Caos Calmo: Marocco
Noleggiamo una macchina in aeroporto (attenzione alla copertura assicurativa, meglio una compagnia internazionale) e ci infiliamo nel traffico caotico di Casablanca: le macchine si mescolano ai pedoni che attraversano senza preavviso in qualsiasi momento, ai carretti trainati dagli asini, a biciclette e motorini che ignorano il colore del semaforo e svoltano a sorpresa. Superato lo shock iniziale ci accorgiamo che in realtà è una specie di “caos calmo” perché ciascuno sa che chiunque può svoltare o attraversare nei momenti più impensati e quindi si viaggia a velocità ridotta e con la soglia di attenzione molto alta, non abbiamo mai visto un incidente durante il viaggio, nelle rotatorie si dà in teoria sempre la precedenza a destra, nessuno presta attenzione alle strisce pedonali. Sono frequentissimi i posti di blocco della Gendarmeria Royale, stendono di traverso nella strada delle bande chiodate terrificanti, di solito basta rallentare e salutare con un sorriso e i turisti non vengono mai fermati. I parcheggi sono la croce e la delizia del turista: c’è sempre l’omnipresente parcheggiatore che ti aiuta a parcheggiare e si offre di custodire nonché di lavare l’auto, costa circa un euro per la notte e metà per il giorno.
Troviamo un hotel sulla Corniche, il lungomare, e ci infiliamo in un locale vicino per la nostra prima” Tajine”: gli stufati cotti nella caratteristica pentola conica di terracotta che mantiene la carne morbida e le verdure deliziose, bisogna prendere il pane, intingerlo e mangiare leccandosi le dita.
Normalmente non servono bevande alcoliche (solo negli hotel di livello elevato, per motivi religiosi, ma anche per il costo astronomico della licenza)), ma abbiamo subito superato la mancanza di una birra con del delizioso succo di arancia fresco e un tè alla menta. Il juice d’orange e il tè alla menta sono diventati una piacevole costante del nostro viaggio, hanno rappresentato ogni giorno preziosi momenti di pausa fatti di freschezza e profumo.
La mattina abbiamo visitato la grandiosa moschea di Hassan II, un’ incredibile fusione tra l’antico e il moderno, con un minareto da cui parte un raggio laser puntato in direzione della Mecca. L’ingresso costa 10 euro ma c’è la guida in italiano ed è uno dei pochissimi luoghi di culto aperto ai non musulmani, ne vale veramente la pena.
Il pomeriggio siamo partiti per Rabat, la capitale, una città tranquilla, con strade larghe e alberate. Abbiamo dormito all’hotel Royale, ben tenuto, circa 50 euro la doppia, abbiamo visitato in tutta tranquillità la medina e il mattino siamo ripartiti per Fès.
Questa è la città imperiale che, a nostro avviso, da sola merita il viaggio.
La medina di Fès è un luogo fuori dal tempo, è un concentrato di profumi, odori, promiscuità, gente chi ti invita, ti tocca, espone la merce, borse, collane, tessuti dorati, teste di cammello, fasci di menta fresca, pecore appese ai ganci, galline vive pronte per essere strozzate, pane appena sformato, caffè speziato, muli che cercano di investirti, bambini che vogliono venderti un dolcetto o un limone o due lumache.
E’ un incanto per gli occhi, per i sensi , il richiamo alla preghiera dei muezzin sovrasta improvvisamente il rumore e, per un attimo, il caos lascia il posto al senso del sacro.
Operativamente Fès el-Bali è meglio visitarla con una guida (ce l’ha procurata l’hotel Sofia, simpatica, dove ci siamo fermati, buono, prezzo medio) serve anche per non perdersi, cosa molto facile per l’intricata rete di viuzze tortuose e labirinti ciechi e l’esperienza è davvero piacevole, nessuno è davvero troppo aggressivo, si contratta allo spasimo per gli acquisti ma fa parte del gioco.
Nei souq il prezzo che viene detto per primo non è possibile prevederlo o giustificarlo, ci si addentra nella sottigliezza della trattativa senza sapere come andrà a finire, intanto si accetta l’offerta di un the alla mente e ci si informa sulle rispettive famiglie, si giocano le proprie carte con leggerezza, distacco, eloquenza, alla fine è davvero divertente.
E’ meglio avere le idee chiare su dove andare ad alloggiare arrivando a Fes (come in tutti gli altri luoghi) perché le “ faux guides” ( guide non autorizzate) ti inseguono in motocicletta e sono molto insistenti per portarti in hotel (di solito un po’ squallidi) dove hanno una provvigione.
Il giorno dopo decidiamo di fare una piccola incursione nel Medio Atlante e visitare la cittadina berbera di Sefrou. La medina è piccola e intricata, affollatissima di compratori e venditori. La povertà della gente colpisce al cuore: molti se ne stanno rannicchiati davanti a mucchietti incredibilmente miseri di verdura, limoni rinsecchiti, scarpe vecchie, semi, foglie commestibili. Una donna velata con lo sguardo triste vende una manciata di pezzetti di filo tutti ingarbugliati, forse l’imbottitura per un piccolo cuscino. Proseguiamo per la strada che si inoltra per 60 km verso i monti dell’Atlante, il paesaggio è secco, le pecore brucano la terra, ad un certo punto la strada segue il percorso del letto di un fiume e il panorama cambia : fioriscono gli oleandri, la terra è coltivata, l’Atlantico è lontano ma una brezza fresca soffia leggera. Arriviamo prima al paese di Tafradous dove ci concediamo un delizioso the alla menta e poi fino a un minuscolo villaggio, costruito come un castello crociato, accessibile attraverso un ponte pedonale. Incontriamo solo alcuni bambini che ci osservano curiosi e sorridenti. Un bimbo piccolissimo, 4 o 5 anni, guida un piccolo gregge di pecore, ogni tanto inciampa e cade, le pecore si fermano, si rialza e le pecore ripartono dietro di lui.
Tornando ci fermiamo a Bhalil, curioso villaggio di abitazioni troglodite, siamo praticamente costretti ad accettare di incamminarci dietro a una guida locale che ci porta a vedere la sua casa scavata nella roccia. Alla fine si rivela un’esperienza molto divertente, Mohamed è un uomo mite, educato e cordiale, ha una casa pulitissima e fresca, la sua bambina ci offre uno squisito tè alla menta, ancora una volta l’iniziale fastidio lascia il posto a un momento di amicizia.
Ripartiamo verso sud, saltiamo la città imperiale di Meknès, preferiamo vedere Volubilis, le rovine dell’antica città romana ci fanno sentire per un attimo a casa. C’è pace e silenzio, ci sono i resti del campidoglio, le terme, la basilica (con le colonne sormontate da nidi di cicogne) e il foro, l’arco di trionfo, i magnifici mosaici giunti ben conservati sino a noi nonostante non abbiano la minima protezione (beh, a dire il vero sono state grattate via le parti intime delle figure di donna nuda). Fa decisamente caldo, bisogna portarsi un cappello e un po’ d’acqua.
A qualche chilometro di distanza (45 minuti a piedi) c’è la graziosa Moulay Idriss che ospita il mausoleo del santo più venerato del Marocco, pronipote del profeta Maometto. Da qualche decina di anni la città è aperta anche ai non musulmani, la tomba del profeta invece è off limits per noi. Anche qui abbiamo dovuto cedere all’insistenza delle guide per salire sulla sommità e vedere il panorama e l’unico minareto cilindrico del Marocco. E’ comunque una passeggiata gradevole, accompagnanti anche dal suggestivo richiamo alla preghiera del muezzin che risuona tra le viuzze e le case imbiancate.
E’ sera quando arriviamo a Marrakech.
Decidiamo di anticipare l’assalto delle guide del posto telefonando personalmente a uno dei Riad indicati dalla Lonely planet (Riad Dar Soukaina, circa 80 euro la doppia).
Il gentilissimo proprietario ci viene incontro, ci aiuta a parcheggiare e ci conduce diritti all’interno della medina, tra carretti trainati da muli, bambini che corrono, teste di pecore appese all’aperto, profumo di brochette e puzza indefinibile. Siamo perplessi per il caos travolgente ma, meraviglia, appena chiusa la porta d’ingresso del Riad il silenzio è assoluto e c’è profumo di incenso. E’ un posto veramente gradevole, c’è un giardino con piante esotiche e aranci, acqua che zampilla, un tartaruga che si aggira tra le fontane, le stanze sono pulitissime e arredate con gusto e semplicità. La notte lasciamo le porte aperte, c’è una brezza leggera e neppure l’ombra di un insetto ( in tutto il Marocco visitato non abbiamo visto una zanzara, un regalo veramente insperato), alle quattro del mattino veniamo svegliati dal richiamo alla prima preghiera del muezzin a cui si aggiungono via via cori di voci che ricamano nell’aria tiepida note cantilenanti, il tutto per una mezz’ora, poi di nuovo il silenzio assoluto fino alle otto, ora della preghiera successiva.
La mattina ci abbuffiamo con una prima colazione marocchina (frittatine, miele, pane arabo, marmellata, succo d’arancia fresco e the alla menta) e poi noi tre ragazze andiamo alla ricerca di un hamman mentre gli uomini si aggirano per il souq. L’esperienza è paradisiaca: troviamo un hamman aperto ai turisti ma frequentato dalle donne marocchine che, entusiaste, ci accolgono : ci cospargono di sapone nero, ci fanno bollire lentamente tra il vapore denso e profumato, ci spellano da capo a piedi con robusti massaggi fatti con spugne ruvide, poi ci ritroviamo imbalsamate nell’argilla, alla fine ci prendono a secchiate d’acqua fresca tra le risate generali. Fanno un tentativo, gentilmente respinto, di coinvolgerci nella depilazione di gruppo, poi olio di argan, shampoo, acqua di rose e the alla menta.
Siamo rimaste estasiate per la cordialità, il calore, il divertimento delle donne nell’hamman, e per la semplicità di relazioni tra donne e per l’assenza di pudore. Se pensiamo che poi escono dall’hamman avvolte nel caftano e velate capiamo perché per loro è un momento così divertente:è l’occasione per stare tra donne, fare un mucchio di chiacchiere e farsi belle per il proprio marito che vuol trovare “una moglie morbida, contenta, senza peli e profumata…” La sera la passiamo nella mitica piazza Djiema el-Fna, immensa e caotica all’inverosimile, con la migliore cucina di strada del mondo. Il fumo si leva dalle decine di chioschi che preparano cibo, l’aria è densa di aromi, ci sono cantastorie, incantatori di serpenti, giocolieri, musiche ipnotiche e danzatori, profumo di menta, succo d’arancia, donne che leggono il futuro. Una donna velata con lo sguardo brillante e le mani abilissime ci disegna le mani con l’hennè alla luce tremolante delle lampade a cherosene. Siamo completamente storditi, ma non riusciamo a lasciare la piazza se non a tarda ora per rifugiarci nel silenzio del Riad. Stentiamo tutti a prendere sonno, perché l’esperienza è stata davvero particolare.
Ci rimangono solo tre giorni e decidiamo di passarli al mare. Ci dirigiamo verso Essaouira che è una cittadina piacevole ma troppo fredda, la spiaggia è battuta dal vento forte e stanchi cammelli si trascinano sulla sabbia con in groppa i turisti. Andiamo quindi a Oualidia e troviamo un posticino paradisiaco anche se non proprio a buon prezzo: l’hotel Maison de l’Ostrèa con cinque camere semplici, ma pulitissime di fronte alla laguna separata dall’oceano da una lingua di terra. Facciamo scorpacciate serali di ostriche sulla terrazza (il luogo è famoso per gli allevamenti di ostriche) e ci offrono persino del vino bianco fresco. Di giorno una barchetta ci deposita direttamente sulla lunga spiaggia di sabbia bianca praticamente deserta davanti all’oceano atlantico e ci divertiamo a saltare sulle onde spumeggianti, stando attenti a non prendere troppa confidenza perché qui la profondità dell’acqua è di 400 metri. (Per bagni tranquilli c’è invece la spiaggia della laguna). La nostra vacanza è finita, abbiamo visto ben poco del Marocco, ma comunque sarà indimenticabile. Torniamo verso Casablanca, una piccola sosta a El-Jadida per vedere il porto costruito dai portoghesi e la suggestiva cisterna sotterranea nella quale si girarono alcune scene dell’Otello di Orson Welles e ultima notte a Casablanca all’Atlas Airport Hotel scelto perché vicino all’aeroporto (è l’unico poiché la città dista 30 km) ma non ne vale assolutamente la pena: è costoso e sporco, il personale non è gentile, abbiamo raccolto dal pavimento dei grilli morti, poi durante la notte le ragazze hanno sopportato la serenata di decine di grilli nascosi nei buchi degli infisse e delle porte. L’abbiamo soprannominato Atlas Le Grillon : da dimenticare.
Il giorno dopo partenza : Mattia prende l’aereo per il Niger e noi quello per Milano.
Abbiamo comprato borse di pelle fatte a mano, cinture, scatole di legno intarsiato, collane di pietre dure, bracciali berberi, le babouche, l’hennè , l’ambra naturale, il sapone nero, sciarpe ottenute filando le foglie dell’agave e un caftano.
Abbiamo speso più del previsto perché il noleggio macchina incide parecchio e la benzina costa come in Italia. Si spende però molto poco per mangiare.
Non abbiamo trovato difficoltà particolari in questo viaggio, i nostri figli però parlano correttamente il francese e questo mi è sembrato importante, è anche importante prendere le cose con leggerezza e non irritarsi perché l’insistenza dei marocchini è comunque sempre condotta con garbo, magari rimandare le trattative con un simpatico “inshallah”, qualche volta salutare in arabo (salàm aleikum) perché a loro fa molto piacere.
E’ da tenere presente infine che è vero che la mancia è parte integrante della vita marocchina e si può provare fastidio per questo, ma sono davvero pochi euro, o addirittura centesimi, quelli che vengono richiesti e la paga di molti marocchini è inferiore a 150 euro al mese.
Lungo le coste e nelle città imperiali il livello di vita è abbastanza buono, ma all’interno, per il poco che abbiamo visitato, la situazione è drammatica: è tutto secco e brullo, manca l’acqua, spesso sottratta per la sempre maggiore richiesta dei villaggi turistici e degli hotel con annesso campo da golf, e pensiamo siano davvero spesso ridotti alla fame.
Al prossimo viaggio, inshallah! Egidia S. & c. 21 luglio ’08