Verso il perito moreno
Il freddo è un brivido che corre dietro la schiena quando assisto ad un thriller, o che percepisco uscendo in fretta dal mare, in una giornata ventosa.
Andare, vedere, sentire, amare i ghiacciai della Patagonia è stata perciò un’esperienza forte .
Il viaggio a volo radente da Hushaia verso El Calafate è da “fine del mondo” perché sembra di precipitare da un momento all’altro sulle cime innevate dei monti. Mentre riportavo alla mente eventi tristi di situazioni estreme, mi rimpicciolivo nella poltrona dell’aereo, cercando di rabbonire con lo sguardo e cullando con il battito accelerato del mio cuore, quasi a coprire la violenza del rombo dei motori, quella natura che, senza l’uomo, risplendeva sovrana in tutta la sua maestà.
Il paese di El Calafate è solo un lieve ricordo, per i piccoli affari per turisti già soddisfatti, nei negozietti del viale S.Martin el libertador; per la cioccolata calda, che completa la dose giornaliera di endorfine; per il cordero patagonico al palo, gioia dei sensi e dello stomaco; per la passeggiata lungo la riserva della laguna, ad ammirare uccelli e piante (Bandurria, Martinette e Cauquenes, la coppia di oche selvatiche inseparabili sino alla morte); per le acque della laguna che, pur limacciose, sono rese dal crescione del colore dello smeraldo. Ma è la base di partenza per le escursioni che danno lavoro a vari agenti e guide locali e, al turista, sogni da ricordare: verso il famoso Glaciar Perito Moreno, dichiarato, dall’UNESCO, patrimonio dell’umanità. Intruppati ci dirigiamo verso Puerto Bandera, su pulmini che vanno raccogliendo, per 50 dollari, dai vari alberghi della città, clienti provenienti da tutte le parti del mondo. Percorriamo un tratto di steppa patagonica, coperta da arbusti spinosi e piccoli fiori tipici che hanno dato il nome al territorio “ el calafate”. In lontananza scorgiamo le pecore dalla criniera in una storica estancia patagonica, con annesso casotto per la tosatura e ristorante per ospiti paganti. In alto si stagliano leggiadri condor andini, spinti da un vento patagonico capace di correre tra 130/150 km orari, anche d’estate. All’improvviso, uno spruzzo di pioggerellina leggera ma continua, ci riporta alla realtà.
In fila, attendiamo l’imbarco sui veloci catamarani che ci condurranno verso il braccio nord del lago Argentino, cioè verso il glaciar Upsala ed il glaciar Spegazzini; solo due dei 47 ghiacciai della cordigliera andino-patagonica, alimentati dallo Hielo Continental: una massa di 22.000 km quadrati tra Cile ed Argentina, con uno spessore max di circa 1 km e 40 m. Di neve fresca.
Abituati ad ammirare la sciara del fuoco, restiamo estasiati, nel brazo Upsala, davanti una lingua di ghiaccio lunga 60 km, che lo Hielo continental sospinge sino al lago Argentino. Un fiume cristallizzato, solo apparentemente immobile perché arretra, lungo il fronte, di circa 20m l’anno e, diminuendo di spessore di circa 100m in questi ultimi 20 anni, lascia temere l’umanità intera per questa preziosa riserva d’acqua dolce, per il destino di questa assicurazione idrica per i nostri figli. Un fiume fragoroso, per i lastroni che vanno cadendo nell’acqua gelida, staccandosi all’improvviso e galleggiando nelle gelide acque come ecologici messaggi in bottiglia. Un ambiente incontaminato, per il candore delle forme; temibile, per il rispetto che incute la forza propulsiva della natura dalle montagne lontane sino al lago; inaccessibile, come un mare in tempesta, modellato con pinnacoli e crepe, dossi e anfratti. Navighiamo per un’ora, ebbri di vento e freddo, ammirando piccoli e grandi iceberg multiformi, colorati in tutte le gamme dal bianco all’azzurro profondo: i diversi strati di neve hanno reagito in modo diverso a secondo della temperatura, dell’umidità e del vento. L’acqua, pur essendo alla temperatura di 3-4°C. E raggiungendo la profondità di circa 200 m., non congela mai completamente e non è trasparente, per la sospensione di minerali. La porosità del ghiaccio, per il riscaldamento provocato dai raggi solari o per azione delle abbondanti precipitazioni liquide, permette ai raggi ad onda corta di penetrare nella massa informe dando riflessi azzurrognoli. Quando un iceberg si stacca dalla banchisa, uno strato di acqua di mare può ghiacciare sotto la superficie: se l’acqua contiene particelle di alghe sarà verde; le strisce scure sono causate da sedimenti che si accumulano quando il ghiaccio slitta su un fondo roccioso; le strisce blu sono formate da un crepaccio che si riempie d’acqua e si congela così in fretta da non permettere il formarsi di alcuna bolla d’aria. Se un onda si congela nel momento in cui tocca il ghiaccio, può restarvi immobile nel suo movimento, come pietrificata.
Approdiamo e camminiamo a piedi, verso il lago Onelli; attraversiamo un bosco di Lenga, tra alberi abbattuti dal vento, per la scarsa presa delle radici su uno sottile substrato, coperti da una peluria grigia di una pianta epifita, tra piccole orchidee bianche e rossi fiori di fuxia di Magellano, mentre gocce di pioggia increspano pozzanghere d’acqua; camminiamo in una atmosfera di suspence, quasi un panorama da thriller, sino ad un piccolo lago dove galleggiano multiformi statue naturali di ghiaccio. Ritorniamo portando nel cuore questi piccoli fantasmi silenziosi .
La mattina seguente, una nuova escursione da Baja de Ombra verso il ghiacciaio che prende il nome da Pascasio Moreno, il Perito (=tecnico) che segnò la linea di confine con il Cile. Uno dei ghiacciai più noti al mondo, con un fronte azzurro più alto di 60m, di cui 15m sotto il livello delle acque, e largo 5 Km., in equilibrio nonostante i continui crolli fragorosi di pezzi di parete nelle acque del lago Argentino. Una volta ogni 3 o 4 anni, la parte più avanzata del fronte arriva sino al promontorio roccioso al di là del Canal de Los Tempanos: si crea così uno sbarramento dei bracci Rico e Sur che fa aumentare il livello dell’acqua anche di 10 m. Quando la pressione dell’acqua, sul tappo di ghiaccio, diventa insostenibile, si crea un ampio tunnel, vicino alla roccia, sino alla “ruptura” del muro, con fragorose e spettacolari collassi del fronte.
La temperatura media annua del fronte, di 7°C., non spiega la presenza di un ghiacciaio; ma è lo Hielo Continental, con le sue precipitazione di 40m di neve fresca, che spinge le lingue di ghiaccio oltre il limite delle nevi perenni. Il fronte centrale, spingendo più di quello laterale, provoca un corrugamento della superficie con formazione di finestre e pieghe. Le ablazioni superficiali ed i processi di fusione scavano canyon, formano ruscelli che si inabissano in “mulini”, pozzi profondi nella struttura interna, sino alla bocca glaciale; crepacci, tasche d’acqua che si riempiono e si svuotano senza preavviso.
Attracchiamo all’estremità del fronte laterale sinistro e, accompagnati dai ranger del parco, indossiamo dei ramponi che ci permettono di vivere 90’ da brivido. Camminiamo tra blocchi caotici di ghiaccio, in fila come pinguini infreddoliti; passiamo accanto a crepacci e pinnacoli, marciando come papere attente a non inciampare; ci fermiamo ad osservare il colore dell’acqua che si ingrotta nei “mulini” e le trasparenze delle “finestre” prodotte dalla spinta del fronte centrale. Dietro una parete, la piacevole sorpresa di una sosta per bere whisky con ghiaccio, grattato all’istante lungo una parete ed offerto dagli aitanti rangers. Porteremo tutti un ricordo duraturo dei raggi di sole che tentano di scaldare quel mare di ghiaccio mentre le nuvole, rincorrendosi, tentano di nasconderle e mentre il vento sferza chi vuol profanare il silenzio della natura.
Di nuovo sul battello per andare alle passerelle, predisposte per ammirare senza pericolo tutta la vastità del fronte. Nonostante i turisti, è possibile contemplare uno spettacolo maestoso e trovare un angolo dove pregare affinchè l’uomo non interferisca con la forza della natura ! La foto scattata da lontano, quasi sfondo per il fiore “el calafate”, non dà il senso della maestà che invece ricordo di aver provato quando, piccola piccola, mi affacciai dalle terrazze che proiettano i turisti dirimpetto ad una parete immane, per i 60 metri d’altezza ed i 5 km di larghezza; timorosa per il crepitio che, come un pianto d’addio della natura, accompagna il distacco di una lastra di ghiaccio.
Un altro giorno ancora, con una 4×4, tra solchi di fango ed arbusti spinosi, saliamo sul Cerro Frias per ammirare dall’alto tutti i colori del lago Argentino, cangiante dal celeste al verde smeraldo, dal rosa all’arancio ed al color melanzana, secondo il rincorrersi delle nuvole ed alla spinta sulle acque di quel vento patagonico che, in cima, mi sospinge con violenza verso la jeep, quasi ad impedirmi di turbare quei luoghi. Un’aquila dalla testa bianca, maestosa, ci sorvola ripetutamente.
Tutto è magico quando si entra in sintonia con la natura e quando si vive nel rispetto della stessa; ma anche quando lo stomaco è grato per le ottime “tartas” alle verdure, per lo squisito “cordero patagonico” e per la calda cioccolata della “laguna negra”. Lalla