamo tornati entusiasti, abbiamo capito che Cuba è tutto quello che si dice essere, e che tutti hanno ragione, Cuba è un variegato e complesso mosaico di cui ognuno si porta a casa dei pezzi. Cuba è un colorato affresco, dipinto con forza dalla natura e dall’uomo, una tavolozza che ti lascia decise ed intense pennellate nell’anima.
04 DICEMBRE – sabato – MILANO – HABANA
Arriviamo all’HABANA alle 14 locali. Il transfer ci lascia all’Hotel El Comodoro, una struttura un po’ vecchiotta sul lungomare di MIRAMAR, un quartiere tranquillo, a ovest di Vedado, molto verde, con ville e ambasciate. La curiosità è tanta, quindi usciamo subito per una passeggiata, un primo contatto con la vita di Cuba. E’ sabato, le famiglie passeggiano comprando il gelato ai bambini, curiosando i negozi vicini agli hotel, facendo allegramente uno spuntino nei numerosi localini che arrostiscono succulenti spiedini. La musica che proviene dai chioschi dei venditori ambulanti e la lingua spagnola fanno prepotentemente ingresso nella nostra vacanza. Compaiono le immense e lente automobili americane, coloratissime e vecchissime, i piccoli e gialli coco taxi, una allegra rivisitazione a guscio di qualcosa che assomiglia all’ape-piaggio, i bici-taxi, una specie di risciò, i camellos, vecchi camion trasformati in autobus, e i colectivos, piccoli pulmini che partono solo quando sono stipati di gente. Alle fermate dei bus ci sono delle vere e proprie piccole folle, tutto sommato composte, ma si capisce subito che il trasporto pubblico è problematico, il costo della benzina, d’altro canto, è elevato e rende impossibile per una famiglia media mantenere un proprio mezzo di trasporto. Entriamo in un supermercato e scopriamo che tutto costa più o meno come da noi. Vero è che ci sono i negozi dove i cubani ritirano a basso costo o gratuitamente con una tessera ciò che il governo ritiene essere di prima necessità, ma è anche vero che la gente cerca di acquistare, come può, qualcos’altro. Con i nostri primi acquisti scatta la guerra fra i pesos cubani e i pesos convertibili, ma ne veniamo a capo in fretta. E’ un paese con cui si entra in sintonia velocemente, e altrettanto velocemente liberiamo il cervello dai luoghi comuni sulla insistenza dei jineteros o procacciatori d’affari (non ne abbiamo praticamente incontrati), sulle jineteres o signorine di facili costumi (tutto il mondo è paese), sulle furbizie a danno dei turisti (come in ogni luogo, bastano le solite norme di comune buon senso). Sono le 18, a casa nostra sarebbero le 23, la stanchezza del viaggio comincia a farsi sentire quindi ci fermiamo anche noi ad un chiosco affollato ed ordiniamo birra e spiedini, felici di mescolarci alla folla.
Rientriamo in hotel e sprofondiamo in un bel sonno, curiosi dell’indomani.
05 DICEMBRE – domenica – HABANA
Nella hall incontriamo Aloima, la nostra guida, una giovane donna con capelli corti nerissimi e carnagione chiarissima, una laurea in lingue e letteratura straniere (russo e italiano), un padre giornalista ed un simpatico modo di arricciare il naso mentre sorride. Facendo la guida turistica, mantiene se stessa e la figlia sedicenne, dà una mano ai genitori con cui ancora divide la casa e le spese. Il feeling è immediato, in 4 giorni riuscirà a farci comprendere, con grazia e delicatezza, l’unicità della sua terra, il grado elevato di cultura della sua gente, la dignità nella reale e palpabile povertà tuttora diffusa, la tenacia nell’affrontare anche i duri momenti successivi al dissolvimento dell’Unione Sovietica, il suo desiderio di far capire Cuba agli stranieri e di farla amare. Con lei abbiamo piacevolmente conversato di letteratura e arte, botanica, politica, cucina e erboristeria, grazie a lei abbiamo apprezzato al meglio i raffinati palazzi dell’Habana, i paesini del Pinar, la natura rigogliosa delle Sierre e la sfolgorante spiaggia di Cayo Levisa.
Così partiamo alla scoperta dell’HABANA, noi due ed Aloima.
Dal quartiere residenziale di MIRAMAR si arriva subito al grande quartiere di VEDADO e alla mitica Plaza de la Revolucion, uno dei luoghi pubblici più importanti della storia recente di Cuba, scenario delle adunanze di Fidel Castro negli anni 60 e della storica messa celebrata nel 1998 da Giovanni Paolo II. Gli edifici che la circondano sono del periodo Batista, fra tutti spiccano il Memorial Josè Marti, con la sua statua e un’alta torre di marmo grigio, il Ministero del Interior, con l’enorme ritratto del Che sulla facciata e lo slogan hasta la victoria siempre, un altro palazzo con il ritratto di Camilo Cienfuegos. L’insieme è comunque un po’ triste, severo e di sapore sovietico, complici, forse, i minacciosi nuvoloni grigi all’orizzonte. Attraversando i quartieri universitari e dribblando una miriade di coco taxi, sbuchiamo sul leggendario Malecon, il lungomare che cinge a nord la città per 7-8 chilometri arrivando fino ad HABANA VIEJA. La città vecchia si affaccia su una grande baia chiusa, Baia de la Habana, una volta tutta cinta di mura e di fortezze, che le ha consentito di essere il porto più importante del Nuovo Mondo per tutto il periodo coloniale. Nel quartiere palpita un cuore antico, ogni epoca passata ha lasciato gloriose ed eleganti vestigia, la storia recente evidenzia le sue ferite, l’opera di recupero e restauro lotta con la decadenza, ma il tutto è affascinante e la città dal mare, inaspettatamente, prende luce e respiro.
Proprio dove attraccavano i galeoni, si apre, affacciata sul mare, la Plaza de San Francisco de Asis, un grande spazio commerciale ricco di bei monumenti: l’elegante Lonja del Comercio con una grande cupola e il dio Mercurio in cima, la Fuente de los Leones, in marmo bianco, utilizzata per rifornire d’acqua dolce le navi, e, sul lato sud, la secentesca Iglesia y Monastero de San Francisco de Asis, ora sala concerti. Il lato ovest della piazza e le viuzze circostanti sono piene di piccole gallerie d’arte dove vale la pena di entrare per curiosare i bei giardini interni. Vicino alla piazza si trova il palazzo in cui ha sede il famosissimo Havana Club e il Museo del Ron: Fundaciòn Havana Club. La visita è guidata, interessante seguire il procedimento con cui dalla canna da zucchero si arriva al rum. Stupefacente è la riproduzione in scala dello storico zuccherificio e distilleria Central La Esperanza con tanto di trenino. Nel Club, lo storico locale degli anni trenta, assaggiamo i vari tipi di rum divisi secondo i periodi di invecchiamento: carta blanca (3 anni), carta oro (5 anni) e anejo (7 anni). Qui l’atmosfera è proprio quella di altri tempi, banconi di scuro legno lucido, lente pale sul soffitto, bottiglie assortite e variopinte: non si può sfuggire al fascino che sprigiona. In due passi si arriva poi alla bellissima Plaza Vieja, uno spazio luminoso, con al centro una fontana, sede del mercato fino al 1835, contornata da antichi palazzi di epoche diverse. Molti edifici sono già stati oggetto di restauro e per altri sono ancora in corso i lavori. Talvolta ho sentito parlare, con ottocentesco romanticismo, del fascino dei fatiscenti palazzi di Habana e criticare, con compiaciuto snobismo, i restauri in corso. Habana, di palazzi fatiscenti, ne ha ancora tanti, tantissimi, purtroppo troppi, e, per quanto mi riguarda, ho invece apprezzato l’ambizioso progetto di recupero del centro storico e gli sforzi profusi per ridare vita, colore e solidità a quei nobili edifici di cui, altrimenti, le future generazioni non vedrebbero che le fotografie. La rinnovata cura degli edifici si declina anche nei bei locali della zona, fra questi la Taberna de la Muralla, che serve la migliore birra dell’Habana fabbricata in loco, e il Cafè Taberna, vicino alla Camara Oscura, tempio di Beny Moré e altri re del mambo. Percorrere le vie più interne è un’emozionante viaggio nel cuore della città e si possono scoprire negozi e locali storici rimessi a nuovo e che si presentano in tutta la loro bellezza. Il negozio di fragranze floreali e profumi, Habana 1791, sfoggia al suo interno un bell’arredo e vetrate liberty. L’Hotel Ambos Mundos, frequentato da Ernest Hemingway, conserva memorie, foto e cimeli dello scrittore, ha un’elegante lobby con piano bar e nei suoi dintorni si aggira un simpatico personaggio sosia del grande romanziere. La Farmacia Tachequel vende prodotti medicinali e di drogheria rigorosamente cubani esposti in contenitori di maiolica italiana e in curiosi alambicchi di vetro. La Mercèria è un allegro tripudio di nastri, trine, tulli e merletti disposti su scaffali dalle tinte pastello. Improvvisamente, si apre quindi la regale Plaza de Armas, la più antica piazza della città. Al centro si trova un fresco e gradevole giardino di palme e di ceibe sotto le quali sono sistemate diverse bancarelle che vendono libri, riviste e vecchi giornali, un vero paradiso per i bibliofili. Intorno troneggiano alcuni degli edifici che hanno fatto la storia di Cuba. Il Palacio de los Capitanes Generales è un imponente palazzo barocco costruito in pietra marina, ha un bel patio a due livelli con una statua di Cristoforo Colombo: ex residenza del governatore spagnolo oggi ospita il Museo de la Ciudad. Il Castillo de la Real Fuerza è invece la più antica fortezza delle Americhe risalente al 1558, un insieme severo di bastioni, fossati e massicce torri. Sulla torre più alta sventola la famosa Giraldilla, un segnavento di bronzo che raffigura Dona Ines de Bobadilla che scruta ancora il mare in attesa del ritorno del marito esploratore Hernando de Soto: la sua figura è divenuta famosa in tutto il mondo in quanto compare sull’etichetta del rum Havana Club. Chiude la piazza El Templete neoclassico con il suo immenso albero di ceiba, un albero sacro agli indigeni, sotto il quale sarebbe stata posta la prima pietra della colonia di Habana nel 1519. Arriviamo quindi in Plaza de la Catedral un vero salotto circondato da bellissimi palazzi del 1700. Sul fondo spicca la barocca Catedral de San Cristobal, costruita dai gesuiti nel 1748. Qui si credeva fosse sepolto Cristoforo Colombo. Oggi è domenica ed è appena finita la messa, entrando, nella navata centrale, incontriamo il Cardinal Ortega che, con la stessa familiarità di un curato di campagna, sta conversando con un gruppetto di fedeli. Restiamo colpiti dal portamento semplice e risoluto, sereno ed autorevole, di questo coraggioso cardinale che dal luglio 2010 sta lottando strenuamente con il governo del suo paese per la liberazione di 52 prigionieri politici, e ne sta avendo ragione. Un’altra vittoria dopo aver ottenuto dal governo cubano, a fine anni novanta, l’abolizione delle forme di intolleranza ancora attive verso la chiesa locale ed il riconoscimento della festività di Natale il 25 dicembre. Fuori dalla chiesa, intanto, scorrono le immagini di Cuba che richiamano maggiormente l’attenzione dei turisti, e molte fotografie. Sul lato opposto alla chiesa si sta esibendo un caratteristico e simpatico complessino di attempati musicisti, camice coloratissime e musica coinvolgente, una miscellanea di melodie e musicalità spagnole, ritmi e percussioni africane: è la musica cubana, un insieme incredibile di sonorità e stili diversi, che affascina anche il più refrattario. Sotto i portici una corpulenta santera di colore, con un sontuoso abito bianco di pizzi e merletti, uno smagliante fiore rosso nel turbante ed un enorme sigaro in bocca sta facendo una benedizione ad una ragazza; più in là, una coppia di veggenti, curiosamente abbigliati, stanno scrutando nel futuro di un avventore con carte e strumenti oscuri; da una via traversa, accompagnati da tamburi, arrivano uomini su altissimi trampoli seguiti da un allegro corteo di bambini.
Il più elegante dei palazzi sulla piazza è il Palacio de los Marqueses de Aguas Claras, costruito nel 1760 e restaurato per ospitare il Restaurante El Patio, uno dei migliori della città, dove Aloima ha prenotato per il pranzo. Una fresca brezza marina entra dalle finestre spalancate e muove dolcemente i grandi tendaggi, in lontananza l’allegra musica del complessino, l’atmosfera e i profumi della cucina criolla ci conquistano subito. Facciamo quindi una breve capatina alla celeberrima Boteguita del Medio, un semplice spaccio alimentare fino al 1942 reso poi famoso da illustri commensali come Hemingway e Neruda: oggi è una tappa obbligata nel giro dei locali. Il muro esterno è pieno zeppo di autografi famosi, un uomo canta melodie accompagnandosi con la chitarra, c’è una gran ressa di turisti e nessun cubano: ce ne andiamo velocemente.
Lasciamo HABANA VIEJA e con l’automobile infiliamo il tunnel sottomarino di 733 mt con cui si arriva al lato opposto dell’imboccatura del porto nella zona chiamata HABANA DEL ESTE dove si trovano le Fortezze e il Parco Storico Militare El Morro. Dalle colline di Habana del Este si godono ampi panorami sulla città, si respira aria di mare, lo sguardo spazia sull’oceano aperto: è un posto molto bello e vale la pena di venirci. Iniziamo la visita dalla Fortaleza de San Carlos de la Cabana del 1763, una delle più grandi fortezze coloniali con tanti fossati e viuzze di ciottoli, imperdibile lo skyline suggestivo de l’Habana dal suo celebre Mirador. Ci fermiamo poi al Castillo de los Tres Santos Rejes Magnos del Morro, antica fortezza del 1589 dotata di enormi cannoni e costruita sul punto estremo del promontorio, alto e scosceso, dominato dal grande faro di pietra.
Dalla fortezza del Morro ci rituffiamo nel tunnel che attraversa la baia, e sbuchiamo proprio vicino alla torre del Castillo de San Salvador de la Punta, dove, per difendere il cuore della città di Habana, proprio come a Malta e a Istanbul, veniva un tempo tesa una grande catena lunga 250 metri in questo stretto passaggio di mare, precludendo ai nemici l’accesso.
Entriamo nel quartiere di CENTRO HABANA, che si stende luminoso alle spalle di Habana Vieja.
I primi grandiosi palazzi che si incontrano venendo dal mare sono il Museo di Belle Arti e il Museo de la Revoluciòn, ospitato nell’ex palazzo Presidenziale. Dietro i musei si trova il padiglione di vetro Pavillon Granma che ospita l’imbarcazione di 18 mt con cui nel 1956 Fidel, con i suoi 81 compagni, lascia Tuxpan nel Mexico per Cuba. Da qui, la zona che si attraversa per arrivare al Capitolio Nacional è ricca di storici alberghi, teatri, scuole di ballo e nobili palazzi fra cui il bellissimo Palazzo Bacardi, capolavoro dell’art decò, costruito dalla famiglia che diede il nome ad una delle marche più famose di rum, trasferitasi a Miami insieme alle sue distillerie. Infine si arriviamo al Capitolio Nacional, uno dei simboli dell’Habana, una candida e sontuosa costruzione simile al Campidoglio di Washington, incredibile ornamento di una piazza animatissima e coloratissima di vecchie Chevrolet e Buick americane. Intorno a noi c’è tanta, tanta gente, bei palazzi, un ampio giardino con una grande fontana: è un vero piacere star qui a guardarsi intorno e respirare la vitalità di questa piazza e di questa città. Ma siamo ormai al tramonto, riprendiamo l’auto ed imbocchiamo il Paseo de Martì, o Prado, come i cubani chiamano l’elegante viale che ci riporta sul romantico Malecon, dove il mare, intanto, agitato dal vento della sera, lancia spruzzi robusti verso i fatiscenti palazzi dalle sbiadite tinte pastello. Eccoci nuovamente al VEDADO e, con entusiasmo, arriviamo al nostro nuovo hotel, il famoso Habana Libre. L’Habana Libre, ex Havana Holtel, venne inaugurato nel 1958 e occupato nel 1959 dai rivoluzionari di Fidel Castro che vi stabilì il suo quartier generale. E’ un grande ed alto palazzo, del miglior stile anni 50 con elementi decorativi originali fra cui un grande murale di piastrelle veneziane che riveste la facciata. All’interno si può vedere una esposizione di foto del 1959 scattate durante l’occupazione dei barbudos e la suite La Castellana, primo ufficio di Fidel. Dalle ampie vetrate della nostra camera guardiamo il mare, le fortezze e la città di Habana che magicamente si illumina.
06 DICEMBRE – lunedì – PINAR DEL RIO – VINALES
Aloima ci aspetta fuori dall’hotel con il pulmino e i compagni di viaggio dei prossimi 3 giorni, tutti spagnoli, 4 di Madrid e 6 di Pamplona, sarà una divertente full immersion di spagnolo.
Percorriamo la strada costiera fino a Marina Heminguey. Lungo il percorso incontriamo tanti ragazzi che vanno a scuola con le loro divise colorate, giovani atleti che si allenano correndo scalzi lungo i cigli della strada, tanta gente a piedi e in bicicletta. Deviamo per la A4, l’Autopista Habana-Pinar del Rio, il paesaggio diventa sempre più bello ed ondulato, l’autostrada è praticamente deserta, qualche vecchia auto americana, carretti tirati da cavalli e gente raggruppata agli incroci in attesa di un mezzo o di un passaggio. Ecco un gruppo di case di legno dipinto, un bel seccatoio per il tabacco, una vacca che rumina placida, le palme “incinta” con il loro tipico rigonfiamento a mezzo fusto e i campesinos con i caratteristici cappelli di paglia. Queste sono le prime immagini bucoliche della affascinante regione del Pinar, famosa per i suoi paesaggi, le sue coltivazioni di tabacco (il migliore del mondo!) e per aver dato i natali al violinista e compositore Enrique Jorrìn, padre del cha-cha-cha, il lento cugino del mambo che conquistò l’Europa nei mitici anni ‘50.
PINAR del RIO è un paesone un po’ confuso con tanti bei palazzotti in stile neoclassico coloniale dalle tinte pastello e terrazze con belle sedie a dondolo, per le strade un intreccio di gente, biciclette, carretti e vecchie automobili. A Pinar prendiamo contatto con l’economia della regione.
La Fabrica de Bebidas “Casa Garay” è una storica fabbrica che, grazie ad una ricetta segretissima, produce dal 1892 un distillato alcolico di canna da zucchero e guava, guayaba come dicono qui, conosciuto come Guayabita del Pinar. All’interno c’è ovunque un odore pungente, un misto di frutta molto matura, alcol e sudore. La fabbrica, a primo impatto, sembra non aver nulla di particolarmente interessante, poi, invece, riesci a vedere una realtà lavorativa molto lontana dalle nostre, sia per i macchinari antiquati che per le condizioni dei lavoratori e degli ambienti di lavoro. Il caldo è rotto solo da qualche lenta pala sul soffitto, bottiglie vuote e piene ovunque, uomini e donne fanno praticamente tutto manualmente, compresi lavaggio, riempimento ed etichettatura delle bottiglie. Nel piccolo spaccio della fabbrica ci offrono un assaggio di questo scuro e profumato liquore che ha una versione dolce ed una secca. E’ il primo contatto con il sapore e il colore della guayaba. Ritroveremo poi ovunque questo frutto, tondeggiante e verdastro, con la polpa bianca o rosata, piena di piccoli semi, una specie di grosso fico ma più consistente. Ad ogni pasto troveremo la guayaba come frutto fresco, sotto forma di succo o marmellata, oppure sciroppata ed offerta come dessert con scaglie di un formaggio dal colore giallo.
Nella Fabrica de Tabacos Francisco Donatien si confezionano i pregiati sigari Vegueros e ha sede una scuola per torceadores. Entrare qui è come aprire una porta sul passato, oppure entrare nella scena teatrale dell’opera Carmen, la più famosa, appassionata e romantica delle sigaraie. Ma qui non siamo a teatro, ed operai e operaie lavorano sodo, assiepati in piccoli banchi di legno, stipati in uno stanzone lungo e squallido con piccole finestre dalle persiane socchiuse e da cui non proviene né luce né aria. Subito le narici si impregnano di un caldo ed umido aroma di tabacco che ti arriva dritto in bocca e nei polmoni, te lo senti appiccicato ai vestiti e alla pelle, ma è una sensazione in qualche modo voluttuosa. I banchi di lavoro o tavoli di arrotola tura, chiamati galeras, sono disposti uno dietro l’altro proprio come i banchi dei rematori sulle galere. Ogni banco è occupato da tre torcedores che, occupandosi delle diverse fasi della lavorazione del sigaro, formano dei team di lavoro. Uno appiattisce e divide a metà le grandi e pregiate foglie del tabacco corojo, le priva della nervatura centrale e ne ricava delle pezzoline che diventeranno capa (la parte superficiale del sigaro) se perfette e lucenti, oppure capote (le sottofasce dei sigari) se meno belle e perfette. Un’altro prepara invece il ripieno del sigaro, la tripa, con piccole striscioline ricavate da una diversa varietà di tabacco, il criollo, e le raggruppa in un cilindretto metallico. Le foglie superiori della pianta sono quelle più ricche di nicotina e danno al sigaro robustezza, le foglie mediane sono quelle più aromatiche, le più basse e scure sono quelle che hanno la migliore combustibilità: è il mix di queste tre parti che conferisce a ciascun sigaro caratteristiche diverse e nomi diversi. Il terzo torcedor, infine, avvolge abilmente la tripa nella capote e successivamente nella capa, sottile e trasparente come un bisso. I sigari così confezionati vengono riposti in cassettine di legno e sottoposti a pressione per un po’. Da qui passano ad un altro settore che testa, sigaro per sigaro, la capacità di far passare aria e quindi la sua “fumabilità”, poi vengono attentamente suddivisi per “calibro” e tipo, etichettati, confezionati, tutto manualmente.
Il nome di alcuni famosi sigari, come Montecristo o Romeo y Julieta, ha una curiosa origine nel fatto che i torcedores spesso lavoravano ascoltando la lettura di un libro da parte di un addetto, appositamente stipendiato, e che i romanzi più amati denominassero poi il frutto del loro lavoro.
Lasciamo la cittadina di Pinar del Rio e ci addentriamo nella campagna che mostra orgogliosa i suoi campi coltivati a tabacco, i famosi vegas, con le file verdissime di preziose piantine che spiccano sulla terra rossa, i grandi capannoni per l’essicazione e i contadini che pazientemente lavorano questa terra con il solo aiuto dei buoi. Non vediamo trattori nè motozappe o altri mezzi, dicono che rovinerebbero la terra, ma in realtà non ce ne sono, e, se ci fossero, richiederebbero carburante, un bene dal costo proibitivo per un contadino cubano. Facciamo una breve sosta in una finca (la tipica fattoria del tabacco) e ci viene illustrato il lavoro che richiede questa coltura, le diverse cure ed attenzioni di cui necessitano le piante durante la loro crescita, diverse in base alla loro varietà e destinazione. Subito dopo il raccolto, poi, le foglie passano per varie fasi di essicazione, fermentazione ed invecchiamento prima di arrivare nelle fabbriche di sigari. Tutto si svolge secondo un antico rituale, immutato dal 1580 e non possiamo resistere alla tentazione di acquistare dei piccoli e profumati sigari artigianali confezionati direttamente da questi contadini. Nessuno, anche non fumatore, può sfuggire al fascino del sigaro cubano, stupefacente e prezioso, frutto di una terra generosa e di tanto umile lavoro nei campi, frutto della grande perizia, maestria ed abilità dei torcedores, destinato a trasformarsi in un vano mucchietto di cenere. Una metafora della vita.
Alla VALLE di VINALES ci arriviamo dopo ca. 25 Km. E’ un luogo incantato, uno dei più bei luoghi che mai abbiamo visto, un luogo a cui nessuna fotografia renderà mai veramente giustizia. Si tratta di una valle calcarea, nascosta all’interno della Sierra de los Organos, ricca di particolarità geologiche, dichiarata nel 1999 patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Arriviamo alla terrazza panoramica dell’Hotel Los Jazmines ed è come affacciarsi da un ampio balcone: sotto di noi si apre una fertile valle su cui si innalzano, simili ad immensi covoni di fieno, i mogotes, tondeggianti formazioni rocciose ricoperte di fitta vegetazione. Quando poi scendiamo nella valle, è come tuffarsi in un luogo primordiale e primitivo: grotte, fiumi sotterranei e una intricata vegetazione lussureggiante. Restiamo del tutto affascinati dai boschi impenetrabili abbarbicati sui mogotes dove la scarsa profondità del suolo e la bassa ritenzione d’acqua hanno dato vita ad una caratteristico intrico di piante xerofitiche e di palme. E’ ora di pranzo e ci fermiamo a El Palenque de los Cimarrones, un locale folkloristico situato nella gola della Valle de San Vicente. Il pranzo viene servito su rustici tavoloni disposti sotto tipiche capanne dal tetto di palma che si inseriscono discretamente nel bel paesaggio. Un allegro complessino e i simpatici ballerini in abiti colorati con la loro danza e la loro musica riscaldano la giornata che minaccia pioggia. Proprio dietro il locale si apre, ampio, l’ingresso della Cueva de San Miguel e vi entriamo. Fra levigate pareti di roccia, si snoda un facile e breve percorso, scavato in tempi remoti da acque sotterranee, che sbuca dal’altro lato del mogotes, proprio dove c’è lo scenografico bar Cueva de Vinales. La tappa successiva è la Cueva del Indio il cui ingresso è ben nascosto da un intricato intreccio di liane ed arbusti che sfoggiano smaglianti infiorescenze rosse. All’interno del mogotes in cui si apre questa grotta, scorre per un buon tratto il Rio di San Vicente che si percorre con imbarcazioni a motore. Dopo aver attraversato le ampie ed alte sale che si aprono, una dopo l’altra, sull’acqua del fiume sotterraneo, si torna all’aperto. Qui il fiume si allarga in un’ansa per poi precipitare in un breve salto e continuare il suo viaggio nella valle alla luce del sole. Al termine del percorso ci sono alcune bancarelle e venditori ambulanti, uno di loro sta intrecciando canestri con foglie di palma e ne acquistiamo un paio. Indubitabilmente si tratta di un luogo turistico ma, il sito nel suo insieme e la passeggiata sul fiume sotterraneo meritano. Ai piedi del grande Mogotes dos Hermanas, anzi sul suo fianco, il pittore Leovigildo Gonzales Morrillo ha disegnato nel 1961 un grande murale lungo 120 mt conosciuto come il Mural de la Prehistoria. Quando avevo letto di questa opera che rappresenta giganteschi animali preistorici ed indios a forti tinte, immaginavo una cosa abominevole, sul posto, invece, sono rimasta affascinata da quanto questo murale si integri con il paesaggio circostante e ne faccia risaltare ancora di più la bellezza selvaggia. Insomma, mi sono ricreduta. Da qui, snodandosi fra mogotes e minuscole case coloniche che espongono frutta e verdura, la strada arriva alla colorata ed allegra cittadina di VINALES, piena zeppa di case particulares, con i caratteristici portici e le immancabili sedie a dondolo, piccoli ristorantini e anche un mercato. E’ una cittadina antica, fondata nel 1600 da una comunità proveniente dalle Canarie che vi impiantarono un vigneto dando così il nome all’insediamento. Qui si respira l’atmosfera di un luogo di villeggiatura, e lo è a pieno titolo, grazie alla bellezza naturalistica ed alla possibilità di praticare, in un ambiente unico al mondo, sport come l’arrampicata su roccia e l’escursionismo.
Il nostro albergo è l’Ermita, 2 km sopra il paese, in posizione panoramica sulla valle. Le camere sono raggruppate in basse costruzioni disposte intorno ad una bella piscina e un prato verde smeraldo con cavalli e polli in libertà: tutto al tempo stesso molto naturale e confortevole. La cucina del piccolo ristorante è semplice e tradizionale. Non siamo all’Habana, o nei resort 5 stelle dove i turisti sono come a casa loro, ma le cuoche fanno di tutto per offrire il meglio e per la cena assaggiamo i piatti tipici della regione a base di carne di maiale e pollo, yucca lessata e congri, il riso con i fagioli neri. La sera è fredda ma facciamo comunque due passi per godere della purezza dell’aria notturna. Siamo circondati ovunque dal brulichio di mille stelle e dalle minuscole luci delle casette sparse nella valle, un presepe che rende vivo e palpitante un buio di velluto.
Un po’ infreddoliti ci rifugiamo sotto le coperte e sprofondiamo nel silenzio della notte.
07 DICEMBRE – martedì – CAYO LEVISA
Al sorger del sole andiamo a far colazione. La pianura è ancora immersa nella foschia e nella rugiada, le luci ancora accese delle vie di Vinales si fanno sempre più tremule e diafane man mano che l’alba invade la valle. La notte e l’alba di Vinales resteranno uno spettacolo indimenticabile.
Ma via, lasciamo i monti e si va verso al mare! Si va a Cayo Levisa! Il cielo bellissimo, con lunghe nubi bianche attaccate come ali alle aguzze montagne della sierra, verso il mare l’orizzonte è più chiaro e luminoso e lascia sperare in una bella giornata di sole.
La strada fino a La Palma è un susseguirsi di povere ma dignitose casette di legno, più o meno dipinte a vivaci colori, piccoli giardini pieni di fiori, candidi bucati che sventolano allegri, minuscoli campi coltivati, carretti e calessi tirati da cavalli, bimbi e cani in libertà. Nessuna automobile, nessuna antenna parabolica, nessun cassonetto per i rifiuti e nessun rifiuto per la strada. Ogni paesino, poco più che un gruppo di case, ha una scuola, un busto bianco di Josè Martì, il padre della nazione, un monumento revolucionario e un campanile. Sotto il portico di ogni casetta, anche la più semplice e sghemba, una immancabile coppia di sedie a dondolo. Queste resteranno fra le immagini più care della nostra Cuba.
A Mirian, una barca di legno posta sul ciglio della strada, segnala la deviazione che in 4 km porta a Palma Rubia e al mare. Questo tratto pianeggiante è ricco di rigogliosi bananeti, giganteschi alberi di mango e piantagioni di papaja, anzi di fruta-bomba, come si chiama a Cuba..
Il battello per CAYO LEVISA parte da Palma Rubia alla 10.00 e in 30/40 minuti vi traghetta in un paradiso tropicale. Il tratto di mare che separa la costa dai cayos (così si chiamano le isole che a Cuba si stendono come una cintura davanti alla costa) è breve e placido, sembra un po’ di attraversare una laguna. Cayo Levisa è dunque un isolotto corallino situato sulla costa nord della provincia di Pinar e fa parte dell’Archipielago de los Colorados, così chiamato per la varietà dei coralli. Questa zona è ancora selvaggia e fu molto amata da Ernest Hemingway che vi veniva spesso a pescare. Sull’isola non c’è nessun paese, quello che appare attraccando al molo è solo un fitto bosco di mangrovie ancorate con le loro tenaci radici nel mare verdastro. Una stretta passerella di legno si addentra nel boschetto e porta alla zona occupata dalle strutture turistiche che consistono in due ristoranti, un centro diving e sport acquatici, un negozietto di souvenir e generi vari, una quarantina di cabanas che costituiscono l’Hotel Cayo Levisa. La spiaggia è magnifica, il sole splende e i tre chilometri di sabbia candida e finissima scintillano. Passeggiamo sulla battigia compatta, il mare è mosso e tiepido, è un piacere lasciarsi bagnare piedi e gambe dalla schiuma frizzante ed immacolata delle onde. Mare e cielo hanno tutte le sfumature del turchese e dello zaffiro, un unico drappo blu rotto solo dalla linea schiumante della barriera e dalle piume bianche di qualche nuvoletta. Purtroppo è una giornata ventosa e non si può fare snorkeling, ma possiamo crogiolarci al sole e godere di questo paradiso.
Il pranzo marinero al ristorante Galeon è una pausa piacevole, mangiamo degli ottimi pesci fritti, simili a grandi triglie, e ascoltiamo la musica di Toni, un simpatico menestrello locale che, accompagnandosi con la chitarra, propone le sue creazioni musicali. Toni Carrera ha una gradevole e naturale voce tenorile, le sue canzoni sono orecchiabili, parlano di Cayo Levisa e del Pinar, copriamo il suo CD, soprattutto perché a casa ci ricorderà questo paraiso. Passeggiamo ancora fra le alte palme ricurve sulla spiaggia che creano il vero paesaggio da cartolina, le fotografie si sprecano. Arrivano le 17.00 ed è ora di rientrare. Dal battello godiamo di un bellissimo tramonto aureo su cui si staglia il profilo scuro e frastagliato dei monti della sierra.
08 DICEMBRE – mercoledì – SOROA – LAS TERRAZAS
Il percorso fino a Soroa è stato lento e faticoso, strade piccole e contorte, dissestate, prive di indicazioni e riferimenti, con il rischio di investire persone ed animali che viaggiano nel buio più completo mancando qualsiasi illuminazione stradale; nonostante la relativa vicinanza a la Habana, in questa regione si avverte un forte senso di isolamento. Ma il risveglio a SOROA è magnifico! Ieri sera siamo arrivati qui nel buio e nel silenzio più totale, col sole ora vediamo che l’hotel Villa Soroa sorge all’interno di una chiusa valle, una conchiglia di alberi maestosi e colline ridondanti di vegetazione tropicale. Abbiamo dormito in romantici villini monocamera, con tetto aguzzo e vetrate colorate, sparpagliati sotto alberi giganteschi. Il canto degli uccelli echeggia sonoro e limpido, nessun altro rumore gli si sovrappone. Il sole riesce a sfiorare solo gli alberi più alti e, fra l’erba, risplendono ancora grandi perle, argentee e vitree, di rugiada notturna. Ci sono 10 gradi, ci rendiamo conto di essere in una località di villeggiatura di montagna, nel cuore della Sierra del Rosario, il tratto più orientale e più alto della Cordilera de Guaniguanico. La colazione nel ristorantino dell’hotel ha proprio il sapore dei risvegli in montagna: la stanza profuma di caffè caldo e pane tostato da gustare con la marmellata. Ma le marmellate a Cuba hanno sapori esotici, sono di guayaba e di mango, buonissime, a cui aggiungiamo una spettacolare composta di bucce di pompelmo sciroppate. Tutti i siti da visitare a Soroa sono nei pressi dell’hotel e quindi possiamo fare a meno del pulmino.
SOROA è detta l’arcobaleno di Cuba, le precipitazioni frequenti favoriscono la crescita di alberi e arbusti di ogni specie e persino le orchidee, qui ti puoi convincere del fatto che a Cuba ci sono ca. 8.000 specie botaniche. Uragani, venti marini ed uccelli hanno trasportato semi da terre lontane, i colonizzatori hanno introdotto a loro volta altre piante e così si è venuto a creare questo incredibile giardino. Le padrone di casa sono sicuramente le palme delle quali esistono tante varietà, la più diffusa è la slanciata Palma Reale che supera anche i 20 mt ed l’albero nazionale raffigurato anche sullo stemma di Cuba, poi c’è la Palma da Cocco, pure altissima, e la Palma del Madagascar a forma di cespuglio con i suoi spiumacci, e infine quella caratteristica del Pinar con il tronco a forma di fiasco. Ma ci sono tantissimi altri alberi immensi e bellissimi, fra cui i manghi e gli alberi dei tulipani che in questa stagione sono pieni di grandi fiori rossi, e altre meraviglie botaniche. Soroa deve il suo nome a due fratelli di origine basca, Lorenzo e Antonio Soroa, che, nel 1856, inserirono qui, in mezzo alla rigogliosa foresta tropicale, i primi campi coltivati a caffè. Tomas Felipe Camacho, avvocato canario, regalò invece a Soroa lo splendido parco dell’Orquideario. Creato fra il 1943 e il 1953 in ricordo della moglie e della figlia, l’Orquideario si estente su 3.000 ettari e raccoglie 6.000 piante diverse e 700 specie di orchidee. Qui abbiamo visto tantissime piante strane e mai viste, mentre altre, conosciute da noi come piante di appartamento, le abbiamo ammirate in taglia smisurata. Ma la vera emozione è stata vedere una splendida e grande Catleya esibire i suoi frivoli petali rosa e lilla, con grande eleganza e naturalezza, da un tronco d’albero e non da un vaso. Per le orchidee il periodo migliore pare sia fra dicembre e marzo, noi ne abbiamo viste diverse, sia all’aperto che in serra. Purtroppo, dato che fiorisce in estate, non abbiamo potuto vedere il fiore nazionale di Cuba, la Mariposa, con le sue grandi corolle bianche ed i lunghi sinuosi stami. Dall’Orquideario con una breve passeggiata arriviamo al punto in cui il fiume Manantiales attraversa la valle. Qui si scavalca il piccolo fiume con un ponticello, si percorre un sentiero con parecchi scalini ed immerso nella vegetazione, quindi si arriva al suggestivo Salto del Arco Iris, una cascata di 22 mt di altezza che offre begli scorci in più punti e a diverse altezze. Il sole si è fatto alto e nella forra riparata fa un bel caldo, tanto che viene la tentazione di fare il bagno nella piscina naturale che si trova ai piedi della cascata. Ma è ora di risalire il sentiero, Aloima ci aspetta.
LAS TERRAZAS, a ca. 20 Km a nord est di Soroa, è una località situata nel cuore della Sierra del Rosario, dichiarata nel 1985 dall’Unesco riserva mondiale della biosfera. Qui la popolazione vive divisa in diverse comunità agricole, dedite alla conservazione del territorio e all’ecoturismo. Si stenta a credere che questa zona, ora caratterizzata da fitti boschi e attraversata dal placido fiume San Juan, fosse fino agli anni ’60 praticamente disboscata e che la sua bellezza sia il frutto di un progetto di riforestazione compiuto grazie alla realizzazione di chilometri di terrazze (da cui il nome) sui fianchi impervi delle montagne, piantumate di pini, palme e alberi tropicali.
Dall’ingresso della riserva, per cui si paga un biglietto che va in gran parte a beneficio del progetto, si arriva ad un verde laghetto dove si trova il Centro di Investigaciones Ecologicas e il bar Rancho Curujei dove ci viene offerto da bere in attesa della guida locale che ci accompagnerà nella visita. Aloima ci presenta Francisco, un felice mix di attenta guardia forestale, premurosa guida turistica e simpatico anfitrione, sicuramente è un entusiasta e sa coinvolgere con l’amore che dimostra per ogni pianta ed arbusto. Sale con noi sul pulmino ed nel suo frettoloso spagnolo inizia a bombardarci di informazioni. Arriviamo al Lago San Juan e al paesino che rappresenta la comunità modello dove risiedono i contadini che hanno aderito alla iniziativa; ci fermiamo al Cafè de Maria, un caffè casalingo, punto di ritrovo per i primi contadini che hanno ridato vita a questa terra, e al moderno Hotel Moka costruito intorno ad un immenso albero la cui base troneggia nella hall. Francisco ci mostra orgoglioso la scuola, i negozietti e le botteghe artigiane dove si possono acquistare souvenir.
Una piccola strada asfaltata costeggia quindi il Rio San Juan e arriva ai Banos del San Juan, un luogo veramente poetico, e giustamente affollato, dove il fiume scorre garrulo e cristallino su ampi e levigati terrazzamenti rocciosi formando rapide, cascatelle e grandi vasche naturali che invitano al bagno. La strada sale poi molto ripida fino al Cafetal Buenavista, l’insieme di strutture, più o meno conservate, di una piantagione di caffè fondata da francesi nel 1802. Sono visitabili la casa padronale, dove si trova il ristorante in cui gustiamo il nostro miglior pasto cubano, le ampie terrazze per l’essicazione, una grande macina e le rovine delle abitazioni degli schiavi. Intorno c’è una gran varietà di alberi da frutto, che Francisco instancabile ci mostra, e sugli alberi più alti gli avvoltoi stendono al sole, per farle asciugare, le ali appesantite dall’umidità della foresta.
Ci sediamo sulle sedie a dondolo sparpagliate sotto il grande portico della casa padronale e, beati, lasciamo vagare lo sguardo sull’ampio panorama, sulla sottostante pianura che corre azzurra sino al mare in direzione dell’Habana.
09 – 10 DICEMBRE – giovedì e venerdì – VARADERO
Ed eccoci catapultati a VARADERO, una bianca striscia di sabbia protesa come una cicatrice nell’azzurro mare caraibico, uno dei luoghi di vacanza più conosciuti, un luogo vittima del suo successo. Sicuramente negli anni ’30 quando il magnate americano Dupont scelse questa località per la sua bella Villa Xanadù doveva essere un luogo idilliaco: 20 km di sabbia finissima con il mare da ambo i lati. Oggi, assomiglia a molti altri luoghi di vacanza da pacchetto tutto compreso e di atmosfera cubana è sopravvissuto proprio poco. Da Matanzas una strada veloce corre costeggiando il mare e dopo ca. 35 km si arriva ad una sorta di casello autostradale, un ponte attraversa una laguna ed immette nel paese di Varadero vero e proprio, la zona abitata dai cubani che occupa il primo terzo della penisola. Le strade del paese hanno un impianto a reticolo regolare, una specie di castro romano stretto e lungo, orientarsi è quindi facilissimo anche perché le strade non hanno nomi ma sono numerate dall’1 al 64, dall’inizio del paese alla fine dello stesso dove parte poi la Av. de las Americas e la zona dei grandi alberghi internazionali. E qui ci sentiamo spaesati, è troppo lontana la amata Cuba dei giorni scorsi… nostro malgrado ci troviamo a contatto con quel genere di turismo che non amiamo: il poco edificante spettacolo di giovani canadesi ad elevato tasso alcolico, l’esibizione plateale di carte credito e denaro da parte di un russo a uno sportello di cambio, il peggior gallismo italico sfoggiato da chi, a casa sua, non riuscirebbe a rivolger parola a una ragazza. In questo paese povero, dove anche una fetta di formaggio è un lusso, stride lo spettacolo di piatti stracolmi, di mille vivande assaggiate, pasticciate ed avanzate, infastidiscono le smorfie davanti alla pasta un po’ scotta o al buffet dei dolci, lo spreco del cibo diventa davvero insopportabile.
Il nostro resort è il Barcelò SolyMar, una buona e confortevole struttura internazionale, molto frequentata. Noi, fortunatamente, abbiamo una camera in un tranquillo bungalow vicinissimo al mare, lontano dal corpo centrale dove andiamo solamente per i pasti.
La spiaggia di Varadero è bianchissima, ampia e lunghissima, il mare è limpido ed azzurrissimo, il paesaggio non ha nulla di selvaggio e di particolare, ma la battigia è compatta e ideale per camminare, ne approfittiamo subito per una lunga passeggiata fino a Villa Xanadù. Le passeggiate che però più ci appassionano a Varadero, sono quelle in paese, fra le semplici e basse casette, tutte con porticato, sedie a dondolo e piante fiorite. Gironzoliamo nel reticolo di vie e scopriamo grandi ville di legno, nostalgiche di fasti passati e sbiadite nei colori, ma comunque nobili ed affascinanti. Entriamo nella piccola e polverosa cartoleria-libreria del paese dove si vendono cartoline vecchiotte, libri scolastici e romanzi di seconda mano; nel negozio dove i cubani possono ritirare i generi di prima necessità con la tessera c’è molta gente e pochissima roba, gli scaffali sono praticamente vuoti. La farmacia municipal invece, nonostante l’arredamento da ambulatorio militare, è molto fornita e benignamente vigilata dai ritratti di Fidel, Chè e Josè Marti. Troviamo anche un circolo tennistico dal poetico nome “La raqueta dorada” e una fabbrica con il cortile dipinto da una serie di bellissimi murales revolucionarios con slogan e ritratti del Chè, Fidel e Camillo Cienfuegos. Non poteva mancare una visita all’ufficio postale, governato da una corpulenta donnona che mi ha venduto i francobolli nonostante fosse già chiuso al pubblico, e alla banca, dove un efficiente impiegato indirizzava i clienti ai vari sportelli in base alle necessità. Per gli acquisti, irrinunciabili i negozi di dischi e i mercatini dove si trova un po’ di tutto.
Così, abbandonando i resort e rifugiandoci fra queste vie, siamo riusciti a respirare ancora un po’ di aria di Cuba che, nonostante tutto, riesce a sopravvivere, a fatica, anche qui..
11 DICEMBRE sabato VARADERO – HABANA e volo di rientro.
Durante la notte c’è stato un diluvio tropicale e stamane il cielo è bellissimo e coloratissimo di nubi bianche e nere che contrastano con squarci di un blù purissimo. Salendo sul pulmino che ci porterà all’aeroporto, eccoci inesorabilmente sradicati da Cuba ritrovando i nostri connazionali che si scambiano informazioni sulla vacanza appena trascorsa, sull’hotel, il cibo, le piscine, i cocktail e i divertimenti… Intanto Cuba corre via, il mare alla mia destra e i boschi delle sierre alla mia sinistra, dal finestrino cerco di catturare un’ultima immagine da portare a casa e lo sguardo insiste sui gruppetti di persone pazientemente ferme lungo la strada in attesa di un mezzo di trasporto: la gente di Cuba.
Organizzazione del viaggio
Il nostro pacchetto di viaggio era similmente proposto da Lovely Cuba, Brixia e Condor, le possibili varianti erano solo negli hotel all’Habana e a Varadero, ma di pari categoria. Tutti i tour operator si appoggiano allo stesso operatore statale cubano. Segnaliamo il sito internet di Lovely Cuba che presenta un grande assortimento di proposte e varianti, ideale per un viaggio da confezionare a proprio gradimento. Fatti i vari preventivi alla fine abbiamo acquistato il pacchetto Condor, tramite il sito internet Borsa Viaggi (già utilizzato per altri viaggi) che offriva il prezzo più conveniente.
I documenti di viaggio ci sono stati spediti da Borsa Viaggi via mail, la mattina della partenza, in aeroporto, al banco Condor ci hanno consegnato il visto, l’assicurazione sanitaria, una borsa da viaggio e una piccola guida turistica. Non abbiamo avuto alcun disguido e/o imprevisto, nel pacchetto era proprio tutto compreso, pernottamenti, pasti (spesso comprese anche le bevande), tutti i transfer, ingressi e guide. Esclusi solo il pranzo e la cena del giorno di arrivo all’Habana. Ringraziamo ancora Daniele di Borsa Viaggi, gentile e professionale come sempre.
Costo: Euro 1.270 – finito – a testa.