Spaghetti a 5000 metri!

Perù: sentieri, villaggi e vallate della Cordillera Blanca
Scritto da: gisulfa
spaghetti a 5000 metri!
Partenza il: 01/07/2010
Ritorno il: 24/07/2010
Viaggiatori: 24
Spesa: 3000 €
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Spaghetti a 5000 metri!

Giovedì 1 luglio 2010 – L’appuntamento è sul piazzale delle corriere di Sarzana alle due di notte. Siamo ventiquattro e questo viaggio è stato organizzato in occasione del quarantesimo anniversario della ricostituzione della sezione CAI di Sarzana (1970-2010). Si parte in pullman per Bologna e da li si vola a Madrid. L’aereo per Lima è pienissimo e non c’è neanche una vaga speranza di trovare posto accanto a qualcuno del gruppo; mi ritrovo quindi in penultima fila, accanto ad un ragazzo russo che dormirà per tutta la durata del viaggio con la faccia infilata nell’oblò. Non mi resta che leggere e fare un pisolino. Poi finalmente eccoci sull’Amazzonia! Tutti dormano e hanno il finestrino chiuso. Per vedere qualche cosa devo andare dietro e guardare attraverso il piccolo oblò della porta di emergenza. La foresta amazzonica è immensa e non si riesce a vederne i confini. Qua e la ci sono fiumi lunghissimi che scorrono con andamento sinuoso e che hanno l’aspetto di serpenti. Immagino che si tratti di alcuni dei tanti affluenti del Rio delle Amazzoni. Poi, ad un certo punto si vede una striscia luminosa e grandissima: eccolo il grande fiume! E davvero non ci sono parole per descriverne l’entità e la bellezza! Più tardi, a circa un’ora dall’arrivo, si intravedono le prime montagne. Le cime sono altissime e si ha l’impressione di poterle sfiorare. Il sole è basso e l’ombra delle vette più alte si proietta su quelle più basse, dove si è addensata la nebbia, creando un suggestivo effetto di chiaroscuro. Inizia la discesa su Lima. La città è coperta da uno spesso strato di smog. E’ quasi buio e le luci sono accese. Sotto di noi compare una città dall’atmosfera irreale e dall’aria irrespirabile. La temperatura è di 18 gradi. Sono le sei di sera (ora locale) ed è ancora giovedì 1 luglio. Ad aspettarci c’è Edgar, la nostra guida, con un sorriso smagliante… Ed anche il primo miracolo: sono arrivate tutte le valigie! Saliamo sull’autobus che ci porterà in albergo e facciamo conoscenza con Alfredo, uno dei nostri accompagnatori. Lungo il tragitto si vedono centinaia di ristoranti, bar, casinò, centri estetici, palestre. L’albergo “Las Palmeras” si trova nella zona Nord di Lima, in prossimità della “Panamericana Norte”: la strada che attraversa il Perù, in direzione Nord, sino all’Ecuador.

Venerdì 2 luglio – Quando mi sveglio apro le tende e guardo fuori. Il cielo è grigio e intorno ci sono tanti edifici non finiti. Dei cani usano la piccola aiuola davanti all’albergo come toilette; uno di loro ha il cappottino. Fuori dalla finestra c’è un groviglio pazzesco di fili elettrici: è così vicino che puoi toccarlo. Ma è davvero pericolosissimo!. Dopo un abbondante colazione, nell’attesa di cambiare un po’ di soldi, guardiamo parte del primo tempo della partita Brasile-Olanda. Poi ci avviamo verso un centro commerciale, percorrendo una grande strada in rifacimento dove regna il caos più totale. Centinaia di autobus cittadini sfrecciano in tutte le direzioni. I marciapiedi sono pieni di bancarelle che vendono tante cose da mangiare, tra cui anche piccole uova di quaglia. Un gruppo di uomini approfitta di un televisore in un negozio di elettrodomestici per guardare la partita. Per pranzo, Edgar ci porta in un ristorante tipico. Il buffet è davvero ricco ed è servito in pentole di terracotta che poggiano su fornelli con forme antropomorfe… Ed è tutto buonissimo. Torniamo in albergo per recuperare i borsoni e ripartire con il pullman per un giro sulla costa e al centro di Lima. Nel frattempo dei bambini escono da un portone e si fanno fotografare. Una di loro ha la divisa scolastica: maglione blu e gonna grigia a pieghe. Qualcuno di noi distribuisce piccoli regali e in cambio riceviamo tanti sorrisi. Lungo il tragitto ci sono lavori ovunque e tutto è coperto da uno spesso strato di polvere. Anche le piante sono grigie. Le strade sono piene di venditori che propongono ogni sorta di mercanzia: mandarini sbucciati, flauti, specchi. Alcune sono donne e stanno li, in mezzo al traffico per ore, con i bimbi in spalla. la città si estende per chilometri in una ininterrotta sequenza di edifici con inferriate e filo spinato, cartelloni pubblicitari e gigantografie di candidati politici. Una bella statua che raffigura la Madonna col Bambino è letteralmente “fagocitata” da tutta questa pubblicità. Eccoci di fronte all’Oceano Pacifico. La spiaggia è un’immensa distesa di sabbia rossastra. Onde ragguardevoli si infrangono al largo e qua e la sono cavalcate da gruppi di surfisti. Dovunque ci sono gabbiani, cormorani, pellicani e stormi di anatre selvatiche. Dal lato opposto della spiaggia le prime immagini sono di desolazione e povertà. Case fatiscenti con porte e finestre rattoppate; gente che bivacca sul ciglio della strada. Andiamo verso Sud e ad un certo punto, quasi d’improvviso, come se ci fosse una linea di demarcazione netta tra centro e periferia, tra ricchezza e povertà, il paesaggio cambia. La collina, fino a pochi metri prima scabra e spoglia, è ora tappezzata di rampicanti e decorata con siepi ed alberelli. Le case e i palazzi diventano belli e lussuosi. Sul lungomare ci sono giardini e parchi, ristoranti e discoteche. Un incidente ci impedisce di proseguire lungo il litorale e, passando più all’interno, attraversiamo quartieri decisamente “bene” con cliniche, centri universitari, culturali, sportivi e dove anche i ficus sono verdi e grandi. A Miraflores attraversiamo “el Parque del Amor” con la celebre scultura de “il Bacio” e ritorniamo sulla costa dove, di tanto in tanto, si vede l’ indicazione: “salita di fuga in caso di tsunami”. Proseguiamo fino a Chorrillos e da li torniamo a Lima. Quando arriviamo in centro è ormai buio. Facciamo due passi in Plaza de Armas, dove c’è il Palazzo del Governo e la Cattedrale, aspettando con ansia che ritorni il pullman (a molti scappa pipì)…. Ed è in questa occasione che Angelo pronuncia la celebre frase :”Certo che la pipì condiziona!” Dopo cena raggiungiamo la stazione degli autobus dove ci aspetta un comodo pullman a due piani che ci porterà a Huaraz, capoluogo della regione di Ancash, e base di partenza per le nostre spedizioni. La distanza è di quattrocento chilometri e ci impiegheremo ben otto ore. Quando lasciamo la “Panamericana Norte”, il pullman incomincia a sobbalzare e diventa impossibile dormire. Sui vetri c’è molta umidità e non si riesce a vedere niente. Di tanto in tanto si scorgono solo le luci di qualche villaggio.

Sabato 3 luglio – Al crepuscolo, quando fuori si incomincia a vedere qualche cosa, mi accorgo che l’erba dei prati è ghiacciata. In effetti abbiamo attraversato da poco il passo Conococha, a 4080 m. E’ l’alba e all’orizzonte si staglia il profilo di alcune cime innevate. Da Conococha la strada segue il corso del Rio Santa e attraversa piccoli villaggi caratterizzati da case costruite con mattoni di argilla e fango cotti al sole. Si incomincia a vedere un po’ di vita: donne con abiti coloratissimi, bambini, mucche, asini, cavalli, orti, botteghe. Alle sette arriviamo a Huaraz (3090 m). Al capolinea scendono tutti, poi il pullman prosegue per lasciarci direttamente davanti al Grand Cesar’s Hotel. Alcuni di noi sono molto provati per la nottata in pullman, altri incominciano a sentire l’effetto dell’altitudine. Dopo una doccia e la colazione, usciamo. C’è chi va in cerca di un nuovo cellulare, chi compra cartoline e chi foglie di coca. Il centro di Huaraz è costituito dalla Plaza de Armas che a quest’ora è piena di gente. Sui marciapiedi intorno alla piazza ci sono donne che lavorano a maglia e vendono cappelli, sciarpe e calze. Altre portano a spasso dei lama e si fanno dare pochi spiccioli in cambio di una foto. La strada principale è fiancheggiata da una ininterrotta serie di negozi di elettrodomestici, di abbigliamento e di supermercati. Dopo aver vagato alla cieca in alcuni vicoli laterali mi ritrovo di nuovo sulla piazza principale. Poco lontano si trova il Museo Archeologico di Ancash, dove sono esposti resti della cultura Chavin, Recuay e Paracas (tra cui le famose mummie col cranio trapanato) e una bella collezione di monoliti. Faccio due chiacchiere con la signora della biglietteria che mi suggerisce di andare a visitare il sito archeologico di Willkawain, proprio fuori città. Verso mezzogiorno ci ritroviamo tutti in piazza. Manuel ha comprato della coca e ne assaggio qualche foglia. E’ dura e secca e si fa una gran fatica ad ammorbidirla! Dopo pranzo Alfredo ci porta a fare una passeggiata di allenamento fuori Huaraz, fino (neanche a farlo apposta) alle rovine di Willkawain. Dopo aver attraversato la città in direzione Nord, incominciamo a salire passando attraverso piccoli villaggi distribuiti sull’intera area delle colline orientali. Qui le abitazioni sono davvero molto povere; dappertutto regna un senso di “non finito” e le strade sono delle sterrate polverose e piene di buche. Spesso incrociamo lo sguardo allegro di donne e bambini, seduti sul ciglio della strada, che aspettano un autobus o pascolano i loro animali. Alcuni sono contenti di farsi fotografare, altri no. Ad ogni modo noi rappresentiamo una vera attrazione e quando passiamo nei villaggi, molti escono a guardarci. Talvolta chiedono da dove veniamo. In uno di questi piccoli paesi passiamo davanti alla bottega di un fabbricante di cappelli. Alcuni di noi si fermano, altri proseguono fino alle “ruinas” di Willkawain . Il sole che sta tramontando illumina le cime innevate delle montagne che si tingono di un bel colore dorato.

Domenica 4 luglio – Si parte per Chavin de Huantar, un importante sito archeologico preincaico. Dopo aver percorso la strada sino a Catac, ci dirigiamo a Est passando accanto alla bellissima Laguna Querococha (3980 m.) e, attraverso il Tunnel de Cahuish (4450 m.), scendiamo verso lo stretto “Callejón de Conchucos” attraversato dal Rio Mosna. Arriviamo a Chavin,(3180 m.) e, con una guida del posto, iniziamo la visita del sito archeologico che costituisce il centro principale della cultura che proprio da qui prende il nome; ovvero la cultura Chavin (XIII sec. A.C. – III sec. D.C). Sul sito si identificano almeno due fasi cronologiche. Quella più antica costituita dal cosiddetto “Tempio Antico”, che presenta la caratteristica forma a ferro di cavallo e nei cui sotterranei si trova il Lanzon; un monolite di cinque metri, che raffigura un felino antropomorfo, piantato al centro di una stanza in cui convergono quattro gallerie. La fase più recente è costituita dal cosiddetto “Tempio Nuovo”; un enorme struttura a terrazzi sovrapposti con pareti che presentano una inclinazione antisismica che, fino a oggi, ha funzionato alla perfezione. Dopo una rapida visita al museo archeologico ripartiamo per arrivare al Lago Purthuay (3480 m.) nel Parco dello Huascarán. Da Huari la strada diventa tortuosa e davvero poco adatta ad un pullman come il nostro… Ma l’autista fa miracoli, e dopo un percorso di sette chilometri di tornanti e buche, arriviamo a destinazione sani e salvi. L’autista si merita proprio un applauso. Ad attenderci c’è tanta gente. Alcuni hanno maschere e tamburi e ci accolgono con danze e musiche tipiche della regione. Dopo pranzo facciamo due passi li intorno. Il lago è incantevole ed è incredibile il riflesso del cielo e delle montagne; nitido come se si trattasse di uno specchio. Ripartendo per la stessa strada facciamo una sosta nel piccolo villaggio di Acopalca per vedere il “cautiverio de buena gente” una specie di prigione, in cui, come spiega il pannello: las personas son recluidas por su mal comportamiento que daña la imagen de la comunidad y entorno familiar”. Ci fermiamo di nuovo per andare a visitare i resti di un antico mulino, ma sono più divertenti dei ragazzini che giocano a calcio e ci lasciamo coinvolgere in un breve, ma divertente, match. Quando arriviamo a Huari (3150 m.) è buio. Faccio due passi per il paese in cerca di frutta e il proprietario di una bottega tiene un vero e proprio trattato sulle banane illustrandone differenze e proprietà.

Lunedì 5 luglio – Proseguiamo verso Nord per andare a visitare quello che viene definito “il caseificio più alto del mondo”. La strada come al solito è sterrata e dopo una lunga serie di tornanti arriviamo al passo di Huachucocha (4350 m.). Davanti a noi si apre un panorama splendido. La Laguna Conococha e, più lontano, le cime innevate della Cordillera, sono uno spettacolo senza pari. Scendiamo dal pullman per fare delle foto e poi, visto che il caseificio non è distante, decidiamo di proseguire a piedi. Quando arriviamo, nell’edificio usato come cucina, sopra una enorme stufa a legna, in un tegame sta consumando della salsa di pomodoro e in un grosso pentolone sta bollendo l’acqua per gli spaghetti. Poi gli operai incominciano a tagliare una bella forma di formaggio stagionato: è semplicemente favoloso! Ne mangiamo in gran quantità e ne compriamo anche un po’ per i giorni a venire. E’ davvero piacevole stare qui in questo posto semplice e conviviale, che offre anche una piccola curiosità: su uno scaffale ci sono alcuni volumi dell’Enciclopedia del Quindici! Sul pullman c’è un caldo infernale e per via della polvere nessuno vuole aprire il finestrino. Secondo me sono tutti matti! Ma cosa farà mai un po’ di polvere! Dopo San Luís la strada diventa impervia e gli strapiombi impressionanti. Il paesaggio è bellissimo e attraversiamo villaggi incantevoli. Peccato non potersi fermare! In prossimità di Chacas (3360 m.) bisogna passare su un ponte di legno dall’aria tutt’altro che solida… Ma regge e tiriamo un sospiro di sollievo. Ancora qualche curva ed eccoci arrivati! Qualcuno azzarda ipotesi sull’albergo e, sulla base della teoria che più ci si allontana dalla civiltà e peggio è, dice di non aspettarsi niente di buono. E invece l’ Hostal Pilar è una autentica sorpresa. Si tratta di una grande casa in stile ispanico con un ampio ingresso, pieno di divani, sedie a dondolo e mobili antichi. C’è anche un cortile centrale attorno al quale si aprono le camere, sia al piano terra che al primo piano. Alcune sono arredate con grande gusto! C’è anche una bella lavanderia dove possiamo lavare e stendere le cose sporche. Approfittiamo dei comodi divani per per rilassarci e fare quattro chiacchiere ma purtroppo c’è Manuel che non trova il suo pile e rompe le scatole a tutti. Oggi, come diceva il programma, è stata davvero “una giornata speciale tra gente speciale!” E la serata sarà la degna conclusione; accolti da amici e parenti di Edgar che dopo cena suonano per noi e ci invitano a ballare. E c’è anche il lieto fine! Alfredo trova il pile di Manuel.

Martedì 6 luglio – Dopo alcuni giorni di acclimatazione, oggi siamo pronti per la prima vera avventura. Al gruppo si aggiungono Samuel (fratello di Edgar e guida), Victor (zio di Alfredo e aiutante guida), Marco (aspirante guida), Tomas, Felix e Alberto(cuochi tuttofare). Dopo colazione carichiamo le valigie su un trattore, dove c’è anche tutto l’occorrente per i campi in quota. Alcuni di noi si sono procurati dei sacchi per proteggere i bagagli dalla polvere! Ma che fissazione questa della polvere!!! Io, Claudia e pochi altri preferiamo le valigie vissute. Partiamo con due “combi” (minibus), in cui superiamo abbondantemente il numero di posti previsto. Seguendo la vallata del Rio Chacapata, uno degli affluenti più lontani del Rio delle Amazzoni, arriviamo a Pompey, un piccolo villaggio con case di mattoni di fango e tetti di paglia. Da li, seguendo sempre la vallata, raggiungiamo la piccola frazione di “Vesuvio” (3790 m.) e la vecchia miniera degli italiani di Wanchag. La valle è bellissima e in particolare qui, nel tratto terminale, ai piedi della montagna, sembra di essere in un luogo mistico! Lungo il torrente ci sono cavalli e mucche che pascolano in libertà. Tutto intorno si vedono alte cime innevate da cui scendono tanti piccoli corsi d’acqua, che poi confluiscono qui a valle nel torrente principale. Da li ci si inerpica lungo una valle laterale, la strada però è disastrata e uno dei minibus non ce la fa. L’autista decide di tornare indietro e metà del gruppo resta appiedato. Lungo il sentiero attraversiamo un bosco di alberi dalle forme contorte e dalla corteccia che si sfalda; sono dei quenual, i soli alberi al mondo in grado di crescere a 4800 m. Da un certo punto in poi neanche il trattore riesce a proseguire e tutti i bagagli vengono trasferiti sugli asini. Siamo a circa 4100 m. E iniziamo a salire verso la Laguna Bayococha (4500 m.), dove pernotteremo. Questo lago dall’acqua color smeraldo, circondato da montagne che si riflettono nelle sue acque limpide e in cui si gettano tante piccole cascate dal suono roboante, è davvero splendido. Che emozione! Resto li per un po’ ad osservare cuochi, guide e portatori, che si danno un gran daffare e una mucca che si aggira curiosa nel campo. In tenda mensa viene servito il tè. Fuori incomincia a imbrunire e i colori del lago, del cielo e delle montagne diventano irreali. Più tardi viene servita la cena. L’unica luce è quella delle candele…e l’atmosfera è magica. Tutto è perfetto… O quasi! Basterebbe che il pisano stesse un po’ zitto! Durante la notte la temperatura scende. Di tanto in tanto si sente il boato di enormi slavine che rende l’atmosfera ancora più elettrizzante.

Mercoledì 7 luglio – E’ l’alba. La mucca è ancora lì che si aggira curiosa tra le tende. C’è nebbia ma si intravede la luna. Tutti dormono ancora. Alle sette si avvicina qualcuno; è Edgar con il caffè…che ci riporta alla realtà! Intanto si stanno smontando le tende mensa e si apparecchiano i tavoli per una colazione all’aperto. Cosa potrebbe esserci di più bello e romantico? Più tardi ecco di nuovo Edgar con un mazzo di fiori bellissimi: sono dei rima rima, una ranuncolacea (ranunculus weberbaueri), dal bel colore rosa-arancio che cresce a queste altitudini e che fiorisce anche in mezzo alla neve. Forse vuole addolcirci un po’ la pillola…visto che oggi il programma sarà piuttosto impegnativo! Ci aspetta infatti un percorso di circa otto ore per lo più fuori sentiero, su lunghi tratti di morena, con due salite sino a 4800m. Nel tratto iniziale del percorso attraversiamo quello che viene chiamato il “giardino Inca”: un’area piena di rima rima, lupini (weberbaueri e ballianus), passiflore (passiflora trifoliata) e diverse cactacee. Con grande fatica e molto lentamente arriviamo a 4800 m. Poi ridiscendiamo di qualche centinaia di metri, attraverso una pietraia piuttosto impegnativa, per risalire di nuovo a 4800 m. E raggiungere la Laguna Allicocha (4600 m), dove facciamo una pausa. Da qui in poi il sentiero è tutto in discesa (in alcuni tratti ripida e instabile), ma la distanza da percorrere sembra incolmabile e ci vogliono più di due ore per ridiscendere a Wanchag. Lungo la discesa giungono fragori di slavine. Il paesaggio è assolutamente selvaggio e impervio. Arriviamo a Wanchag e da li, seguendo una strada sterrata che porta alla vecchia miniera di Atalaya, arriviamo al campo dove stanno montando le tende. A me e a Claudia ne tocca una al margine del bosco. Victor cerca di spaventarci dicendo che in quella zona sono stati avvistati dei puma; ma noi non siamo certo donne impressionabili, e coraggiosamente affrontiamo il nostro destino!!! Al campo ferve una grande attività: ci sono i soliti portatori con i cani e i bambini… E poi ci sono cavalli e maiali che pascolano liberi tra le tende e lungo il margine del torrente. Anche questo è un luogo paradisiaco! Le montagne intorno sono bellissime. Tutto è bellissimo. Anima e corpo si sentono appagati!

Giovedì 8 luglio – Oggi giorno di riposo. Dopo colazione noi donne andiamo al torrente per fare toilette. Sorprendentemente l’acqua non è gelida e alcune di noi si tuffano per un bagno completo. In tarda mattinata andiamo a Pompey. Passiamo per la vecchia miniera degli italiani dove sono ancora visibili strutture murarie e macchinari in ferro. Potrebbe davvero essere un bell’esempio di archeologia industriale! Lungo la strada vediamo una coppia di buoi che tira un arcaico aratro di legno. Incontriamo anche diversi bambini che se ne stanno li tutti soli, sul ciglio della strada, a pascolare gli animali. A Pompey compriamo un po’ di viveri e poi ci rimettiamo in marcia per tornare al campo.

Venerdì 9 luglio 2010 – Dopo colazione smontiamo le tende necessarie al secondo campo e le carichiamo sui muli che partono con i portatori. Il sentiero, che sale molto rapidamente, ad un certo punto attraversa un fitto bosco di quenual dalle forme più bizzarre. Da qui in poi i muli non possono proseguire e sono i portatori che si caricano tutto sulle spalle e che, nonostante il peso e le ciabattine di gomma, vanno spediti come treni. Noi abbiamo zaini più leggeri e buoni scarponi, ma arranchiamo e scivoliamo. Angelo sostiene che al posto delle unghie hanno degli artigli. Dopo circa tre ore arriviamo alla Laguna Libron (4500 m) che, come preannunciava Edgar nel programma, è “la zona assolutamente più bella della Cordillera Blanca”. Ci fermiamo ad ammirare lo spettacolo che offre questo lago dalle acque turchesi, incastonato come una gemma tra montagne e ghiacciai imponenti, poi proseguiamo sino ad un piattaforma rocciosa su cui si stanno montando le tende. Proprio di fronte a noi, dall’altra parte del lago c’è una cresta rocciosa dove nidificano i condor… Che però non si vedono! Sulla destra, tra il Nevado Hualcan (6104 m.) e il Nevado Cancaraca, si trova la prima delle tre cime previste nel programma. E’ una vetta senza nome e, apparentemente anche una via nuova…. E infatti guardando meglio vediamo tre puntini neri che si spostano rapidamente; sono Alfredo, Samuel e Marco che sono partiti in avanscoperta per capire quale sia il punto migliore per attaccare il ghiacciaio e per fare la traccia. Nel frattempo qualcuno ha acceso il fuoco, e l’acqua per il tè sta bollendo. Il cielo cupo rende il paesaggio ancora più drammatico e affascinante. In previsione della levataccia che ci aspetta, Edgar suggerisce di cenare presto. Felix prepara una splendida spaghettata a cui segue il buonissimo formaggio del caseificio. Assistiamo poi ad un fantastico tramonto che colora le cime di varie tonalità di rosa… E alle sette tutti a nanna. Durante la notte piove a più riprese.

Sabato 10 luglio – Ci svegliamo all’una, e alle due, sotto un cielo minaccioso, partiamo alla volta della vetta sconosciuta. Nel primo tratto arranchiamo su grandi roccioni che, per via della pioggia, sono diventati scivolosi. Si inizia quindi a salire attraverso una zona ricoperta di vegetazione; ma anche qui non esiste un vero e proprio sentiero e camminare è faticoso. Andiamo avanti per circa un’ora e mezza poi ricomincia a piovere; prima una pioggerella fine fine, che si fa sempre sempre più forte, fino a diventare torrenziale. E’ chiaro che bisogna tornare indietro. Ora il sentiero è veramente impraticabile e camminare senza cadere è molto difficile. Con la pioggia tutto è diventato scivoloso e in alcuni punti si fatica a ritrovare le tracce. Alle cinque, fradici e infreddoliti, siamo di ritorno al campo dove, dopo un bel “mate” caldo, ci rinfiliamo nei sacchi a pelo. Appena la pioggia accenna a diminuire, smontiamo le tende e ridiscendiamo al primo campo. Il sentiero ora è fangoso e scivoloso e in alcuni punti pericoloso. Arriviamo giù in condizioni pietose: fradici e pieni di fango. Per fortuna Tomas ci ha preparato una bella zuppa calda che ci rimette al mondo. Dopo esserci riposati e asciugati ci rimettiamo di nuovo in marcia fino a Vesuvio, dove troveremo i minibus per Chacas. All’hotel Pilar ci aspetta una bella doccia calda e tante cose da lavare. Il problema è trovare lo spazio per stendere tutto. La lavanderia è troppo piccola e, usando le corde da montagna, nel giro di pochi minuti il cortile è invaso da un intrigo di fili e di panni stesi.

Domenica 11 luglio – Giornata di riposo. Finalmente ricompare anche un po’ di sole e prima di uscire a fare colazione, davanti agli occhi divertiti della proprietaria, stendiamo altri panni fino a riempire ogni centimetro libero di corda e di cortile. Segue l’incontro con le autorità: nella grande piazza di Chacas, davanti ad alcuni curiosi, assistiamo alla cerimonia dell’alzabandiera, mentre l’altoparlante diffonde le note di un inno ufficiale. Ma il momento più emozionante è l’incontro con gli anziani dei villaggi; vecchi dal viso scavato da profonde rughe e dalle mani deformate da una vita di duro lavoro. Uno dopo l’altro, tutti col poncho e il cappello marrone, sfilano davanti a noi e ci stringono la mano augurandoci “buena suerte.” Come da programma, anche oggi “un giorno speciale con persone speciali”! Ma non è finita, e dopo la cerimonia ci aspetta la visita al centro artigianale. Alcuni di noi riescono anche a visitare il piccolo museo archeologico dove, fra tanti reperti interessanti, provenienti da vari siti archeologici della zona, c’è un bellissimo “quipu”; la corda con il complesso sistema di nodi usata per il calcolo. In tarda mattinata andiamo in giro per Chacas. La messa è finita e la piazza si riempie di bambini che giocano a palla e si rincorrono. I negozi e il mercato sono aperti e si può trovare ogni genere di mercanzia: dai pesci alla frutta, dalle bacinelle in plastica alla lana di pecora; proprio quella che si usava da noi una volta per fare i materassi. A pranzo siamo tutti davanti alla televisione per vedere la finale dei mondiali. Ci dividiamo a seconda della tifoseria: i peruviani tifano Spagna mentre gli italiani, tranne poche eccezioni, tifano Olanda. Ma la vera partita, quella più emozionante, si gioca alle tre del pomeriggio, in un piccolo campo dietro la chiesa di Chacas, tra CAI Sarzana e guide peruviane. Questi ultimi, che hanno un giocatore in meno, alla fine del primo tempo stanno già vincendo per 3-0. I nostri, per via dell’altitudine, sono spompati e allora Cesare (il furbone!!!) suggerisce di entrare in campo, alla chetichella, tutti quanti… Così anche i nostri riescono a segnare. Risultato: 5-3, a favore del Perù. Dopo la partita alcuni vanno a visitare altre attività artigianali; io torno in albergo e, siccome incomincia a piovere, tolgo alla svelta tutti i panni stesi e cerco di sistemarli come posso al coperto. Quando gli altri ritornano, ognuno si mette alla ricerca della propria roba e si crea un po’ di scompiglio, soprattutto per quanto riguarda i calzini!

Lunedì 12 luglio – Partiamo con i due “combi” alla volta di Acochaca dove ci fermiamo per fare una foto con l’ ”alcalde”. Quando ripartiamo, nei minibus si sono aggiunti due passeggeri: uno sul tetto e l’altro (una minuscola signora anziana) per terra, a ridosso della portiera. Proseguiamo sino a Sapcha, dove visitiamo una fabbrica di tappeti gestita, nell’ambito dell’Operazione Mato Grosso, da Emanuela; una signora di Faenza, che ci accoglie con un buon caffè. Visitiamo la fabbrica e compriamo dei tappeti dai colori vivaci. Da Sapcha proseguiamo a piedi lungo quello che viene definito il” nuovissimo cammino inca”; un percorso davvero panoramico e molto poco turistico che attraversa villaggi poverissimi, dove il tempo sembra essersi fermato e dove la gente parla il Quechua, la lingua degli Inca. Lungo il sentiero si incontrano contadini che lavorano la terra con vecchi strumenti, donne che filano la lana con il fuso, famiglie che passano il tempo a chiacchierare, bambini che non chiedono, ma che sperano in qualche caramella… Tutti pronti al sorriso e anche disposti a farsi fotografare. Ci fermiamo a visitare una scuola con tantissimi bambini. E’ l’ora di pranzo. Alcuni prendono il cibo con le mani da un piccolo secchiello di plastica. Hanno abiti logori e scarpe consumate. E’ un’immagine ben diversa da quella delle nostre scuole! Cesare lascia qualche maglietta del CAI; ma purtroppo non bastano per tutti! Quando suona la campanella i bambini si riversano in strada; qualcuno fa un pezzo di strada con noi. Hanno tutti l’aria seria. Faccio qualche foto e, quando mostro il display e si riconoscono, fanno dei grandi sorrisi. Proseguiamo sino al villaggio di Yahuarcocha (3200 m.). Qui Cecilia, un’altra italiana che gestisce una fabbrica di maglioni di alpaca, ci offre un tè e ci parla della sua esperienza di vita in Perù. Ci rimettiamo in marcia e, prima attraverso campi coltivati e poi attraverso una vasta zona di pascolo in cui cavalli e mucche vivono in piena libertà, arriviamo al Passo di Pupash (4200 m.). Da qui è possibile ammirare le montagne e i ghiacciai più imponenti della Cordillera Blanca: lo Hascaran (6768 m.), il Chopicalqui (6354 m.), lo Huandoy (,6395 m.), il Chacraraju (6112 m.), l’Artesonraju (6025 m.), il Quitaraju( 6036 m.). L’Alpamayo (5975 m.) e tanti altri ancora. Quando arriviamo è quasi buio e ci sono grandi nuvole nere cariche di pioggia. Fortunatamente le tende sono già montate e quando, poco dopo, inizia a piovere possiamo ripararci. Si cena presto e poi, per ingannare il tempo, iniziamo a cantare… E tiriamo sino alle 9:00. Nel frattempo il cielo si è aperto e le stelle viste da li, sono uno spettacolo indimenticabile.

Martedì 13 luglio – Questa mattina fa un gran freddo e sulle tende troviamo uno spesso strato di ghiaccio… Ma lo spettacolo è mozzafiato. Nel cielo blu del crepuscolo si stagliano le bianche vette dello Huandoy e del Chacraraju; in mezzo è visibile anche il Pisco (5752). Quando, alle nostre spalle sorge il sole, tutto si illumina dei colori caldi dell’alba: i prati, le montagne, il cielo… E vale la pena fare colazione all’aperto… Per godere in tutto e per tutto di questo spettacolo. Ci incamminiamo poi verso il villaggio di Yanama passando dal sito archeologico di Uayan, quasi interamente da scavare. Da li, scendendo lungo una cresta rocciosa, arriviamo a Yanama e piantiamo le tende nel cortile della casa di Edgar, dove lo aspetta la famiglia. Cerchiamo un posto per darci una rinfrescata e troviamo un torrente dall’acqua torbida; ed è in questa circostanza che Franca tira fuori l’espressione di “bidè andino”. La casa di Edgar è bella e accogliente; c’è anche un orticello e tante piante da frutto. Alle tre è pronta una bella spaghettata che ci ripaga delle fatiche. Nel pomeriggio alcuni vanno in paese e Angelo si compra le ciabatte da portatore (quelle fatte con gli pneumatici). Michele, Piera, io e i figli di Edgar andiamo a suonare la campana che domina il paese. E’ divertentissimo farsi tirare su dalla corda.

Mercoledì 14 luglio – Michele ci saluta con un “Buongiorno!”… E Federico da dentro la tenda risponde “Buongiorno un c…o!” E ha tutte le ragioni di questo mondo perché anche oggi piove. Qualcuno decide di andare a visitare una scuola e a fare compere in un paese vicino, qualcun altro preferisce tentare la sorte, e andare a piedi a visitare un sito archeologico. Filippo, Pier Giuseppe, io, con la guida di Alfredo e Marco, ci incamminiamo, sotto una leggera pioggerella, per un fitto bosco di eucalipto e poi ci inerpichiamo, tra campi terrazzati, lungo un sentiero sassoso e sconnesso. La pioggia aumenta e cerchiamo riparo in una capanna con il tetto fatto di paglia; ma dopo un po’ l’acqua entra anche li. Ad un tratto si abbassa la temperatura e incomincia a grandinare. Appena la pioggia accenna a diminuire usciamo dal nostro rifugio e torniamo a Yanama; la strada nel frattempo si è trasformata in un torrente e l’acqua arriva alle caviglie. Non ne possiamo più: siamo fradici e infreddoliti. Lungo la strada tre cani i cani si calmano e lui sostiene di aver compiuto il miracolo! Per fortuna quando arriviamo al campo fa capolino il sole e riusciamo ad asciugarci e scaldarci. All’imbrunire in cielo si vede uno spicchio di luna e una stella che fanno presagire bel tempo.

Giovedì 15 luglio – Finalmente il cielo è azzurro, anche se non completamente privo di nuvole. Smontiamo le tende, facciamo colazione e incominciamo con i primi saluti: Alberto, l’aiutante, ci lascia. Dopo circa due ore di viaggio lungo la Quebrada Morococha arriviamo al passo di Porta Chuelo (4767 m.) dove, ai nostri occhi, si apre un panorama magnifico con le cime dello Huascaran Sur (6768 m.) e Norte (6664 m), dello Huandoy (6356 m.), del Pisco (5752 m.) e del Chacraraju (6112 m.). In lontananza e molto più in basso, si scorge la Valle di Llanganuco con le sue due lagune dall’acqua turchese. Ripartiamo e con i minibus percorriamo la discesa, ripida e piena di tornanti vertiginosi, che dal passo porta al vasto pianoro di Cebollapampa (3900 m.). Da qui, con gli asini, incominciamo a salire verso il Rifugio Perù (4665 m.). Fa caldo e a più di 4000 m. Si sta in maniche corte. E’ fantastico! In poco più di due ore raggiungiamo il rifugio. Un altro posto davvero speciale dove, anche per via di una bella stufa a legna, si respira un’atmosfera calda ed accogliente. Alle pareti ci sono foto che documentano la non facile costruzione dell’edificio e i gagliardetti di tante sezioni CAI. Al tramonto le cime delle montagne si tingono di rosa e noi tutti andiamo fuori a far foto.

Venerdì 16 luglio – Sveglia all’una, e partenza alle due di notte. Nel buio più totale, ma sotto un bel cielo stellato, incominciamo a risalire il lungo e difficile tratto morenico e, dopo più di due ore di faticoso cammino, arriviamo alla base del ghiacciaio a circa 5000 m., dove facciamo una sosta tecnica per mettere ramponi e legarci in cordata. Qualcuno incomincia ad avere problemi di altitudine e così Edgar propone di fare una cordata alternativa che si fermerà al colle (5300 m.). Nel tratto iniziale il ghiacciaio è così duro che non si riescono nemmeno a piantare i ramponi e si avanza a fatica. Quando arriviamo al colle incomincia ad albeggiare. Una cordata si ferma, le altre tre proseguono. Dobbiamo percorrere una serie di ripide “bosses” e, più si cammina, più si ha l’impressione di non arrivare mai. Ad un tratto sentiamo un boato. E’ un’ enorme slavina che si è staccata dallo Huandoy e che, come scopriremo poi, è arrivata così in basso da ricoprire di nevischio la cordata che si era fermata al colle. Dopo un ultimo, faticosissimo, tratto di salita siamo alla base della vetta. Rimane da affrontare una parete piuttosto ripida e, alle 9:00, dopo sette ore di marcia, la prima cordata raggiunge la vetta del Pisco ( 5752 m. ). Dopo uno spuntino e le foto di rito e ripartiamo. Sentiamo un altro boato: è una seconda valanga, anche questa di dimensioni gigantesche, che arriva fin giù alla morena. In un paio d’ore arriviamo alla base del ghiacciaio. Togliamo i ramponi e, dopo aver riattraversato la morena, facciamo ritorno al rifugio alle due del pomeriggio…stanchi ma felici!!!

Sabato 17 luglio – Sveglia e colazione in tutta tranquillità. Ecco i muli che riporteranno a valle i nostri bagagli. Un ultimo saluto al Rifugio Perù e giù a Cebollapampa dove ci aspetta il pullman per Huaraz. Lungo la strada facciamo varie soste: prima alla Laguna Llanganuco, per fare una bella foto di gruppo e poi, subito dopo, in un ristorante dove si mangia il “cuy”, il porcellino d’India. Nell’attesa che sia pronto facciamo due passi li intorno. Una donna con delle lunghe trecce sta tritando del peperoncino con una macina di pietra. Notiamo anche delle bottiglie appese all’ingiù e piene d’acqua… Da usare come rubinetti. Geniale! Il cuy è pronto! Viene servito intero e le zampette fanno un po’ impressione! Ma la carne è saporita e tenera. Ci rimettiamo in marcia e, mentre passiamo sotto lo Huascaran, Edgar ci racconta della tragedia del 1970 quando una valanga, causata da un forte sisma, seppellì l’intera città di Yungay. Sparsi ovunque, ci sono ancora gli enormi massi che la valanga ha trascinato a valle. Da Yungay la strada diventa asfaltata e, dove c’è l’asfalto, ci sono negozi, officine e tanto traffico. C’è persino un aeroporto e già si rimpiangono le strade sterrate e i tranquilli villaggi all’interno della Cordillera. A Huaraz si sta celebrando la grande festa dell’Università e la piazza è gremita di gente. Lungo la strada principale sfilano gruppi in costume. Le ragazze sfoggiano vestiti colorati e decorati di perle e paillettes. C’è anche un orchestra e dei cantanti. Molti ballano e anche qualcuno dei nostri si lascia coinvolgere nelle danze. Questa sera altri saluti: Tomas e Samuel ci lasciano per un’altra spedizione.

Domenica 19 luglio – Giornata di riposo, dedicata al bucato e allo shopping. Stamani l’aria è tersa e dalla terrazza dell’albergo la vista è splendida: le montagne della Cordillera Blanca sembrano vicinissime. Si vede bene anche il Vallunaraju (5686 m.), la cima che tenteremo nei prossimi giorni. Per quelli che non possono andare, Edgar propone una gita alternativa nella zona in cui cresce la Puya Raimondii.

Lunedì 20 luglio – Colazione e poi partenza in due gruppi separati. Il primo si dirige a Sud fino a Pachacoto e poi, seguendo la valle attraversata dal Rio Pumapampa, risale sino all’area in cui cresce la Puya. Noi del secondo gruppo da Huaraz puntiamo a Est e dopo due ore di strada sterrata, in direzione della Laguna Llaca, arriviamo all’attacco del sentiero per il campo morena, a circa 4000 m. Oggi non ci sono né portatori né asini e la salita è di circa 1000 m. Di dislivello. Per fortuna Marziano, uno dei due guardiani, ci da una mano. Al campo morena (5000 m.) troviamo tre ragazzi italiani che sono li per fare sci alpinismo. Dei cara cara (Polyborus plancus), uccelli simili a falchi, incominciano a volteggiare sulle nostre teste. Il cielo improvvisamente si fa plumbeo, la temperatura scende e incomincia a nevicare. Entriamo in tenda. E’ bellissimo stare li al riparo e guardare la neve che fiocca! Anche la cena è servita in tenda: spaghetti al ragù e zuppa di verdure… Questo si che è un vero miracolo. Spaghetti a 5000 m.!

Martedì 21 luglio – Partenza alle due di notte sotto un cielo stellato ma con una temperatura glaciale. In prossimità dell’attacco del ghiacciaio, dove ci fermiamo a fare le cordate, la temperatura si abbassa ulteriormente. Sul ghiacciaio c’è neve fresca e si sprofonda sino alle caviglie. Gli zaini diventano dei blocchi di ghiaccio. Quando arriviamo sulla sella tra la cima e l’anticima incomincia ad albeggiare. Resta da affrontare ancora una salita piuttosto esposta. Facciamo una breve pausa poi ripartiamo e alle sette arriviamo in vetta. Finalmente fa capolino il sole e la temperatura si alza. Intorno ci sono montagne con creste affilate e crepacci enormi… Tutto è immenso e spettacolare. Arrivano anche i tre italiani con gli sci in spalla che poi, durante la discesa, con gli sci ai piedi, ci raggiungono e ci superano in un baleno. Deve essere fantastico sciare su questa neve fresca ma anche compatta… E soprattutto in un posto così bello! Quando arriviamo al campo le tende sono già state smontate ma Felix non ci fa mancare un bel “mate” caldo. I cara cara di ieri sono ancora li che volteggiano. Ricompare Marziano, che riparte con un po’ della nostra roba e anche noi scendiamo a valle, dove troviamo il minibus che ci riporta a Huaraz.

Mercoledì 22 luglio – Dopo le ultimissime spese ci ritroviamo tutti in piazza e da li, in taxi, raggiungiamo le nostre guide che, in un casolare alla periferia della città, stanno preparando la pachamanca, per la festa di addio. La pachamanca, che letteralmente significa “pentola di terra” (dal quechua pacha “terra” e manka “pentola”) è una antica cerimonia, tramandata dagli Inca, che consiste nella costruzione di un cumulo di sassi al cui interno viene acceso un fuoco e che, dopo qualche ora, viene smantellato. Sui sassi roventi vengono quindi distribuiti pezzi di carne, marinati e avvolti in foglie di banana, che si alternano a strati di banane, piselli e “camote” (patata dolce). Il tutto viene nuovamente ricoperto da sassi roventi, terra ed erba. Dopo circa quaranta minuti assistiamo con l’acquolina in bocca al dissotterramento dei vari ingredienti e assaggiamo le prime verdure li intorno alla “pentola”. Una piccola orchestra composta da violino, arpa e flauto suona musica andina. E’ tutto buonissimo e l’atmosfera è davvero bella; c’è musica, calore e amicizia. Ma inesorabilmente arriva il momento dei saluti: è la volta di Victor e Marco. Dopo pranzo torniamo a Huaraz a piedi. Siamo tutti allegri… Forse un po’ “brilli”. Nel pomeriggio assistiamo ad una parata di bambini delle scuole cittadine, che sfilano con i loro variopinti costumi tradizionali. La sera, durante un concerto, a nostra insaputa siamo chiamati sul palco e l’”alcalde” ci consegna il diploma di “Visitante Distinguido”. Alle dieci saliamo sul pullman che ci riporterà a Lima.

Giovedì 23 luglio – Ultimo giorno. Alle sei della mattina arriviamo a Lima dove, come già preannunciato dai giornali, fa un freddo cane. Dopo pranzo rapida visita al “Museo de Oro” e poi in aeroporto. E’ il momento dei saluti…. Addii o arrivederci, chissà? Alfredo, Tomas, Edgar. Durante la notte, in aereo, tiro su il finestrino e sotto di noi vedo enormi lampi che squarciano il cielo e che illuminano enormi nuvole cariche di pioggia. Sopra di noi la costellazione di Orione è così vicino che sembra di poterla toccare…Tra poche ore saremo in Italia, con tanti ricordi in più, tante cose da raccontare e… Tanta, tanta nostalgia del Perù. Paola Ghizolfi



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