TUTTO IL MEGLIO DEL MESSICO di seconda parte
(vedi parte del diario precedente) 14° giorno: OAXACA – MITLA – EL TULE Veloce prima colazione in un minuscolo localino (2 tavolini) nei pressi della stazione di Seconda Classe, poi partiamo per Mitla con autobus della Trasportes Oaxaca, in partenza dallo stallo 9.
Percorriamo i circa 50 km che ci separano dal sito archeologico in circa 90 minuti.
Eccoci arrivati, nel cuore della bella Valle Tlacolula.
Mitla era un importante centro cerimoniale preispanico, il più importante centro religioso zapoteco, dominato dai potenti sacerdoti che qui si dedicavano ai sacrifici umani. Il nome deriva dall’antica lingua nahuatl: “mictlan”, ossia “terra dei morti”, “il luogo di riposo delle anime”. Poi gli Zapotechi la chiamarono “Lyobaa”, “luogo di sepoltura!” e la trasformarono nel loro centro principale, dopo l’abbandono di Monte Alban (700/800 d.C.).
Nell’XI secolo Mitla fu occupata dai Mixtechi, per poi tornare zapoteca; gli Aztechi arrivarono nel 1494 e Mitla era ancora abitata all’epoca della conquista spagnola. Dell’antico insediamento sono visitabili cinque palazzi, un tempo protetti da una fortezza, realizzati in bello stile architettonico che conservano ancora i loro colori originali. I muri perimetrali esterni sono decorati con motivi geometrici a rilievo realizzati con piccole pietre intagliate di diversa forma, disposte a mosaico.
E’ interessante sapere che questo posto è il solo, con Uxmal, ad essere originale per l’80-90% e non ricostruito, come gli altri. Ho letto su web che le pietre vulcaniche e calcaree usate per la costruzione dei templi furono trasportate dalle vicine montagne, senza l’ausilio di ruota o ferro. Per lo più si tratta di blocchi monolitici, incastrati l’uno nell’altro senza uso di cemento o altra amalgama. Dall’ingresso, il primo gruppo di edifici che si incontra è quello del Grupo de la Iglesia, Gruppo della Chiesa. Qui ci sono i resti di una struttura che fu smembrata per costruire la Chiesa di San Paolo Apostolo, nel XVI secolo. Proseguendo si raggiunge il più importante gruppo di edifici di Mitla: il Grupo de las Columnas, Gruppo delle Colonne, dove lunghe costruzioni in muratura circondano una piazza centrale. Qui si trovano la Sala de las Columnas, così chiamato per i 6 enormi pilastri che un tempo reggevano le travi di legno e il grande soffitto piatto. Da qui si accede al Patio de las Grecas, detto anche de Mosaicos, che prende il nome dai disegni geometrici, “grecas” (dal nome della pietra); ce ne sono 11 diversi, ma di nessuno si conosce il significato, forse si riferiscono a fenomeni cosmici, come raggi di sole, oppure all’acqua, ai serpenti, le croci forse ai quattro punti cardinali. Chiara è però l’influenza mixteca. Questi strani disegni, unici al mondo, dato che sono i soli del Centroamerica a non riportare immagini di animali/dei/piante, sono riportati oggi nella trama dei tappeti o delle maglie lavorati al telaio dai locali. Quello che possiamo vedere sono solo i templi e le case dei nobili e dei sacerdoti, che costruiti in maniera più solida, hanno sfidato i secoli; le case del popolo, nei dintorni, costruite in argilla, sono invece andate distrutte.
A questo complesso appartiene anche la Columna de la Vida, che si trova in una tomba, nel Patio Sur. Non molto conservati sono i restanti complessi: il Grupo Arroyo, il Grupo Adobe e il più lontano Grupo Sur. Nel complesso Mitla è un sito piccolo piccolo, ma interessante. Molto carino è il piccolo Mercato de Artesanas, un mercato di artigianato che si trova proprio accanto all’ingresso delle rovine. Qui acquistiamo belle maracas in legno e il celebre calendario Maya in pietra. Ma Mitla è nota anche per la produzione di un ottimo Mexcal, il celebre liquore ottenuto dalla spremitura delle foglie del maguey, acquistabile nei tanti negozietti del paese.
Poi prendiamo l’autobus, non prima di aver acquistato, alla fermata, un cartoccino di cavallette fritte (terribili…).
Sulla strada del ritorno ci fermiamo al paesino di SANTA MARIA DEL TULE, 10km da Oaxaca, per ammirare l’albero più vecchio del mondo: l’Arbor del Tule! L’albero gigantesco si trova vicino ad una chiesetta bianca del Seicento, in un piccolo spiazzo recintato(entrata 3 pesos). Nella guida leggo che si tratta di un imponente albero della famiglia dei cipressi, dell’età apparente di 2.500 anni ! Davvero imponente: è alto 42 metri, ha ben 59 m di circonferenza alla base e pesa qualcosa come 36 tonnellate! Ho letto che per poterlo mantenere in vita occorrono 30.000 litri di acqua a settimana. Sostiamo all’ombra della sua ampia chioma, seduti su panchine di ferro battuto, poi torniamo in città con un lentissimo autobus. Pranziamo, finalmente!, gustandoci buone specialità messicane al ristorantino “Flor de Loto”, in Morelos 509.
Resta il tempo per la visita di un museo davvero bello, eppure poco conosciuto: il MUSEO DE ARTE PREHISPANICO RUFINO TAMAYO, in Av Morelos 503 (15 pesos). Si trova in un bel edificio seicentesco e ospita manufatti artistici di grande bellezza. A breve distanza si trova anche una delle chiese più belle della città: la splendida Basilica de la Soledad, del XVII secolo. Barocca e dalla ricchissima facciata di marmo bianco, la chiesa conserva la miracolosa statua della Vergine, una statua magnificamente addobbata di diamanti e perle. Cena in un minuscolo localino della zona dei mercati, a base di pollo alla griglia e riso.
15° giorno: OAXACA – SANTA MARIA ATZOMPA e partenza in pullman per il Chapas La città di Oaxaca è famosa anche per il cioccolato dal particolare gusto vanigliato. E’ tempo dunque di andare a scoprirla. In alcuni negozi della città di Oaxaca è possibile acquistare semi di cacao tostati e assistere alla loro trasformazione in cioccolato.
Oltre che in vendita nei tanti negozietti del mercato, il cioccolato si trova in due ottimi negozi di via Mina Esq. 20 de Novembre. Un ottimo indirizzo è la fabbrica di CIOCCOLATO MAYORDOMO, dove è possibile assistere alla tostatura del cacao e alla sua lavorazione. Ovviamente la si può acquistare (in polvere o tavolette), ma soprattutto degustare, sciolta nel latte e servita fredda o calda.
Cito da : “Eredi del gusto per il cacao degli imperatori aztechi, i Messicani hanno mantenuto lo stesso grande rispetto per questo prodotto. Ancora oggi il cioccolato piace nella forma che prediligeva Moctezuma. Ovvero semplicemente fermentato, essiccato, tostato, macinato e zuccherato, senza aggiunta di altri ingredienti, senza lavorazioni industriali quali aggiunta di latte, spremitura del burro di cacao, triturazioni, battiture, temperaggio, aggiunta di grassi vegetali, ecc.; procedimenti inventati successivamente dai signori Suchard, Nestlé, Lindt, Cadbury, Hershey e altri, al fine di ottenere squisitezze ancora più raffinate.” Cito, sempre da web, che da Mayordomo “…Il consumatore decide il grado di dolcezza e gli aromi del prodotto finito. In generale, per ogni chilo di semi si aggiungono due chili di zucchero, un certo quantitativo di mandorle e una stecca di cannella. Di fronte al cliente la cannella viene triturata e aggiunta alle mandorle e al cacao; il tutto è quindi passato in un semplice macinino. Quando si aggiunge lo zucchero il composto è macinato una seconda volta. Ne risulta un cioccolato all’antica: una pasta calda, morbida e malleabile, consegnata in un sacchetto di plastica. Ogni acquirente le conferirà la forma che preferisce. La modellerà in tavolette mentre è ancora calda, o la spezzerà in frammenti quando si sarà solidificata in un unico blocco. Questo è il cioccolato originario, genuino, non corrotto, che si presenta in grosse tavolette tondeggianti o in frammenti dal sapore potente e un po’ rude. Nelle cucine di tutto il Messico lo si scioglie poi, non senza fatica, in acqua o latte, per farlo montare con il tipico frullino manuale in legno intagliato.” Altro eccellente indirizzo è “Soledad”, stessa via, di fronte Mayordomo. Anche qui si degusta e si compra. Dopo il cioccolato, è la volta della scoperta delle belle ceramiche di terracotta, tipiche della regione di Oaxaca.
In particolare ve ne sono di tue tipi: la nera che è originaria del paesino di San Bartolo Coyotepec, a 16 km dalla città (qui c’è la famosa fabbrica di Dona Rosa); l’altra è verde ed è tipica del paesino Santa Maria Atzompa. La loro particolarità è che sono cotte in buche nel terreno, senza forno.
Con un piccolo e scassato autobus di Segunda Classe raggiungiamo ATZOMPA, a 8 km dalla città. Il paese è piccolo e piuttosto povero. Molte case, alcune capanne vere e proprie, hanno maialini e animali da cortile in libertà.
Il Mercatino però è davvero grazioso e acquistiamo bicchierini e posacenere che, miracolosamente arriveranno interi…
Resta il tempo di dare un’ultima occhiata al Mercato di Oaxaxa, sbocconcellare frutta e yogurt e acquistare gli ottimi panini (qua si chiamano “tortas”) di “Chacos”, in Flores Magon, che saranno la cena per la nostra notte e in pullman e via…Verso il Chapas! Pernottamento: Posada Catarina, Aldama 325 Ristoranti consigliati: “El Naranjo”, uno dei ristoranti più famosi del Messico, Av Valerio Trujano, 203 “Flor de Loto”, in Morelos 509.
Per la colazione: “Cafè Alex”, Diaz Ordaz 218 “Chacos”, in Flores Magon Da non perdere: Casa de las Artesianas (Matamaror 105) La Mano Magica (via Alcalà) “Soledad” e “Cioccolato El Mayordomo” (via Mina Esq. 20 de Novembre)
16° giorno: S. Cristobal de las casas – villaggi indios di s. JUAN CHAMULA E ZINACATÀN Il lungo viaggio che ci porta in Chapas (650km in 12ore e ½), passa tranquillo, a bordo del confortevole autobus di prima classe ADO (320 pesos). Avvolti nel caldo sacco a pelo riusciamo anche a dormire! Siamo finalmente in Chapas, uno degli stati più poveri e belli del Messico. Qui in quarto degli abitanti sono indios, e vivono in condizioni di estrema povertà. E questo benché il sottosuolo sia ricchissimo di petrolio, metano; benché la natura dia piantagioni di frutta e caffè di rara bellezza e fertilità. E’ questa una terra ricchissimo di fiumi e acqua, eppure 1/3 degli indios non ha in casa né acqua, né luce… Analfabetismo e mortalità infantili sono inoltre i più alti del Messico.
Qui 11 anni fa è scoppiata la rivolta. Cito, dal sito: : “Il movimento del Chiapas, scoppiato il 1° gennaio 1994, si ispira a Emiliano Zapata, il leader rivoluzionario d’inizio secolo: l’EZLN rivendica le grandi conquiste della rivoluzione messicana (terra per tutti i contadini, autonomia per gli indios, democratizzazione dello stato). L’EZLN, dopo un referendum al suo interno, si è dotato di un proprio organismo politico, l’FZLN, che ha avviato trattative, spesso interrotte da ambo le parti, con il governo. L’insurrezione contadina era ed è guidata dal Subcomandante Marcos, il quale ha acquisito vasta popolarità nel mondo anche grazie all’utilizzo di Internet quale mezzo di diffusione di proclami e programmi rivoluzionari: egli è divenuto il simbolo della lotta dei poveri. Da allora sono stati avviati i negoziati con il governo federale, e nel febbraio 1996 è stato siglato il primo di sei accordi di pace, inteso a proteggere la cultura autoctona e a conferire alla popolazione indigena maggior peso politico. La situazione nella regione, però, non si è placata e la repressione delle popolazioni del Chiapas con squadroni della morte e anche con lo stesso esercito federale è continuata…” Noi siamo curiosissimi di scoprire questa terra e la sua gente.
Arriviamo che fa ancora buio, piove e fa freddo. Eppure sono felicissima di essere qui, mi pervade una sensazione di piacevole attesa e felicità. Eccoci a San Cristobal de Las Casas, che sorge a quasi 2.200 mt di altitudine. Ci facciamo portare in taxi all’Hotel Plaza Central, in via Paniagua 2, e prenotiamo l’ultima cameretta con bagno disponibile. L’albergo è un po’ vecchiotto e malmesso, ma ha il suo fascino, grazie al fatto che è tutto in legno e ha un bel cortile interno coperto. Lasciamo i bagagli e facciamo due passi in piazza, che è a due passi. Il fascino di San Cristobal de Las Casas ci cattura immediatamente, nonostante la pioggerella fine fine che non rende giustizia alla sua bellezza. Un tempo il nome di questa piccola città (120.000 abitanti) era Villa Real de Chapa. Essa fu fondata nel 1528 dal conquistatore spagnolo Diego de Mazariegos. Il nome attuale fu scelto in onore di Bartolomé de Las-Casas (1474-1566), un frate domenicano missionario in Messico. Egli fu autore di celebri scritti, tra cui la “Brevissima relazione della distruzione delle Indie” del 1552, in cui condannò vigorosamente la condizione di schiavitù in cui gli Spagnoli avevano ridotto gli Indios. Fu grazie a lui che venne limitato il lavoro forzato e infine abolita la schiavitù. Oggi S. Cristobal è la terra degli indios Lacadones e degli zapatisti del subcomandante Marcos. La cittadina conserva la splendida architettura coloniale, con vicoli stretti, strade acciottolate e case costruite con adobe, la miscela di fango e fibre naturali, molto tipiche e dai colori sgargianti, specie rossi, gialli e celesti.
La piazza principale di San Cristobal si chiama Plaza 31 de marzo. Ci fermiamo proprio al gazebo centrale, dove c’è un piccolo locale dove fare colazione. Ci accomodiamo in uno dei piccoli tavolini in ferro battuto, lieti che abbia smesso di piovere e si cominci a vedere il sereno.
Ci gustiamo un eccellente caffè bollente (il Chapas è il massimo produttore di caffè del Messico) e pane tostato con una deliziosa marmellata.
Poi notiamo una signora con un ombrellino colorato: avevo letto, sulla Lonely Planet del TOUR di MERCEDES HERNANDEZ GOMEZ, una signora maya che organizza il tour ai villaggi indios di S. Juan Chamula e Zinacatàn ogni mattina alle 9. In realtà non si tratta di Mercedes, ma di un’amica, che comunque ci vende l’escursione e ci appiccica sulla felpa un’etichettina di “avvenuto pagamento”. Il prezzo, pagato subito, è di 120 pesos a persona e comprende la visita ai villaggi dei maya Tzotzil di Chamula e Zinacantan, al cimitero maya e ad un casa di tessitrici. In pochissimo si raduna una piccola folla e partiamo. Gli Italiani sono davvero tanti! Ci portano via con due pulmini e un taxi. Spunta anche il sole! Un tragitto tra campi di fagioli e mais ci porta al paesino di S. JUAN CHAMULA, villaggio indios (3.000 abitanti) a 9 km dalla città.
La nostra guida, in un misto di italiano e spagnolo, ci racconta della vita degli indios, delle loro credenze religiose e delle loro condizioni di vita. Passeggiamo osservando le povere case, i campi coltivati, le vallate verdi circostanti. Qui la gente veste i costumi tradizionali e non vuole essere fotografata. Ci osservano, incuriositi, ma non danno confidenza. Al massimo ci scappa qualche sorriso.
Poi ci spostiamo verso la piazza, animata dal consueto mercato indios, all’aperto, dove si comprano bei poncho di lana, maglioni, frutta, cartoline. Ci sono anche polli e papere anche loro in vendita. Bimbi, alquanto straccioni e sporchi, ci chiedono caramelle, patatine, penne, pesos. Le persone non amano essere fotografate (esiste la credenza di perdere in questo modo l’anima!).
Sulla piazza si affaccia il Templo de San Juan, la famosissima Chiesa di San Giovanni Battista, risalente al 1524. Fu costruita sulle rovine di una precedente chiesa distrutta da un incendio. Per vederla pagare un obolo al vicino ufficio del turismo, ma a questo pensa la nostra guida.
La facciata è bella: bianca con i profili verde acqua e i fili con le bandierine colorate, molto “messicana”. La si può fotografare, mente è severamente proibito fotografare l’interno.
All’interno, molto buio, migliaia di candele disposte per terra in file ordinate dai fedeli. Sul pavimento moltissima erba e aghi di pino, nenie, voci e lamenti: la Religione Maya di oggi è un misto tra cristianesimo e paganesimo, una sorta di sincretismo in cui i santi hanno a poco a poco sostituito le varie divinità pagane.
Qui non c’è un sacerdote fisso e la chiesa è autonomamente gestita dalla popolazione indigena. Intere famiglie pregano inginocchiate, accendono davanti a loro piccole candele colorate. Alcune mamme allattano i loro bimbi. Entriamo silenziosi, con l’impressione di disturbare.
La guida ci spiega che qui vengono officiati riti particolari, che prevedono il sacrificio di polli. Alcuni rituali prevedono la purificazione della persona dal male, che può venir espulso dalla bocca, ad esempio facendo uso di bevande gasate, specie la Coca Cola/Pepsi: i rutti aiuterebbero insomma a liberarsi degli spiriti maligni! All’interno ci sono grandi e rozze statue di Santi cattolici, rivestite di abiti di stoffa, ai quali si chiede l’intercessione per l’ ottenimento di una guarigione o la risoluzione di un grave problema. A tal scopo vengono offerte candele colorate votive: bianche per i problemi di nervi, verdi ( problemi legati alla natura e la foresta, vista come entità spirituale, rosse per le ferite, marroni per i problemi con la terra o i raccolti, nere per il pericolo di morte. A detta della guida la Chiesa ufficiale ha provato negli anni a scalzare queste pratiche religiose, ma invano… Dopo gli acquisti al mercatino, ci spostiamo verso il paesino di San Lorenzo Zinacantan, l’altro caratteristico villaggio sulle montagne. Sostiamo un poco su una collina, ad osservare il Cimitero indio, con le sue croci colorate, poi proseguiamo. Arriviamo purtroppo che il mercatino è terminato. Diamo un’occhiata alla chiesa del villaggio, la grane Iglesia de San Lorenzo, ricostruita nel 1975, dopo un devastante incendio. Poi ci spostiamo tutti a visitare una casa Tzotzil del villaggio, dove ci offrono tortillas appena cotte e bicchierini di punch colorato. Le donne lavorano i telai, noi ammiriamo i loro lavori e la loro abilità. Rientriamo a San Cristobal che è pomeriggio inoltrato e siamo davvero stanchissimi. Per di più ha preso a piovere. Gironzoliamo comunque per il centro storico. Entriamo nella Cattedrale, risalente al XVI secolo. Davvero bello il pulpito barocco dell’interno e soprattutto la facciata, decorata da stucchi colorati di ocra, bianco e giallo. Sulla piazza si affaccia anche il palazzo Municipale, austero e pallido.
Un’occhiata alle bancarelle e agli spettacolini che ci sono sempre (mimi, danze), poi cenetta light e disintossicante da “Naturalissimo”, 20 de Novembre 4, localino-negozio di prodotti biologici, che offre frullati, panini, centrifughe, macedoni e yogurt eccellenti. Quindi a nanna presto, sotto le coperte.
17° giorno: S. CRISTOBAL DE LAS CASAS E CAÑÓN DEL SUMIDERO – Se amate il biologico e le cose fatte in casa, la “Casa del Pan” è perfetta per la prima colazione. Si trova in Calle dr Navarro 10: tutto qui è all’insegna del naturale e non raffinato e la marmellata è ottima! Poi andiamo all’agenzia Astur Viajes, Plaza 31 de Marzo Oriente, e per 200 pesos a persona acquistiamo l’escursione al famoso Cañón del Sumidero.
Quella che secondo alcuni turisti è una brutta escursione, banale e perdibile, per noi è stata un’escursione davvero sorprendente e divertente, grazie al simpatico gruppo e le bellezze della flora e la fauna viste! Francamente, io lo consiglio a tutti! Per vedere il Cañón del Sumidero occorre raggiungere in autobus Chiapa de Corzo, una piccola cittadina a 12 km da Tuxtla Gutierrez, la capitale del Chapas. Da qui, infatti, partono le imbarcazioni per il Cañón. Il viaggio, nel complesso dura circa 2 ore di pullmino, trascorse tra risate e chiacchiere.
E’ una giornata incantevole e soleggiata, siamo davvero fortunati. Arriviamo e ci fanno subito indossare i giubbotti appositi, imbottiti, poi ci fanno accomodare sulla lancia a motore. Il Cañón del Sumidero è una spaccatura nella terra, attraversata dal Río Grijalva. Un’antica e triste leggenda racconta che piuttosto che cadere nelle mani dei Conquistadores spagnoli, gli indios preferirono gettarsi nelle acque del Cañón… La navigazione sulle acque del Río Grijalva dura circa due ore e si fa su veloci lance a motore. I 32 km del fiume portano i passeggeri lungo le ripidissime pareti del Cañón, alte oltre 1.000 m. La gita consente di ammirare un panorama davvero suggestivo, ma soprattutto la fauna locale: falchi, aironi, avvoltoi, martin pescatori e…Coccodrilli! Tanti! Noi ne abbiamo contati 12, di tutte le misure, fino al più grande, di 5 metri…
Nel corso della navigazione la lancia rallenta per consentire di ammirare le grotte e le rocce dall’insolita forma: come la stalattite “caballito de mar”, il cavalluccio marino, , o l’”Arbol de la Navidad”, una roccia a forma di abete.
Nella “Grotta dei colori” spicca una croce con attorno nastri colorati, fiori ed ex-voto. C’è anche una scaletta che porta sino alla statua della Madonna. La grotta è così chiamata perché ci sono delle scolature di colore lungo le pareti, dovute ad infiltrazioni di acqua piovana. In fondo al fiume c’è la diga idroelettrica di Chicoaséu, costruita nel 1981. Da qui il fiume ricomincia a scorrere potentissimo, sino a sfociare nel lontano Golfo del Messico. L’escursione è piacevolissima e il paesaggio splendido. Poi proseguiamo verso il paesino di Chiapa de Corzo. Il pulmino ci lascia nella bella piazzetta, Plaza Albino Corzo. Vediamo anche la Pila, la monumentale fontana in mattoni e stile gotico, che ricorda un castello o più probabilmente la corona dei re spagnoli.
La fame si fa sentire. Il nostro accompagnatore ci porta in un ristorante dove mangiamo davvero bene: “El campanario”, via Urbina 5, dove gustiamo specialità regionali e ci rilassiamo.
Ma è già tempo di tornare e inizia a diluviare! Riposiamo in hotel e poi usciamo in taxi, facendoci portare al MUSEO DEL AMBAR DE CHIAPAS (20 pesos), all’interno dell’ex Convento de la Merced: ha splendide raccolte della famosa ambra del Chapas, particolarmente pregiata e variopinta. Qui l’ambra si può anche acquistare (e infatti compriamo un ciondolo da regalare), vedi http://www.Museodelambar.Com.Mx/ Finalmente smette di piovere. Passeggiamo per la colorata via 20 de Novembre, curiosando nei tanti negozietti che vendono ambra e poi, dato che ormai è buio, andiamo a cena.
La pizza di “PP’s Pizza” è davvero buona! Ha vari indirizzi, noi abbiamo scelto Calle Paniagua 8, attaccato al nostro hotel: 2 eccellenti pizze, birra, acqua, piatto di formaggio fuso e prosciutto cotto a soli 157 pesos! Consigliatissimo! Pernottamento: Hotel Plaza Central, Paniagua 2 Ristoranti consigliati: “PP’s Pizza”, Calle Paniagua 8 Per la colazione: “Casa del Pan”, Calle dr Navarro 10 Cafè Museo Cafè, MA Flores 10 Per la merenda o una cena disintossicante: “Naturalissimo”, 20 de Novembre
18° giorno: S. CRISTOBAL DE LAS CASAS e partenza in pullman per Palenque Torniamo da “PP’s Pizza”, data la vicinanza e i buonissimi prezzi, per un’abbondante colazione con uova, pane tostato, burro, marmellata, chocomilk e caffè.
E’ il nostro ultimo giorno a San Cristobal e la vogliamo dedicare agli acquisti! Sì, perché il Chapas, e questa cittadina in particolare, sono il posto giusto dove acquistare regali e souvenir.
Prima di tutto ci rechiamo al carinissimo CAFÈ MUSEO CAFÈ (lun/sab 9-19 e dom 16-21), un caffè museo dedicato al caffè del Chapas, un’idea di un gruppo di coltivatori locali (www.ComercioJusto.Com.Mx), molti di cui indios. E’ in MA Flores 10. Qui si compra dell’ottimo caffè, acquistabile in grani oppure macinato sul momento. Poi andiamo alla chiesa più bella della città, el Templo ed ex Convento de Santo Domingo, una chiesa costruita a partire dal 1547, con una magnifica facciata barocca contaminata da influenze maya. Qui si trova l’imperdibile mercatino indio, col suo caotico tripudio di frutta, verdura e oggetti di artigianato! Ogni giorno, infatti, gli indios degli altopiani scendono a vendere i loro manufatti, come le loro belle borse in cuoio, le coperte multicolori, poncho, camice ricamate, cinture intrecciate…
Di tutto di più! Acquistiamo tutto qui… Poi, carichi di regali, torniamo in hotel e ce ne andiamo via, certi che questa cittadina, con la sua atmosfera particolare, ci resterà nel cuore. Piove di nuovo. L’aria frizzante di montagna presto sarà un ricordo…
Da S. Cristobal de las Casas impieghiamo circa 5 h e ½ per arrivare a Palenque (autobus di Primera classe a 105 pesos). I chilometri sono pochi, 180 in tutto, ma interamente di curve! Un’autentica sofferenza, benché il panorama sia splendido: valli e montagne verdi ci portano su al passo di Ococingo, a circa 3000 metri, poi giù sino a Santo Domingo de Palenque, nella giungla chiapaneca. Siamo sempre in Chapas, e siamo arrivati qui per ammirare una delle meraviglie del Messico: l’antica Palenque, forse la più bella città maya. Qui ci fermeremo per diverse notti, date le diverse e interessanti escursioni.
Le possibilità di pernottamento sono due: o dormire negli hotel della zona delle rovine, scomodi, ma immersi nel verde, oppure in città, in sistemazioni meno suggestive, ma comode per prenotare escursioni, cambiare il denaro, cenare nei tanti localini.
Noi scegliamo la praticità e la comodità: Hotel Nikte-Ha, Juarez 133, stanza grande e pulita, con aria condizionata a 350 pesos a notte.
19° giorno: PALENQUE, MISOL HA, AGUA CLARA, AGUA AZUL Palenque è una cittadina (33.000 abitanti) moderna, ma piuttosto sgraziata. La sua vita si svolge lungo poche vie, Juarez e Hidalgo, zeppe di localini, negozi, agenzie viaggio.
La zona di Palenque è famosa per la grande varietà di oggetti di artigianato delle diverse regioni del paese, come tessuti per la fabbricazione di una vasta gamma di abiti, mantelli, tappeti e decorazioni, intagli di legno e maschere. Palenque è anche un’ ottima base per le escursioni ai siti di Bonampak e Yaxchilán e alle bellezze naturali di Misol-Ha, Agua Azul e Agua Clara. Tante e valide sono le agenzie che vendono “pacchetti completi”. In genere c’è la possibilità di visitare, in un solo giorno, il sito di Palenque e le cascate, ma noi abbiamo preferito dedicare a Palenque parecchie ore e non una visita frettolosa, così ci siamo affidati a Viajes Misol ha, Juarez 148, ) per la visita approfondita delle cascate, da sole (120 pesos a persona). Nemmeno il tempo di cambiare i soldi in banca, quindi neppure di fare colazione, e partiamo, ore 8.20, per le famose Misol-Ha, Agua Azul, Agua Clara. MISOL-HA Le cascate di Misul Ha si trovano ad una trentina di chilometri da Palenque.
Abbiamo un’ora di tempo per ammirarla. Ci incamminiamo subito in mezzo al verde della foresta e subito la vediamo. E’ davvero una cascata spettacolare: sottile, sì, ma molto alta e si tuffa aggraziata in una deliziosa conca di acqua verde brillante. Intorno la natura è davvero esplosiva! Una bella passeggiata conduce dietro la cascata, sino a grotte buie dove si trova una piccola e suggestiva cascata di 5 metri. I ragazzi del luogo si offrono come guide e accompagnano nella cavità, fornendo le torce; naturalmente, poi, si lascia una piccola mancia.
Suggestivo! Acquistiamo patatine e succo di frutta al barettino che c’è all’ingresso e ripartiamo per la tappa successiva.
AGUA CLARA Qui sosta molto breve (40 minuti appena). Agua Clara significa “ Acqua Chiara, ed è una semplice distesa di acqua turchese, il Rio Shumulha. Il luogo è davvero ameno, nessun turista in giro, ma il paesaggio è piacevole.
Ci divertiamo in particolare a passeggiare nel verde, camminando su uno spettacolare ponte sospeso, a 50 metri di altezza! Poi ripartiamo. AGUA AZUL Il nome significa “Acqua Azzurra” ed è una località dove numerose piscine naturali sono separate da magnifiche cascate. Certo, nella stagione delle piogge le acque limpide si fanno più scure, ma lo spettacolo è garantito! Qui la corrente, poi, è forte. E’ quindi necessario fare molta attenzione, quando se fa il bagno, perché alcuni turisti qui sono morti affogati! Attorno domina una lussureggiante foresta. Una bella passeggiata consente di salire la collina e ammirare i diversi punti in cui le cascate si gettano. Numerosi localini offrono cibo gustoso, specie pesce, a prezzi economici. Poi ci sono i venditori ambulanti che offrono tacos e bicchieroni di frutta fresca appena sbucciata, deliziosi! Purtroppo scoppia un violentissimo temporale, fortuna che abbiamo già visto tutto e fatto anche il bagno! Ci ripariamo in un ristorantino, dove pranziamo e poi, quando sgocciola appena, curiosiamo tra le tante bancarelle di abiti, in cerca di t shirt e pantaloncini.
Torniamo a Palenque verso le 16.30 del pomeriggio. Una doccia bollente, un riposino e poi andiamo a cena nel miglior ristorante della zona: “La Selva”, Carretera Palenque-Ruinas km 0,5 ), pochi minuti dal nostro hotel. Elegante e dall’atmosfera molto romantica, immerso in un giardino tropicale con tetto di paglia, il ristorante offre cucina di eccellente qualità. Ordiniamo il piatto più famoso, il filate jacaranda (manzo con prosciutto, formaggio e brandy), davvero incantevole. La Pina Colada gustata qui è tra le migliori che io abbia mai bevuto! Consigliato di cuore!
20° giorno: SITI DI YAXCHILÀN E BONAMAPAK Non potevamo perderci due siti (aperti tutti i gg dalle 8 alle 16.45) così incredibili, anche se piuttosto scomodi da raggiungere: Yaxchilàn e Bonamapak, i siti maya che fiorirono durante la tarda era classica. Si trovano ai confini col Guatemala e sono sperduti nella lussureggiante foresta pluviale, la Selva Lacandona, un incredibile polmone verde che ospita oltre 4.300 piante, per non parlare di animali. Questo è il regno dei pappagalli, dei tucani, delle farfalle (ce ne sono ben 450 specie), delle scimmie urlatrici, del giaguaro, del tapiro, dei pipistrello vampiro e di numerosi serpenti. In questa magnifica giungla di circa 4.000 mq vivono gli indios Lacandones, fieri sostenitori degli Zapatisti di Marcos, dediti all’allevamento, alla coltivazione del granoturco e all’artigianato, che vendono ai turisti. Il modo più semplice per raggiungere questi magnifici siti è da Palenque, con un’escursione organizzata da una delle tante agenzie di viaggio locali. Bisogna tener conto che, data la distanza, occorre un giorno intero.
Noi ci siamo affidati a Viajes Na Chan Kan, Hidalgo, ang. Juarez. Yaxchilan Da Palenque Yaxchilán dista quasi 180 km di strada, più 22 km di navigazione sul fiume. Partiamo alle 6 del mattino, con un comodo pulmino. Siamo una decina di persone in tutte, italiani, una svizzera, alcuni messicani.
Ci fermiamo a fare colazione in un posticino immerso nel verde, sulla strada, una sorta di capanna di legno, dove i sedili sono tronchi tagliati. Ci offrono un’ottima colazione a buffet, generosa e di qualità. Dopo due tazze di caffè bollente siamo pronti a proseguire per Frontiera Corozal, un piccolo paese al confine col Guatemala. Qui alla Zona Lacandona Comunidad Frontiera Corozal si pagano 10 pesos per l’ingresso.
E’ da qui che partono le motolancie che navigano per un’ora circa lungo il fiume Usumacinta, fino a raggiungere le rovine archeologiche. Il viaggio è suggestivo. La giungla è ovunque e avvolge tutto. La navigazione è quasi magica.
Finalmente raggiungiamo il sito. Il manto selvatico della giungla copre gli edifici in modo affascinante, ma nasconde alla vista buona parte dello splendore dell’antica cultura Maya. Yaxchilán fu costruita fra il III ed il X secolo d.C. Dall’anno 752 la città fu governata dal sovrano Pajaro Jaguar IV (Uccello Giaguaro IV ) che, attraverso tre alleanze firmate da matrimoni politici e varie guerre, riuscì ad espandere la propria influenza sui territori circostanti. Coscienti dell’importanza di lasciare traccia della loro egemonia, i Maya incisero su pietra gli avvenimenti salienti riguardanti la vita della classe nobile della città, e grazie a questa lungimiranza oggi possiamo conoscere con relativa esattezza la storia degli ultimi 300 anni di questo regno.
La città fu poi abbandonata intorno all’810.
Ciò che la rende famosa sono le facciate particolarmente decorate dei suoi palazzi e i magnifici architravi scolpiti. Dall’ingresso si può decidere se visitare subito la Pequena Acropolis, un gruppo di rovine su un’altura. Dirigendosi invece verso il “centro”, la prima struttura che s’incontra è El Labirinto, il Labirinto, un dedalo di stanze e di passaggi intricati in cui gli abitanti si nascondevano durante le incursioni dei nemici.
Al piano superiore vi è una sala centrale da cui si dipartono altre stanze. La facciata in origine era ricoperta di stucco sagomato e dipinto.
Non manca anche in questo sito uno spazio per il Juego de la Pelota, gioco della pelota. Oltre al Labirinto, ci sono altri palazzi grigio verdi ricoperti da rampicanti, da qui il nome di “Luogo delle Pietre Verdi”; si affacciano sull’erbosa Gran Plaza, luogo dove risiedevano i nobili. La Stele 1 raffigura Giaguaro Uccello nel corso di una cerimonia; la Stele 11 raffigura due personaggi e uno è Giaguaro Uccello (è il personaggio più grande). Tutto il sito è ricco di stele che raffigurano all’auto-sacrificio, considerato atto di devozione e modo per comunicare con l’ aldilà: le donne si pungevano la lingua, il re si salassava il pene…
Dalla tele 1 delle scale portano all’edificio meglio conservato: l’Edificio 33, riconoscibile per il coronamento a cresta. Esso ospita splendidi bassorilievi e la scultura priva di testa del Giaguaro Uccello, a cui il palazzo è dedicato. A sud della Gran Plaza le scalinate conducono alla Gran Acropolis.
L’edificio 41 è il più alto del sito ed è probabilmente il luogo dell’ultima battaglia. Il sito è semplicemente favoloso. La natura è straripante: vediamo serpenti e una tarantola gigantesca! Veniamo anche divorati, nonostante Autan, da zanzare e formiche fameliche!!! La cosa più emozionante in assoluto è l’urlo delle scimmie urlatrici: quasi un ruggito nelle foreste! Ho letto che le scimmie urlatrici sono il secondo animale sulla Terra per potenza di emissione vocale, subito dopo la balenottera azzurra. Io posso dire che sentirle è stata una emozione indescrivibile!!! Dopo la navigazione del ritorno, il gruppo sosta in un ristorantino dove mangiamo un’ottima zuppa di verdura, un piattone di patatine, pollo e verdure, tortillas e tanta frutta fresca dolcissima.
Quindi ripartiamo alla volta di: BONAMPAK E’un sito estremamente affascinante, rimasto inghiottito tra la giungla sino al 1946, quando due americani della United Fruit Company convinsero un indio Lacandon a rivelare il misterioso sito delle pratiche devozionali locali.
Bonampak, che in lingua maya vuol dire “muri dipinti”, sorse intorno al 600 d.C. Presso il fiume Lacanja, un affluente dell’ Usumacinta. Ciò che rende davvero unico questo sito è la presenza, al suo interno, della più rilevante testimonianza visiva della pittura maya: si tratta di splendide pitture murali, le più belle del periodo clasico maya, che raffigurano cerimonie religiose, battaglie, sacrifici e offrono un interessante quadro della società maya del secolo VIII. Le rovine occupano un’area circoscritta e si sviluppano attorno alla Grande Piazza (90 x 110 m. circa), delimitata da larghe piattaforme a terrazza. Per arrivarci occorre fare una mezz’oretta in fuoristrada, tra la giungla fitta.
I celebri dipinti murali si trovano nel Templo de las Pinturas, “Tempio dei dipinti”, scoperto nel 1946 dal fotografo Giles Healey: vi sono raffigurate scene di battaglia con guerrieri che vanno a caccia di prigionieri da sacrificare, cerimoniali di corte con danzatori e figure grottesche al cospetto dei sovrani, vivide rappresentazioni di sacrifici umani e scene di auto sacrificio, un atto che consisteva nel trafiggersi la lingua o i genitali con una cordicella ricoperta di spine per raccogliere le gocce di sangue da offrire agli dèi. Un vero incanto! Tanto che le tre camere splendidamente affrescate hanno dato al sito l’appellativo di “Cappella Sistina dei Maya”! Tutto il sito di Bonampak è affascinante. Occupa oltre 2,4 kmq, anche se le costruzioni principali si trovano nei dintorni della Gran Plaza. Ovunque volano migliaia di farfalle colorate… A partire dal 776 d.C. Su questa città regnò Chan Muwan II. E’ lui il sovrano raffigurato con una lancia in mano sulla Stele 1 della Gran Plaza , un’enorme lastra in pietra alta 6 metri circa. Sempre lui, con una testa mozzata in mano, sulla Stele 2 o con davanti un prigioniero con orecchini di carta ai lobi, segno di sottomissione, sulla Stele 3. Re Chan Muwan II è rappresentato anche nei celebri dipinti a colori, con addosso la pelle di giaguaro, indossata nel corso dei combattimenti: ha davanti i prigionieri torturati mediante lo strappo delle unghie, scena che turbò non poco gli scopritori del sito, in quanto sino ad allora i Maya erano ritenuti una popolazione mite, non interessata a sacrifici umani o torture. Ma è tempo di rientrare: Bonampak dista circa 150 km da Palenque. Siamo stanchi e pisoliamo un po’ tutti, sulla via del ritorno. Ma ne valeva davvero la pena… Poi, verso sera, il consueto temporalone, che prosegue per tutta la notte.
Cenetta deliziosa e meravigliosi Club Sandwiches al “Cafè de Yara”, Hidalgo 66, ristorantino caffetteria nuovo, pulito e coloratissimo (160 pesos in due). Molto consigliato! Pernottamento: Hotel Nikte-Ha, Juarez 133 Ristoranti consigliati: “La Selva”, Carretera Palenque-Ruinas km 0,5 “Cafè de Yara”, Hidalgo 66
21° giorno: rovine di PALENQUE e partenza per Villahermosa Torniamo al Cafè de Yara, Hidalgo 66, per una colazione eccellente, a base di frutta fresca, omelette.
Poi ci spostiamo a pochi passi per prendere uno dei bus colectivos che portano alle rovine, 8 km fuori città, in mezzo alla rigogliosa selva tropicale. Al grido ripetuto di “Ruinas, ruinas!” l’autista richiama i clienti. In breve siamo al sito. Le rovine di Palenque sono considerate da molti come le più belle del Messico, soprattutto per la luce iridescente che dona un particolare fascino alla zona. Questo luogo, che risale al tardo periodo classico, ma è stato abitato fino in epoca tarda, segna l’apogeo architettonico dell’Impero Occidentale Maya. La zona archeologica si trova all’interno del Parque Nacional de Palenque. Il clima è caldo-umido, l’altitudine è inferiore ai 350 m. In pratica si soffoca!!! Con i suoi ben 1.780 ettari Palenque è uno dei complessi archeologici più importanti al mondo. Eppure ben il 95% del sito si trova ancora sotto cumuli di terra! Palenque significa “palizzata”, ma molto probabilmente il suo nome antico era “B’aakal”, ossia “osso”.
La città antica onobbe il suo massimo splendore sotto il re Pakal, chiamato anche Scudo del Sole . Egli governò la città fra il 615 e il 683 d.C., portandola a grande splendore. A Pakal succedette il figlio Kan B’alam II, detto anche Giaguaro Serpente II, che continuò le grandi opere di edificazione del padre. Alla sua morte, nel 702, Palenque iniziò un rapido declino, anche per gli attacchi della vicina città di Toninà.
Dopo il 900 fu abbandonata e presto coperta dalla giungla. La riscoperta avvenne con Antonio de Solis, un sacerdote spagnolo che vi giunse nel 1746. Solo agli inizi del secolo XIX arrivarono archeologi scrupolosi, ma anche avventurieri e artisti, tra i quali troviamo Guillermo Dupaix, il conte Waldeck, il ricercatore americano John L. Stephens, l’arch. Inglese Frederick Catherwood, che fecero conoscere la mondo la grandezza di questa città attraverso i loro rapporti.
Essi scoprirono che questa città stato era la testimonianza di un grande regno e che fu capitale di una provincia che comprendeva le terre basse delimitate dai fiumi Usumacinta e Grijalva. Nel giugno del 1952, l’archeologo Alberto Ruz Lhuillier scoprì la cripta segreta di Pakal, nel Tempio delle Iscrizioni. Al suo interno, sotto una lastra di 5 tonnellate, fu ritrovato il sarcofago con le spoglie di re Pakal. Lo scheletro era adorno di gioielli e aveva il volto coperto da una magnifica maschera di giada (rubata purtroppo nel 1985 dal Museo Archeologico di Città del Messico, dove si trovano attualmente lo scheletro e i gioielli). Il sarcofago, invece, e la celebre lastra con “l’astronauta” (vd oltre), sono ancora qui, nella tomba. Attualmente però (primavera-estate 2005) essa è chiusa, a causa dei danni subiti dalla massiccia presenza dei turisti.
Inutile recarsi al Museo del sito (1,5 km dall’ingresso) per richiedere il permesso. Andateci invece per la sua raccolta di antichità. Il museo è aperto dalle 9 alle 15.45. Esso è dedicato alla cultura Maya e permette di apprezzare i costumi e l’arte che caratterizzò questa misteriosa civiltà, con incensieri, statuette in terracotta, gioielli di giada. Ospita anche una celebre tavoletta, detta “Tavoletta degli schiavi”, di pregevole fattura. Le rovine sono disseminate su una superficie vastissima. Palenque è forse il sito maya più elegante: gli edifici hanno un aspetto lieve e raffinato, le finestre a T evocano il dio del vento IK. Un tempo questi edifici erano tinteggiati di rosso e decorati con stucchi blu e gialli. Poco dopo l’ingresso c’è il Templo XIII, che ospita la tomba (scoperta nel 1994) di una donna, il cui scheletro fu rinvenuto completamente coperto di cinabro, un minerale rosso. Secondo alcuni si tratta della moglie, per altri della madre di Pakal.
Accanto c’è il Templo de la Calavera, Tempio del Teschio, il cui nome è dovuto allo stucco a forma di teschio di cervo o coniglio, nella parte inferiore di uno dei pilastri che sorreggono il portico. Vicinissimo c’è il principale edificio di Palenque è il Templo de las Inscripciones, il Tempio delle Iscrizioni. Questo è l’unico edificio che NON si può più scalare. La sua costruzione è stata iniziata da Pakal e terminata dal figlio. Il Tempio deve il suo nome al ritrovamento di tre tavole geroglifiche che riportano la storia della dinastia di Palenque con 617 glifi, molti dei quali non ancora decifrati. Il tempio è il più imponente edificio del sito: è alto 25 metri, suddivisi in otto piani, uniti da una scalinata di 69 gradini. Le 9 rampe di scale simboleggiano i 9 livelli in cui è diviso l’Inframundo maya, ossia il mondo sotterraneo, il quale ha delle divinità a guardia di ciascuno, i Bolontiku. È questo il luogo freddo, oscuro ed infelice nel quale giacciono le anime di alcuni trapassati, quelli che durante la loro vita hanno demeritato.
Secondo i maya, i vari corpi celesti, compresi Sole&Luna, dopo il loro tramonto passano attraverso questo mondo sotterraneo per poi risorgere. Nella cripta, oggi chiusa al pubblico, si trova il celebre “astronauta di Palenque”, l’immagine di (cito dal sito http://www.Cicap.Org/enciclop/at100249.Htm) “…Una figura umana in una posa che ricorda quella di un viaggiatore spaziale intento a pilotare un veicolo a razzo. L’uomo sembra impugnare i comandi di guida, e nella parte posteriore del veicolo compare una struttura (un motore?) da cui fuoriescono quelle che appaiono essere fiamme. Altri dettagli suggeriscono la presenza di un sedile, di un apparato di respirazione e di una struttura esterna affusolata che ben si concilia con l’aspetto di un veicolo a razzo.
L’immagine è stata portata all’attenzione del pubblico dallo scrittore svizzero Erich von Däniken che, a partire dal suo libro “Ricordi del futuro” (1968), l’ha interpretata come una testimonianza della visita all’umanità da parte di viaggiatori extraterrestri, avvenuta secondo l’autore in tempi remoti e della quale si sarebbe in seguito persa la memoria. Secondo le teorie dello scrittore, riprese ed ampliate anche in Italia da Peter Kolosimo, gli antichi contatti con civiltà aliene avrebbero tuttavia lasciato traccia in alcuni manufatti, dei quali la pietra di Palenque costituirebbe uno degli esempi più convincenti.
Nonostante l’aspetto dell’immagine tombale, in sé piuttosto sorprendente, von Däniken si ferma però all’interpretazione che deriva dalle prime sensazioni, tralasciando di approfondire aspetti decisivi fra cui – ad esempio – l’abbigliamento del “pilota”, non certo adatto a un volo spaziale. Ma soprattutto altri studiosi, fra cui l’archeologo statunitense William H. Stiebing, documentano come nella stessa località di Palenque vi siano diverse pietre tombali maya (come nel Tempio della Croce e nel Tempio della Croce Fronzuta) sulle quali compaiono simboli che si ritrovano anche nell’immagine del cosiddetto astronauta. Nel contesto dell’arte maya, tali figure rappresentano il “Mostro della Terra” (un guardiano degli inferi), scambiato per la parte inferiore dell’astronave, un oggetto a forma di croce (che probabilmente raffigura una pianta di mais) un uccello quetzal (un simbolo solare ad indicare la sorgente della vita) e altro ancora. Si suppone quindi che la scena sulla pietra ritragga in realtà un sacerdote o un re raffigurato al momento della morte, durante il passaggio fra il mondo dei vivi e l’aldilà. Conosciamo invece la data della sepoltura, risalente alla fine del VII secolo d.C., che evidentemente non si concilia affatto con l’ipotesi della visita di antichi extraterrestri, sostenuta da von Däniken e dai suoi seguaci.” Astronauta a parte, la lastra ha, scolpita, parte della complessa cosmologia maya.
Vi compare infatti il dio Ometeotl, creatore originale, maschio e femmina insieme; egli è il creatore sia degli dèi che degli uomini. Egli abita il più alto dei 13 cieli, dove vivono gli Oxlahuntiku, gli dei del giorno. Il cielo tutto è sostenuto ai quattro lati da altrettanti ceiba, gli alberi sacri dei Maya (tipici della foresta tropicale, coperti di spine) e al centro un quinto ceiba gigantesco giunge fino al primo cielo. I Maya simboleggiavano il cielo con l’immagine di un serpente a due teste, con le caratteristiche sia di un rettile che quelle di un uccello. E’ il celebre serpente piumato, il Caan. Altro magnifico complesso è quello de El Palacio, il palazzo.
Si tratta di un grande edificio, costruito su una piattaforma, dotato di una splendida torre a quattro piani, molto probabilmente adibita a osservatorio astronomico. Il Palazzo di Palenque era l’abitazione della famiglia reale e sede delle cerimonie d’incoronazione dei re.
Il Palazzo ha 4 cortili principali e un dedalo di stanze, dove probabilmente risiedevano i sacerdoti e la famiglia reale. Il palazzo disponeva di bagni, stanze per i bagni di vapore e aveva un sistema fognario, passaggi sotterranei e un cortile cerimoniale. Le mura del palazzo in origine dovevano essere stuccate e pitturate di rosso e azzurro. Nel cortile nord, il Patio de los Cautivos, patio dei prigionieri, c’è una raccolta di sculture in rilievo rappresentanti sovrani soggiogati. Più avanti si trova il bel Tempio del Sole, un edificio molto ben conservato, posto su una piramide a quattro livelli e con un bel tetto a cresta. Al suo interno, glifi e stucchi rappresentanti il Sole.
Accanto gli sta il Templo XIV, in gran parte ricostruito. E’ ricco di glifi e sculture. Da qui si può andare verso il Grupo de la Cruz costituito da tre edifici molto importanti, costruiti in onore di Kan B’alam II, il figlio di Pakal. Essi simboleggiano la vita, la morte e la reincarnazione. Da vedere l’albero della vita compare insieme a pannocchie di mais, simbolo di fertilità e al quetzal, un uccello sacro per i Maya. 1) Il Templo del Sol è molto ben conservato. Esso rappresenta l’Inframundo maya, il mondo sotterraneo, abitato dai 9 dei infernali. La piazza del tempio è dedicata alla guerra e alla morte. Esso Possiede una cresta ancora intatta. Al suo interno è rappresentata l’adorazione del sole, a commemorare la nascita di Kan B’alam II e la sua ascesa al trono. Il Templo de la Cruz è la piramide più alta di Palenque; ha una decorazione che raffigura il dio degli inferi che fuma tabacco e Kan B’alam II in abito da cerimonia. Qui venivano praticati sacrifici umani, in particolare donne e bambini. Qui furono rinvenuti 110 incensieri ora custoditi nel museo.
Il Templo de la Cruz Foliada (Croce Fogliata), conserva una tavola che illustra Pakal con lo scudo a forma di Sole. Il tempio si chiama così per via di un rilievo con una pianta di mais a forma di croce. Con una camminata superiamo il complesso del Palazzo e ci dirigiamo all’immancabile campo de la pelota. Il gioco della palla era molto diffuso tra i Maya. Tutti i siti hanno un loro campo. Tuttavia, le regole non sono ancora chiare. Secondo alcuni, i giocatori della squadra vincitrice venivano sacrificati agli dei. Il gioco della palla ricreava la lotta tra entità contrapposte: sole & Luna, giorno & notte, dei del mondo sotterraneo e dei celesti…Il campo da gioco, a forma di I, rappresentava il Cosmo e la palla di caucciù il Sole. I giocatori indossavano cinturoni di cuoio e protezioni agli arti. La palla poteva essere spinta solo con gomiti, polsi, vita e ginocchia. Ancora oltre si trova il Grupo Norte o gruppo nord: 5 larghe piattaforme sormontate da templi. Qui si trova il Templo del Conde, così chiamato perché un eccentrico nobile (?) francese, il conte Jean Maximilien di Waldeck, abitò sulla sua cima per ben due anni (1830).
E non è mica finita! Per chi ha voglia di camminare e vedere, oltre al Gruppo Nord ci sono gruppi di edifici separati da un corso d’acqua con cascate: i Gruppi denominati I e II, da un lato, e Gruppo dei Pipistrelli, Gruppo B e Gruppo C, dall’altro. Insomma, per chi ama l’archeologia, uno splendore.
Intervalliamo la visita con brevi pause, data l’umidità affaticante. Pranziamo subito fuori dall’ingresso (si può uscire e rientrare), nel piccolo ristorantino, con deliziosi sandwiches. Poi via, raccattiamo i bagagli e ci prepariamo a lasciare il Chapas. Cenetta veloce in una piccola pizzeria a due passi dal nostro hotel e poi pullman di Primera classe (80 pesos) per VILLAHERMOSA, la capitale dello stato del Tabasco.
Villahermosa è una grande città di 400.000 abitanti, né brutta né bella.
Si sviluppa su entrambe le rive del Río Grijalva, ma non ha un centro definito. E’ caotica, affollata, disordinata e decisamente poco affascinante: è, in una sola parola, una città petrolifera. La vera attrazione della zona e vero motivo della visita è l’incredibile Parque Museo de La Venta, il museo archeologico dedicato alla grande civiltà olmeca. Per questo siamo qui.
Poco più di 2 ore di autobus e ci siamo. Usciamo dalla stazione, dopo aver prenotato i tragitti in pullman successivi e cerchiamo un hotel. Ne scegliamo uno praticamente di fronte la stazione: è l’Hotel Palomino, av. Javier Mina 222, 350 pesos per una stanza molto pulita e confortevole.
22° giorno: Villahermosa, Parco Archeologico della Venta Dopo una notte tranquilla e riposante, siamo pronti per andare alla scoperta della misteriosa cultura degli Olmechi.
Dopo aver cambiato i traveler cheques in una vicina banca, ci facciamo portare in taxi al Parque Museo de La Venta, Av Ruiz Cortines (40 pesos). Il Parco fu creato negli anni Quaranta, quando l’industria del Petrolio mise a rischio l’insediamento di la Venta, l’antica città olmeca che si trova a 70 km.
Così i reperti più importanti furono trasferiti qui, in questo parco all’aperto dove, tra le fronde della vegetazione tropicale sono conservate 30 grandi statue olmeche di basalto. C’è un magnifico sentiero, lungo 1 km, detto “sentiero delle sculture”, che porta alla scoperta delle sculture e delle stele. Ma non solo, perché il parco è anche zoo e ha numerose gabbie con animali, alcuni in via di estinzione. Dopo aver fatto colazione in una piccola caffetterie all’interno, e aver visto le scimmie ragno e i fenicotteri, ci addentriamo nel sentiero. Il posto è splendido e la giornata magnifica e soleggiata. Peccato che il numero delle zanzare sia folle! Le statue sono davvero suggestive! La più grande pesa più di 24 tonnellate, è alta 2 mt ed è diventata il simbolo della cultura Olmeca, come i troni di pietra dei re Olmechi. Da non perdere il gruppo di 16 figurine di giada e un insolito mosaico di blocchi di serpentino e roccia e argille colorate, raffigurante una maschera di giaguaro geometrica.
Gli Olmechi, stabibilitisi intorno all’800 a.C. Nelle “tierras calientes” a sud del golfo del Messico, svilupparono una civiltà che durò più di un millennio. La civiltà Olmeca è la cultura-madre di tutte le popolazioni mesoamericane, non soltanto perché l’arte, i culti e i centri cerimoniali hanno costituito un modello al quale si sono ispirate tutte le future generazioni, ma perché olmeca era un modo di sentire e di agire, era un’ideologia prevalentemente pacifica che venne condivisa da tutte le civiltà che erano entrate in contatto con quel mondo.
Del primo periodo (civiltà di La Venta) restano ceramiche dipinte, e teste umane scolpite. Più tardi gli Olmechi divennero costruttori, fondando anche la grande città-santuario di Monte Albán. Opere olmeche (sculture monumentali, templi a piramide, ceramiche ornate di animali stilizzati, oreficerie, ecc.) si diffusero allora anche all’interno del Messico esercitando una duratura influenza sulle civiltà zapoteca e tolteca. Terminato il sentiero, visitiamo la parte Zoo, con le gabbie della pantera, i leoncilli, i leopardi, i ghepardi, i coccodrilli, i tucani, daini, gli animali notturni, i serpenti. Davvero bella la gigantesca voliera, dove è possibile entrare, dove vivono papere, pappagalli e altri uccelli colorati. Girano invece liberi, tra i visitatori, degli animaletti a me sconosciuti: sono i coati, una specie di procione dal lungo naso a punta, buffi e teneri, sempre alla ricerca di cibo.
Tempo di pranzo, ormai.
In taxi raggiungiamo il CICOM, Centro de Investigacion de las Colturas Olmeca y maya, un complesso che raccoglie teatro, biblioteca, istituto di ricerca, ristorante e, soprattutto, il Museo Regional de Antropologia Carlos Pellicer Camara (Periferico Carlos Pellicer, 511) con pezzi di origine maya e olmeca. Prima della visita mangiamo (bene) nell’adiacente ristorante Los Tulipanes, chic e rilassante.
Poi ammiriamo il grande museo, purtroppo in un edificio vecchiotto e bisognoso di cure, privo di aria. Fa davvero caldo e io sono ormai distrutta: la stanchezza inizia a farsi sentire… Con un taxi ci facciamo portare al cuore della cittò, nella la zona pedonale Zona Luz, che si estende dal Parco Benito Juarez a Plaza des Armas. Essa è stata creata nel 1970 ed è tutta pavimentata. Qui sorgono negozi, bar, gallerie d’arte… è davvero molto molto carina.
Sulla Piazza principale si affaccia il candido neoclassico Palacio de Gobierno; dall’altra parte c’è il Tempio della Concepcion, una chiesa della metà del XX sec, con elementi gotici. Molto, molto carina è la Casa de los Azuleyos, un magnifico palazzo dell’Ottocento, in Juarez 402, che ospita il Mueso di Storia. Ci fermiamo accanto, in un fresco Mc Donald’s, dove gustiamo un gelatone e riposiamo un po’, decidendo il programma delle prossime giornate. Poi gironzoliamo, alla ricerca di un negozio dove scaricare le foto digitali (lo troveremo in Lerdo de Tejada 313), osservando vetrine e bancarelle di granite e zainetti colorati. Nonostante la presenza del Parco, Villahermosa non è quasi per nulla turistica. Ceniamo in un Burger King e poi torniamo in taxi all’hotel, per recuperare i bagagli: si parte per lo Yucatan, finalmente! Ci attende una notte in pullman, ma ci volgiamo coccolare, concedendoci il pullman più lussuoso possibile: un UNO “Luyo”, 602 pesos a testa. A bordo pare di essere in una business classe d’aereo: copertina e cuscino, bibita, poltrona che si stende quasi come un letto, sorta di puff per gambe e piedi, bagno uomini e bagno donne, tv con cuffiette. Insomma, un extra confort che ci permetterà di dormire tutta la notte! Pernottamento presso: Hotel Palomino, av. Javier Mina 222 Ristorante consigliato: Los Tulipanes, Periferico Carlos Pellicer
23° giorno: MÉRIDA e IZAMAL 650 km e 8 ore dopo, alle prime luci dell’alba, siamo a Merida, la capitale dello Yucatán! Ci attendono alcuni dei siti più celebri del Messico e il Mare dei Carabi.
Merida conserva un antico soprannome, “Città bianca”, per il fatto che un tempo era pulitissima e i suoi abitanti vestivano sempre di bianco. Oggi è una città vivace, ma non particolarmente caratteristica. Anzi, a onor del vero, a parte la zona della piazza, il centro storico non è che sia troppo bello, né troppo pulito. La città è però un ottimo punto di partenza per escursioni alla scoperta delle affascinanti rovine della Ruta Puuc.
Merida anticamente si chiamava T’HO, “quinto palazzo”. Fu Francisco de Montejo a darle il nome di Merida nel 1542, in ricordo dell’omonima città spagnola dalla quale provenivano molti dei Conquistadores.
Oggi ci vivono 500 mila persone ed è una città che si snoda in caratteristici quartieri, i barrio, ciascuno con la sua chiesa e i suoi mercati. Il traffico è notevole, la città è parecchio rumorosa e inquinata. Noi però ci troviamo un’oasi: l’Hotel Posada Toledo, calle 58, N°487 x 57 (300 pesos a notte con ventilatore), un piccolo hotel ricavato da un’antica casa aristocratica. Qui, oltre i cancelli di ferro battuto, tutto è tranquillo e il tempo sembra non essere passato mai. Le camere sono tutte arredate con mobilio ottocentesco e si fa colazione nella sala da pranzo della famiglia, tra ritratti e tazze preziose. Davvero bello! Lasciati i bagagli, convinco marito ad uscire dalla città per un’escursione al più famoso e fotografato monastero del Messico, consigliatomi da un’amica prima di partire: IZAMAL Izamal si trova a circa 70 km da Merida (1h e ½ di autobus, dalla stazione degli autobus di seconda classe di Merida, 55 pesos A/R con autobus Oriente di servizio intermedio) Izamal deve la sua notorietà al monastero francescano che gli spagnoli costruirono nel 1561 smantellando il tempio maya precedente.
Izamal era una città Maya dedicata al culto di diverse divinità, tra le quali Itzamna, dio creatore, nel tardo preclassico (300a.C. – 100d.C.). Gli Spagnoli edificarono la loro città sulle rovine della antica città maya e ancora oggi Izamal è una cittadina coloniale piuttosto ben conservata. Molti edifici sono del secolo XVI e XVII e sono dipinti nel colore classico dell’epoca coloniale, l’ocra chiaro, tanto che la cittadina è soprannominata “Città Amarilla”, città gialla.
Nel XVI secolo, i frati francescani utilizzarono le pietre del distrutto tempio maya di Ppapp Hol Chac per edificare uno spettacolare convento, il CONVENTO DE SAN ANTONIO DA PADUA, il monastero più famoso di tutto il Messico, spesso sulla copertina di tante guide dedicate al Messico (anche sulla ns. Guida Mondatori).
L’atrio sopraelevato della cattedrale misura è infinito ed é circondato da un portico di 75 archi disposti in forma di rettangolo irregolare.
La chiesa principale del monastero è il Santuario de la Virgen de Izamal, con affreschi del XVI secolo.
Bisogna dire che a Izamal non c’è praticamente altro, se non una piccolissima piramide e un minuscolo mercatino, però il monastero è davvero bello, merita! Rientriamo in città e sono talmente stanca da non avere la forza di andare a pranzo: mi accontenterò di succhi di frutta e yogurt.
Decido quindi di dedicare il pomeriggio al bucato e al riposo, mentre mio marito va a vedere il bel Museo Regional de Antropología, che illustra la storia della penisola dello Yucatan. Usciamo per cena. Gironzoliamo per il centro, che è davvero grazioso e animato di bancarelle e negozietti.
Cuore della città è Plaza Grande, o Mayor, costruita sulle rovine dell’antica città Maya di T’Ho’, distrutta dagli Spagnoli. Qui si affaccia la Catedral de San Ildefonso, la Cattedrale di San Idelfonso, iniziata nel 1561. Con le sue 12 massicce colonne e la grande navata in romanico spagnolo, è la più antica di tutto il Nord America, ed è costata la vita a diverse decine di schiavi Maya impiegati nella sua costruzione; l’edificio è in sobrio stile rinascimentale con una facciata disadorna e severa. Sempre sulla Plaza Grande sorgono alcuni edifici coloniali come la Casa de Montejo, costruita nel 1549 e abitata dall’omonima famiglia. Oggi è una banca, uno degli esempi migliori di plateresco secolare; il Palacio de Gobierno, Palazzo del Governo, invece, risale al 1892 e fu costruito dove un tempo sorgeva il palazzo dei governatori coloniali. Il centro storico di Merida offre molti negozi di souvenir e artigianato. Questa zona del Messico è particolarmente famosa per le lavorazioni tessili, specialmente per le quali amache e le huipiles, l’indumento femminile indigeno, una specie di camicetta, decorata con disegni preispanici coloratissimi.
Merida è famosa anche per i cappelli Panama realizzati con le foglie della palma jipiapa. Splendidi cappelli panama al negozio Artesiana El Xiric, calle 57°, n.15 Y16 accanto al Pasaye Congreso.
E’ una sera speciale: festeggiamo il nostro dodicesimo anniversario al ristorante “Amaro” in calle 59 tra calle 60 e calle 62. Atmosfera coloniale a lume di candela con la tipica cucina dello Yucatan.
Questa parte di Messico ha una cucina davvero particolare, che si distingue nettamente dal resto del Paese. Cito dal sito : “La combinazione di ingredienti usati dagli antichi maya con sapori importati dagli spagnoli durante la Colonia e, più tardi, con apportazioni caraibiche e del Medio Oriente, fanno della cucina yucateca un’esperienza incredibile. Tra gli ingredienti originali dei Maya c’era il mais (in forma di tortillas, impasto per tamales e farina per atole), fagioli, pomodori, peperoncini, zucca, chaya, avocado e achiote. Gli spagnoli portarono i citrici (limoni e arance amare), pollo, vitello, prodotti lattei, cilantro, aglio, olive, origano e riso. Maiale, pollo e tacchino sono molto usati nelle ricette yucateche, generalmente serviti con salse o condimenti mischiati con l’achiote, succo d’arancia di Siviglia, pepe e peperoncini.” Degni di menzione sono alcuni piatti tipici, come il poc chuc, carne di maiale marinata in succo d’arancia amara, grigliata e servita con cipolle sottaceto; il puchero, uno stufato di maiale con carote, zucca, banana, arancia amara; il frijol con puerco, un piatto con maiale e fagioli, salsa di pomodori alla griglia, verdure, coriandolo; la sopa de lima, zuppa di pollo e limetta; il venado, il cervo; il pavo rellano, tacchino servito con carne di maiale e manzo macinata; il pollo pibil e il cochinita pibil, pollo o maiale avvolte in foglia di banano, aromatizzate con arancia amara, aglio e cotte alla griglia. Da bere: lo Xtbntún, una miscela di rum con miele di un fiore con questo nome.” Davvero una serata splendida.
24° giorno: RUTA PUUC (siti di Labnà, Sayil, Kabah,) e UXMAL “Ruta Puuc” è il nome della “via” dedicata alla civiltà maya Puuc fiorita tra VIII e X secolo. Col nome di Puuc si indicano sia le omonime colline che formano un basso promontorio a sud della città, che lo stile fiorito in questa zona, caratterizzato da grandi complessi palaziali a pianta rettangolare, gruppi di colonne alternate a pannelli incorniciati, maschere di Chaac sulla facciata e mosaici di pietra quasi “barocchi”. Per ammirare i siti contraddistinti da questo elaborato stile, è possibile prendere l’ autobus ATS che parte alle 8 spaccate dal Terminal di Segunda classe di Merida e che porta a Labnà, Sayil, Kabah e UXMAL (120 pesos A/R). Acquistiamo yogurt da bere e un paio di panini alla stazione degli autobus e partiamo. Circa 100 km dopo, entriamo nel primo sito.
LABNÀ Labnà, che significa “Casa vecchia”, è un piccolo e bellissimo sito, che merita davvero di essere visto. Sorge in posizione rialzata, davvero spettacolare, circondata da aride colline. La città vide la luce nel IV secolo e fiorì per secoli, sino alla sua decadenza, intorno all’anno 1000.
A Labnà ci sono templi del VII – VIII secolo edificati dai Puuc, un’etnia Maya che adorava il dio Chac della pioggia. Una stupenda via cerimoniale rialzata, il saché, attraversa buona parte del sito congiungendo i monumenti principali.
Da vedere: l’Edificio de las Columnas, col suo basamento di 40 metri e 20 di larghezza; El Mirador, l’osservatorio posto in cima ad una piramide quasi distrutta; El Palacio, con le sue ha magnifiche decorazioni.
Il Palazzo aveva un totale di 67 stanze disposte su due livelli. Purtroppo oggi una parte delle stanze è andata perduta, ma l’edificio è comunque considerato un gioiello dello stile Puuc. Ma l’edificio più famoso è El Arco, l’Arco, magnifico arco monumentale, ampio 3 mt e alto 6 mt.
Esso faceva parte di un edificio andato purtroppo distrutto e marcava l’ingresso e l’uscita dalla città. Si tratta di un tipico falso arco maya, ed è decorato da mascheroni di Chaac e piccole nicchie che riproducono capanne maya.
SAYIL 40 minuti è il tempo che ci è concesso al sito di Sayil, “luogo delle formiche”, una grande città, costruita tra 750 e 1000 d.C.
E’ un sito famoso per lo spettacolare Gran Palazzo che vi è conservato! El Palacio, questo il suo nome in Messicano, è un favoloso edificio composto di tre piattaforme con una facciata lunga 85 metri. E’ considerato uno dei più bei palazzi dell’architettura maya, pari a quello di Uxmal.
Splendide le decorazioni puuc sulle colonne, raffiguranti Chaac Mool e un dio discendente, Ah Mucen Cab (dio ape)ma anche le stecche delle capanne maya. Un bel sentiero porta al El Mirador, un osservatorio malridotto, costituito da un tempio quadrato decorato con un’alta merlatura in stile Chenes (quello di Tikal in Guatemala).
E’ tutto. Nel sito restano alcune cisterne. I Maya non avendo fonti di acqua naturali e scorrendo l’acqua a circa 40 metri sottoterra, profondità che non potevano raggiungere con le tecniche dell’epoca, avevano trovato altri sistemi per l’approvvigionamento idrico. Creavano delle buche grandi e profonde in prossimità di pozze d’acqua naturali, che impermeabilizzavano artificialmente e nelle quali facevano defluire l’acqua per conservarla. Oppure, vicino alla propria capanna, costruivano delle piattaforme che convogliavano l’acqua piovana in cisterne sotterranee. Questi sistemi erano chiamati aguadas i primi e chuetun i secondi. In media una cisterna conteneva circa 35 litri d’acqua che venivano utilizzati non solo per gli usi domestici ma anche per il materiale (vedi lo stucco) delle costruzioni.
KABAH 30 minuti per ammirare Kabah(“la mano che cesella” o “il signore dalla mano forte e potente”), un sito Puuc di indubbio fascino.
Si racconta che in questa città nacque il nano protagonista della leggenda di Uxmal.
Fatto sta che Kabah risale ad un periodo compreso tra 750 e 950 d.C. E a quell’epoca era la città più importante, dopo Uxmal. Erano infatti unite da sacbé di 20 km, oggi purtroppo invisibili: i bei viali lastricati di pietre bianche sono del tutto sepolti sotto la vegetazione della vicina giungla. L’edificio più famoso del sito è il Palacio de los Mascarones, (Palazzo delle Maschere), chiamato anche Codz Pop, ossia “stuoia arrotolata”. Si tratta di un incredibile esempio di stile precolombiano barocco esacerbato, costruito tra 700 e 900 d.C.! Lungo 46 metri, con due file di cinque stanze collegate a coppia, il Palazzo ha una straordinaria facciata ornata da 300 maschere del dio della pioggia Chac Mool. Bellissimo! Curiosi i 2 atlantes, strutture architettoniche di forma umana. La LP suggerisce di prestare attenzione, perché è raro che nei siti maya ci siano figure umane tridimensionali! Molto interessante è anche El Palacio, edificio in stile Puuc di sobria eleganza: ha una serie di portali con colonnine sulla parte superiore della facciata. Sempre di stile Puuc è il Templo de las Colomnes. Da qui, con un sentiero si arriva al cumolo di pietre che un tempo erano la Gran Piramide e al bel arco monumentale restaurato.
UXMAL Si trova a una ventina di chilometri da Kabah ed è uno dei siti archeologici più importanti del Messico.
Le due ore e mezza di visita ci hanno permesso di visitarlo per intero e personalmente posso dire che mi è piaciuto molto di più di Chichen Itza! Il nome Uxmal vuol dire “costruita tre volte”, in riferimento alle tre fasi di realizzazione del sito (anche se pare che si possano riconoscere cinque fasi di sovrapposizioni architettoniche, dal VI all’X secolo) .
A Uxmal sono stati scoperti i più begli edifici di stile Puuc caratterizzati dall’uso di mosaici, le cui tessere raggiungono dimensioni insolite (fino a 1 metro di lunghezza). Cito dal sito http://www.Sapere.It/tca/minisite/storia/civilta_precolombiane/mappa.Html: “Per lunghi secoli Uxmal è stata una delle città maya piú popolose dello Yucatán, grazie anche a un prodigioso sistema di approvvigionamento d’acqua attraverso numerosi chultunes, grandi cisterne che assicuravano una duratura riserva idrica in un luogo privo di pozzi naturali. All’arrivo degli Spagnoli, Uxmal era ancora abitata, anche se l’ultima dinastia Xiú aveva da tempo trasferito la sua capitale a Mayapán. Le prime descrizioni del luogo si trovano nei diari del frate spagnolo Alonso de Ponce, ma poi scese il silenzio su Uxmal fino alla prima metà dell’Ottocento, quando venne riscoperta dall’esploratore-scrittore statunitense John Lloyd Stephens e dall’architetto e disegnatore inglese Frederick Catherwood. Appassionati entrambi delle culture precolombiane, Stephens e Catherwood si erano avventurati per lunghi anni tra le foreste tropicali del Guatemala, dell’Honduras e dello Yucatán alla ricerca delle antiche rovine di popolazioni sconosciute – allora essi ignoravano che si trattava di una cultura omogenea chiamata Maya – e a loro dobbiamo una preziosa documentazione scritta e illustrata dei maggiori monumenti di quelle regioni.” Tutta l’architettura di Uxmal denota l’altissimo grado di perfezione raggiunto dagli intagliatori maya nell’arte della lavorazione della pietra. Poco dopo l’ingresso si incontra la costruzione forse più celebre del sito: la Piramide dell’Indovino, Casa del Adivino in spagnolo. Si tratta di un’originale piramide, sulla quale purtroppo è vietato salire, che raggiunge i 39 metri, decorata in stile chenes. E’ chiamata anche Casa del Nano, perché una leggenda dice che la piramide è stata costruita in una sola notte magicamente da un nano uscito da un minuscolo uovo.
La cosa davvero insolita di questa costruzione è la curiosa base ovale, che non abbiamo trovato in nessun altro posto. Fu costruita tra VI e X secolo e anticamente era dipinta di rosso, con particolari in giallo, nero e blu. Accanto alla Piramide dell’Indovino si trova il cosiddetto Chiostro, un cortile lungo 75 metri e largo 60, circondato da quattro edifici dalle facciate scolpite. Si pensa che il Chiostro servisse da residenza ai sacerdoti che officiavano nella Casa dello Stregone così chiamata anche se si trattava in realtà del principale tempio di Uxmal. Vicinissimo c’è lo splendido Cuadrangulo de las Monas, Quadrilatero delle Monache, perché ricorda il cortile di un convento, con le 74 stanzette-celle. Non si sa a cosa fosse adibito: accademia miliare? Scuola? Palazzo? Tra le decorazioni, regna il volto di Chac Mool, ma è presente anche il serpente piumato.
Il sito è immerso nel verde. Tantissime le iguane, di tutte le dimensioni, che scorrazzano libere, rincorrendosi tra le rocce o prendendo il sole. Dopo aver attraversato un piccolo Campo da gioco della pelota, ci spostiamo su una piccola collina.
Qui si trovano il Palazzo del Governatore, un edificio lungo quasi 100 metri che sorge sopra una vasta piattaforma a gradinate e che fungeva probabilmente da residenza delle massime autorità (conta ben 24 stanze!). Il palazzo è orientato verso il sorgere del pianeta Venere e presenta una parte inferiore semplice e lineare, mentre il cornicione superiore è fittamente decorato con i simboli cari alla cultura maya: sul fregio si possono contare 260 maschere del dio Chaac, tante quanti sono i giorni del calendario dell’anno sacro. La parte posteriore del palazzo è caratterizzata da una serie di strette porte a forma di punta di freccia che immettono in un piccolissimo vano, il cui uso è rimasto sconosciuto.
Gli elaborati mosaici che decorano le quattro facciate sono composti da ben ventimila pezzi. Accanto si trova la Casa de las Tartarugas, una bella costruzione chiamata così per il fregio del cornicione superiore, decorato con tartarughine scolpite. Pare sia stata costruita come tributo al dio dell’acqua.
Da qui si può salire sulla la Grande Piramide, che si trova attaccata alla collinetta. Conviene passare da dietro il Palacio del Gobernador, così vi troverete già a metà scalinata, che è ripida e faticosa. Il panorama è però bello. Vicino si trova El Palomar, la “piccionaia”, una curiosa struttura con il tetto a cresta che ricorda le colombaie arabe. Pranziamo al ristorantino che si trova all’ingresso del sito, con degli spettacolari Club Sandwiches! Ma è tempo di tornare a Merida, distante 78 km (in autobus occorre un’ora e trenta). Nel tragitto del ritorno ci addormentiamo, sfiniti.
Una pennichella è d’obbligo anche quando rientriamo in hotel, siamo davvero distrutti per la stanchezza e l’umidità. Poi a cena in un ristorantino davvero delizioso, “Pane e vino” (Calle 62 tra Calle 59 e calle 61), dove gustiamo ottima cucina italiana. Dopo oltre 3 settimane di vacanza, la voglia di pasta è davvero tanta… Mangiamo di gusto e poi ci spostiamo per divertirci al “Merida en Domingo”, una fiera che si tiene ogni domenica tra la piazza principale e Calle 60, dove sorge il bel Palacio Municipal, il Palazzo Municipale, risalente al 1542. Qui la città diventa tutta pedonale, si anima di bancarelle che vendono oggetti di legno, conchiglie, pelle, terracotta e dei dolci tradizionali. Musicisti suonano e la gente balla per le vie: molto bello! Pernottamento: Hotel Posada Toledo, calle 58, N°487 x 57 Ristoranti consigliati: “Pane e vino”, Calle 62 tra Calle 59 e calle 61 “Amaro” in calle 59 tra calle 60 e calle 62
26° giorno: sito archeologico di TULUM e Mar dei Caraibi Da Merida impieghiamo 3 ore di autobus di Primera classe (160 pesos) per raggiungere la celebre Tulum, penultima tappa del nostro viaggio, lo Stato di Quintana Roo. Finalmente mare, non vediamo l’ora! Qualche precisazione circa Tulum. La cittadina vera e propria, dove si trova la minuscola stazione degli autobus, la banca, l’agenzia viaggi, gli internet point, i negozietti, le caffetterie, gli hotel e i ristorantini si chiama “Tulum Pueblo” o, più semplicemente, come la chiamano qui, “Pueblo”. Si tratta di un paesone di circa 7.000 abitanti, che si snoda lungo una via principale, Av Tulum. Il mare si trova a circa sette km dal mare. Il tratto dove invece sorgono gli hotels e le cabanas si chiama “Zona Hotelera”. Numerosi taxi passano in continuazione per portare i turisti da una parte all’altra (35/45 pesos a tratta, a seconda della distanza).
Apro una breve parentesi. Col nome di cabanas si indicano bungalows di varie tipologie, da quelli piuttosto spartani, spesso fatti solo in legno, con tetto di paglia e pavimento in cemento o sabbia, a quelli di lusso, elegantissimi e dotati di tutti i confort. I prezzi sono disparati: ce ne sono da 20 dollari a notte, ma la maggior parte costa dai 60/70 dollari americani in su e molte costano oltre 100 dollari a notte. Oltretutto le sistemazioni economiche non sono poi così numerose e vanno a ruba, tanto che di solito si arriva, si soggiorna dove capita e poi con calma, quando i turisti di solito lasciano le camere (intorno alle 12/14) cercare una nuova sistemazione. Per risparmiare molti restano in città, in hotel più economici. Altra cosa da dire: la LP avverte che le cabanas più spartane sono poco sicure e a alto rischio di furto. Non mancano, inoltre, scarafaggi e insetti, specialmente un numero altissimo di zanzare. Per farvi un’idea vi invito a visitare il sito http://www.Intulum.Com/ La Zona Hotelera è molto lunga e parte dalle rovine archeologiche di Tulum, poi giù giù, verso sud, in direzione della Riserva Sian ka’an, per circa 8 km.
Ci sono punti in cui gli hotel sono appiccicati e altri, invece, dove si distanziano di più. Da nord, dunque, si presentano con questo ordine: – El Mirador – Don Cafeto – Mar Caribe – Playa Maya – El Paraiso – La Vita È Bella http://www.Lavitaebella-tulum.Com/ – Mezzanine http://www.I-escape.Com/mezzanine.Php – Playa Condesa – Diamante K http://www.Diamantek.Com/ – Nacho’s – Tribal Village – Papaia Playa – Copal http://www.Cabanascopal.Com/ – Azulic – La Conchita ) – Punta Pietra – Zahra (http://www.Zahra.Com.Mx/) – Pietra Escondida (http://www.Piedraescondida.Com/) – Luna Maya – Zamas http://www.Zamas.Com/ – Policia – Maya Tulum http://www.Mayatulum.Com/ – Hemingway – El Trionfo – Posada Margherita (http://www.Posadamargherita.Com/Italiano/index_ita.Htm) – Playa Kin Ha – Casa Malio – La Flor – Retiro Maya – Yumi Ha – Rancho Plaza Azul – Los Arrecifes – Luna – Cabanas Ana Y Jose – Cabanas Tulum – Camping Oasis – Los Lirios – Sgambala Petit – Esmeralda K – Samasati – Tanga Manga – Pietra Del Sol – Nelly – Casita Del Mar – Xtay Bay – Casa Cosmo Shiva – Tita Tulum – Playa Xcanan – Zamna Guesthouse – La Nueva Vida Del Ramiro (http://mexicancaribbean.Com/Small_Hotels/Tulum/Nueva_Vida_de_Ramiro/default.Htm) – La Zebra – Mambo Beach – Villa Alquimia – Amansala – El Viejo Y El Mar – Rialto – Mayan Paradise – Suenos Tulum – Las Ranitas – Casa Aurora – Villa La Vida – Posada Dos Ceibas – Amaca Loca – Tierra Del Sol – Sapphire Beach – Casa Buena Su Erte – Rancho San Eric Quando arriviamo a Tulum piove. Da 3 giorni, per la precisione. Ci facciamo portare in taxi in una zona che sappiamo essere abbastanza vivace, verso l’Hotel Zamas. Tutto pieno, aiuto. Giriamo 3 o 4 hotels e sono esauriti. C’era d’aspettarselo, in fondo ferragosto è passato da poco… Troviamo una stanza con bagno allo Zahara, per circa 90 dollari, senza colazione. E’ bella, grande, pulita. E noi siamo stanchi, stanchissimi. La prendiamo.
Pranziamo con frutta fresca e yogurt (75 pesos cad., i prezzi sono triplicati rispetto il resto del Messico) e intanto spunta il sole! Evviva! Mettiamo il costume e ci facciamo portare alle rovine, a pochi km. Sito archeologico di TULUM: E’ uno dei siti archeologici più fotografati del mondo. Il motivo è semplice: si tratta dell’unico sito archeologico Maya costruito sul mare, su promontorio erboso a picco sul Mar dei Carabi.
Tulum significa “fortezza”, “mura”: il sito è circondato su tre lati da una muraglia difensiva che misura circa 6 metri di spessore e 3/5 metri di altezza. Gli antichi abitanti, però, la chiamavano Zama, “alba”. Fra il 1100 e la conquista spagnola Tulum fu un fiorente nodo commerciale, probabilmente retto da una classe di ricchi mercanti. Gli abitanti veneravano il Dio Discendente (forse il dio ape), la cui effige è ancora visibile sulla porta del tempio omonimo. Il sito archeologico è grazioso, ma non particolarmente significativo. Secondo gli esperti è frutto della civiltà maya in declino. Le costruzioni ospitate all’interno delle mura erano adibite alla classe dirigente. Delle loro case restano piattaforme, ossia le fondamenta delle costruzioni in legno e paglia andate distrutte. Non ci sono piramidi, ma solo templi. E tutti recintati, non si può entrare o salire in nessuno, neppure nell’edificio più importante, il celebre El Castillo, “il castello”, la torre di guardia in calcare alabastrino affacciata sul mare. Bello anche il Templo de Las Pinturas, a due piani, costruito nel 145 circa, probabilmente l’ultima costruzione maya edificata prima dell’arrivo degli Spagnoli. Purtroppo ormai disfatti sono gli affreschi colorati al suo interno; molto belle le maschere e le stele che lo decorano. Interessanti sono anche il Templo del Dios Discendente e El Palacio, che riportano entrambi immagini della divinità che fa pensare al dio ape: il primo l’ha sul portale, il secondo sul portale stesso, in stucco.
Nel Templo de la Estela, “tempio delle stele”, fu rinvenuta la stele (oggi al British Museum di Londra) con sopra impressa la più antica data maya scritta conosciuta (564 d.C.).
Il Templo del Dios del Viento è invece il miglior punto per fotografare l’incredibile paesaggio sulle rovine e il mare sotto. Visitiamo velocemente il sito, perché la voglia di tuffarci in acqua è tanta. Dal sito, infatti, si accede ad una spiaggia di sabbia bianchissima. Il mare è incantevole, caldo e di un blu perfetto.
Trascorriamo il pomeriggio qui, tra bagni lunghissimi. Poi, verso il tramonto, rientriamo in hotel in taxi, per un ultimo bagno nella nostra spiaggia.
Ma, delusione!!! Spiaggetta piccola, mare con rocce e strani caspi di alghe poco invitanti. Non è propriamente quello che avevo in mente io per Mare dei Carabi.
La zona, invece, è graziosa: c’è il noleggio bici, organizzano escursioni, c’è un negozietto di alimentari. La sera ceniamo in un famoso hotel, presso il vicino Zamas: si chiama “Que Fresco” ed è molto rinomato. Peccato per le zanzare, in numero davvero folle! Poi ci rilassiamo ascoltando la musica dal vivo che ogni sera propone il ns hotel. A Tulum “mare” non c’è vita notturna e tutti finisce intorno alle 22/22.30. In moltissimi hotel a quell’ora va via anche la luce e le camere sono dotate di candele. E’ il posto giusto per chi cerca riposo e tranquillità.
27° giorno: TULUM e sito archeologico di Cobà Colazione ottima ancora da “Que Fresco”, allo Zamas, poi noleggiamo una bici per andare alla scoperta delle spiagge vicine e per andare in città a confermare i nostri voli del rientro: per telefono non siamo riusciti, così ci cerchiamo un’agenzia viaggi, “Savana” (Av Tulum Ote., s/n entre orion y Beta Sur). Poi, finalmente, mare.
Girovaghiamo in cerca di cabanas o stanze a prezzi più economici della nostra e finalmente troviamo entrambe le cose: una camera per l’indomani, modesta ma decente, presso Playa Condesa. Accanto, una spiaggia favolosa, bianca e spettacolare, senza rocce o alghe. Ci siamo. Trascorriamo la giornata in allegria, tra bagni e risate, pisolini e sole.
Mangiamo al ristorantino de El Paraiso.
Il tempo passa veloce. Verso il tramonto facciamo ritorno.
Passiamo l’ultima notte allo Zahara. Ceniamo, benissimo, nel romanticissimo ristorante della Pietra Escondida, poi passeggiata romantica sotto le stelle. E’ un cielo magnifico, questo messicano. Non lo dimenticheremo tanto presto… 28° giorno: TULUM e Mar dei Carabi Non paghi di rovine, l’indomani decidiamo di andare a Coba, una delle più grandi città maya dello Yucatan. Si trova a 50 km a nord di Tulum ed è un sito immerso nella giungla, non molto conosciuto.
Prima, però, lasciamo i bagagli nel nuovo hotel e ci facciamo portare al Bus Station.
Facciamo colazione in un bel localino, proprio di fronte, “La Flor de Michoacan”, dove servono ottimi frullati, e poi partiamo.
Per arrivare a Cobà c’è un autobus quotidiano che porta lì in 45 minuti (servizio di primiera classe, 54 pesos A/R).
L’autobus ci lascia a 10 minuti di passeggiata dall’ingresso del sito. Passiamo davanti ad un lago popolato di coccodrilli ed entriamo.
Fa davvero caldo e gli insetti sono tantissimi. Ci sono però migliaia di farfalle, davvero suggestivo.
Cobá fu fondata nel 623 e prosperò per circa quindici secoli, fino al tardo periodo postclassico. Il sito venne riscoperto nel 1891, grazie agli scavi dell’austriaco Maler; il sito fu poi ri-oggetto di studi nel 1930 e quindi quasi dimenticato sino al 73, quando si ricominciò a scavare. Oggi la sua parte scoperta e visitabile è solo il 5% dell’intera superficie (il sito è 50 kmq!, tanto che consigliata la visita in bicicletta!).
La sua architettura è un mistero: le sue piramidi, le stele ricordano lo stile di Tikal, che si trova a molte centinaia di km, più che i vicini siti. Secondo alcuni archeologici, riporta la LP, questo è forse dovuto all’alleanza che Coba dovette stipulare con Tikal, fatta attraverso matrimoni. E’ possibile, dunque, che anche artigiani e architetti di Tikal giunsero qui, portando con sé il loro stile.
Le rovine sono disseminate intorno a cinque laghetti e comprendono i resti di una rete stradale, le sacbés, ossia i viali lastricati di pietra, che collegavano il quartiere centrale della città alle zone periferiche.
a strada più lunga rinvenuta fino a oggi conduce per un centinaio di chilometri fino a Yaxuná.
Coba è famosa per le sue 32 stele scolpite, purtroppo molto rovinate: il Grupo Macanxoc si trova proseguendo diritto al bivio dopo il juego de la pelota. Altre stele si trovano al Conjunto de las Pinturas (gruppo delle pitture).
Da vedere: il Templo de las Iglesias, una enorme piramide sulla quale è vietato salire; il campo del juego de la pelota; il Nohoch Mul, ossia “grande tumulo”, detta anche Grande Piramide, che coi suoi 42 m è la più alta struttura maya della penisola.
Gli scalini sono tutti rovinati e bisogna stare attenti, ma da sopra si apre un panorama bellissimo, che domina la giungla selvaggia. Data la sua grandezza, all’interno del sito è possibile noleggiare bici o farsi scorazzare da bici taxi. Noi ne abbiamo approfittato, al ritorno. Pranzetto veloce, prima di rientrare, nel ristorantino che c’è presso la fermata dell’autobus.
Alle 15 siamo già a Tulum.
Ci godiamo la magnifica spiaggia bianca, ci concediamo infiniti bagni. Cenetta, ottima, a “La vita è bella”, splendido resort gestito da Italiani. La pizza è ottima! Poi altre stelle e altra passeggiata. Questa è vita!
29° giorno: TULUM e Mar dei Caraibi Colazione molto piacevole a “La vita è bella”.
Poi, con una certa faccia tosta, ci impossessiamo di due loro lettini e ombrellone. La giornata trascorre tra sole, bagni, libri, cocco.
Relax puro. Cenetta ultra chic al ristorante thai dell’esclusivo Mezzanine, con spettacolare vista sull’Oceano. Peccato il diluvio che scoppia di lì a poco…
Siamo ormai alla fine della vacanza, già è malinconia. Pernottamenti: Zahra e Playa Condesa Ristoranti consigliati per la cena: Que Fresco (c/0 Zamas), , Pietra Escondida, Mezzanine Pranzo: El Paraiso Colazione: La Flor de Michoacan, Av. Tulum, Pueblo
30° giorno: CANCÙN Mentre sbocconcello il toast acquistato alla stazione degli autobus, penso che questo sarà il mio ultimo giorno in Messico.
Lasciamo Tulum per la famosa Cancan (che in lingua Maya significa “nido di serpenti”), il centro turistico più importante del Messico ed uno dei più famosi del mondo. E’ anche la moderna capitale dello stato del Quintana Roo, nato nel 1974, da dove l’indomani prenderemo il volo per l’Italia.
Le 2 ore di pullman di Servizio Intermedio (48 pesos) vedono un paesaggio di palme e vegetazione fitta e una breve sosta nella vivace Playa del Carmen. Poi arriviamo alla grande e moderna stazione degli autobus di Cancan, che si affaccia su un’immensa rotonda, là dove si incrociano le vie principali: Av Tulum e Av Uxmal.
La città è davvero moderna e grande (oltre mezzo milione di abitanti). Leggo nella guida che è nata agli inizi degli anni Settanta, per contrastare il “monopolio turistico” di Acapulco. E oggi è una delle zone turistiche più famose del Messico. Cancùn fa un effetto strano, a chi arriva qui dopo aver visto il resto del Messico. Sembra di essere in una città americana, con mega albergoni stile Las Vegas, piccoli grattacielo, insegne luminose e scritte in inglese. Numerosi sono i locali notturni, le discoteche, i centri commerciali, i fast-food, le agenzie viaggi che vendono escursioni. Tantissimi gli Americani. Pensare che sino a 30 anni fa fosse solo un lembo di spiaggia bianca, con accanto un piccolo villaggio di pescatori, fa strano…
Troviamo una bella stanza, fresca e pulita, al Las Palmas Hotel, Palmera 43.
Sistemiamo i bagagli, mettiamo il costume e usciamo per il pranzo. Mangiamo un hamburger di pollo in un piccolo localino stile Mc Donald’s, di fronte la stazione. Poi partiamo per il nostro ultimo pomeriggio al mare.
Cancun, come Tulum, è divisa in due parti.
Sulla terraferma c’è Ciudad Cancun, stracolma di alberghi, locali, centri commerciali, ristoranti, banche. La via principale si chiama Av Tulum e porta dritta alla Zona Hotelera, detta anche “isla Cancun”, ossia la Cancùn sul mare, decisamente più “VIP” e costosa. Anche se non sembra, in realtà questa è una vera isola, lunga ben 22km. Qui si estende la zona degli alberghi, la Zona Hotelera, dove le più grandi catene alberghiere del mondo hanno impiantato i loro lussuosi complessi turistici. Isla Cancun è unita alla terraferma da due ponti: quello sul canale Nichupte (pochi km dal centro della città), e quello sul canale Nizuc, dalla parte opposta, che unisce la Punta Nizuc. Qui ci sono anche le spiagge più belle: Playa las Perlas, Linda, Mangosta, Tortuga, Caracol, Delfines, Marlin…
Chiediamo nel nostro hotel e le proprietarie sono concordi nel consigliarci Playa Delfines, raggiungibile con un autobus recante la scritta R1, da Av Tulum: occorrono circa 45 minuti per raggiungerla.
La giornata è nuvolosa, ma non piove. La spiaggia è però piuttosto deludente, rispetto quella di Tulum: è stretta e degrada improvvisamente, dunque l’acqua si fa subito profonda. Inoltre ci sono rocce scivolose e alghe. E al posto delle palme c’è solo la stradona e, al di là, la laguna. Insomma, non è il massimo.
Per un po’ sfruttiamo anche i lettini dell’Hilton, finché un custode ci invita ad andarcene, figuraccia! (http://www.Hilton.Com/en/hi/hotels/index.Jhtml;jsessionid=TUKXDONEME5YCCSGBIU2VCQKIYFC3UUC?ctyhocn=CUNHRHH) Tempo degli ultimi bagni nell’Oceano, qui più freddo che aTulum, e poi si fa ritorno.
Ceniamo nei dintorni dell’hotel, in un Sanborns (diffusa catena messicana di ottimo livello, piuttosto chic http://www.Sanborns.Com.Mx/sanborns/portada.Asp), vicinissimo alla Stazione degli Autobus. Fuori piove.
Prepariamo i bagagli e a nanna per poche ore: la sveglia è puntata alle 2.45 della notte.
Hotel: Las Palmas Hotel, Palmera 43.
Ristorante consigliato: Sanborns
31° giorno: CANCÙN – Italia “…Più che un paese, il Messico è un mito, la rappresentazione di un sogno, e la sua interpretazione dipende, come nei saluti, da una certa intonazione delle parole, a seconda che si enfatizzi la favola o la trama che regge lo specchio che ci contempla.” (Francisco Solano, da “ Sotto le nuvole del Messico”) Tempo di rientrare, dopo un mese di viaggio. Nella notte calda, il taxi sfreccia per la via deserta che ci porta all’aeroporto. Siamo i primi, al check in delle 3.30. Curiosiamo tra i negozietti che piano piano aprono, facciamo colazione con uno pseudo-cappuccino servito in un bicchiere di carta, spendiamo gli ultimi pesos in patatine Sabrita’s e dolcetti e pensiamo che sì, è stata una grande avventura. E che il Messico è un paese che merita di essere visitato in lungo e in largo.
Non siamo ancora partiti e già ne sentiamo nostalgia…
MESSICO: notizie utili Le guide/libri da noi utilizzati per l’ organizzazione del viaggio: “Messico”, Lonely Planet, ed. 2005 “Messico”, le Guide Mondadori “in Viaggio – Messico-”, mensile n.45/2001, editoriale Giorgio Mondadori “Le guide di Viaggiare – Messico” n.23/1999 ed. Portoria “Messico”, le Guide Traveler di National Geographic, 2002 “Messico”, Guide APA, Zanfi Editori “Messico, seguire la via dei Conquistadores”, inserto di Panorama Travel, marzo 1999 “I Maya”, “Gli Aztechi” di Von Haghen, Newton ed.
Siti web utili: http://www.Messico.Com/ http://www.Chepe.Com.Mx/ http://web.Media.Mit.Edu/~mmonroy/metro/mapas/metroV2.Pdf www.Df.Gob.Mx/servicios/metro/index.Html www.Servitaxis.Com.Mx e www.Taxi-mexico.Com ttp://utenti.Lycos.It/mariachi10/infoviaggio.Htm http://www.Cicap.Org/enciclop/at100249.Htm http://www.Viaggiaresicuri.Mae.Aci.It/DocPaesi/MESSICO_DatiPaese.Htm http://xoomer.Virgilio.It/esongi/maya.Htm
LA CUCINA La cucina messicana credo sia nota a tutti, data la diffusione in Italia nell’ultimo decennio. Si sa che è fatta di sapori robusti e piccanti, essendo nata dal mix di cibi consumati dai nativi prima dell’arrivo degli Europei e di cibi importati dagli spagnoli. L’Europa non conosceva i pomodori, il peperoncino, il tacchino, la vaniglia, il cacao, il mais; gli Indios non avevano mai visto polli, cavalli, pecore, mucche (quindi neppure i latticini), il frumento, le cipolle, l’aglio, gli agrumi. Da qui la fusione notevole di sapori e colori. C’è da dire inoltre che la cucina messicana, pur avendo piatti diffusi su tutto il territorio nazionale, ha anche una bella varietà di piatti tipici, caratteristici di ogni singolo Stato. Tutti conosciamo le TORTILLAS, ossia le sfoglie sottili di mais (raramente frumento) cotte alla piastra e usate per avvolgere altri cibi o per servire da accompagnamento, a mo’ di pane. Poi, le tortillas, a seconda del ripieno e/o cottura, prendono nomi diversi. Insomma è un bel casino e non sono neppure certa di avere capito tutto, comunque credo che (correggetemi se sbaglio): i TACOS son le classiche piccole tortillas cotte sulla piastra oppure fritte, farcite di carne, arrotolate e servite con le immancabili salse; i BURRITOS son ripiene con fagioli, carne, pollo conditi con salsa chile; le ENCHILADAS son simili ai burritos, sempre farcite di pollo e/o formaggio e poi fritte, ma immerse in una salsa, l’enchillada appunto; le QUESADILLAS sono tortillas imbottite con formaggio e passate alla griglia o fritte; l’ENFRIJOLADAS son tortillas leggermente fritte, piegate, ricoperte di salsa di fagioli. I fagioli messicani sono un altro elemento tipico della cucina. Sono davvero buoni e di decine di tipi. I FRIJOLES son fagioli fritti e serviti a purea, da accompagnare con pezzetti di tortillas fritte e croccanti. Si trovano in tantissimi piatti, a mo’ di contorno, così come l’ ARROZ A LA MEXICANA, il riso servito con piselli, carote e pomodori. Buone buone anche le FAJITAS, striscioline di pollo saltate in padella e messe nella tortilla. La cucina messicana è ricca di salse, quasi tutte piccantissime, da aggiungere a piacere sui piatti. Tra le più famose: il guacamole (polpa di avocado schiacciata con cipolla, chiles, limone e pomodoro), salsa cruda (verdura cruda a pezzettini), salsa de jitomate (salsa di pomodoro cotto), salsa de chilpotle (peperoncini affumicati in salsa di pomodoro).
Una cosa che invece i messicani mangiano la mattina sono le HUEVOS RANCHEROS, uova fritte con tortillas fritte, ricoperte con salsa di pomodoro; loro parenti sono le CHILAQUILES, pezzi di tortillas, salsa di pomodoro, cipolle e formaggio. La mattina, ma anche durante tutto il dì, i messicani consumano i TAMALES RANCHEROS, gnocchi di granoturco cotti a vapore, serviti con pollo, pomodori, olive, chile serrano, il tutto avvolto in cartoccio o foglie di banana. Tantissimi i venditori ambulanti che le vendono per strada. Molti altri, invece, vendono semplici pannocchie bollite. Un pranzo tipico messicano comincia sempre con la zuppa, di semplice verdura o arricchita con carne. La famosa sopa de limon, tipica di Merida (Yucatán) è una minestra di pollo cotta col limone.
Praticamente ovunque sono i chiles, i famosi peperoncini di ogni tipo e sapore che per i messicani sono una vera e propria ossessione, tanto da accompagnare anche frutta e cocco fresco! Anche le patate accompagnano quasi tutti i piatti messicani: sempre fritte a bastoncino (nei ristoranti) o a chips (venditori ambulanti su autobus e strade). I Messicani amano il fritto, non c’è dubbio: una cosa molto tipica è infatti la banana fritta, anch’essa venduta in cartoccini per la strada! Stranamente non abbiamo mai trovato il celeberrimo CHILE CON CARNE, sorta di stufato di manzo e fagioli rossi, molto piccante. Poi, ogni zona ha le sue specialità gastronomiche. Le regioni di mare offrono pesce delizioso (a detta di maritozzo): il ceviches è il pesce spada ripieno di cipolle rosse, succo di arance amare, sale e rafano; oppure solo marinato nel lime e servito con cipolle, aglio, chile e pomodori. Sul mare ottimi sono i crostacei: l’aragosta (langosta), le cozze (mejillones), vongole (almejas), gamberetti (camarones), astice (langostino) serviti alla griglia (a la plancia) o con salsa d’aglio (mojo de ajo).
Negli Stati del Nord si trovano i migliori formaggi, grazie anche all’elevato numero di mucche nei ranch.
La cucina oaxaqueña è invece una delle più particolari. Si diversifica per le sue salse piccanti e l’abbondanza di spezie di vario tipo. E’ famosa per il quesillo (tipo di formaggio a pasta filante ), i gustosissimi chorizos (salsiccine di maiale), i tamales avvolti in foglie di banano e una miriade di tipi di mole (piatto fatto in base al chile e il cioccolato), che comprende quello nero, giallo e rosso. Il più famoso è il nero, a base di banane, pepe, peperoncino, cannella, cacao, servita di solito col pollo. Ci sono pure piatti esotici molto apprezzati, quali le chapulines (grilli, cavallette), alla griglia o fritte: mangiate, una vera schifezza! A Puebla si mangia il famoso mole poblano, un piatto a base di carne (tacchino o pollo) con salsa al cacao e spezie. Piatto, che a mio parere è davvero tremendo, maròòòòòòòòò! I Messicani sono anche molto, molto golosi! A colazione divorano i bizcochos, biscottini, cuerno (crossant), orejas, chilindrinas, campechanas. C’è poi una città, Puebla, che dei suoi incredibili dolci colorati ha fatto un’arte, ma in generale tutto il paese stravede per lo zucchero, tanto da avere concentrazioni mai viste in nessuna altra parte del mondo di pasticcerie, gelateria, sorbetterie! Tra i dolci tipici: flan (creme caramel al forno), arroz de leche (riso con latte e cannella), cajeta (una sorta di latte condensato), pastel de queso (dolce al formaggio), churros (bastoncini di pastella fritta serviti con cioccolato caldo da bere).
Tanta la frutta: squisite le banane, dolcissimo il cocomero, il melone, l’uva, l’ananas, fichi d’india. Se piacciono, ottima la frutta esotica, come mango, papaia, anona (chirimoya) e sapotilla (chico capote). Sul mare anche cocco, servito fresco, quando ha la polpa ancora tenera tenera. Ma se si parla di Messico, si parla, ovviamente, anche di bevande. Appassionati di sapori dolci, i Messicani sono grandi consumatori di yogurt alla frutta da bere (in vendita ovunque), frullati (liquador) e refrescos (ossia bevande gasate, Coca Cola, Sprite e Fanta in testa, quest’ultima disponibile in sapori mai visti prima, come uva, fragola, tamarindo). Squisiti anche gli jugos de fruta, in versione nettare, oppure le aguas de fruta ( acqua e frutta frullata). Il caffè merita, benché sia solitamente servito in tazzona, stile americano: ha un aroma particolare, dolce e armonioso. Il caffè de olla è il caffè con cannella. Poco diffuso è il tè, mentre la cioccolata è la vera bevanda nazionale (birra a parte): è servita con vaniglia o cannella, calda o fredda.
A noi son piaciute molto anche le birre, leggere (quasi tutte sotto 4,5°) e non molto amare: Corona, Sol, Indio, Mdelo, Superior, Victoria, Dos Equis… Una bevanda tipica è la Michelada, preparata con birra, succo di limone e servita in bicchieri col l’orlo cosparso di sale. Impossibile non parlare dei due superalcolici nazionali: Tequila e Mezcal. La Tequila si ricava dall’agave tequilana (o agave blu). Vi sono quattro tipi di tequila riconosciuti: la tequila blanca, la tequila dorata, la tequila reposada e la tequila añejo, il più pregaiato (riposa a lungo in botti di rovere). Sicuramente in tanti conosceranno il rito della Tequila, anche se in realtà in Messico la si beve spesso liscia o solo con sale. Comunque: leccare il dorso della mano, spargere il sale sul dorso, leccare il sale, succhiare una fettina di lime, bere un sorso abbondante di tequila, leccare di nuovo il sale sulla mano.
L’altra bevanda famosa è il Mezcal, quella col “gusano”, vermetto-parassita della pianta, che viene imbottigliato a riprova della percentuale di alcool contenuta. Tequila e mezcal sono simili, ma non sono uguali. Vengono distillate da due differenti tipi di agave. E sono prodotte con un processo leggermente diverso. (Per saperne di più: www.Tastings.Com/spirits/tequila.Html, www.Tequilamescal.Com/infohome.Htm e www.Alcoholreviews.Com/SPIRITS/TequilaMezcalBasics.Shtml).
In particolare io ho amato il Rompope, un liquore a base di zabaione tipico della città di Puebla, e i cocktail, come la strafamosa Pina Colada (ananas, latte di cocco e rhum), nata secondo alcuni esperti nella Baya di California, ma diffusissima in tutto lo Yucatan. Buono anche il Margarita (tequila, cointreau e succo di lime), creato ad Acapulco, in onore di Margarita Sames, texana che viveva ad Acapulco negli anni 50. Eppure, bevande a parte, la cucina messicana non mi è piaciuta granché: l’ho trovata, come dire… “stufosa”, tanto che, quando ho potuto, ho preferito mangiare panini e pizza. E ora che sono di nuovo a casa mi godo di nuovo il pane e la pasta, una vera goduria. Mi mancano solo quei meravigliosi frullati, quello sì: erano una squisitezza, specie se assaporati sulla magnifica spiaggia bianca caraibica, lambita da palme e mare caldo. Di quella ho già tanta nostalgia.
DOCUMENTI Per i cittadini italiani è necessario il passaporto in corso di validità di 6 mesi. e in regola con le marche da bollo annuali, oltre ad una carta turistica che è consegnata in aereo, da compilare durante il volo, o all’arrivo in aeroporto, e da restituire all’uscita dal Paese.
Il visto non è necessario per i turisti la cui permanenza non superi i 90 gg. In questo caso viene rilasciata una “forma migratoria” detta “FMT”. Se la smarrite durante il viaggio, contattare il Consolato italiano o l’Ufficio Turistico Sectur (55-5252-0123) di Città del Messico. Esiste una tassa di soggiorno, normalmente inclusa nel costo del biglietto aereo (emesso in Italia); la sua sigla riportata sul biglietto è UK. Qualora tale imposta non fosse inclusa nel biglietto aereo, i turisti all’uscita dal Paese dovranno pagare 205 pesos. Esiste una tassa aeroportuale di circa 20 pesos. Per le modalità di pagamento va ritirato un formulario presso gli uffici aeroportuali di “Emigraciòn” e pagare presso lo sportello bancario dell’aeroporto. In caso di perdita della forma migratoria (FMT), non va pagata alcuna multa se sul biglietto aereo è presente la sigla UK, altrimenti si pagano 412 pesos. L’eventuale estensione del visto FMT prevede un costo di 205 pesos. Il visto è obbligatorio per tutte le altre categorie di visitatori (motivo di affari incluso) e deve essere richiesto presso le rappresentanze diplomatico-consolari del Messico (in Italia a Roma e a Milano).
N.B. Per i passeggeri che transitano dagli USA è necessario il nuovo passaporto a lettura ottica.
TASSE AEROPORTUALI Quelle italiane ed europee vengono incluse nel biglietto.
Esiste una tassa sui voli internazionali, in partenza per il Messico (circa US$ 25), di solito compresa nel prezzo del biglietto emesso in Italia.
Localmente occorre invece pagare le tasse aeroportuali sulle tratte interne e su quelle internazionali. Le tasse aeroportuali sono sempre da pagarsi in loco; in Messico 23 dollari per le partenze internazionali e 15 dollari + 5 di tasse per quelle nazionali.
FUSO ORARIO La differenza di fuso in Messico è sempre di -7 ore, anche quando in Italia è in vigore l’ora legale.
VALUTA E’ il Nuovo Peso messicano (“simboleggiato con NP). Il Peso Messicano è suddiviso in 100 Centavos. Il valore indicativo è di 0,084 centesimi per 1 Peso. Al momento del ns. Viaggio (agosto 2005 il cambio era: 1 Euro = 13 pesos) Non esistono restrizioni all’importazione di valute straniere. Nei principali alberghi e negozi sono accettate le carte di credito.
ELETTRICITÀ Alternata a 125 volts e la frequenza è di 60 Hz. Gli apparecchi europei devono essere quindi commutati acquistando in Italia adattatori a due lamelle piatte, di tipo americano. Occhio ai vs cellulari. Per alcune marche, es Nokia, occorre anche un trasformatore. CLIMA Durante la stagione delle piogge – da fine maggio a metà ottobre circa – le precipitazioni sono abbondanti in tutto il Paese.
Il mese di settembre è considerato il più a rischio per quanto riguarda gli uragani. Le zone solitamente colpite da tali fenomeni sono tutta la costa del Pacifico, il Golfo del Messico, la penisola dello Yucatan e, in generale, il sud-est del Paese. Il clima di Città del Messico, situata ad oltre 2200 metri sopra il livello del mare, è temperato con precipitazioni periodiche. L’altezza e l’alto tasso di inquinamento (soprattutto marzo-aprile-maggio) consigliano cautela a chi ha problemi cardiocircolatori e di respirazione. Durante i mesi che vanno da giugno a novembre, le giornate sono caratterizzate da mattinate soleggiate con progressivi annuvolamenti e temporali pomeridiani e serali. Per i restanti mesi dell’anno il clima si presenta estremamente secco. La temperatura massima nel periodo delle piogge e di 25°C, con elevatissima umidità (sensazione percepita: oltre 30°),per raggiungere poi nelle ore notturne un valore minimo che va dai 7 ai 10°C. Durante il periodo secco la temperatura supera abbondantemente i 30 ° C nelle ore più calde, mentre la notte si registra un forte sbalzo di temperatura con valori che possono raggiungere i 4-6°C.
VACCINAZIONI E SALUTE Non sono richieste vaccinazioni obbligatorie. Consultare con ampio anticipo l’infettivologo del Centro di Profilassi e Vaccinazioni Internazionali della vs. Città e chiedete informazioni sulle vaccinazioni consigliate. Esiste un modesto rischio malarico tanto sulla costa del Pacifico e su quella del Golfo. Per non parlare della dengue nelle zone costiere della costa del Pacifico (in particolare nella zona di Acapulco), per il quale purtroppo non esiste vaccino! Il pericolo più diffuso in Messico è però quello di contrarre amebe, epatiti e salmonelle, per non parlare dell’odiosa diarrea del viaggiatore, detta “la vendetta di Montezuma”, tutte causate dal consumo di alimenti (in particolare frutta, verdura e frutti di mare) lavati con acqua infetta.
Attenzione quindi! E’ doveroso seguire scrupolosamente le più elementari norme igieniche.
La migliore regola è quella del bolli, cuoci, sbuccia o lascia stare.
– Evitare gli alimenti crudi (carne cruda, pesce freddo, frutti di mare, verdure, etc. ..) ad eccezione della frutta che può essere pelata o sbucciata; evitare la frutta con la buccia non intatta; – consumare cibi cotti assicurandosi che siano ben cotti e appena preparati, poiché anche i cibi conservati parecchie ore a temperatura ambiente costituiscono una delle principali fonti di infezione alimentare; – evitare di comprare e consumare del pesce fresco di dubbia provenienza o da voi pescato; in certi paesi alcuni tipi di pesce o frutti di mare possono contenere delle tossine nonostante l’aspetto fresco ed invitante; – evitare il latte a meno che non sia bollito; – l’acqua dei rubinetti nei paesi in via di sviluppo è contaminata; farla bollire per almeno un minuto o disinfettarla con compresse di cloro; – evitare la maionese, i gelati, i dolci con la crema; – evitare bibite ghiacciate e ghiaccio; Bere solo acqua e bibite gassate sigillate, birra e vino imbottigliati. L’acqua in bottiglia (detta “agua purificada”) é una sicura scelta per chiunque. É venduta in tutti i negozi ed in varie marche ed é normalmente fornita dagli hotel.
Lavare sempre i denti con acqua imbottigliata! E’ utile premunirsi di antidiarroici contro eventuali disturbi gastro-intestinali, che possono essere abbastanza frequenti e di antibiotici a largo spettro, per ogni (triste) evenienza. Qualora comunque insorga diarrea, contrastare la disidratazione bevendo abbondantemente acqua con sali e zucchero.
Un’ottima idea consiste nell’assumere durante tutto il viaggio i fermenti lattici, sempre utili per aiutare il ns. Organismo ad abituarsi a nuovo clima e nuovi cibi. Portatevi anche i farmaci di uso personale! Attenzione all’aria condizionata. I pullman sono dotati di aria condizionata: fate attenzione ai colpi di freddo (alias diarrea e vomito!). Portatevi un pullover ed un foulard, per coprire pancino e collo.
Ogni volta che uscite in escursione, portate sempre con voi dell’acqua minerale in bottiglia e magari delle bustine di sali minerali, da sciogliere in caso di spossatezza o eccessiva perdita di liquidi: in particolare questa precauzione è utile per chi, come me, ha la pressione bassa.
Evitate di stare esposti al sole per lunghi periodi senza un copricapo e proteggetevi con occhiali da sole. Ricordate di portare con voi creme ad altissima protezione e rimedi per eventuali scottature. Ricordate infine di premunirvi contro le punture di insetti, utilizzando abiti coprenti e possibilmente chiari, non sgargianti, repellenti cutanei, insetticidi. Le strutture sanitarie pubbliche in gran parte non rispecchiano i livelli europei, mentre per quanto riguarda le private, alcune sono di buon livello ma estremamente costose. In Messico è estremamente importante stipulare una polizza assicurativa sanitaria.
COMPORTAMENTI e RISCHI DA EVITARE: (dal sito E’ bene limitarsi a viaggiare unicamente su autobus di prima categoria e adottare la massima prudenza nelle stazioni di sosta per il cambio di vettura. Precauzione fondamentale per chi viaggia in auto è quella di seguire le autostrade piuttosto che le strade secondarie e, soprattutto, non viaggiare mai di notte. Città del Messico: Si registra una diffusa microcriminalità ed in particolare si verificano furti con destrezza e rapine in tutti i luoghi di affollamento della città come i terminali di autobus, la metropolitana, le stazioni ed i mercati. Nella metropolitana di Città del Messico sono molto frequenti i casi di furti e scippi. Oltre ai valori, vengono solitamente rubati i passaporti.
L’uscita dei locali del centro storico, della “zona rosa” e della famosa “Plaza Garibaldi” sono luoghi dove spesso agiscono bande organizzate (sequestri, spesso a mano armata, anche a bordo dei taxi). E’ bene evitare di circolare a piedi nelle ore notturne ed in zone appartate e poco affollate e possibilmente non indossando gioielli e beni di lusso.
Per quanto riguarda i Taxi della capitale, sono molto frequenti le rapine a mano armata e, in alcuni casi, i sequestri di persona. ZONA COSTIERA DEL PACIFICO: assalti a scopo di rapina lungo le strade costiere del Pacifico, in particolare su quella che collega Acapulco a Puerto Escondido. A causa delle onde e della risacca del mare forte e ben diversa da quella del Mediterraneo, si raccomanda estrema cautela nel bagnarsi in tutte le principali località del Pacifico. Anche i nuotatori più esperti non devono sottovalutare le insidie e i pericoli dell’oceano che sono peculiari a tutto questo tratto di costa e, in particolar modo, nella zona di Puerto Escondido (dove sono deceduti PER annegamento o trascinati dalla forza delle onde numerosi turisti).
PENISOLA DELLO YUCATAN Soprattutto nel periodo estivo sono numerosi in tutte le località della costa caraibica casi di furti di denaro, documenti e biglietti aerei. CHIAPAS Sono state segnalate in passato rapine ai danni di stranieri o semplici richieste di “pedaggi” nell’attraversamento di comunità rurali, in special modo nelle aree più remote dove sono endemiche povertà, guerriglia e conflitti intercomunitari. E’ in ogni caso preferibile non avventurarsi fuori dalle strade statali. Si consigliano particolare attenzione e prudenza, soprattutto per i frequenti controlli ai quali gli stranieri vengono sottoposti da parte dei militari e delle autorità migratorie.
Si ricorda che la legislazione messicana è molto severa in materia di traffico di stupefacenti, essendo proibito l’uso personale. Anche il solo uso di droghe leggere o di funghi allucinogeni (Peyotes), molto diffusi in Messico, è considerato reato e si rischiano diversi anni di carcere. SHOPPING L’artigianato messicano è ricchissimo.
Merito della grande storia di questo paese, con le antiche civiltà e dell’influenza spagnola.
Le cose da acquistare praticamente infinite: cacao, ceramiche, oggetti in argento, amache, coperte coloratissime, abiti in cotone ricamato, cappelli di paglia (panama), oggetti in pietra dura, ossidiana, turchese, malachite, soprammobili e maschere in legno intarsiato, oggetti in latta, arazzi, tappeti, ambra, pelle e cuoio.
TELEFONO Per telefonare dal Messico all’Italia, comporre il prefisso internazionale 0039, il prefisso della città, comprensivo dello 0, il numero dell’abbonato. Per telefonare dall’Italia al Messico, comporre il prefisso internazionale 0052 In caso di telefonate effettuate dagli alberghi i costi saranno piuttosto elevati. I comuni cellulari non possono essere utilizzati in Messico, salvo quelli del tipo tribanda.
É possibile chiamare dalle cabine pubbliche della LADA in Italia acquistando le schede telefoniche LADATEL (LA DA sta per Larga Distancia, TEL è la compagnia telefonica messicana TELMEX), oppure usando l’utilissimo servizio ITALY DIRECT con le telefonate a carico (llamada por cobrar), componendo lo 01 800 123 02 39.
MANCE Le mance sono una consuetudine indispensabile per garantire un buon servizio. La mancia in Messico si chiama “propina” ed è una fondamentale fonte di guadagno per camerieri, facchini e baristi. Laddove non è inclusa occorre sempre lasciarla: partite avendo con vuoi una buona scorta di Dollari di piccolo taglio. Nei ristoranti e bar equivale a un 15% del conto.
INDIRIZZI UTILI: Ente Nazionale Messicano per il Turismo Via Barberini, 3 00187 Roma Tel. 064872182-064827160 Fax: 06483630 E-mail: italy@visitmexico.Com Sito Internet: www.Visitmexico.Com Consolati messicani in Italia: a Roma: Via Spallanzani, 16 – 00161 Roma –Tel. 06441151/0644251990 a Palermo: Via E. Amari, 40 – 90139 Palermo – Tel. 091587144 a Napoli: L.Go Sermoneta, 22 – 80123 Napoli – Tel. 0815751185 a Bologna: Via Solferino, 26 – 40123 Bologna – Tel. 0516447829 a Firenze: (On.) – Via Arte della Lana, 4 – 50123 Firenze – Tel. 055217831 a Torino (On.): Via S. Quintino, 32 – 10121 Torino – Tel. 011544811 a Venezia (Generale): Dorsoduro, 605 – 30123 Venezia – Tel. 0415237445 Ambasciata d’Italia a Città del Messico: Av. De las Palmas 1994 Lomas de Chapultepec Tel. +52 55 55963655 Fax 5967710, 5962472 E-mail: info@embitalia.Org.Mx Consolati onorari: CANCUN (circoscrizione: Stato di Quintana Roo, Campeche e Yucatan) Alcatraces n. 39 Super Manzana n. 22 Cancun, Q.Roo C.P. 77500 tel: 52 998 884 12 61 fax: 884.54.15 e-mail: conitaca@prodigy.Net.Mx
Vice Consolati Onorari: ACAPULCO (circoscrizione Stato di Guerrero) Gran Via Tropical n. 615 B Col. Las Americas Acapulco, Gro. C.P. 39390 – Messico Tel. (52744) 4812533 Fax.Idem Centralino del Centro de Convenzioni (52744) 4847152 int. 116 Informazioni (Ufficio Turismo Messicano): SECTUR Presidente Mazaryck 172 Colonia Polanco 11570 Mexico D.F. tel. 0052-55-52508555 fax 0052-55-52504406 e-mail: correspondencia@mexico-travel.Com Internet: http://www.Mexico-travel.Com