Tre settimane nelle repubbliche baltiche
Domenica 13 agosto: Saaremaa Una giornata grigia e piovosa, la peggiore del viaggio, ci accompagna nella visita di Saaremaa, rovinando la visione delle sue bellezze naturalistiche. Lasciamo Kuressaare verso il centro dell’isola, raggiungendo per prima la chiesa di Kaarma. All’interno il pulpito di legno è dipinto e reca davanti la statua di Giuseppe raffigurato con bastone e barba bianca. La tappa successiva è il cratere meteoritico di Kaali. Quattromila anni fa un meteorite cadde proprio qui e i segni dell’impatto sono ancora visibili. In fondo al cratere più grande, perfettamente circolare, si trova una pozza verdastra mentre tutto intorno si estende un fitto bosco. Il tempo peggiora ancora e quando raggiungiamo i mulini di Angla, si scatena una pioggia torrenziale. I mulini hanno un aspetto curioso, costruiti su una base in pietra sopra la quale si trova la struttura di legno. Il nostro giro termina alla chiesa di Karja, semplice edificio bianco; all’esterno un curioso bassorilievo della crocifissione rappresenta le anime dei due ladroni mentre esalano in forma umana dalla bocca, accolte da un angelo quella del buono, da un demone quella del cattivo. Tornando sui nostri passi, facciamo ritorno a Kuressaare. Dopo un’occhiata alla piacevole piazzetta centrale, raggiungiamo il castello del vescovo, monumento principale dell’isola. Il complesso si trova in un parco; oltre il fossato, si staglia il massiccio edificio caratterizzato da due torri diseguali. All’interno è ospitato il museo regionale, interessante ma un po’ prolisso. Mi colpiscono in particolare le vicende dell’isola durante la seconda guerra mondiale: non immaginavo che queste terre, purtroppo per loro, avessero avuto un ruolo strategico. All’inizio della guerra da qui partirono gli aerei russi che riuscirono a bombardare Berlino. Seguirono due invasioni: prima i tedeschi e poi i russi, combatterono palmo a palmo per tutta l’isola, come testimoniano le foto di colonne militari che attraversano Kuressaare e le tristi immagini di cadaveri. Il pomeriggio è dedicato alla parte occidentale di Saaremaa, considerata la più bella dal punto di vista paesaggistico. A Kihelkonna visitiamo ancora una chiesa parrocchiale dalle candide pareti e dalla svettante guglia; a Loona un palazzo di campagna, adibito ad albergo, ospita il centro visitatori del parco nazionale di Vilsandi. Ci viene fornita la fotocopia di una rudimentale cartina sulla quale una ragazza evidenzia le possibili escursioni. Le indicazioni non sono chiare e così finiamo per perderci lungo le sterrate che attraversano il parco. Alla fine sbuchiamo sul mare in prossimità di una croce, nel nulla più totale. Una costruzione di legno piena d’attrezzi sembra disabitata mentre due pescatori sono all’opera su un casotto di canne in mezzo all’acqua. Un attento studio della cartina ci fa comprendere gli errori commessi: siamo finiti oltre il confine meridionale del parco e dobbiamo fare marcia indietro. Una deviazione non segnalata, ci porta fino alla torre d’avvistamento sulla punta che si protende verso l’isola di Vilsandi. Il tempo grigio non esalta certo i colori, con la striscia d’isolotti da una parte, le distese di canne e la guglia della parrocchiale di Kihelkonna dall’altra. Una delle aree più selvagge dell’isola è la penisola di Harilaid, nell’estremità settentrionale del parco. Imbocchiamo un’altra sterrata, finché superiamo un villaggio fantasma con i segni dell’epoca comunista ma l’ora tarda e la strada dissestata ci convincono a desistere dal proseguire ulteriormente. La visita al parco, tanto decantato dalle guide, si è rivelata una delusione. La mattina abbiamo incontrato molti turisti mentre in quest’area sono completamente assenti e ciò si riflette in una notevole disorganizzazione che, insieme alla giornata inclemente, ci ha impedito di apprezzare quest’angolo di natura selvaggia. Tornati a Kuressaare, ceniamo al Veski, locale ospitato in un gigantesco mulino a vento. Lunedì 14 agosto: Kuressaare – Parnu – confine Lettonia – Jurmala – Roja Oggi ci aspetta un’impegnativa tappa di trasferimento, la più lunga del viaggio, poiché vogliamo arrivare fino a capo Kolka in Lettonia. Lasciamo quindi Kuressaare già alle otto del mattino e, percorsa tutta l’isola, c’imbarchiamo per la traversata di ritorno. Questa volta non abbiamo alcuna prenotazione ma non ci sono problemi di posto. Il tempo dispettoso si apre, concedendoci solo da lontano la visione dell’isola soleggiata. Da Virstu proseguiamo fino a Parnu, principale centro balneare dell’Estonia. In centro la via principale è la pedonale Ruutli. Ad un’estremità si trova la chiesa ortodossa di Santa Caterina, dalle cupole verde rame che bene si abbinano con le pareti gialle. A pochi metri sorge il grazioso municipio in stile neoclassico. La torre rossa, nonostante il nome, in realtà è bianca ed ospita un negozio d’antichità. Proseguiamo la passeggiata per il centro ma gli spunti interessanti sono veramente pochi. Ci spostiamo in macchina fino al mare; un vasto edificio con colonnato ospita i bagni di fango mentre la spiaggia di sabbia bianca è sterminata ma deserta se si fa eccezione per un gruppo d’italiani di passaggio come noi. Ormai è tempo di proseguire la marcia verso sud; la via baltica corre parallela alla costa ma a “distanza di sicurezza” tanto per impedirne la vista! Il primo valico di frontiera del viaggio ci porta in Lettonia. La strada prosegue verso Riga ma peggiora notevolmente: i cantieri si succedono uno dopo l’altro e i frequenti sensi unici alternati rallentano la nostra marcia, insieme al traffico pesante. Il nostro itinerario attraverso le repubbliche, disegnato su una cartina, forma una specie di otto con Riga proprio nel mezzo. Rimandata la visita della città al ritorno, non riusciamo però ad evitarne l’attraversamento e finiamo imbottigliati nel traffico dell’unica metropoli del Baltico. Dopo alcune peripezie, raggiungiamo Jurmala, il “lido” situato a una ventina di chilometri da Riga. Si tratta, in realtà, di una serie di località balneari allineate lungo la costa, collegate alla città con un trenino. La nostra visita si limita alla principale, Majori, per accedere alla quale paghiamo un pedaggio. Passeggiamo per la pedonale Jomas Jela, costeggiata da caffè e negozi, deviando poi verso la spiaggia. Jurmala era molto apprezzata durante l’epoca zarista e ancora oggi si possono ammirare le belle ville di legno delle nobiltà. Il tempo è peggiorato di nuovo e la spiaggia è avvolta dalla nebbia. Riprendiamo quindi la marcia lungo il golfo di Riga per l’ultimo tratto fino a capo Kolka. La costa in questa regione è molto apprezzata ma dalla strada si vede ben poco e il tempo inclemente non invoglia a fare deviazioni. Alle sette finalmente raggiungiamo Kolka ma gli unici due alberghi sono pieni e non ci resta che tornare indietro fino a Roja. La strada costeggia una pineta dalla quale spunta un cerbiatto. Ci sistemiamo nel piacevole ed economico hotel Roja, disdegnato al precedente passaggio, gustando anche un’ottima cena. Martedì 15 agosto: Capo Kolka – Ventspilis – Kuldiga Giornata dedicata al parco nazionale di Slitere, lungo la punta che chiude il golfo di Riga. Dopo un altro incontro con il cerbiatto di ieri, poco prima di Kolka ci fermiamo alla scogliera di Evazi. Un sentiero attraverso la pineta porta alle dune sulla spiaggia; il mare è allietato finalmente da una bella giornata di sole. A Kolka ammiriamo due chiesette in pietra e mattoni rossi, proseguendo poi fino al Capo. L’area era zona militare ai tempi dei sovietici e conserva oggi un carattere selvaggio. Le acque del mar Baltico e del golfo di Riga si scontrano formando onde a zig zag, mentre in lontananza si scorge il faro costruito su un’isoletta. La strada diventa sterrata e, per raggiungere i paesini di pescatori ad ovest di Capo Kolka, dobbiamo procedere lentamente lungo sconnesse piste laterali. A Vaide visitiamo il curioso museo delle corna, ospitato in una casetta ancora abitata dal figlio del fondatore. La macchina con la targa estone e la nostra lingua esotica suscitano una certa sorpresa in un gruppo di operai. A Kosrags le casette di legno, dipinte con colori vivaci, sono circondate da giardini ricchi di fiori. Il centro principale è Mazirbe, una cittadina nella quale ritroviamo l’asfalto. L’edificio modernista della casa dei Livi, chiuso ai visitatori, ricorda questa popolazione ugro-finnica ormai quasi estinta. Facciamo la spesa e ci rifocilliamo con un panino, per poi riprendere l’esplorazione del parco. Raggiungiamo il sentiero natura di Petezeres, un piacevole anello che attraversa la fitta boscaglia fino ad un laghetto. Proseguiamo verso l’interno fino al faro di Slitere, un tozzo cilindro color terracotta, insolitamente situato lontano dal mare per sfruttare l’unica altura della zona. Dalla cima la vista copre la vasta macchia verde della foresta fino al mare. Tornati a Mazirbe, riprendiamo la marcia lungo la costa, abbandonando il parco. La giornata soleggiata e la natura selvaggia ci hanno fatto dimenticare la delusione di Saaremaa. La strada prosegue sterrata per un buon tratto ma poi finalmente torna asfaltata, conducendoci a Ventspilis. La città portuale è un importante centro di smistamento petrolifero, alla foce del fiume Venta. Raggiungiamo per primo il museo marino all’aperto; è quasi l’ora di chiusura e non vorrebbero farci entrare ma alla fine cedono alla nostra insistenza, consentendoci un breve giro gratuito attraverso le casette di legno dei pescatori e la collezione di barche. Al centro del complesso si trova un mulino a vento che sembra strappato all’Olanda. In centro la passeggiata sul lungofiume consente di osservare l’intensa attività portuale sull’altra sponda e una serie di curiose statue dedicate alle mucche; la più buffa rappresenta un bovino diviso in due metà collegate dalla tubatura di un oleodotto. I motivi d’interesse sono veramente pochi: il castello dell’Ordine Livoniano ha un aspetto moderno e la chiesa di San Nicola è un freddo edificio neoclassico. Le viuzze del centro sono deserte e le case fatiscenti. Da Ventspils lasciamo la costa puntando verso l’interno in direzione di Kuldiga. Lungo la strada, sopra una serie di pali osserviamo i grossi nidi delle cicogne. Le coppie d’uccelli se ne stanno in piedi a scrutare i paraggi, confermandoci che in Europa le repubbliche baltiche sono i loro paesi preferiti. A Kuldiga l’unica sistemazione libera è l’Hotel Kursa, “tipico” albergo dell’era sovietica, situato sulla vasta piazza principale, uno squallido quadrilatero occupato da un parcheggio. Mercoledì 16 agosto: Kuldiga – Liepaja – Pape – confine Lituania – Klapeida Kuldiga è considerata la cittadina di provincia più interessante della Lettonia ma la concorrenza non è certo difficile da sbaragliare, visto lo squallore degli altri centri. Dalla piazza dell’albergo, Liepajas Iela, fiancheggiata da alcune belle case, ci porta fino in centro. L’ufficio turistico è ospitato in un edificio di legno, un tempo municipio, mentre la casa color crema subito di fronte è la più antica della città. Uno stretto canale forma uno scorcio pittoresco. Proseguiamo fino al fiume Venta, attraversato dalle cascate. Il loro fronte è il più ampio d’Europa ma il salto è appena di pochi metri. Superato il ponte in mattoni che scavalca il fiume, un cartello segnala la cascata più alta della Lettonia (4,2 metri !!), formata da un piccolo affluente. La chiesa di Santa Caterina è chiusa e quindi ci consoliamo con la cattolica Santa Trinità, situata in un riparato cortile con giardino. La nostra visita di Kuldiga è terminata in breve tempo, viste le esigue dimensioni del paese. Partiamo quindi alla volta di Liepaja, nuovamente sul mar Baltico. Iniziamo l’esplorazione dalla Santa Trinità; la sporca facciata contrasta con l’interno bianco in stile rococò, arricchito da un gigantesco organo. Lungo Liela Iela, la strada principale del centro, una gran chitarra ricorda che siamo nella capitale della musica rock lettone. Dopo una rapida visita alla chiesa di Sant’Anna, con la sua alta torre neogotica in mattoni, raggiungiamo l’animato mercato coperto. Subito dietro un’altra chiesa, la cattedrale cattolica di San Giuseppe, è movimentata all’esterno da cupole e pinnacoli, mentre all’interno è ricoperta d’affreschi art noveau. La chiesa ortodossa dedicata ad Alessandro Nevskij, con le pacchiane pareti turchesi, completa la terna delle confessioni cristiane. Liepaja è la terza città della Lettonia, con un importante porto. Oltre il canale si trova il quartiere di Karosta. Costruito alla fine del periodo zarista come porto militare, fu impreziosito dalla chiesa di San Nicola; durante l’epoca sovietica fu utilizzato come base per i sottomarini e abitato da una popolazione russa. Dopo il crollo del comunismo è diventato un luogo incredibilmente degradato, con la gente afflitta da problemi di disoccupazione e tossicodipendenza. Attraversiamo il quartiere in macchina passando tra mostruosi caseggiati distrutti, condomini fatiscenti e strade piene di buche. Il contrasto con lo splendore zarista della chiesa di San Nicola è agghiacciante. Le cupole gialle a bulbo, tipicamente russe, sovrastano una struttura di mattoni color ocra con decorazioni turchesi ma basta volgere le spalle alla chiesa per ritrovare un cadente condominio di stampo sovietico. Ripresa la marcia verso sud, deviamo poco prima del confine lituano per raggiungere la riserva WWF del lago di Pape. In questo parco è stato fatto un felice esperimento per reintrodurre i cavalli selvatici, scomparsi da secoli in Europa. Una ragazza ci accompagna nella visita, spiegandoci che i cavalli vivono in gruppi sociali, “harem” con uno stallone dominante, e si sono perfettamente abituati alla vita selvaggia. Riusciamo a scorgere in lontananza un gruppo dal manto chiaro e le criniere scure, ma alcuni buoi cornuti c’impediscono di avvicinarci. La nostra accompagnatrice fa ritorno alla biglietteria, mentre noi proseguiamo lungo un sentiero fino al lago. Nell’ultimo tratto siamo completamente avvolti dalle canne. Al ritorno i cavalli si sono avvicinati alla recinzione e possiamo ammirarli da pochi passi; sono abbastanza tozzi ma del resto devono superare da soli il rigido inverno nordico. Tornati sulla statale, un’altra deviazione ci porta al villaggio di Pape, situato all’estremità meridionale del lago, sul cordone di sabbia che lo divide dal mare. L’area offre interessanti possibilità escursionistiche, tra le quali un circuito di nove chilometri troppo lungo per il tempo a disposizione. Ci limitiamo quindi a percorrerne un tratto, raggiungendo il museo della fattoria del pescatore Vitolnieki, una serie di pittoreschi edifici di legno purtroppo chiusi a quest’ora. Tagliando per la pineta, siamo sulla splendida spiaggia di sabbia bianca, sferzata dalle onde e popolata da stormi di gabbiani. Tornati al lago facciamo un’ultima puntata ad una torre d’osservazione che si raggiunge passando su una passerella; tutto intorno è un paesaggio di acque e canne, allietato dalla luce del tardo pomeriggio. Il secondo confine del viaggio ci porta in Lituania; raggiungiamo Klapeida, dove ancora una volta abbiamo difficoltà a trovare una stanza libera. L’unica soluzione è il lussuoso Hotel Klapeida, il più costoso del viaggio, ospitato in un alto edificio nella città nuova. Giovedì 17 agosto: Klapeida – penisola Curlandese – Nida Klapeida è la terza città della Lituania. La sua storia è quella di una città di confine, contesa tra russi, lituani e tedeschi. Fino alla prima guerra mondiale rappresentava, con il nome di Memel, l’estremo confine orientale della Prussia. Passò poi sotto la neonata repubblica lituana ma l’importante comunità tedesca rimase al suo posto, fornendo a Hitler il pretesto per l’annessione al Reich nel 1939. La città vecchia si trova oltre il fiume Dane; il reticolo di strette viuzze è stato ricostruito dopo i gravi danni inflitti durante la seconda guerra mondiale. Il cuore della città è la piazza del Teatro. Dal balcone del teatro neoclassico Hitler tenne un discorso dopo l’annessione; di fronte si trova la fontana di Anna, che raffigura l’eroina di un famoso canto popolare tedesco. Un pifferaio solitario ne suona probabilmente il motivo, suscitando l’approvazione di un gruppo di turisti tedeschi. Sul lato opposto un gruppo di case a graticcio con i tetti spioventi ospita alcuni ristoranti formando un angolo tedesco. Completiamo la visita della città con due brevi puntate al museo storico e al museo dei fabbri. Davanti al porto di Klapeida sbocca in mare l’immensa laguna racchiusa dalla penisola curlandese, conosciuta anche con il nome di Neringa dal nome della dea pagana del mare che la creò secondo il mito. Un traghetto per auto fa la spola avanti e indietro per superare lo stretto braccio d’acqua. Sbarchiamo a Smiltyne, ricca d’attrattive per i gitanti. Rinunciamo alla visita dell’acquario, preso d’assalto da frotte di famiglie per lo spettacolo dei delfini, limitandoci a dare un’occhiata alle case della fattoria dei pescatori e alle barche del museo marittimo all’aperto. Ripresa la macchina, iniziamo a risalire la penisola, una lunghissima lingua di terra larga appena qualche chilometro. Per primo raggiungiamo il ridente paesino di Juodkrante, amato dai vacanzieri. La laguna è ormai larghissima e la costa lontana, ma la maggiore attrattiva è la Collina delle Streghe. L’altura boscosa è punteggiata di sculture di legno, raffiguranti demoni e spiriti, fino ad arrivare in cima, dove ci accoglie San Giorgio che uccide un buffo drago. Proseguendo oltre la collina, tagliamo la penisola fino a raggiungere la spiaggia sul mare aperto. La bella giornata ha invogliato molte persone a ravvivare l’abbronzatura. Ripresa la marcia in auto, ci fermiamo poco dopo il paese, dove una torretta consente di avvistare una nutrita colonia di cormorani. Gli uccelli per asciugarsi se ne stanno appollaiati sulle cime degli alberi con le ali aperte al sole. Proseguendo entriamo nella zona delle dune di sabbia, per le quali la penisola è famosa. Per preservare il territorio è assolutamente vietato inoltrarsi sui sentieri che partono dalla strada ma nessuno rispetta il divieto. Commettiamo così l’errore di cadere in tentazione; naturalmente al ritorno dalla brevissima passeggiata è rimasta solo la nostra macchina straniera e ci accolgono due guardie forestali che provvedono subito a multarci (ci fanno lo sconto famiglia facendoci solo una multa). Siamo stati proprio degli sprovveduti!! Poco dopo si raggiunge l’unico sentiero consentito ai turisti. Il paesaggio è suggestivo: siamo circondati da dune alte decine di metri, chiamate “grigie” o “morte” per il colore della flora che le ricopre. Scaliamo non senza fatica la più alta, affacciata scenograficamente sulla laguna, vastissima distesa di placide acque metalliche. La terraferma è una sottile striscia verde; tutto intorno, le dune sono ricoperte da macchie di una bassa erbetta grigiastra. Potremmo essere di fronte alla costa di un lago “qualunque”, in mezzo ad un paesaggio collinare, ma qui le colline sono di sabbia. Il silenzio è quasi totale, si ode solo lo stridio dei gabbiani in lontananza. Il nostro percorso nella penisola curlandese si arresta a Nida ormai a pochi chilometri dal confine russo! La metà inferiore della penisola appartiene infatti al territorio di Kaliningrad, una volta cuore della Prussia orientale, oggi enclave russa in mezzo al Baltico. Dopo le esperienze negative dei giorni passati, abbiamo prenotato telefonicamente una camera nell’Auksines Kopos, un gigantesco albergo nelle vicinanze del paese. Scaricati i bagagli, raggiungiamo subito il centro. Nida è la principale località turistica della penisola ma nonostante un certo affollamento, il vecchio borgo dei pescatori conserva tradizionali case di legno, vivacemente tinteggiate e circondate da curati giardini. Subito a sud del villaggio, lungo la costa, si trova un’altra area di dune. Una scalinata consente di raggiungere la cima della duna Parnidis, alta 50 metri. Dalla sommità, dove è collocata una meridiana, si domina la distesa di sabbia che si protende verso il confine russo; le acque della laguna sono solcate da un veliero a due alberi mentre il sole basso in cielo si avvicina all’orizzonte. Per ammirare il tramonto raggiungiamo la spiaggia sulla costa ovest. Alcuni cartelli segnalano le zone riservate alle varie “categorie”: c’è la spiaggia per uomini, quella per donne e famiglie, quella per nudisti! I colori delle repubbliche baltiche sono delicati, quasi discreti; il tramonto non ha la “violenza” dei tropici ma è ugualmente affascinante. Il sole scende nel mare, scomparendo dietro le nuvole all’orizzonte, quasi indistinguibile dal cielo sereno. Ceniamo all’Uzeiga Sena Sobyba; i tavoli sono collocati nel frutteto di una casa nel vecchio borgo. Venerdì 18 agosto: Nida – penisola Curlandese – Vilnius Dedichiamo la mattinata, illuminata da uno splendido sole, ad un’escursione lungo la pista ciclabile Nida – Preila – Pervalka. Affittate due mountain bike, lasciamo Nida diretti verso nord lungo la costa. La pista, interamente asfaltata, s’infila in una fitta foresta, fino a portarci in vista della duna Vecekrugo, la più elevata della penisola con i suoi 67 metri. La collina è completamente ricoperta di pini e da lontano non possiamo certo intuire che è fatta di sabbia! In questa zona sorgevano alcuni villaggi ma nell’ottocento furono sommersi dalle dune. Superato il paese di Preila, una striscia di case di vacanzieri allineate lungo l’unica strada, proseguiamo fino a Pervalka dove la pista si spinge verso l’interno. Ormai però abbiamo percorso abbastanza chilometri ed è tempo di tornare indietro. A Nida approfittiamo delle biciclette per visitare una serie di attrattive. La casa dove Tomas Mann trascorse alcune estati con la sua famiglia è stata trasformata in museo; il cottage di legno con il tetto di paglia è affollato da turisti tedeschi, che osservano attentamente i cimeli esposti, leggendo le didascalie esclusivamente nella loro lingua. La visita è interessante se non altro per ricordarci che fino alla seconda guerra mondiale questa regione faceva parte della Germania. La tappa successiva è il museo della giada, in realtà un pretesto per attrarre i turisti nel negozio annesso. I pezzi sono belli e non posso esimermi dal regalare a Stefania un anello, con tanto di certificazione. Terminiamo il tour al museo storico di Neringa, dove veniamo a conoscenza che gli abitanti della regione avevano l’usanza di mangiare carne di corvo, uccidendo gli uccelli con un morso sul collo. La nostra visita della penisola volge al termine: è stata molto piacevole sia per la bellezza della natura che per le giornate di sole, anche se devo dire che ormai l’organizzazione turistica ha prevalso sul carattere selvaggio di un tempo. Sulla strada del ritorno, poco prima del paese di Smiltyne, l’occhio attento di Stefania coglie una simpatica sorpresa: una volpe se ne sta a pochi metri dal ciglio della strada!! Mi fermo immediatamente mentre la volpe per nulla impaurita rimane nei paraggi alla ricerca di qualche preda. E’ molto carina con il suo manto chiaro, le orecchie a punta e la grossa coda. Dopo l’attraversamento in traghetto, lasciamo Klapeida imboccando l’unica autostrada del Baltico. Proseguiamo spediti attraverso un paesaggio monotono, tagliando buona parte del paese. Superata Kaunas, che visiteremo al ritorno, in serata siamo a Vilnius. Alloggiamo al Domus Maria, prenotato per telefono, come faremo sempre d’ora in poi per evitare le sorprese dei giorni passati. L’albergo è senza dubbio il più bello del viaggio, ospitato in pieno centro nell’ex-convento della chiesa di Santa Teresa. Dalla finestra della camera si scorgono le cupole della chiesa ortodossa dello Spirito Santo. La città vecchia di Vilnius è un gioiello: superata la Porta dell’Alba, con la venerata immagine della Madonna Nera, sembra di entrare in un altro mondo. Si lasciano i fatiscenti edifici della zona della stazione e si passeggia, circondati da turisti, tra chiese barocche e suntuosi palazzi. Sabato 19 agosto: Vilnius La nostra visita di Vilnius inizia sotto una pioggia battente. Approfittiamo quindi della concentrazione di chiese attorno all’albergo per correre ai ripari. Per prima raggiungiamo la Porta dell’Alba, ingresso meridionale alla città vecchia. Al suo interno si trova una cappella che ospita la venerata immagine della Madonna della Porta. Il piccolo ambiente è affollato per la messa, con fedeli in preghiera anche sulla scalinata d’accesso. La Madonna, seminascosta da un rivestimento argenteo, sembra affacciarsi dalla finestra spalancata sulla facciata interna della porta; i cittadini di passaggio si fanno devotamente il segno della croce. A fianco dell’albergo, Santa Teresa presenta una facciata che non stonerebbe tra le chiese gesuite di Roma mentre gli interni rococò sono un trionfo rosa salmone, arricchito da un bel pulpito dorato. A poche decine di metri si trova la chiesa ortodossa dello Spirito Santo, frequentata dalla comunità russa. Nel luminoso interno è in corso una messa cantata con i fedeli in piedi che si fanno ripetutamente tre segni della croce, prodigandosi in inchini. Mi soffermo a guardare la cerimonia: una suora tutta vestita di nero porta il tipico velo ortodosso; molte donne fanno la fila per confessarsi. Non ci sono confessionali ma il prete con un velo copre la testa alla penitente che bacia il vangelo e inizia a confabulare. I cantori nella balconata della controfacciata sono molto bravi e rispondono alle invocazioni dei preti che danno le spalle ai fedeli. Il pope indossa il tipico copricapo ortodosso, ricchi paramenti dorati e quando si volta rivela una lunga barba. La porta di Basilio assomiglia alla facciata di una chiesa ma immette in un cortile dove naturalmente si trova un’altra chiesa, questa volta in restauro, la Santa Trinità. Leggiamo che è frequentata da una piccola comunità ucraina di greco-cattolici. A poche decine di metri l’una dall’altra, coesistono quindi tre confessioni diverse, segno delle divisioni dei cristiani o di tolleranza religiosa a secondo dei punti di vista. La triangolare piazza del Municipio è tutta un cantiere per il rifacimento della pavimentazione. Al centro sorge il freddo municipio neoclassico, tutto intorno graziosi palazzi e la chiesa di San Casimiro, con la facciata bianca e rosa che sembra incompiuta per la mancanza di una torre centrale. Il suo elemento più caratteristico, la cupola sormontata dalla corona del granducato di Lituania, si apprezza solo ad una certa distanza. L’interno color crema e bianco è piuttosto spoglio per la tormentata storia della chiesa, ridotta a museo dell’ateismo sotto il comunismo; per questo spiccano ancora di più i tre altari di marmi colorati con le colonne dai capitelli dorati che racchiudono quadri liberty. A nord della piazza, l’asse centrale della città vecchia prosegue verso la cattedrale ma noi deviamo per visitare l’università. In passato fu una delle più importanti università polacche ma nel dopoguerra è stata completamente “lituanizzata”. Il complesso si articola attorno a numerosi cortili. Il Grande Cortile è dominato dalla facciata di San Giovanni, al cui interno ritroviamo gli “eccessi barocchi”; il cortile dell’Osservatorio è decorato con i segni dello zodiaco. Girovagando qua e là c’imbuchiamo nella sala della cattedra di filologia baltica che presenta pareti coperte da originali affreschi con scene di martirio, in un curioso stile a schizzo. Tornati all’esterno, ci fermiamo ad ammirare la porta di bronzo, ingresso principale, decorata da raffigurazioni di Vilnius. Lasciata l’università, prima ci affacciamo sull’elegante facciata posteriore del palazzo presidenziale e poi raggiungiamo la chiesa ortodossa di San Nicola, ottocentesco intrico di stili architettonici. Proseguendo la passeggiata, oltre lo stretto fiume Vilnia, siamo ad Uzupis, il quartiere bohemien di Vilnius. Un cartello scherzoso segna il suo confine con la dicitura “Uzupio Res Publica”. Poco oltre una piazzetta triangolare è dominata da un angelo di bronzo con tromba, collocato sopra una colonna per celebrare il primo anno d’indipendenza della “repubblica”. Mentre contribuisco al servizio fotografico di una splendida sposa bionda, Stefania è attratta dall’insegna di un negozio d’antiquariato. Tornati in centro, raggiungiamo uno degli angoli più pittoreschi della città, con il monumento a Mickiewicz, la chiesa cistercense e Sant’Anna. Il poeta nazionale polacco-lituano è raffigurato poggiato su un leggio, con le due chiese che gli fanno da sfondo. Tutto intorno c’è un vero e proprio ingorgo d’auto matrimoniali. La chiesa di Sant’Anna è un incredibile intrico di mattoni rossi, un trionfo gotico di torrette. Alle sue spalle si erge la chiesa cistercense, il cui interno bisognoso di restauri, proprio per questo risulta più affascinante. All’esterno mi soffermo a guardare le numerose coppie di sposi con i loro invitati. Molte donne indossano vestiti decisamente pacchiani, sgargianti verdi, azzurri e lilla. Le lituane sono famose per la loro bellezza ma non mancano diverse spose chiattone!! Un gruppo di quattro dame sfoggia una serie di cappellini che farebbero l’invidia della regina d’Inghilterra. Dopo tante chiese, finalmente raggiungiamo la cattedrale ma la bianca mole dell’edificio risulta estremamente fredda. La facciata nel suo classicismo estremo lascia pensare più ad un tempio greco che ad una chiesa mentre il curioso campanile, dall’aspetto di un faro, è completamente nascosto dalle impalcature. Sul lato della piazza verso il centro, sorge il monumento a Gediminas, fondatore della città, rappresentato con la spada sguainata davanti al suo cavallo mentre dall’altro lato parte Gedimino Prospektas, arteria principale della città ottocentesca. Lasciamo quindi la città vecchia percorrendo il viale con i suoi eleganti negozi. Le statue di tre donne, dai volti dorati e vestite di nero, fungono da insegna al teatro d’arte drammatica. Proseguendo lungo Gedimino raggiungiamo il museo lituano del genocidio. Nei sotterranei si conservano ancora le celle dove il KGB incarcerava e torturava i prigionieri politici. All’inizio del tetro corridoio due minuscoli stanzini, destinati ai detenuti appena arrestati in attesa dell’interrogatorio, mettono subito le cose in chiaro. In una cella sono depositati diversi sacchi pieni di documenti, ridotti in sottili strisce di carta quando ormai era prossimo il crollo del regime. Si esce poi nel cortiletto dove molti prigionieri furono fucilati. Il museo ripercorre tutta la storia dell’occupazione, a partire dalla prima invasione sovietica del 1940 alle deportazioni di massa del 41 e 49. Una cartina piena di pallini indica i villaggi sparsi per l’Unione Sovietica dove furono confinati i deportati. Dopo la morte di Stalin, il regime si allentò e molti poterono fare ritorno in patria, incontrando però grossi problemi d’integrazione tanto che alcuni preferirono tornare da dove venivano. Con il passare degli anni, i metodi si fecero più “raffinati” e si sviluppò un’accurata attività di spionaggio che controllava ogni aspetto della vita pubblica e privata. Lascio il museo con impressi negli occhi i volti tragici dei prigionieri e le immagini sanguinarie dei partigiani giustiziati fino ai primi anni cinquanta. Una passeggiata ci porta fino alla chiesa d’Ognissanti, altro esempio di stile tipicamente russo con la sua moltitudine di cupole a cipolla verdi, uno dei tanti edificati nel Baltico durante gli ultimi anni dei Romanov. Poco lontano, nel parcheggio di un ospedale, si trova un inspiegabile monumento a Frank Zappa, con il busto della rock-star poggiato su un pilastro d’acciaio davanti ad un murales. Nel frattempo, finalmente, è spuntato il sole che ci accompagna mentre visitiamo le ultime chiese della giornata, tornando verso il centro. La facciata di Santa Caterina, bianca e rosa, è molto elegante, incorniciata da due torri gemelle. Gli interni della chiesa domenicana sono un lussureggiante trionfo barocco di sculture e altari di marmo. Esattamente l’opposto è invece la chiesa francescana: il suggestivo interno non è stato ancora restaurato, dopo l’utilizzo come magazzino durante il comunismo. L’altare è formato da una catasta di mattoni, le pareti sono tutte scrostate e piene di buchi mentre una serie di tappeti nasconde il pavimento ridotto in chissà quale stato. Un confessionale essenziale consiste in una sedia collocata davanti ad un paravento di legno; un gruppo di fedeli prega, esprimendo in questo contesto un’aurea di profonda religiosità.
Vilnius era chiamata la Gerusalemme del Nord e alla vigilia della seconda guerra mondiale la comunità ebraica costituiva il principale gruppo etnico della città. Negli anni tra le due guerre la cultura yiddish conobbe un grande splendore ma tutto ciò cambiò con l’arrivo dei nazisti. Gli ebrei furono deportati e sterminati nella foresta alla periferia della città. Oggi non rimane nulla a ricordare i tempi passati. Il ghetto è scomparso e sul posto della Grande Sinagoga sorge un asilo nido. Gli attuali politici mostrano un certo ostracismo ad investire soldi per recuperare quei ricordi e anche l’assenza di riferimenti al genocidio ebraico nel museo che abbiamo visitato mi lascia qualche perplessità. Domenica 20 agosto: Vilnius – Trakai La mattina il cielo è nuovamente coperto e il sole un vago ricordo. Raggiungiamo il bastione dell’artiglieria, dove sopravvive un tratto delle mura in mattoni che circondavano la città. Dalla terrazza panoramica si domina il centro ma il tempo nuvoloso non consente di apprezzarne la vista più di tanto. Si scorge la corona sopra la cupola di San Casimiro e in lontananza la collina del castello. Tornati alla cattedrale visitiamo la cappella barocca di San Casimiro, sua attrazione principale, che ieri un matrimonio ci aveva negato. Sopra il reliquario in argento cesellato, si trova un’immagine iconografica ricoperta anch’essa d’argento, dal quale oltre al volto spuntano curiosamente tre mani!! Subito alle spalle della cattedrale notiamo un edificio in costruzione. Alcuni cartelli spiegano che qui sorgeva il Castello Inferiore, sede della corte dei granduchi, ed oggi è in corso la sua ricostruzione che sarà completata nel 2009, in occasione del millenario della Lituania. Sulla collina subito dietro, Gediminas, fondatore della città nel Trecento, fece costruire una fortezza che i cavalieri dell’Ordine Teutonico non riuscirono mai ad espugnare. Oggi del Castello Superiore sopravvive solo la Torre Gediminas, in cima alla collina; si tratta di una costruzione ottagonale in mattoni rossi, dalla quale la vista domina tutta la città, con le chiese del centro e gli edifici della città moderna oltre il fiume Neris. All’una a San Casimiro è previsto un concerto gratuito per organo e non ci lasciamo sfuggire l’occasione. Nel pomeriggio, recuperiamo la macchina in albergo per raggiungere Trakai. Prima però facciamo una sosta in città per visitare San Pietro e Paolo. La facciata bianca e crema non presagisce quanto si trova all’interno: le pareti sono ricoperte da una profusione di migliaia di candidi stucchi, tra cui, a fianco dell’ingresso, un’inquietante morte con falce. Ci vollero undici anni per realizzarli ma a me sono sufficienti due minuti per classificare l’opera come decisamente “stucchevole”!! Trakai sorge a 25 chilometri da Vilnius, su una stretta penisola in mezzo a tre laghi. In passato fu un importante centro di potere dei granduchi lituani, residenza di Vytautas il Grande, nipote di Gediminas, sotto il quale la Lituania raggiunse il periodo di massimo splendore all’inizio del Quattrocento. Il granduca nelle sue campagne militari arrivò fino in Crimea, dove incontrò i caraiti, una popolazione turca di fede ebraica. Decise di fare di questa gente (insieme a gruppi tartari) un corpo di guardia speciale, direttamente alle sue dipendenze, e li invitò a stabilirsi a Trakai con le loro famiglie. Ancora oggi nel paese vivono un centinaio di caraiti. Le loro case di legno sono dipinte di un giallo acceso e sono provviste di tre finestre, “una per Dio, una per se stessi e una per il granduca Vytautas”. Visitiamo un piccolo museo etnografico dedicato alla comunità e l’ottocentesca Kenessa, la loro casa di preghiera. Alla fine della penisola si schiude davanti a noi la magnifica vista del castello sull’isola, rallegrata dal sole tornato protagonista. Il castello è stato in gran parte ricostruito ma le torri di mattoni, sormontate dalle coperture a punta di tegole rosse, si stagliano sulle acque del lago formando un’immagine che sembra uscita da una favola. Le bianche vele delle barche ormeggiate davanti completano il quadro. Due ponti di legno ci portano, insieme alla folla di gitanti della domenica, fino al castello. Nel cortile interno è attrezzata una sorta di Disneyland medioevale, con figuranti in vesti tradizionali. Il fabbro è all’opera nel forgiare attrezzi su un’incudine, sui bracieri cuociono piatti di una volta, una gogna campeggia in mezzo allo spiazzo (una foto naturalmente è d’obbligo). Alcuni giovani si preparano per un torneo d’armi, altri suonano tamburi e antiche cornamuse mentre i bambini si divertono combattendo con sacchi montati sull’estremità di bastoni. Scavalcato un fossato, raggiungiamo il mastio centrale che racchiude un bel cortile a gallerie. Al suo interno e negli edifici esterni è ospitato un museo. Tra i tanti oggetti esposti mi colpiscono la collezione di pipe e sigilli, le cartine della Grande Lituania e alcuni antichi tesori di monete (chissà cosa penserebbero i proprietari che li nascosero nel sapere che fine hanno fatto!). Un paio di vetrine espongono costumi tradizionali dei tartari (oggi in Lituania ce ne sono circa 5000) e dei caraiti. Sicuramente il castello ha assunto un certo carattere da parco di divertimenti ma la sua visita risulta comunque molto piacevole, anche per l’incantevole collocazione naturale. A Vilnius ceniamo al Cili Kaimas, un grosso ma pittoresco locale d’ambientazione rustica dove cameriere in costume tradizionale servono zuppe di funghi in cestini di pane nero. Lunedì 21 agosto: Vilnius – parco Dzukija – Gruto Parkas – Kaunas Lasciamo Vilnius diretti verso sud al parco Dzukija, al confine con la Bielorussia. La prima tappa è Merkine. Al centro della brutta piazza una chiesa sconsacrata ospita il museo delle tradizioni. Oggi però è chiuso per cui passiamo all’altra “attrazione” del paesino, il castelliere, una collina erbosa sulla sponda del fiume Neumanas, un tempo occupata da una roccaforte di legno. Addentrandoci nel parco raggiungiamo Marcinkonys, fermandoci poco prima per visitare una graziosa pieve legno, color giallo canarino. Dal centro informazioni parte il sentiero Zackagiris, un percorso circolare di oltre dieci chilometri attraverso la foresta. Decidiamo di percorrerne un tratto ma dopo un’ora di cammino in linea retta, incrociando gruppi di persone in cerca di funghi, cominciamo a chiederci dove siamo finiti. Sulla cartina sono segnati due fiumi, lo Zackagiris e il Gruda; stiamo procedendo su una strada sterrata secondaria che taglia diametralmente il sentiero incrociandolo al Gruda. Da qualche tempo abbiamo superato un fiume ma il secondo non compare mai. Fermiamo una macchina chiedendo dove sia il Gruda e c’indicano la direzione da dove veniamo!! Evidentemente il piccolo Zackagiris c’è sfuggito e siamo finiti ben oltre il percorso del sentiero. Non ci resta che tornare indietro fino al fiume dove guardando attentamente troviamo il segnale bianco e rosso del sentiero. Un tronco è utilizzato come ponte ma non riusciamo a capire come raggiungerlo; alla fine imbocchiamo il sentiero giusto e saliamo su una collina, usata in passato per le esercitazioni di tiro. Ancora una volta però le indicazioni sono assenti e smarriamo la traccia ritrovandoci sulla sterrata dell’andata. Tornati al centro visitatori notiamo il cartello che segnala l’inizio della passeggiata; alla partenza, presi dalla lettura della cartina, lo avevamo mancato!! Ci consola il fatto che probabilmente ci saremmo persi lo stesso per la mancanza di indicazioni. Del resto non abbiamo incontrato nessun altro escursionista e il parco non sembra per nulla organizzato. Per visitare le paludi di Cepkeliu, al centro visitatori ci dicono di rivolgerci agli uffici amministrativi che si trovano oltre la ferrovia. Il ranger non parla una parola d’inglese ma ci consegna una chiave misteriosa. Proseguiamo su una sterrata fino ad una sbarra bloccata con un lucchetto; provvediamo quindi ad aprirla con la chiave e procediamo oltre per un altro bel tratto fino all’area di sosta. Questa volta un cartello illustra molto chiaramente il percorso, che consente di affacciarsi verso le paludi e passa intorno ad un laghetto. In questa stagione il paesaggio è asciutto, come appare evidente dall’alto della solita torre d’osservazione. Il posto tuttavia ha il fascino dei luoghi sperduti; mi chiedo da quanto tempo un’escursionista non sia venuto fin qua! Durante la breve passeggiata Stefania è notevolmente infastidita dai ragni che hanno steso le proprie tele in mezzo al sentiero. Lasciamo Marcinkonys, spostandoci in un’altra area del parco. Il paesino di Zervynos si distingue per le sue case di legno mentre lungo la strada per Manciagire, una scala ci porta in discesa fino al fiume Ula, scavalcato da un ardito ponte di legno. Poco lontano una pozza d’acqua calda e fangosa prende il nome di Ulo Akis, “occhio dell’Ula”. Raggiunta di nuovo Merkine, lasciamo il parco Dzukija; la sua visita, complice la cattiva giornata, si è rivelata abbastanza deludente. La statale proveniente da Vilnius conduce fino a Druskininkai, centro principale della regione, ma noi ci fermiamo poco prima per visitare il Gruto Parkas. Un magnate locale dei funghi ha avuto la “brillante” idea di recuperare le statue dell’era sovietica, smantellate dopo il crollo del comunismo. Retoriche figure di Stalin e Lenin, un tempo collocate nelle piazze più importanti del paese, si trovano ora in mezzo al verde del parco. Qualche statua ha un valore artistico, come un gruppo di giganteschi rivoluzionari, ma naturalmente ciò che colpisce è la storia dietro questi monumenti. Un Lenin di bronzo reca i segni della detronizzazione: un braccio è proteso in avanti ad indicare la strada ma la mano è priva del pollice ed anche il piede destro è scomparso. La costituzione del parco non ha trovato tutti d’accordo; quasi per giustificarsi è esposto un vagone utilizzato dai russi durante le deportazioni del dopoguerra e sono presenti un paio di sezioni storiche con documenti sul periodo dell’occupazione. Tuttavia l’esoso biglietto d’ingresso e il parco giochi per bambini lasciano qualche perplessità sulla natura commerciale dell’operazione. Terminiamo la visita sotto un violento acquazzone che ci accompagna anche lungo la strada di ritorno. A Merkine deviamo verso Kaunas. Il tempo, veramente mutevole nel Baltico, cambia di nuovo: si aprono squarci di sereno e spunta l’arcobaleno; i campi si accendono di un verde smeraldo. A Kaunas ci sistemiamo al Takioji Neris, un grosso albergo situato nella città nuova vicino alla chiesa di San Michele Arcangelo. Ceniamo in zona, allo Zalias Ratas, ospitato in una caratteristica costruzione di mattoni dagli interni di legno. Martedì 22 agosto: Kaunas – collina Croci – confine Lettonia – Mezotne – Rundale – Riga Kaunas sorge alla confluenza dei fiumi Neumanas e Neris, divisa in una città nuova ottocentesca e una vecchia, secondo uno schema familiare in Lituania. Tra le due guerre fu la capitale del paese, poiché Vilnius apparteneva alla Polonia. La mattina le bianche pareti e le cupole argentee della chiesa neobizantina di San Michele assumono un aspetto spettrale nella nebbia che avvolge la città. Dalla chiesa parte Laisves Aleja, un lungo viale pedonale che attraversa tutta la città ottocentesca. La bella piazza quadrangolare del municipio è invece il cuore della città vecchia. Al centro si erge isolato il municipio barocco, soprannominato il “cigno bianco”. L’elegante edificio, oggi utilizzato come palazzo dei matrimoni, ha l’aspetto più di una chiesa che di un palazzo civico, con la sua torre slanciata a più livelli. La piazza è arricchita da due chiese: in un angolo la cattedrale di mattoni rossi, su un lato la Santa Trinità anch’essa dalla facciata candidamente bianca, accompagnata da due campanili. Completano l’insieme le antiche case in mattoni dei mercanti; peccato per la nebbia che smorza tutti i colori. Oltre la piazza si trova un parco che prosegue fino alla confluenza dei due fiumi ma le condizioni meteorologiche non sono certo adatte ad una passeggiata; ci limitiamo quindi a dare un’occhiata ai resti del castello e alla chiesa di San Giorgio, piuttosto malridotta con le sue finestre gotiche tamponate da mattoni. A sud della piazza si trovano altri due edifici di mattoni rossi: una casa gotica dall’elaborato frontone prende il nome da Perkunas, il dio pagano del tuono, e una chiesa da Vytautas, il grande re lituano. Terminata la nostra visita, lasciamo Kaunas imboccando l’autostrada per Klapeida già percorsa all’andata. Questa volta però a metà strada pieghiamo verso nord, in direzione di Riga. Nei pressi di Siaulai, non lontano dal confine lettone, si trova la Collina delle Croci, un monumento unico, simbolo della religiosità cattolica della Lituania. Si tratta di un piccolo cocuzzolo, ricoperto da una vera e proprio foresta di croci. Alcune più grandi sono trasformate in strani oggetti deformi dalla montagna di croci più piccole che vi sono state appese nel tempo. Durante il comunismo, le autorità sovietiche cercarono più volte di spianare la collinetta ma la popolazione ha provveduto sempre a ripristinare le croci. La visita di papa Giovanni Paolo II nel 1993, ricordata naturalmente da una croce portata in dono, ha reso il luogo ancora più popolare. Da pochi anni è stato costruito un monastero francescano e la chiesa, senza altare, reca una vetrata affacciata sulla collina. Prima del viaggio avevo letto giudizi contrastanti sul posto, ritenuto da alcuni ormai troppo turistico. Al contrario io l’ho trovato emozionante, frutto di una sana religiosità popolare: il suo fascino mi ha ricordato le grotte piene di Budda in Estremo Oriente. Ho anche notato con piacere la presenza di un elemento interreligioso, una Stella di Davide con scritta in ebraico. Alcune croci inoltre sono dei capolavori, scolpiti nel legno da artisti locali. Superato il confine, siamo di nuovo in Lettonia, nel cuore dell’antico ducato di Curlandia. Il piccolo stato riuscì ad avere un suo momento di gloria, prima di essere inglobato nell’impero russo. Per un breve periodo ebbe anche una colonia, l’isola caraibica di Tobago, come ricorda da quelle parti la baia della Grande Curlandia. Rinunciamo alla visita di Jelgava, antica capitale, poiché il castello dei duchi è stato ricostruito dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale e decidiamo di visitare la residenza estiva di Rundale, nei pressi di Bauska. Prima facciamo una puntata al palazzo di Mezotne, dalla facciata neoclassica color giallo limone. In passato fu una residenza nobiliare donata dallo zar alla governante dei figli, mentre oggi ospita un albergo. Pagando un biglietto si possono visitare le sale di gala al primo piano, culminanti nella sala da ballo dalle verdi colonne e nella sala della cupola, inondata di luce proveniente dalle finestre affacciate sul parco. Quanto abbiamo visto però non è nulla rispetto agli splendori del palazzo di Rundale, opera di Rastrelli, l’architetto del Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo. Il complesso fu gravemente danneggiato durante la guerra e solo un terzo delle oltre 100 stanze è stato restaurato. Il contrasto con le parti ancora da sistemare è stridente. Una rassegna fotografica illustra i lavori per ricreare il giardino: le aiuole fiorite sono tornate al loro posto ma al centro, in mancanza di una fontana, c’è ancora una gran buca. Il restauro degli interni procede con precisione maniacale, ben diversa dall’approccio utilizzato durante il comunismo: a quei tempi i fondi erano pochi e ai quadri si preferivano poster incorniciati come è ricordato da una sala ancora arredata come nel periodo sovietico. Durante la visita sono molti gli elementi che colpiscono. Si comincia con le stalle color rosso vino; racchiudono a semicerchio il primo cortile, nascondendo la mole del palazzo e attirando lo sguardo sul cancello centrale sormontato da due leoni con tanto di corona reale. Gli interni sono suntuosi. Negli stucchi dorati dell’enorme sala del trono, uccelli dal lungo becco si nutrono di bacche. Nella sala da ballo bianca, i fregi a stucco ritraggono angioletti in divertenti situazioni: uno reca un cappellino in testa e cavalca una capra. Si passa poi agli appartamenti del duca e della duchessa; l’ultima coppia Pietro e Dorotea, con i quattro figli, compare in molti quadri. A Riga ci sistemiamo in un B&B, situato nel Centro che nonostante il nome non è la città vecchia ma il quartiere costruito a cavallo di ottocento e novecento. Per cena scopriamo che la capitale della Lettonia offre un’interessante possibilità: la catena dei ristoranti Lido. Si tratta di self-service con una vastissima scelta di piatti della cucina locale; si mangia tanto e bene, spendendo poco. Mercoledì 23 agosto: Riga Al B&B ci hanno consegnato dei buoni per fare colazione alla Martina Bakery, attraversata la strada. La scelta di gustosi dolci è vasta e ne approfitteremo anche i prossimi giorni! Dopo una visita a Santa Gertrude, chiesa neogotica in mattoni rossi dominata da un’alta guglia con copertura verde, ci dirigiamo verso la città vecchia percorrendo Brivibas Iela, asse principale del Centro. L’ampio boulevard raggiunge una fascia di giardini dove sorge la Cattedrale della Natività, costruita alla fine dell’ottocento in stile neobizantino per la comunità ortodossa russa. Queste chiese dell’ultimo periodo zarista sono una prerogativa di tutte le città baltiche più importanti. All’interno, un affresco rappresenta la Dormitio Verginis con l’angelo che taglia le mani dell’ebreo mentre cerca di toccare Maria sul letto di morte, tema tante volte incontrato in Grecia nelle chiese ortodosse. Il viale termina in un’ampia piazza dominata dal Monumento alla Libertà, costruito tra le due guerre per celebrare l’indipendenza. Una figura femminile, chiamata affettuosamente Milda, è collocata sopra un alto obelisco e tiene sollevate tre stelle, simbolo delle tre regioni della Lettonia. Poco oltre, un’altra fascia di giardini segna il limite della città vecchia. In mezzo al verde una pietra ricorda le cinque vittime dei cecchini durante l’assalto sovietico al Ministero degli Interni nel 1991. La città vecchia di Riga conserva l’aspetto di un borgo medioevale, racchiuso tra il fiume Daugava e il canale che correva a ridosso delle mura. Kalku Iela, prosecuzione dell’asse di Brivibas, la taglia in due; tutto intorno si estende un dedalo di stradine, dominato dalle alte guglie del duomo, San Giacomo e San Pietro. Completano l’insieme, numerosi edifici art noveau, costruiti negli ultimi decenni di dominazione zarista. Le sedi della Grande e Piccola Corporazione, ci ricordano subito la vocazione mercantile di Riga, nata come città anseatica tedesca. Entrambi gli edifici sono costruzioni ottocentesche in stile neogotico. La Piccola Gilda, senz’altro più attraente, si presenta asimmetrica con una torretta da un lato ed una guglia dall’altro; questa sera è previsto un concerto di musica classica e decidiamo di acquistare i biglietti. Di fronte alla Grande Gilda sorge un edificio di colore giallo con due gatti neri collocati sopra le torrette a punta. La tradizione vuole che il proprietario, bandito dalla corporazione, sistemò i gatti con il “didietro” rivolto alla gilda ma reintegrato dovette provvedere a girarli. La figura dei felini con la schiena inarcata e la coda sollevata è molto pittoresca. Nella strada che corre tra le due gilde, notiamo un’altra curiosità: uno studente seduto su un cornicione ripassa un libro grattandosi la testa, scrutato dall’austero professore sul palazzo di fronte. Smilsu Iela conduce verso la cattedrale ed è un susseguirsi di magnifiche facciate art noveau: un balcone è sorretto da un uomo e una donna nudi che spuntano dalla vegetazione, maschere e volti stilizzati incorniciano i portoni. La cattedrale di mattoni rossi ci riporta indietro di diversi secoli, agli splendori della Riga medievale. Si tratta dell’edificio di culto più grande nel Baltico e persino il coronamento barocco a bulbo del campanile non stona nell’insieme. L’austero interno luterano mi stupisce dopo l’esuberanza barocca delle chiese di Vilnius; il pulpito di legno, in compenso, trabocca di statue mentre l’organo con migliaia di canne, purtroppo parzialmente nascosto dal restauro, è uno dei più grandi al mondo. Si pone a questo punto un dilemma: soltanto questa sera alle sei è possibile ascoltare in azione l’organo della chiesa ma abbiamo già acquistato i biglietti per il concerto delle sette alla Piccola Gilda. Sfruttando l’ora di differenza, decidiamo di assistere ad entrambi i concerti; lasceremo la cattedrale prima della conclusione dello spettacolo e ci sposteremo alla gilda. A fianco della cattedrale si trova il chiostro del vecchio monastero; le arcate gotiche sono stipate d’ogni sorta di sculture tra cui spiccano la statua bronzea di Alberto di Brema con il modellino della chiesa e la versione originale del gigantesco gallo collocato sulla guglia del campanile. Il monastero domenicano è stato ristrutturato per ospitare l’interessante museo di storia e della navigazione. L’esposizione inizia con gli antichi ritrovamenti, spade e braccialetti incisi, nella regione della Bassa Daugava, ripercorrendo tutta la storia di Riga, dagli splendori medievali alle dominazioni svedese e russa. Una sezione è dedicata all’inizio del Novecento: sono esposti una cartina turistica del ’35, vestiti da sera e cappellini delle donne, una scatoletta di crema Nivea, un’altra con una coppia che reclamizza le Tik Tak nelle nuvolette dei fumetti. Una collezione di modellini di navi spazia dai velieri antichi alle moderne navi sovietiche contraddistinte da falce e martello, mentre una stanza ospita gli oggetti regalati nel 1999, all’età di 90 anni, da Martas Alberincas, una danzatrice lituana di balli spagnoli. Usciti dal museo, finalmente è spuntato il sole accendendo nella piazza della cattedrale la facciata marrone e verde del palazzo della borsa, imponente edificio decorato da figure allegoriche del commercio. Ripreso il nostro girovagare per le stradine del centro, raggiungiamo la Torre della Polvere, massiccio bastione circolare, oggi sede del museo della guerra. L’esposizione inizia con la prima guerra mondiale (il fronte orientale attraversava proprio la Lettonia), proseguendo con le lotte per l’indipendenza e la seconda guerra mondiale, fino ad arrivare alle barricate delle manifestazioni del 1991 e all’adesione alla Nato. Dalla torre imbocchiamo Torna Iela, costeggiata dall’aggraziata distesa gialla delle caserme di San Giacomo, con gli abbaini e i comignoli che spuntano dal tetto spiovente di tegole. Lunghe duecento metri, le caserme furono realizzate dagli svedesi ma oggi sono state ristrutturate e occupate da negozi e uffici. Raggiungiamo la chiesa cattolica di San Giacomo, costruita in mattoni con la torre coronata, differentemente dalla cattedrale, dalla tradizione guglia verde a punta. A poche decine di metri sorgono i Tre Fratelli, un trio di case medievali, che fa il paio con le Tre Sorelle di Tallinn. L’edificio centrale di colore giallo presenta un bel frontone dalle linee curve, alleggerito da finestrelle. Un rapido affaccio sul fiume Daugava, dove la vista spazia sulle moderne costruzioni dell’altra sponda, e un’occhiata alla chiesa inglese sul lungofiume, naturalmente di mattoni rossi, chiudono il nostro giro nella parte del centro a nord di Kalku Iela. Passati sull’altro lato, raggiungiamo subito San Pietro. La sua magnifica facciata è dominata dall’inconfondibile torre, culminante nella guglia tanto ardita da subire diversi crolli. All’epoca della costruzione, nel quattrocento, era la più alta d’Europa ma nel 1941 fu distrutta dai bombardamenti tedeschi. Oggi la guglia è stata ricostruita in acciaio con tanto di comodo ascensore per salire in cima ed è formata da tre aerei loggiati separati da cupole a cipolla. L’interno della chiesa, trasformato in museo, esprime tutta la sua nudità slanciata priva di decorazioni; una mostra d’opere d’arte, realizzate con i mattoni, completa il trionfo del laterizio! Dalla sommità della torre si domina la città vecchia, il ponte di ferro della ferrovia, percorso da treni quasi fosse un plastico, e in lontananza l’avveniristica struttura gialla e rossa della torre della televisione, un incrocio fra un treppiede e una torre Eiffel. Dopo un’occhiata a San Giovanni, altra chiesa di mattoni, raggiungiamo la piazza del Municipio. In questi ultimi anni la volontà di riscatto nazionale ha finalmente posto fine al suo triste destino. I palazzi che circondavano la piazza, distrutti durante la seconda guerra mondiale, nel dopoguerra furono rimpiazzati da tristi edifici in stile sovietico; la Casa delle Teste Nere, danneggiata dalle bombe tedesche del 1941, fu demolita e come se non bastasse fu costruito il mostruoso edificio destinato ad ospitare il museo dei fucilieri lettoni. Dopo la caduta del comunismo è partito invece un programma di rilancio, che ha permesso la ricostruzione della Casa delle Teste Nere. I due edifici in mattoni del palazzo della confraternita, ricchi di sculture, tuttavia appaiono troppo nuovi per essere affascinanti e aumentano ancora di più il rimpianto per ciò che è andato perduto: insieme alla torre di San Pietro dovevano formare un quadro indimenticabile. Al centro della piazza si trova una statua del paladino Rolando, molto popolare nell’Europa settentrionale. Il museo dei fucilieri lettoni è stato trasformato in museo dell’occupazione; la sua visita è indispensabile per capire la tragica storia della Lettonia. Nella nostra visione occidentale siamo abituati a pensare a Hitler come al “cattivo dei cattivi” ma l’esposizione inizia con i ritratti di Hitler e Stalin, giustamente posti sullo stesso piano. Dopo la spartizione sancita dagli accordi Molotov Ribbentrop, la Lettonia fu occupata dai sovietici: si trattò di un anno di terrore, culminato nella deportazione della notte del 14 giugno 1941, che coinvolse anche Estonia e Lituania. Pochi giorni dopo la Germania attaccò l’Unione Sovietica, occupando la Lettonia in un solo mese. Seguirono quattro anni di dominio nazista. I tedeschi scoprirono le tombe di massa dei sovietici e, mentre sterminavano gli ebrei, le sfruttarono per la loro propaganda anti-comunista! La vittoria dell’Armata Rossa portò nuovamente i sovietici in Lettonia e nulla poterono i partigiani che continuarono a combattere fino ai primi anni cinquanta nell’indifferenza della comunità internazionale. Nel 1949 avvenne un’altra deportazione di massa che coinvolse 43.000 persone; gli oggetti appartenuti ai deportati esposti in alcune vetrine trasmettono un sentimento di grande mestizia. Nel decennio dal ’39 al ’49 la popolazione diminuì di un terzo, favorendo così l’immigrazione di 800.000 russi nel dopoguerra. Tra le tante notizie riportate mi colpisce che si doveva registrare persino il possesso di una macchina da scrivere! Ormai è giunta l’ora dei concerti. Nella cattedrale anche un profano come me avverte la ricchezza offerta dalle migliaia di canne dell’organo. Ci spostiamo alla Piccola Corporazione, dove in un’affascinante sala con i maestri ritratti nelle vetrate colorate delle finestre, si esibisce un trio, piano, violino e violoncello. I musicisti suonano Mozart, Beethoven, Schubert e Donizetti con gran maestria, strappando calorosi applausi dal piccolo pubblico. Giovedì 24 agosto: Riga La nostra seconda giornata a Riga inizia con la visita al mercato, ospitato in cinque enormi padiglioni; si tratta di hangar costruiti per i dirigibili Zeppelin tedeschi della prima guerra mondiale e qui rimontati negli anni Venti del Novecento. Ogni padiglione è specializzato in un genere: attraversiamo i reparti macelleria, latticini, panetteria e pesce (una bottega vende solo salmone). Tornati nella città vecchia, visitiamo la casa Menzendorff. Appartenuta ad una famiglia di mercanti, si articola su quattro piani ed offre un affascinante spaccato delle abitazioni della ricca borghesia mercantile. La sala da ballo è affrescata con personaggi ritratti tra gli alberi di un giardino: un gentiluomo si leva il cappello porgendo la mano ad una dama. La sala da pranzo conserva il pavimento originale a parquet; su un tavolino sono poggiate carte da gioco utilizzate per insegnare la geografia. Raggiunta la piazza del municipio, scopriamo che è possibile visitare i suntuosi interni della casa delle Teste Nere. Una lunga passeggiata ci porta nella zona nord-occidentale del Centro, dove si trova la maggiore concentrazione di edifici Jugendstil. Molti sono opera di Eisenstein, il padre del famoso regista russo. Uno dei più belli sorge su Elizabetes Iela: la facciata bianca e azzurra è decorata con una profusione d’elementi scultorei, culminanti in due impassibili faccioni di donna. Ad un isolato di distanza, Albert Iela è tutta una sequenza di palazzi art noveau. Gli stili sono molto diversi e fantasiosi: dalle sfingi egizie a guardia di un portone, all’edificio neogotico con alta torretta in fondo alla strada. Molte facciate avrebbero bisogno di un restauro com’è stato fatto per il palazzo dalla delicata tonalità color crema; movimentato da torrette e colonne, è decorato da bassorilievi di fanciulle dalla fluenti vesti classiche, faccioni e busti di donne con le trecce attorno ai seni. Su Stelnieku Iela un altro palazzo è ricchissimo di scultore: donne che sollevano corone, atlanti muscolosi, altre donne a seno nudo sopra prue di navi. Il museo dedicato al pittore Rozentals, ci offre l’occasione per entrare in uno di questi condomini, l’edificio d’angolo con la torretta gotica. Un magnifico scalone a chiocciola dipinto ci porta all’abitazione dell’artista, situata all’ultimo piano. All’interno dell’appartamento, arredato con mobili d’epoca, ci accolgono due vecchiette che rendono l’atmosfera ancora più intima. Venerdì 25 agosto: Riga – parco Gauija – Cesis Il parco nazionale di Gauja copre una regione di boscose colline nella valle dell’omonimo fiume, un centinaio di chilometri da Riga. Raggiungiamo il paese di Sigulda, avvolto nel verde. La chiesa luterana dalle pareti bianche presenta il classico campanile con guglia; al suo interno ci accoglie l’esuberante parroco. Il Castello Nuovo è un edificio ottocentesco in stile tudor, con torre ottagonale. Subito dietro sorgono le rovine del castello di Sigulda, roccaforte duecentesca dell’ordine livoniano. Le mura formate da rozzi blocchi di pietre fanno da scenario al palco allestito per il festival estivo dell’opera. Affacciandosi verso la valle, si scorgono in mezzo al bosco le rosse torri del castello di Turaida. In macchina raggiungiamo il letto del fiume e passiamo sull’altra sponda. La grotta di Gutman è ricoperta di romantiche iscrizioni tracciate dentro cuori, molte delle quali risalgono all’ottocento. Nella popolare novella d’amore “Rosa di Turaida”, la giovane protagonista trova la morte, per opera del suo malvagio corteggiatore, proprio in questa grotta. In zona partono diversi sentieri ma noi ci limitiamo alla faticosa ascesa di una scala in mezzo alla boscaglia che ci porta in cima alle colline ritrovo di coppiette! Il castello di Turaida sorge in un vasto parco sistemato a giardino. Superata una graziosa chiesetta di legno, raggiungiamo il castello, ricostruito solo da qualche decennio, come testimoniano le fiammanti torri di mattoni rossi. Tralasciamo le varie attrattive del parco, gettando solo un’occhiata alle curiose statue sparse per i prati, tra le quali spicca un grosso capoccione pensieroso. Tornati sulla statale, proseguiamo fino alla deviazione che conduce al sentiero natura di Ligatne. Un anello stradale in mezzo alla boscaglia consente ai pigri automobilisti di apprezzare questa sorta di zoo-safari. Molti animali dello zoo di Riga trascorrono qui l’estate, entro area recintate nella boscaglia. Nonostante il contesto naturalistico, la tristezza degli animali reclusi si avverte tangibile: un orso bruno se ne sta pigramente sdraiato vicino al recinto. Poco lontano, a Gaujasmala è ancora in funzione la piccola chiatta, trascinata da un cavo, che consente ai veicoli di attraversare il fiume. Nuovamente sulla statale raggiungiamo la regione di Cesis, terza area del parco che visitiamo. Su un’isoletta del piccolo e pittoresco lago di Araisi si trova l’interessante ricostruzione di un insediamento dell’età del ferro: si tratta di un villaggio del IX secolo formato da una quindicina di basse capanne di tronchi di legno, costruite su una piattaforma sempre di tronchi. Sulla riva spunta la guglia rossa della chiesa del borgo. Poco lontano, sopra una collina, sorge un pittoresco mulino a vento in muratura ma con pale e copertura di legno. Finalmente raggiungiamo Cesis, meta finale della giornata, una delle località più antiche e suggestive della Lettonia, secondo le guide. Rinviata a domani la visita del castello, ormai chiuso, passiamo alla chiesa di San Giovanni. Il suo campanile domina il paese mentre all’interno la parete sinistra pende in modo poco rassicurante. Una porticina consente l’accesso al campanile; alcune iscrizioni sui vari piani risalgono all’inizio del novecento mentre gli arredi sembrano pronti per una messa satanica! Improvvisamente cala l’oscurità e dobbiamo scendere le scale con l’ausilio della mia torcia tascabile. La ragazza e la signora alla biglietteria stanno per chiudere ed hanno cominciato a spegnere le luci dimenticandosi che noi eravamo ancora dentro la torre! L’ultima escursione della giornata ci porta alla rupe di Ergelu, una decina di chilometri da Cesis. Il Gauja scorre sotto un’alta parete d’arenaria rossa, una rarità nel paesaggio piatto del Baltico. Il boschetto sulla cima attrae molti locali, per una passeggiata in mezzo alla natura. Sabato 26 agosto: Cesis – Tartu La mattina torniamo al castello; gli interni apriranno solo più tardi quando saremo già partiti ma almeno possiamo aggirarci nel parco per ammirare le rovine medievali, appartenenti all’epoca dei cavalieri portaspada tedeschi. Cesis fu per lungo tempo la residenza dei maestri dell’ordine livoniano, successore dei portaspada. Le rovine delle torri sono pittoresche ma la giornata nuvolosa ne intristisce la visione. Nel complesso sorgono anche un palazzo del XVIII secolo con torre circolare, sede di un museo storico, e una chiesetta ortodossa. Lasciamo Cesis, puntando decisamente verso nord. Superata ancora una volta una frontiera, torniamo in Estonia, proseguendo fino a Tartu, seconda città del paese. Ci sistemiamo in un B&B alla periferia, raggiungendo poi il centro. Tartu è una città universitaria, indiscussa capitale culturale del paese. Parcheggiamo nei pressi della statua del re svedese Gustavo Adolfo, fondatore nel seicento dell’università. L’edificio principale dell’ateneo è un’imponente costruzione neoclassica. Oggi però è sabato e gli interni non si possono visitare. Pochi passi ci portano nella piazza del Municipio, cuore della città. La sua forma allungata è chiusa da un lato dal municipio, tinteggiato di rosa, e dall’altro si affaccia sul fiume Emajogi. Davanti al municipio si trova una romantica fontana raffigurante una giovane coppia che si bacia sotto un ombrello. Altri edifici neoclassici completano l’insieme, conferendo alla piazza un aspetto piacevole. Una curiosità è rappresentata dal palazzo del barone De Tolly, generale zarista nelle guerre napoleoniche, incredibilmente inclinato a sinistra. Tornando verso l’università proseguiamo fino alla chiesa di San Giovanni in mattoni rossi. Recentemente restaurata dopo i danni della guerra, è dominata dalla massiccia torre quadrata della facciata. La sua particolarità sono le sculture in terracotta collocate sopra il portale principale e all’interno sotto le volte gotiche. Nei paraggi visitiamo due musei: il museo del cittadino del XIX secolo, ricostruzione di un’abitazione dell’epoca, e il museo dei giochi, una deliziosa raccolta di giochi appartenuti a bambini di varie epoche e condizioni sociali. Subito dietro il centro si trova Toomemagi, la collina della cattedrale, coperta da un parco alberato. Dalla piazza del Municipio si sale passando sotto il ponte dell’angelo, dove una coppia di sposi è intenta a farsi immortalare, fino a raggiungere le rovine della cattedrale, distrutta da un incendio nel seicento. L’attuale sistemazione risale all’ottocento quando si decise di lasciare la navata come una sorta di romantica rovina e ricostruire il coro per accogliere la biblioteca dell’università. L’azzurro del cielo spunta dalle finestre gotiche, formando un bel contrasto con il rosso dei mattoni delle pareti. Poco lontano la “collina del bacio” è occupata dagli invitati di un matrimonio che brindano, mentre la statua di uno studente ottocentesco con pantaloni a zampa d’elefante sembra più attuale di quanto è. Tornati in centro, notiamo una certa animazione: è in corso una manifestazione sportiva, una serie di gare di “ciclismo estremo”. Lo sport consiste nell’effettuare le più incredibili acrobazie con minibiciclette. Assistiamo ad una gara di “salto in alto”, nella quale i concorrenti devono salire su una pedana sempre più alta e alle prove dei ragazzi che saltano sopra mucchi di terra compiendo giravolte ed acrobazie. Alcune signore guardano con area di disapprovazione i giovani scavezzacolli! Ceniamo al Pussirohu Kelder, ospitato in un’immensa sala a volta in mattoni, scavata sotto la collina della cattedrale per ospitare l’antica armeria. Più tardi nella piazza del municipio, nell’ambito del festival cinematografico, ha inizio la proiezione di un film: insomma a Tartu sembrano proprio spassarsela! Domenica 27 agosto: Tartu – lago Peipsi – Kuremae – Narva – Sillamae – Kasmu (parco Lahemaa) La mattina presto lasciamo Tartu avvolta nella nebbia, dirigendoci verso il lago Peipsi, una trentina di chilometri ad est. Si tratta di uno dei laghi più grandi d’Europa, condiviso tra Estonia e Russia. Sulla sua sponda sorgono diversi villaggi di pescatori, abitati dalla setta russa dei vecchi credenti. Questa gente si trasferì nella regione ai tempi di Pietro il Grande per sfuggire alle persecuzioni religiose e ha mantenuto intatte le proprie tradizioni. Per primo raggiungiamo il paesino di Kolkja, con le casette circondate da campi di cipolle. Nella piccola chiesa di legno è in corso la messa domenicale, affollata da vecchie signore. Proseguiamo verso nord fino ad Alatskivi, dove sorge un curioso maniero costruito nello stile degli antichi castelli medioevali: le bianche pareti sono movimentate da torrette con tetti a punta, come nei castelli delle favole. Dal paese una sterrata porta fino alla frazione di Nina. La chiesa ortodossa in muratura è molto graziosa, con campanile dalla punta ad ago e cupola a cipolla. Alle sue spalle ci si affaccia sulla sterminata distesa del lago mentre a fianco sorge un cimitero con le caratteristiche croci ortodosse. Il nostro giro ci porta quindi a Kallaste, dove sulla sponda del lago, formata da alte pareti di arenaria rossa, sorge un pittoresco cimitero dei Vecchi Credenti: le croci ortodosse a tre braccia hanno come sfondo le acque. Una signora con la testa coperta da un fazzoletto sistema i fiori piantati nella terra dove è sepolto il caro defunto. Proseguiamo per un tratto più lungo fino a raggiungere Mustvee. La sua particolarità sono le quattro chiese di confessioni diverse, ortodossa, battista, luterana e dei vecchi credenti. Naturalmente anche gli stili sono molto eterogenei: si passa dalla bianca costruzione ortodossa con cupola a cipolla, all’austero candore luterano con campanile a punta, alla muratura con cupole dorate dei vecchi credenti (ma forse ho confuso stili e confessioni!!). Dopo un altro tratto, lasciamo il lago Peipsi puntando verso nord, fino a raggiungere il convento ortodosso di Kuremae. Fondato alla fine dell’ottocento, è meta ancora oggi di pellegrinaggi da parte della popolazione russa. Il complesso si trova sopra una collina, dominata dalle cupole a cipolla della chiesa di mattoni. Nei giardini sorgono altre pittoresche chiesette e le case delle monache, tutte di legno. In mezzo ai pellegrini incrociamo qualche monaca, con il classico vestito nero degli ortodossi. Ai piedi della collina, la folla intorno ad un casotto attira la nostra attenzione: l’acqua estratta da un pozzo viene distribuita ai pellegrini. La fonte è ritenuta miracolosa perché non ghiaccia mai, nemmeno d’inverno. Alcune donne con il capo avvolto in un fazzoletto conferiscono alla scena un aspetto tipicamente russo. Finalmente raggiungiamo la statale che corre lungo la costa da Tallinn al confine russo. Il traffico pesante è intenso e ci accompagna fino a Narva. Superata la squallida periferia, raggiungiamo il centro della città. Il fiume Narva, scavalcato da un ponte, segna il confine con la Russia; macchine e pedoni fanno la fila per attraversare la dogana situata in pieno centro sulla piazza davanti al castello. La visione induce tristi riflessioni sulle divisioni dell’umanità. Raggiungiamo per primo un belvedere dominato dalla statua del leone svedese, ricordo di una cocente sconfitta inflitta ai russi dagli scandinavi. La sua presenza ancora oggi sembra una provocazione per la popolazione quasi tutta russa. I castelli di Narva e Ivangorod si fronteggiano in modo pittoresco sulle due sponde del fiume, separati da poche decine di metri: il maniero estone, più piccolo, è dominato da un’alta torre con la copertura a punta, mentre il rivale russo pur se più grande è meno slanciato. Sul ponte le macchine sono ferme nell’attesa di passare il confine. Ci spostiamo al castello per visitarlo. Nella corte interna la torre addossata al corpo centrale presenta, sopra le alte pareti bianche, un camminamento e un tetto spiovente, entrambi di legno, come se una tipica casa estone fosse stata stirata in altezza. In un angolo del cortile è confinata, quasi nascosta, una statua di Lenin che certamente nell’era sovietica aveva avuto una sistemazione più prestigiosa. Il museo ospitato nel castello è dedicato alla storia della città e ci consente di riflettere sulle sue vicende passate. Il confine che oggi la attraversa è comparso e scomparso ciclicamente. Inizialmente segnava il passaggio tra il mondo germanico dei mercanti anseatici e la Russia slava. Con l’annessione delle repubbliche baltiche all’impero zarista il confine scomparve per secoli; non riapparve né dopo la prima guerra mondiale, quando entrambe le sponde passarono sotto la neonata repubblica estone, né dopo la seconda, quando l’Unione Sovietica si estese molto più ad occidente. Solo il crollo del comunismo ha ripristinato l’antico confine, promosso addirittura a separazione tra l’Unione Europea e la Federazione Russa. La sezione del museo dedicata ai ricordi della città vecchia è commuovente. Le case dei mercanti con i tetti spioventi conferivano a Narva un carattere medievale, superiore addirittura a quello di Tallinn, ma durante la seconda guerra mondiale furono rase al suolo. Nel dopoguerra i comunisti ebbero così un terreno vergine sul quale esercitare i loro esperimenti urbanistici: il risultato è stato la mostruosa successione di condomini che oggi rendono l’antico centro simile alla più squallida delle periferie. Dalla cima della torre, dopo una decina di piani di scale, la vista sul castello di Ivangorod è spettacolare. In macchina raggiungiamo l’antico centro storico. Solo il Municipio è stato ricostruito ma l’edificio è in uno stato pietoso. Le strade sono piene di buche, i condomini grigi e malmessi; anche i volti della gente sembrano esprimere una rassegnata tristezza. Durante l’era sovietica, l’immigrazione di russi nel Baltico fu fortemente “incoraggiata” con il pretesto di fornire mano d’opera all’industria. Oggi la popolazione russa è straniera in patria: quelli che non hanno superato l’esame di lingua estone non hanno ottenuto nemmeno la cittadinanza. Lasciamo Narva rattristati da quanto abbiamo visto, tornando indietro lungo la costa fino a Sillamae. La “città modello” fu progettata nell’epoca comunista per gli operai che lavoravano alla miniera d’uranio (si dice che il mare sia contaminato!). Parcheggiamo nella piazza principale, strano insieme di edifici eterogenei: una statua rappresenta un minatore a torso nudo che sorregge una sorta di atomo, il municipio in stile medioevale reca un’alta torre mentre la casa della cultura ha forme neoclassiche. Un viale alberato conduce fino al mare; sui palazzi ancora si notano le decorazioni con falce e martello. Proseguendo la marcia d’avvicinamento a Tallin, raggiungiamo il parco di Lahemaa, un’area costiera di boscose penisole che si protendono nel Baltico. Raggiunto Kasmu, ci sistemiamo al Merekalda, una deliziosa pensione affacciata sul mare. Per la cena il paesino non offre nessuna possibilità e così ci spostiamo di qualche chilometro a Vosu. Lunedì 28 agosto: parco Lahemaa – Tallinn Giornata dedicata alla visita del parco di Lahemaa, purtroppo accompagnata da un tempo pessimo. Dall’estremità settentrionale di Kasmu parte il sentiero che costeggia la parte terminale della penisola. Sulla punta orientale una fila di massi erratici si allunga verso l’isola disabitata di Kuradisaare. Questi macigni isolati in mezzo all’acqua o nel bosco costituiscono una curiosa caratteristica della regione: sono stati trasportati dai ghiacciai che poi si sono ritirati. L’area del parco aveva rilevanza militare per l’Unione Sovietica tanto che l’accesso alla costa era vietato persino ai locali. Sulla punta occidentale della penisola una torretta di controllo ormai abbandonata e cadente ricorda quel periodo. Per tornare al paese tagliamo all’interno attraversando una fitta foresta. Il paesino di Kasmu si distende lungo l’omonima laguna, formato da belle casette circondate da curati giardini. Il museo del mare è ospitato nell’abitazione privata di uno strano tipo, forse l’ultimo discendente di una dinastia di lupi di mare. La casa è piena di oggetti curiosi e il proprietario, una volta appreso che siamo italiani, ci mostra una corposa collezione di vecchie cartoline di città di mare italiane. La piccola chiesa parrocchiale di legno, dipinta di bianco, è circondata dalle lapidi del cimitero. Una cappella espone un’insolita mostra di foto dedicata ai volti degli abitanti del paese. Il tempo grigio peggiora ulteriormente: si scatena la pioggia che spegne ogni nostra velleità di ulteriori passeggiate. Ci spostiamo quindi a Palmse, dove a fianco del centro visitatori, si trova la tenuta appartenuta per secoli alla famiglia dei baroni Von Pahlen. Nei giardini si trovano vari edifici, un laghetto e un frutteto, ma la vera attrazione è la dimora signorile color crema. Gli interni sono arredati magnificamente con mobili d’epoca: mi colpiscono la presenza di un pianoforte quasi in ogni salotto e una parete interamente ricoperta da stampe di Roma. In un padiglione è ospitata una vasta collezione di slitte, carrozze e automobili. Proseguiamo la nostra intrusione nell’antica nobiltà baltica, raggiungendo la tenuta di Sagadi. La casa signorile color ciliegia è ancora più grande di quella di Palmse ma meno affascinante. L’infilata di stanze è stata arredata con mobilio d’epoca; un’ala dell’edificio era destinata al padrone, un’altra alla consorte. La pioggia è cessata e facciamo ritorno sulla costa raggiungendo Altja, affascinante villaggio di pescatori, formato da casette di legno con tetti di canne. L’enorme altalena di legno ricorda una tradizione di questi villaggi. Nelle vicinanze parte un sentiero che porta al mare, ad un gruppo di pittoreschi capanni di pescatori. Proseguiamo per un tratto lungo la costa, scavalcando un ruscello su un ponte sospeso di legno. Il posto ha il fascino dei luoghi solitari. La nostra visita del parco volge al termine ma, poco prima di raggiungere la statale Tallinn-Narva, Lahemaa offre un’ultima attrazione, la torbiera di Viru. Un percorso anulare su una passerella di legno consente di attraversare l’umido terreno impregnato d’acqua ma per ammirare lo spettacolo è sufficiente raggiungere la torre di osservazione. Il sole si è finalmente fatto strada tra le nuvole e la brughiera appare punteggiata di laghetti luccicanti, muschi verde smeraldo, macchie di fiori colorati e alte conifere. Sembra di essere nel dipinto di un pittore impressionista. La strada a scorrimento veloce ci porta rapidamente a Tallinn. Per l’ultima notte del viaggio abbiamo deciso di trattarci meglio che nel precedente soggiorno: abbiamo prenotato una stanza in una pensioncina sulla collina di Toompea, l’Olematuu Ruutel. Per cena invece torniamo all’Olde Hansa dove mi gusto un suntuoso zampone di maiale. Martedì 29 agosto: Tallinn – Francoforte – Roma Per la nostra ultima giornata nel Baltico avevamo tanti programmi: prendere un traghetto fino ad Helsinki, visitare il museo etnografico nella periferia di Tallinn ma alla fine preferiamo rilassarci girando senza un obiettivo per la città. Dalla collina di Toompea gettiamo un ultimo sguardo su Tallinn, in particolare sui quattro campanili della città vecchia e il grappolo di grattacieli in lontananza.