In Yucatan con un salto in Chiapas

Un tour fra siti archeologici, spiagge da sogno e natura incontaminata
Scritto da: FraRu
in yucatan con un salto in chiapas
Partenza il: 27/05/2016
Ritorno il: 09/06/2016
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Eccomi qua a descrivere quella che per me è stata un’esperienza unica alla luce del fatto che fino a ieri avevo girato in lungo in largo il nostro continente senza mai varcare le fatidiche colonne d’Ercole.

Pur avendo sempre felicemente optato per l’auto-organizzazione dei miei viaggi per l’occasione ho deciso di rivolgermi per la prima volta a un’agenzia in quanto inizialmente intimorito dall’immagine “pericolosa” del Messico che ci viene riportata dai media. Per quanto abbia ricevuto un servizio eccellente e non mi sia pentito della mia scelta posso comunque tranquillamente affermare che, almeno in Yucatan, non ho avuto alcuna percezione di insicurezza. La vacanza si è articolata in 7 giorni di tour organizzato e in 3 di soggiorno libero e anche in questo ultimo lasso di tempo abbiamo tranquillamente circolato in totale autonomia utilizzando corriere e colectivos, frequentando supermercati e percorrendo strade locali anche in ore serali.

Dopo un soggiorno di tre giorni a Miami presso un parente siamo quindi partiti dal locale aeroporto con direzione Cancun dove siamo giunti di buon mattino dopo due orette di volo. Compilato a bordo un documento doganale da rilasciare in aeroporto troviamo ad accoglierci un addetto del tour operator che ci accompagna in hotel. Cancun appare come una grande costellazione di alberghi, ristoranti e centri commerciali, un simil parco divertimenti che va vissuto come tale senza pretendere di trovarvi tracce del Messico vero. Le locali corriere sono abbastanza frequenti e mettono in comunicazione la zona hotelera con quella dei ristoranti e, soprattutto, con le spiagge più celebri tra cui spicca quella Playa Delfines caratterizzata dalla celebre scritta multicolore “Cancun” vicino alla quale troverete puntualmente file di turisti a caccia di una foto scontata.

Malgrado un clima incerto abbiamo trascorso il nostro primo pomeriggio messicano proprio su questa spiaggia concedendoci un doveroso battesimo nelle sue azzurrissime acque ed osservando divertiti la continua processione di uccelli marini dediti alle abitudinarie operazioni di pesca. Una cena frugale avrebbe concluso la nostra prima giornata in loco prima di vederci tuffare in un sonno ristoratore di vitale importanza considerando l’incombenza del tour “Terra Maya” che per i successivi sei giorni ci avrebbe immersi in un mondo per noi completamente nuovo.

1 GIORNO

Alle ore 8.30 siamo freschi e pimpanti all’ingresso dell’hotel dove dopo pochi minuti veniamo prelevati da un minibus in cui facciamo conoscenza con le due guide che ci accompagneranno nel tour. Dopo i convenevoli del caso scopriamo che il nostro gruppo sarà formato da altre cinque coppie di italiani, ma la vera sorpresa è che costoro sono tutti in viaggio di nozze lasciando a noi la palma di unica coppia non sposata della compagnia. Poco male, andare controcorrente non ci dispiace e questo racconto confermerà questo assunto.

Si parte subito col botto; la prima meta sarà Chichen Itza, località il cui nome in lingua Maya è traducibile come “bocca del pozzo degli Itza” che, essendo sovente afflitta della siccità, è permeata di riferimenti al culto del dio della pioggia “Chaac”. La guida parlante italiano, laureato in archeologia e dotato di una capacità espositiva notevole grazie al sapiente dosaggio tra nozionismo e humour, ci introduce prontamente nel mondo Maya, un mondo dove erano centrali l’astronomia ed il culto del sacrificio e dove le vicende dinastiche e mitologiche si fondono in un mix di truculenza e senso dell’onore. Il caldo è feroce, ma l’entusiasmo per trovarci al cospetto di una delle meraviglie del mondo, la piramide di Kukulkan, del primo di tanti campi di pelota che visiteremo e del misterioso Caracol, ingegnoso quanto misterioso osservatorio astronomico, ci anestetizza dalla canicola che ci cuocerà a fuoco neanche troppo lento per tutto l’arco del pomeriggio.

Chichen Itza sarà il sito più “turistico” tra tutti quelli previsti dal nostro itinerario. I venditori di souvenir sono infatti anche all’interno dell’area archeologica e sono adeguatamente allenati a riconoscere l’origine dei visitatori in modo dal settare per l’occasione la formulazione delle loro offerte. “Italiano? Freccia avvelenata per la suocera!” “Napolitano? Viva Higuain!”

Resistiamo alle tentazioni consumistiche confidando di acquistare ricordini altrove e dopo le canoniche foto dinanzi alle fauci di Kukulkan schizziamo via verso Merida per un salto temporale di qualche secolo che ci proietta nella dimensione dell’architettura coloniale.

La visita alla bella cattedrale ed al Palazzo del Governatore tinto di un riposante verde pistacchio e contenente una moltitudine di dipinti dedicati alla storia del luogo concludono la prima giornata di tour. In serata scorrazziamo liberi per la città superando in pochi minuti i timori del nostro approccio col Messico senza guide ed accompagnatori. Nei pressi della locale Università un sosia di Maradona che scopriremo essere un professore di matematica ci incoraggia a visitare anche parte dell’edificio. “Non ti voglio fregare italiano, entra con me!” Ci fidiamo e facciamo bene, in viaggio la diffidenza è utile, ma può anche far perdere delle ghiotte occasioni di scoperta.

2 GIORNO

Svegli di buon mattino, ma a ora da pascià considerando i ritmi dei giorni successivi, ci spostiamo a Uxmal. Di strada visitiamo la bottega di una sorta di cooperativa di artigiani maya sita su un belvedere da cui è possibile scorgere le piramidi del sito avvolte dalla foresta. Uno di loro ci mostra la sua attività da apicoltore rammaricandosi del fatto che il figlio non ha alcuna intenzione di seguirne le tracce: tutto il mondo è paese, a quanto pare, con le nobili arti dell’artigianato destinate a soccombere dinanzi alle generazioni affascinate dal terziario e dalla dittatura del touch screen.

Ci viene quindi mostrato un piccolo boschetto sede di riti sciamanici in cui pare si abbraccino degli alberi sacri per assorbirne i benefici flussi energetici. Pur credendo solo in parte a questa storia abbracciamo il maestoso tronco, acquistiamo una bella maschera Maya in stucco da affiggere alle pareti da salotto e dopo un’ultima foto su un trono sciamanico con tanto di scettro fallico, proseguiamo il viaggio verso Uxmal.

Le strade dello Yucatan non conoscono curve; la Carretera federal che percorre il perimetro della regione (che fondamentalmente è un promontorio) accarezzandone il cuore verde è quasi completamente dritta ed è l’unica strada a veloce scorrimento della zona. Curiosità: sapete che potete trovarvi degli attraversamenti aerei destinati alle scimmie? Rete sospesa a debita altezza tra un albero e l’altro ed il rischio di investimenti o di rallentamento del traffico è bello e scongiurato.

Giunti a destinazione viviamo la nostra seconda visita archeologica baciati molto passionalmente dal sole messicano. Uxmal ha un’architettura molto diversa da quella di Chichen Itza grazie al suo stile Puuc molto più elegante e baroccheggiante. La nostra guida ci introduce subito alla Piramide del nano indovino, raccontandoci la bizzarra storia alla base di questo nome, per poi mostrarci lo splendido cortile delle monache coi suoi fregi ancora perfettamente conservati. Conclusa la visita al sito ci dirigiamo quindi verso la splendida Campeche, città di mare che infatti ci accoglie con uno splendido tramonto e col profumo nel dedalo delle sue stradine della specialità tipica locale, il pan de cazon, pietanza a base di pesce che non assaggeremo, ma che riscuoterà un discreto successo tra i nostri compagni di viaggio.

Le strade della città vecchia offrono scenari e variazioni cromatiche molto più “messicani” rispetto alle località yucateche sfregiate dall’architettura dettata dal turismo di massa. Facciate gialle, azzurre e rosse si alternano senza soluzione di continuità nel percorso che dalla porta della città vecchia conduce alla piazza della cattedrale dove abbiamo la fortuna di assistere ad uno spettacolo di mariachi (che, per inciso, non sono propriamente tipici di questa zona) con una platea quasi completamente composta da gente del posto. Questo inatteso momento musicale nell’atto della “puesta del sol” costituirà uno dei momenti più affascinanti del nostro soggiorno messicano, forse proprio per il suo essere imprevisto, e pazienza se non riuscirò a risalire al titolo di quella canzone popolare per riascoltarla con un dispositivo elettronico.

3 GIORNO

Il trasferimento a Palenque dà il via alla fase più selvaggia del nostro viaggio. Dalle comode e dritte strade yucateche ci ritroveremo nell’arco di un paio d’ore sull’asfalto del Chiapas; prima di iniziare la descrizione di questa regione tanto turbolenta quanto vera va precisato che il Chiapas di confine è sicuramente più tranquillo per il turista rispetto a quello interno, per capirci quello di San Juan de Chamulas, Tuxtla Gutierrez e altre mete tanto amate dal turismo internazionale. La nostra guida, pur sottolineando l’assoluta bellezza di quei luoghi, ci narra infatti numerose vicende non propriamente edificanti ad essi connesse e in effetti poco più tardi saremmo venuti a conoscenza dell’avventura toccata quel giorno stesso a un bus di italiani fermati e taglieggiati da presunti guerriglieri locali, fenomeno a detta di alcuni tutt’altro che insolito da quelle parti.

Il nostro Chiapas si rivela invece scevro di brutte avventure e condensato di sensazioni intense quanto contrastanti. Le strade sono piene zeppe di dossi rallentatori e costeggiate da capanne con animali da cortile che razzolano a bordo strada. Sovente vi ritroviamo anche cartelli inneggianti a slogan politici che scopriremo essere connessi ad uno sciopero di insegnanti in atto da circa sei mesi che aveva paralizzato l’attività scolastica per la gioia di genitori che, per loro stessa ammissione, si ritrovavano un aiuto in più nelle faccende contadine. Più di una volta bambini dai tratti rigorosamente maya avvicinano il bus per tentare di vendere banane o ananas mentre in una sola occasione incappiamo in un posto di blocco non propriamente statale (potere del federalismo messicano) che però ci lascia andare senza alcun problema di sorta.

Giunti a Palenque prendiamo subito possesso dei nostri alloggi siti in un piccolo ecovillaggio alle porte della giungla e ci fiondiamo subito a visitare le rovine in compagnia dei canti degli uccelli, del periodico ruzzolio di manghi caduti dagli alberi e, soprattutto, dell’echeggiare interiore di un nome che è indissolubilmente legato a quel luogo: Pakal.

Per chi non fosse avvezzo alla storia Maya Pakal è quel sovrano nasuto di Palenque ritratto sulla lastra tombale resa ai più celebre per la teoria dell’astronauta, ergo quella secondo cui il soggetto ivi raffigurato sarebbe stato immortalato nell’atto di guidare un veicolo spaziale. Non abbiamo la fortuna di poter vedere questo pezzo di archeologia in quanto da tempo pare non sia visitabile al pubblico e ci accontentiamo, si fa per dire, di visitare la piramide di Pakal ed il resto del sito. Ci alimentiamo in itinere con frutta e banane per combattere le insidie del caldo e della stanchezza e ci lasciamo erudire dalla nostra guida sulle dinamiche dinastiche del luogo in cui spiccheranno personaggi come Scudo Giaguaro e Cinghiale Prezioso, nomi che testimoniano l’indissolubile legame tra religione e natura nella cultura Maya.

Tornando all’astronauta la nostra guida ci dirà di essere molto scettico su questa tesi propugnata tra gli altri da Erich Von Daniken, scrittore che lui definirà puntualmente “lo svizzero” con lo stesso fare derisorio destinato ai portatori della tesi del 21/12/2012 che però ringrazierà a nome dell’economia locale per aver dato linfa vitale ad un turismo yucateco mai tanto florido come negli ultimi anni.

In effetti il disegno presente sulla lastra è decisamente intrigante, ma pur credendo in molte delle teorie di Von Daniken ci ritroviamo nella fattispecie a concordare con lui sulla scarsa fondatezza di questa tesi. Dopo un’oretta passata percorrendo un tratto di giungla con lo stupore di chi non è abituato a quella vegetazione vedremo finalmente la nostra prima scimmia ed un ringraziamento a Pakal per questa piccola conquista si rivelerà a questo punto decisamente doveroso.

Ma sarà ancora più emozionante, al ritorno in albergo, scorgere nel cielo del tardo pomeriggio due pappagalli rossi che ci regalano una danza d’amore. Possiamo ammetterlo candidamente: i pappagalli fino ad allora li avevamo visti solo in gabbia o su un trespolo, motivo per cui anche un episodio apparentemente banale come questo ci ha offerto l’occasione di scoprire qualcosa di nuovo.

4 GIORNO

Natura pura. Sveglia alle 5 del mattino per immergerci nella giungla profonda di Yaxchilan, sito maya che sorge a pochi metri dalla frontiera guatemalteca. Di strada consumiamo una colazione tipica in un punto ristoro collocato in una capanna circondata dalla foresta che scopriremo essere gestito da un messicano figlio di austriaci pensionatosi da un’azienda di Guadalajara produttrice di Tequila.

Verso le 8 siamo sulle rive del fiume Usumacinta che percorriamo per circa 40 minuti in lancia col Guatemala alla nostra destra e il Messico alla nostra sinistra. Giunti a Yaxchilan viviamo forse il momento più suggestivo del nostro soggiorno con l’accoglienza delle scimmie urlatrici che, dalla riva guatemalteca, regalano una colonna sonora da brividi fino ad allora vista solo nei documentari. La visita a Yaxchilan è trekking puro scansando mangos caduti dagli alberi e radici insidiose, scorgendo animali in fuga dalla nostra invasione e scoprendo piante per noi ignote come il Chicle e il Mamey.

Le rovine dei palazzi locali sono in condizioni discrete grazie alla protezione della natura selvaggia e di turisti se ne vedono effettivamente pochi rispetto agli standard di Uxmal e Chichen Itza. La città ha conosciuto un periodo di grande prestigio nel periodo classico Maya in particolare sotto il regno di sovrani come “Scudo Giaguaro” ed “Uccello giaguaro” prima di essere improvvisamente abbandonata nel IX secolo come tutte le altre città Maya del circondario.

Inizialmente il cielo è parzialmente sereno e lasciamo piovere Autan per difenderci dalle fameliche zanzare centroamericane, ma alla fine piove sul serio anche se fortunatamente solo per pochi minuti. Di ritorno in lancia ci avviciniamo alla riva guatemalteca per salutare una famigliola di scimmie appollaiate su un albero. Foto e filmini in ossequio al nostro ruolo di compulsivi immagazzinatori di immagini non mancano, ma per qualche minuto riesco a godermi quell’istante di contemplazione naturalistica semplicemente fissando senza ausilio alcuno quella scena nella mia anima da viaggiatore.

Rientriamo in bus sfiniti, ma quando la guida ci propone un bagno fluviale alle cascate di Welib-Ha ritroviamo le forze necessarie per indossare i costumi da bagno e sfidare quelle acque torbide sotto un tetto di foglie e scimmie saltellanti. La sera avremo giusto il tempo di consumare la nostra cena prima di crollare in un sonno beatamente ristoratore; all’indomani ci riposeremo dalle fatiche odierne visitando due siti meno impegnativi e soprattutto meno lontani.

5 GIORNO

Bagagli al seguito ci dirigiamo a Chicanna, località praticamente immersa nel nulla ed ospitante un ecovillaggio in cui alloggeremo per i successivi due giorni. Di strada facciamo una breve sosta nella città di Escarcega dove acquistiamo banane fritte da sgranocchiare in bus, ascoltando gli interessanti discorsi della nostra guida che spaziano dal Messico antico a quello attuale, passando per la sua esperienza in Italia da studente di archeologia e per le tante vicende legate alla sua attività. Anche a Chicanna troviamo una fastidiosa pioggerella (è inizio giugno, mese in cui da queste parti iniziano le piogge) che non ci impedisce di vedere delle scimmie ragno appollaiate nei pressi dell’ingresso della zona archeologica. Chicanna è un sito piccolo, ma ricco di architetture interessanti, così come la vicina Balam-ku che visitiamo subito dopo. Rientriamo in ecovillaggio per pranzo per poi trascorrere il pomeriggio in piscina, ma siamo prontamente messi in fuga da un forte temporale che anticiperà la nostra riunione serale prevista per le 20.30 locali in sala tv. C’è la coppa America con Messico-Uruguay, che noi uomini della compagnia gusteremo in compagnia dei messicani con tanto di camiseta della nazionale acquistata a Campeche da me indossata per fare da mascotte. Il Messico vince ed andiamo tutti a letto contenti in vista di una nuova levataccia: 5 del mattino in modo da arrivare a Calakmul in tempo per scorgere qualche animale selvatico.

6 GIORNO

Colazione al sacco preparata dagli addetti dell’ecovillaggio: l’ora è infatti troppo spartana per consumarla in loco serviti e riveriti. Alle 7.00 siamo alla fine del mondo asfaltato, alle 7.10 montiamo a bordo di un furgoncino molto meno comodo del nostro e soprattutto con aria condizionata assassina per percorrere circa 50km di sterrato che ci separano dal sito. Il cambio veicolo è reso necessario dall’organizzazione “imposta” dalla gente del posto che per guadagnare dal turismo ha istituito un servizio taxi apposito per i visitatori. Poco male se non fosse per le ventate di aria gelida che tagliano la faccia malgrado la chiusura dei bocchettoni. La meta però si rivela all’altezza delle aspettative. Nel vialone che introduce al sito troviamo pavoni, tucani, uccelli con la coda e pendolo e scimmie. Mancano logicamente i giaguari, ma come osserva la nostra guida “essi ci guardano anche se noi non riusciamo a vederli”.

Calakmul è stata una delle città stato più potenti dell’impero Maya e la maestosità del sito non fa che testimoniarlo. Le piramidi sono enormi al punto che dalla sommità è possibile scorgere la vetta della piramide del sito guatemalteco di El Mirador distante circa 50km. Abbiamo scattato numerose foto ultrazoomate con l’intento di localizzare questo edificio, ma resteremo probabilmente col dubbio a vita dato che la visibilità non era nitidissima ed i punti deputati ad essere quelli da noi cercati si sono rivelati più d’uno. Anche Calakmul, come ogni sito maya che si rispetti, ha un campo di pelota, gioco tipico maya con connotazioni simboliche legate al trionfo del sole sulla notte, vera e propria ossessione per quel popolo, e la nostra guida decide di celebrare il nostro ultimo giorno insieme con una dimostrazione pratica. È così, sorridendo divertiti nel silenzio offerto da 100 e più km di distanza dal mondo civilizzato, ci congediamo da quella dimensione per apprestarci a vivere il doloroso giorno dei saluti.

7 GIORNO

Partiti ad ora comoda da Chicanna dopo un incontro con delle simpatiche volpi grigie ci prepariamo all’immersione nella parte forse meno bella del nostro Messico: quella hotelera della costa Maya così lontana dalla quiete che ci stavamo lasciando alle spalle.

Accarezziamo il confine col Belize dove ci rinfreschiamo nelle fresche acque di un grosso cenote all’aperto definito con uno slancio di fantasia “Cenote azul” e, dopo un pranzo celebrativo a base di pesce e un veloce transito alla Laguna Bacalar, purtroppo visibile solo di sguincio dato che il suo lato panoramico è costellato di residenze private, il minibus inizia la sua processione dinanzi ai residence per lasciare i nostri compagni di viaggio al resto del loro soggiorno.

Noi siamo gli ultimi del giro, destinazione Playa del Carmen, cittadina tanto celebrata quanto deludente a causa del suo essere interamente costruita attorno ad una strada piena zeppa di ristoranti e negozi di souvenir. I tre giorni residui che ci separeranno da ritorno in Italia regaleranno però ancora dei bei momenti se si esclude un febbrone preso a causa della su citata aria condizionata di Calakmul dominato solo grazie ad una massiccia dose di antipiretici.

Utilizzando i colectivos, furgoncini privati che scorazzano sulla carretera tra Playa e Tulum alla modica cifra di un paio di euro, dedichiamo i due giorni successivi alla visita di Tulum e Akumal.

Tulum ha un sito molto piccolo e molto turistico che offre però uno spettacolare panorama sul Golfo del Messico con tanto di minuscola spiaggetta ai piedi del sito e fotogeniche iguane che si lasciano simpaticamente fotografare anche a distanza ravvicinata. A un paio di km dall’area archeologica c’è la zona delle spiagge con la celebre Playa Paraiso che domina un litorale da molti definita come il migliore del Messico e in effetti molto attraente seppur a mio parere meno bello di quello di Akumal, da noi visitato all’indomani.

Qui ritroviamo una coppia di ragazzi piemontesi che facevano parte del nostro gruppo al tour e riusciamo a vedere le celebri tartarughe marine che, avvezze alla presenza umana, si lasciano tranquillamente avvicinare dai turisti, compresi quelli più molesti da cui noi prendiamo debitamente le distanze. Numerosi addetti provano a vendere tour con “tartaruga garantita”, ma con una maschera e un po’ di voglia di nuotare ne vedrete a bizzeffe senza sganciare un peso. La spiaggetta di Akumal si è rivelata a mio parere quella della Costa Maya più vicina alle atmosfere caraibiche al punto che siamo riusciti a toglierci lo sfizio di utilizzare una palma come ombrellone sorseggiando bibite alla frutta come nel più classico degli stereotipi vacanzieri.

La ciliegina da apporre sulla torta nel nostro ultimo giorno sarebbe stata l’escursione alla disabitata Isla de Contoy, paradiso naturalistico che avevamo ampiamente preferito alle turistiche Cozumel e Isla Mujeres, ma vuoi per il tempo incerto, vuoi per i postumi influenzali e per l’esoso costo dell’escursione (100$ cadauno) preferiamo chiudere con quello che comunque è un must per chi viene da queste parti, un classico cenote. Anche in questo caso decidiamo di depennare dalla nostra lista i più affollati cenotes prettamente turistici, che peraltro erano difficilmente raggiungibili con mezzi pubblici, scegliendone uno più piccolo, ma molto caratteristico, il “cenote cristalino” (non lontano da Akumal) dove accediamo per la modica cifra di circa 5 euro a testa per un bagno rinfrescante in compagnia di pesci gatto.

Cosa resta da fare prima di ripartire all’indomani per Roma via Charlotte? Ah già, vivere la commerciale Playa del Carmen per adempiere al malinconico rito degli acquisti per amici e familiari. Nell’affollata e rumorosa V avenida dove negozianti e promoter di escursioni vi chiameranno a ripetizione facendovi provare la spiacevole sensazione di essere vacche da mungere con uno zaino in groppa troverete souvenir di tutte le fogge, logicamente non a buon mercato e raramente rappresentativi del vero artigianato locale. Non che Playa del Carmen sia brutta, sia chiaro, ma per chi ama viaggiare in luoghi il meno possibile antropizzati in nome del verbo del turismo di massa questa località si rivelerà poco più che un ottima base di appoggio per lanciarsi alla scoperta di questa fetta di mondo capace di fondere storia e natura con una sapienza degna dei popoli che l’hanno fatta grande.

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