La rotta dell’Eldorado

Quello che segue è un articolo molto interessante scritto dalla giornalista peruviana e collaboratrice della nostra associazione (Magie delle Ande) Lissete Herrera Casas LA ROTTA DELL’ELDORADO Viaggio alla Riserva Naturale del Pacaya Samiria La recente regolamentazione dei circuiti turistici nella Riserva Nazionale Pacaya Samiria fu...
Scritto da: Gabriele Poli
la rotta dell'eldorado
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Quello che segue è un articolo molto interessante scritto dalla giornalista peruviana e collaboratrice della nostra associazione (Magie delle Ande) Lissete Herrera Casas LA ROTTA DELL’ELDORADO Viaggio alla Riserva Naturale del Pacaya Samiria La recente regolamentazione dei circuiti turistici nella Riserva Nazionale Pacaya Samiria fu l’occasione che attendevamo per visitare questo fantastico angolo dell’Amazzonia peruviana. Andares ha percorso l’itinerario del progetto ecoturistico sviluppato dal Consorcio El Dorado, con la partecipazione delle comunità native della zona, seguendo la rotta del rio Yanayacu, fino alla laguna El Dorado, ritenuta l’ultimo rifugio naturale del pianeta. Illuminati dalla luna e controllati dagli sguardi vigili dei caimani camuffati lungo le sponde del rio Yanayacu, la nostra piccola imbarcazione risale il fiume diretta alla laguna El Dorado, nel cuore della Riserva Nazionale del Pacaya Samiria. I suoni della selva ci ricordano che il bosco non dorme di notte. Uccelli notturni, pipistrelli, rospi e migliaia di insetti inviano i loro messaggi d’allarme contro la presenza dei grandi predatori, dei silenziosi felini, dei serpenti in agguato e degli altri animali che abbandonano i loro rifugi mattutini durante l’oscurità, per cercare alimento. La nostra barca possiede un solo tetto di plastica, sostenuto da grossi pali per proteggerci dalla pioggia e dal sole. E’ dipinta di rosso e verde per cui Mario de Col, il capo della spedizione, l’ha battezzata El Visitador, alludendo all’opera di Mario Vargas Llosa. Il motorista Carlos Balarezo sta al timone, mentre la guida Tony Laichi occupa la prua illuminando con la sua lanterna per allontanare rami, tronchi e le temibili huamas (erbacce acquatiche). Nonostante la stanchezza, il fotografo Iván Govea e il nostro compagno di viaggio Gerardo Injoque, aiutati dall’attento sguardo dell’esperta guida Guillermo Knell, identificano e ritraggono con le macchine fotografiche caimani bianchi e neri che emergono con il capo dal pelo dell’acqua. Sono trascorsi due giorni da quando abbiamo lasciato Iquitos diretti al porto di Nauta per entrare nella Riserva Nazionale del Pacaya Samiria -RNPS- lungo i fiumi Marañon e Yanayacu. Un viaggio meraviglioso all’interno di una delle aree protette più grandi del paese. La sua estensione raggiunge i due milioni e ottanta mila ettari. Il motivo che ci ha condotti in questo angolo nascosto di paradiso è stata la sua inaugurazione ufficiale come nuovo destino ecoturistico. Anche se la riserva già riceveva sporadiche visite di turisti, ora questa attività è stata regolamentata da Inrena. Noi prendiamo parte al primo progetto ecoturistico posto in atto dal Consorzio El Dorado e finanziato da Biafor-IRG. A questa impresa partecipano due importanti organizzazioni comunali (Comapas e UPC) dei quattro principali villaggi della conca dello Yanayacu. Arvildo Uraco, rappresentante della comunità di Yarina e membro della UPC (Unità di Pesca Comunitaria, incaricata della vigilanza e conservazione del paiche (pesce amazzonico) e della taricaya (un tipo di tartaruga) assicura che investiranno il 5% dei guadagni per affrontare le gravi necessità che gravano sulle loro comunità, quali un centro medico, pozzi d’acqua potabile, scuole, ecc. Lo stesso entusiasmo lo dimostrano gli abitanti della comunità XX de Enero, porta d’ingresso al rio Yanayacu. Qui, l’organizzazione denominata Comapa (Comité de Manejo de Palmeras) appoggia con interesse il progetto turistico. Gli abitanti di questa zona sono discendenti della comunità indigena Kukama-Kukamiria, assoldati dai signori del caucciù. In quell’epoca la popolazione nativa fu decimata e discriminata, tanto che attualmente la loro lingua e i loro costumi si avviano all’estinzione. Foto20: I boschi della conca dello Yanayacu furono distrutti dagli estrattori illegali di legname. Il boom del caucciù attrasse l’interesse di altre popolazioni che giunsero da San Martín, Ucayali, dal Brasile e dall’Ecuador in cerca di lavoro. Quando l’estrazione del caucciù cessò di essere remunerativa, fu rimpiazzata a metà degli anni 70 dal taglio illegale dei cedri, del mogano e di altri legni pregiati che abbondavano nel Pacaya Samiria. Nel 1982 tale attività diminuì quando la zona guadagnò il titolo di Riserva Nazionale, però i boschi erano stati distrutti. La zona del Yanayacu non si liberò da questa catastrofe, ma pur non essendoci più mogano, ancora esiste una biodiversità incomparabile. Il libro della giungla I boschi, i fiumi e le lagune del Pacaya Samiria sono come un’enciclopedia aperta. Il nostro arrivo è benedetto dal benvenuto che ci danno due delfini grigi. Entrambi saltano e nuotano attorno alla nostra imbarcazione. Sembrano voler festeggiare la nostra visita. I racconti locali attribuiscono a questi animali (grigi o rosa, chiamati “delfini soffianti”) la colpa di spaventare gli spiriti della montagna. L’avventuriero francese Paul Marcoy nel suo libro “Viaggio attraverso l’America del Sud”, recentemente edito dalla IFEA, descrisse queste credenze: “Esistono deplorabili superstizioni sul conto del cetaceo, al quale attribuiscono un linguaggio e un dominio assoluto su tutte le specie d’acqua dolce”. Una consuetudine comune per gli abitanti di queste zone. Questi simpatici animali sono soliti abitare i canneti e le tipishcas, ampi pozzi d’acqua dove non crescono piante acquatiche. Foto14: Il viaggiatore francese Paul Marcoy percorse il Pacaya Samiria alla fine del XIX secolo e apprezzò la bellezza della regione. Mario de Col e Liliana Yactayo, rappresentante del Servizio Olandese di Cooperazione allo Sviluppo, scoprirono che i delfini amano la buona musica. Per tale ragione, decidiamo di suonare un CD ed eccoli che iniziano a nuotare e a fare piroette vicino alla nostra barca. Più tardi riusciamo a scorgere i bradipi appesi ai rami degli alberi che crescono sulle sponde del fiume e delle lagune. Nella zona sono conosciuti come Pelejo dalle tre dita (Bradypus variegatus). Mimetizzati contro il tronco degli alberi, i pipistrelli possono essere individuati a fatica dai visitatori. Un’altra sorpresa è osservare come gli animali si mimetizzino con l’ambiente per difendersi dai predatori. Lungo il cammino scorgiamo i pipistrelli appesi ai tronchi. Ogni chilometro, ogni albero, ogni centimetro nasconde un mondo naturale, infinità di ecosistemi. Il Piano Maestro segnala che nella Riserva esistono 449 specie di uccelli che comprendono il 50% del totale esistente nell’Amazzonia peruviana. I nidi dei cushuris pendono dagli alberi della riva come addobbi di Natale. Nelle restringas (boschi di terra ferma) incontriamo le tracce del tapiro, dei cervi, del majaz (mammifero silvestre simile al porcellino d’india, ma molto più grande), dell’armadillo e del giaguaro, mentre lungo le sponde dei fiumi appaiono taricayas che guadagnano il corso d’acqua per sfuggire la nostra presenza. Abbiamo la fortuna di scorgere il lupo di fiume; gli studiosi indicano che nella RNPS ne esistono solo 50 esemplari, mentre la presenza del manato (mammifero del gruppo dei sirenidi lungo circa cinque metri) è quasi una leggenda. Entrambi i mammiferi acquatici sono in via di estinzione, così come il caimano negro e il delfino rosa. La fauna silvestre acquatica è più abbondante di quella terrestre, afferma il documento di Inrena. Nel 1996 riportò l’esistenza di 102 specie di mammiferi, riuniti in 73 generi e 26 famiglie. Una Valutazione Ecologica compiuta nel 1993 riporta l’esistenza di 55 specie di anfibi, 69 di rettili e 256 specie di pesci che rappresentano il 41% della fauna acquatica dell’Amazzonia peruviana. Si tratta senza dubbio di un ricco patrimonio naturale che, assieme alle 965 specie di piante silvestri e alle 59 coltivate, costituisce l’ultimo rifugio naturale del pianeta. El Dorado L’alba ci sorprende nel Posto di Vigilanza (PV) di Huarmi Isla, recentemente attivato dall’Unidad de Pesca Comunitaria (UPC), organizzazione formata da pescatori del villaggio Manco Cápac, incaricata dei lavori di controllo e monitoraggio del paiche e del ripopolamento delle taricayas. Foto19: I bimbi si recano a pescare molto presto. La pesca del paiche avviene in settembre e nelle settimane seguenti inizia la semina delle uova di taricayas che si schiuderanno a novembre e saranno trasportate nelle spiagge vicine per il ripopolamento. In questo PV e in quello di Cantagallo, ubicato alcuni chilometri più avanti, l’équipe della UPC si fa chiamare Tibets, mentre nel PV di El Dorado i pescatori sono conosciuti come Yacu Tayta (padri della laguna). In entrambi i luoghi la vigilanza avviene per turni di dieci giorni. A Huarmi Isla scopriamo un sentiero e un canale d’acqua lungo sette chilometri, conosciuto col nome di Achong, che comunica con la vicina comunità di Manco Cápac, all’altro capo della Riserva, nella conca del rio Puinahua, affluente del rio Ucayali. E’ questa una via che fu molto utilizzata nel passato dagli estrattori illegali di legname per trasportarlo fino a Requena e a Ucayali. I primi raggi del sole ci permettono di distinguere una gran varietà di pesci che giocano nei pressi della riva e nei canali della laguna. Gli abitanti ci spiegano che è possibile apprezzarli meglio quando cala il livello delle acque. Per le comunità della zona, il pesce costituisce l’alimento base. I pesci maggiormente apprezzati sono la gamitana, la palometa, la carachama, l’acarahuasú, il paco, il tucunaré, il boquichico, lo zúngaro e il delizioso paiche che vive solo nella laguna El Dorado e si pesca in settembre. Il piraña, conosciuto col nome di paña, abbonda in queste acqua e integra il menù degli abitanti. Da Huarmi Isla, percorriamo 22 chilometri in barca fino alla laguna El Dorado, meta finale della nostra spedizione. Più ci avviciniamo e maggiormente aumenta la ricchezza della natura. Uno stormo di aironi bianchi e di cushuris sale da entrambi i margini del fiume e vola verso El Dorado. Gli uccelli si recano alla laguna per il cibo abbondante che trovano in queste zone. Foto17: Stormi di aironi bianchi e di cushuris volano verso El dorado in cerca di alimento. El Dorado si apre davanti ai nostri occhi dopo quasi quattro ore di navigazione da Huarmi Isla e tre giorni da Iquitos. Prima di arrivare, ricordiamo il leggendario racconto, narrato dal yacu tayta William Maldonado, su questa laguna: “Fino a cinquant’anni fa non era possibile entrare nell’El Dorado, perché quando qualcuno tentava di farlo si alzavano violente tormente accompagnate da lampi e tuoni che si producevano ad ogni ora del giorno. Si venne a sapere che la laguna aveva una yacumama, madre delle lagune. Alcuni stregoni cocamas giunti da Yurimaguas compirono vari tentativi per penetrare e conoscere la storia. Erano quattro stregoni delle lagune. Con i loro artefici riuscirono ad entrare e si accorsero che la laguna iniziava a diventare strana. Allora prepararono una rustica canoa (cuscho) di sei, sette metri, dove misero i loro strumenti e i filtri e la spinsero verso il cuore della laguna. Di seguito, videro qualcosa che l’afferrò e la trascinò con forza. Fuggirono spaventati perché non potevano sopportare quella terribile visione. Quando già si trovavano nella conca dello Yanayacu, a tre ore di remo, iniziò a cadere una pioggia torrenziale, accompagnata da un terremoto e un qualcosa che sradicava gli alberi e tutto quello che incontrava lungo il cammino. Sembrava che gli alberi venissero risucchiati per poi cadere. Al termine, la laguna si calmò e molte persone iniziarono ad entrare nelle sue acque per cercare la sua ricchezza, il suo paiche, scoprire i suoi segreti. La gente veniva dal Marañon…”. I locali raccontano che quando la Yacumama muore o abbandona la laguna, questa tende a seccarsi, come sta accadendo a Mauca Cocha, dove le piante sembrano invadere la laguna. Nelle lagune magiche si nascondono anche i tunshes, gli spiriti cattivi che spaventano le persone. Nel monte che sorge nei pressi di queste lagune e nelle restringas si nascondono i diavoletti chiamati Shapshico o Chullachaqui che assumono forme umane e sono nani. “Hanno il piede a forma di palla e camminano di spalle per non essere riconosciuti. Sono soliti ipnotizzare e derubare le persone”, afferma Tony Laichi che a 16 anni ne incontrò uno. Nell’El Dorado ci accolgono gli yacu taytas e il guardaparco di Inrena. Il nostro viaggio termina in questo magnifico luogo. Al cadere della sera, le acque della laguna si tingono di rosso e arancio, offrendo uno spettacolo colorato a questo rifugio di paiche, caimani e delfini rosa. Lissete Herrera Casas


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