Non solo Angkor

Ciao a tutti i viaggiatori, mi chiamo Marco e lo scorso marzo sono stato in Cambogia insieme a Stefania, un viaggio indimenticabile che voglio condividere con tutti voi !! La Cambogia si è aperta da pochi anni al turismo dal momento che solo nel 1998 si sono esauriti gli ultimi focolai di guerra civile. Attualmente la maggioranza dei visitatori...
Scritto da: mapko64
non solo angkor
Partenza il: 08/03/2003
Ritorno il: 19/03/2003
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Ciao a tutti i viaggiatori, mi chiamo Marco e lo scorso marzo sono stato in Cambogia insieme a Stefania, un viaggio indimenticabile che voglio condividere con tutti voi !! La Cambogia si è aperta da pochi anni al turismo dal momento che solo nel 1998 si sono esauriti gli ultimi focolai di guerra civile. Attualmente la maggioranza dei visitatori si affida a tour organizzati visitando solo Phnon Penh e Angkor. Noi abbiamo optato invece per un viaggio integralmente “fai da te”, prenotando dall’Italia solo la prima notte a Phnom Penh e organizzando tutto il resto sul posto. Purtroppo avevamo a disposizione solo un decina di giorni e quindi ci siamo dovuti limitare alla parte centrale del paese. L’esperienza è stata del tutto positiva sia perché ci ha permesso un contatto molto maggiore con la realtà locale, sia perché il paese offre molte possibilità a chi viaggia per conto proprio. Per gli spostamenti non abbiamo mai avuto nessun problema: per le tratte più lunghe abbiamo utilizzato praticamente tutti i possibili mezzi, shared taxi, speed boat, minibus, moto, ecc. Mentre per le gite più brevi ci siamo affidati agli onnipresenti motorini con guidatore (salvo la splendida esperienza in bicicletta ad Angkor). Le nostre guide sono sempre state molto puntuali ed efficienti e nella maggioranza dei casi anche simpatiche e disponibili (l’unica eccezione è stata a Kratie). Prima di partire avevo letto che le strade della Cambogia sono considerate tra le peggiori dell’Asia per il loro stato disastroso, frutto di anni di guerra ed incuria. In alcuni casi la situazione si è rivelata tale, ma le cose stanno rapidamente cambiando e in altri casi i recenti lavori hanno ripristinato una situazione dignitosa (sorprende piuttosto vedere circolare moltissime auto senza targa !!). Anche per l’alloggio tutto è stato estremamente facile: ci siamo affidati alle numerose guesthouse, molto economiche ma sempre pulite e piacevoli.

Il viaggio si è svolto nella stagione secca e questo ci ha dato il notevole vantaggio di poterci muovere senza il problema della pioggia, anche se in questo periodo i paesaggi delle campagne sono molto diversi dall’immaginario dell’estremo oriente: la lunga assenza della pioggia li rende spesso brulli e polverosi, sicuramente meno belli che in altri periodi dell’anno. Una sorpresa della Cambogia rurale sono stati i villaggi, con le loro caratteristiche case a palafitta in legno, talvolta veramente incantevoli. Nelle città decenni di guerra hanno lasciato il segno e a volte le “attrattive” sono limitate agli edifici semidistrutti del passato. La “ragione” di un viaggio in Cambogia è la visita della stupefacente Angkor. Nonostante le letture preparatorie prima del viaggio, lo spettacolo dei templi mi ha colto di sorpresa lasciandomi senza fiato. Il loro numero è incredibile, la loro bellezza senza paragoni. Sono tante le immagini che mi si sono scolpite nella mente: gli alberi del Ta Prohm con le loro incredibili radici avvolte tra le rovine, gli splendidi bassorilievi di Banteay Srei simili ad intarsi nel legno, la maestosità di Angkor Wat con gli interminabili bassorilievi e le incantevoli apsara, le decine di volti enigmatici sulle torri del Bayon e tante altre ancora. A tutto ciò si deve aggiungere l’incanto del sito avvolto nella giungla. A parte gli splendori di Angkor alcuni dei momenti più piacevoli del viaggio sono stati quelli trascorsi insieme ai locali: il bagno nel fiume insieme ai bambini vicino Kampot e il viaggio in minibus verso Kompong Thom. Le chiacchierate con i vari moto-driver ci hanno permesso di farci un’idea sulla situazione del paese. Il passato recente della Cambogia è tremendo: quanto abbiamo visto nei killing fields e nel museo ospitato nella prigione S-21 mi ha veramente scosso, facendomi capire fino a quale punto possa arrivare la perfidia degli uomini. I cambogiani sembrano volere comunque guardare al futuro, dimenticando il passato (anche troppo in fretta visto che molti colpevoli dell’olocausto sono ancora vivi ed impuniti). Nell’estate del 2003 si terranno le libere elezioni, ma la democrazia e ancora giovane ed il partito del primo ministro Hu Sen fa il bello e cattivo tempo. Il paese è estremamente povero, ma in giro si vedono alcuni segnali incoraggianti: le scuole sono numerose e affollate, grazie ai finanziamenti esteri si effettuano le prime indispensabili opere pubbliche. La preoccupazione è naturalmente quella di un neo-colonialismo economico e di un paese nel quale la ricchezza sia in mano a poche persone. Ad Angkor ad esempio gli alberghi di lusso sono molto numerosi ma chissà quanti sono gestiti da ricchi uomini d’affari tailandesi mentre la povera gente vive in abitazioni veramente misere lungo il fiume. I cambogiani sono un popolo simpatico, mite e sempre sorridente, e non rimane quindi che augurargli per il futuro tutto il possibile bene (se lo sono proprio meritato !!).

Ed ora il diario di viaggio !!! Il viaggio è durato 12 giorni, con il seguente itinerario in terra cambogiana: Phonm Penh – Kampot – Phnom Penh –– Kratie – Kompong Cham – Kompong Thom – Seam Reap. Sabato 8 marzo / Domenica 9 marzo Partiamo da Roma nel primo pomeriggio con un volo della Thai Airways diretto a Bangkok e proveniente da Madrid. Viaggiamo di notte sorvolando la Turchia, le repubbliche caucasiche, l’Afghanistan ed il Pakistan per poi piegare verso sud solo all’altezza dell’India (la scelta della rotta è forse legata alla crisi irachena ?!).

Dopo 10 ore e mezzo di volo arriviamo a Bangkok alle sette del mattino ora locale (ci sono sei ore di fuso rispetto all’Italia). Un altro volo di un’ora ci porta finalmente a Phnom Penh. Abbiamo solo bagaglio a mano e quindi sbrighiamo rapidamente le formalità d’ingresso. Dall’Italia ho prenotato via Internet la prima notte alla River View Guesthouse e all’uscita dall’aeroporto ci aspettano (con un cartello con il mio nome) per condurci a destinazione. Il percorso in taxi ci fornisce la prima impressione della città: attraversiamo un ampio stradone contornato da splendidi alberi fioriti (sarà la realtà della città o la facciata per i turisti !?). La guesthouse si trova sul lungofiume, quasi di fronte all’attracco dei battelli. Al nostro arrivo sembrano tutti colti alla sprovvista: cercano di preparare in fretta e furia una stanza ma poi ripiegano per un’altra più panoramica con affaccio sul fiume. La camera è molto piccola, ma pulita e la vista dal balcone sul Tonle Sap River piacevole.E’ il nostro primo giorno in Cambogia e abbiamo in programma un giro a piedi per la città. Superato l’ufficio postale, ospitato in un edificio coloniale di inizio novecento, arriviamo al Wat Phnom, il monumento religioso più importante della città, situato su una bassa collina. Una leggenda racconta che la signora Penh trovò in questo posto alcune immagini di Budda; il santuario è stato costruito in ricordo di quell’evento che ha dato il nome alla città (Phnom Penh significa Collina di Penh). La collina, circondata da giardini, si trova in mezzo ad una piazza circolare ed è un luogo molto popolare tra i locali; un elefante è a disposizione di chi voglia divertirsi a farne il giro. Acquistato il biglietto d’ingresso per i turisti, affrontiamo la nostra prima scalinata con naga, il serpente sacro ai cambogiani. Le sue rappresentazioni sono molto frequenti e sono utilizzate in particolare come balaustre nelle scalinate dei monumenti religiosi: il corpo del serpente fa da “corrimano” e all’estremità si levano le sette teste rialzate del mitico rettile. In cima alla collina si trova una serie di edifici, tutti datati al secolo scorso (cioè al novecento): un santuario pieno di statue di Budda, uno stupa, un altare con una statua della signora Penh, oggetto di numerose offerte, e altri ancora. Nel santuario i locali si fanno predire il futuro infilando a caso un segnalibro in mezzo alle pagine di un libro a ventaglio fatto di foglie di palma. L’indovino dalla posizione in cui si apre il libro trae auspici per il futuro. Nel complesso si aggirano una serie di mendicanti, poveri mutilati vittime delle mine sparse per il paese, una visione estremamente triste che serve a ricordarci la tragedia di questo popolo.Lasciato Wat Phnom proseguiamo in una zona caratterizzata da alcuni edifici coloniali ricordo della dominazione francese, tra i quali spicca il lussuoso Hotel Le Royal, restaurato naturalmente in questi ultimi anni (originale l’atrio di accesso alle stanze, molto chic l’annesso bar che unisce elementi orientali e art-decò). Pieghiamo verso sud prendendo Monivong Boulevard in direzione del centro, caratterizzato da grossi viali alberati, e almeno in questa zona pulito e piacevole. Arriviamo al mercato centrale, Psar Thmei, ospitato in un gigantesco edificio. Il settore più pittoresco è come al solito quello alimentare, molto colorato; fa un caldo bestiale e molte donne si riposano sulle amache appese un po’ dappertutto. Arrivati nella sala centrale, coperta da una gigantesca cupola, cambiamo 50 dollari in Riel (ci saranno sufficienti fino alla fine del viaggio dato che i dollari sono accettati ovunque). Proseguiamo poi i nostri giri con il settore dedicato all’abbigliamento, pieno di sampot, le caratteristiche gonne colorate indossate dalle cambogiane. Lasciato il mercato, proseguiamo verso sud lungo Norodorm Boulevard. Il caldo si fa sempre più forte e, tenendo conto che veniamo dal nostro inverno, lo sbalzo termico si fa sentire (le mie mani sono gonfie come dei salsicciotti !!). Finalmente arriviamo al Museo Nazionale, situato in uno splendido edificio color ruggine dalla caratteristica architettura orientale. Al suo interno si trova la più importante collezione di arte khmer del mondo e appena entrati veniamo subito accolti da una gigantesca statua di Garuda con le ali spiegate, precedente all’anno mille. Iniziamo la visita con un vasto campionario di statuette di Budda, spesso rappresentato seduto come su un trono su un naga attorcigliato con le teste sollevate a fargli da schienale. Passiamo poi al periodo pre-angkoriano, nel quale si distinguono una serie di belle statue femminili e un gigantesco Vishnu di tre metri con otto braccia. Finalmente giungiamo alla sezione dedicata ad Angkor, organizzata in ordine cronologico. Tra le sculture del periodo “arcaico” apprezzo in particolare una rappresentazione della lotta corpo a corpo tra i due re scimmia Valin e Sugriva, ispirata da un episodio del Ramayana. I pezzi provenienti da Banteay Srei sono stupendi: spiccano il guardiano del tempio, Simha, rappresentato come un mostro accovacciato con gli occhi a palla ed un’impressionante dentatura, ed un immagine di Shiva seduto con la moglie Uma sulle ginocchia (privata della testa recentemente rubata). Il sorriso di Shiva e l’espressione feroce di Simha sono veramente fantastici !! Il pezzo più famoso del museo è una statua del re Jayavarman VII, rappresentato in meditazione seduto con le gambe incrociate, con un’espressione di grande pace e serenità interiore. Subito a fianco si trova una sua testa scolpita con un sorriso enigmatico che ci anticipa quanto vedremo nel Bayon. L’ultima sezione del museo è dedicata ai tempi più recenti e, tra i vari oggetti, colpisce per la sua ricchezza la cabina di una barca reale dell’ottocento. Terminata la visita ci ritempriamo un po’ sedendoci nel bel giardino del cortile centrale. Un breve tratto ci porta fino al complesso del Palazzo Reale e della Silver Pagoda. E’ domenica ed il posto è pieno di cambogiani in visita (sarà uno dei pochi luoghi visitati veramente affollato). Iniziamo il giro dal Palazzo Reale, anche oggi residenza di re Sianouk (l’accesso è quindi limitato ad una piccola parte). Visitiamo per prima la Sala del Trono (ci si può muovere solo nelle navate laterali e, dato anche l’affollamento, la visione non è facile). Tra i tanti edifici presenti si nota per la sua architettura occidentale completamente diversa, il padiglione in ghisa di Napoleone III, donato nell’ottocento al re della Cambogia dall’imperatore francese. L’interno, stracolmo di locali, è praticamente impossibile da visitare. Un recinto separa il complesso della Silver Pagoda da quello del Palazzo Reale. Gli edifici religiosi sono numerosissimi (è presente anche un modello di Angkor Wat) ma il più importante è sicuramente la Pagoda d’Argento. Il suo nome deriva dal fatto che il pavimento è interamente rivestito di piastrelle d’argento (ma se ne vede solo un settore perché il resto è nascosto da coperture di protezione); al suo interno sono ospitate una serie di preziosissime statue di Budda, costruite nei più disparati materiali (smeraldo, oro, argento, bronzo, ecc. Ecc.). Il muro di recinzione del complesso è interamente dipinto con storie tratte dal Ramayana, poema epico induista. Alcuni tratti sono molto rovinati, altri colorati e divertenti (con rappresentazioni di mostri e ripetute scene di eserciti di scimmie). Tutto sommato il complesso del Palazzo Reale e della Silver Pagoda sembra una copia in versione ridotta di quello di Bangkok. Le nostre forze ormai si sono esaurite e quindi non ci resta che tornare in direzione dell’albergo percorrendo il lungofiume, la strada più animata e cosmopolita della città, piena di locali e turisti. Gli internet point sono molto numerosi e scopriamo che è possibile chiamare in Italia tramite il computer: il costo è bassissimo ma la voce arriva a chi ascolta con alcuni secondi di ritardo, generando qualche problema nella conversazione !! Prima di tornare in albergo facciamo una pausa al Foreign Correspondence Club, famoso per essere stato il luogo di ritrovo dei cronisti stranieri durante la guerra, ai tempi dei khmer rossi. Ci sediamo al primo piano con affaccio sul lungofiume a guardare il passeggio. Un gruppo di cyclò è parcheggiato proprio davanti al locale e i guidatori cercano di convincerci a fare un giro una volta discesi. La birra dà un ulteriore contributo alla riduzione delle forze residue. Finalmente un altro tratto verso nord lungo il fiume ci riporta in albergo. Concludiamo la giornata cenando a base di pesce (gamberi preparati in vari modi con noodle) al Gold Fish, un ristorante vicino all’albergo affacciato proprio sul fiume.

Lunedì 10 marzo Il programma della mattina prevede il trasferimento a Kampot. Ci alziamo presto come faremo spesso in questo viaggio per sfruttare le ore fresche: alle sei e un quarto scendiamo nella hall ma troviamo solo alcune persone dell’albergo che hanno dormito sui tavoli e stanno per alzarsi. Non ci sembra il caso di chiedere se possiamo fare colazione (!!) e quindi ci facciamo portare in moto direttamente al mercato Psar Damkor, dove partono i taxi per Kampot. In questo viaggio ci siamo organizzati con un bagaglio molto leggero, ridotto all’osso, e quindi un unico motorino è sufficiente per entrambi. Arrivati al mercato il moto-driver ci aiuta nelle trattative con i tassisti che non parlano inglese. Vogliamo prendere uno shared-taxi, cioè un taxi condiviso con altri passeggeri, ed il prezzo è legato al numero di viaggiatori; alla fine ci accordiamo per 5 dollari a testa viaggiando sul sedile posteriore mentre una terza persona occupa il sedile anteriore (in questi taxi si può viaggiare fino in sei, due persone davanti e quattro dietro). Un viaggio di tre ore ci porta fino a Kampot. La strada è in condizioni discrete e l’autista guida come un pazzo scatenato suonando il clacson a tutto ciò che incontra. Siamo nella stagione secca e il paesaggio è molto diverso dall’immaginario classico dei paesi dell’estremo oriente: le campagne sono brulle e polverose. Attraversiamo numerosi paesi, incrociando frequenti cartelli di partiti politici (le prossime elezioni si terranno a luglio). Dopo un paio d’ore raccogliamo un altro passeggero, un tedesco con una “cospicua” barba. Ci racconta che proviene dal Vietnam ed è in viaggio da cinque mesi per tutto il sud-est asiatico (che invidia !!).Arrivati a Kampot ci facciamo lasciare in un hotel lungo la rotatoria principale della città. L’albergo di “stampo cinese” secondo Stefania, è abbastanza squallido ma la camera sarà la più lussuosa (aria condizionata e televisione satellitare) e costosa (12 dollari) del viaggio. Davanti all’albergo stazionano due moto driver che subito ci agganciano per conoscere i nostri programmi. Dopo le solite trattative ci accordiamo per una gita alla vicina città di Kep, pagando sei dollari a persona (questa volta ci trattiamo con le dovute comodità e prendiamo due moto, anche perché i moto-driver sono due e sarebbe difficile liberarsi di uno di loro !!). Le guide parlano bene inglese e ci fanno quindi anche da “ciceroni”. Arrivati a metà strada facciamo una breve deviazione per visitare un paio di grotte: la grotta dell’elefante bianco prende il nome da una formazione rocciosa che ricorda un elefante, mentre quella del pipistrello dai suoi rumorosi abitanti. Su una vicina collinetta visitiamo il solito Wat con scalinata fornita di balaustre con naga. Ripresa la strada per Kep passiamo per alcuni villaggi con belle case di legno. Questo tipo di abitazioni è una delle sorprese più piacevoli della Cambogia rurale: sono costruite interamente in legno, rialzate su palafitte per sfuggire agli allagamenti della stagione delle piogge. Lo spazio sotto la casa in questo periodo asciutto è utilizzato come una specie di ripostiglio, ammassandovi di tutto, e naturalmente per stendere le amache e starsene al fresco all’ombra (nella campagne in questo periodo i contadini non sembrano avere molto da fare !!). I villaggi, pure nella loro povertà e nella assenza di infrastrutture quali la corrente elettrica, sono molto dignitosi e le case talvolta veramente belle. Il quadro purtroppo però spesso è rovinato dalla spazzatura, dalle maledette buste di plastica che si trovano un po’ ovunque. Finalmente giungiamo a Kep, situata sul mare del golfo di Tailandia. Superato il mercato ci fermiamo ad una spiaggia, situata in un’ampia insenatura. Il posto non è certo da depliant per una vacanza nei mari tropicali ma è comunque abbastanza piacevole. Kampot è stata un’animata località di soggiorno balneare ma tutto ciò appartiene ormai al passato, a causa della guerra e della concorrenza di Sianoukville. Ci fermiamo sulla spiaggia per un po’ di sole ed un bagno nell’Oceano Indiano. La baia è chiusa da un lato da un promontorio su cui sorge una villa di Sianouk e dall’altro da un molo con la bianca statua di una donna nuda che scruta il mare in attesa del ritorno del marito. Si tratta di Yeah Mao, la cui storia è molto popolare da queste parti. Una passeggiata sul molo mi permette di assistere alle riprese di una qualche telenovela locale con due giovani attrici “tutte in tiro”. Tornato sulla spiaggia trovo Stefania che è stata “accalappiata” da un locale che tenta di proporle una gita all’isola del Coniglio, proprio di fronte a Kep. I paesaggi devono essere molto belli ma la zona è considerata ad alto rischio malarico !! Di fronte alla spiaggia si trovano alcune bancarelle “alimentari” e decidiamo quindi di approfittarne, gustandoci un ottimo pasto a base di grossi granchi e pesce alla griglia. Dopo pranzo proseguiamo l’esplorazione della zona, piena di scheletri di case distrutte dai khmer rossi. In particolare entriamo in un ex casinò, oggi pieno di spazzatura e circondato da un mercato, e ci fermiamo davanti ad una ex villa del re. Sulla strada di ritorno per Kampot abbiamo ancora modo di rivedere le splendide case in legno. I nostri autisti ci riaccompagnano in albergo e subito sorge una nuova trattativa per la gita al parco di Bokor che intendiamo fare il giorno dopo. Ci chiedono addirittura venti dollari a persona, adducendo che dovranno prendere delle moto più grosse, ed alla fine ci accordiamo per quindici. Dedichiamo il resto del tardo pomeriggio ad una passeggiata per la città. Le guide segnalano alcuni edifici coloniali ma in realtà tutto è abbastanza fatiscente e l’unico aspetto piacevole è la passeggiata lungo il fiume. Cena molto buona a base di pesce agrodolce e di maiale con ginger, nonostante siamo gli unici avventori del locale.

Martedì 11 marzo Alle otto del mattino le nostre guide si presentano puntualissime con due moto da cross. Prima di partire facciamo una puntata al mercato per fare un po’ di provviste alimentari dal momento che a Bokor non ci sono “punti ristoro”. Ci allontaniamo dalla città a tutta birra, grazie ai potenti mezzi a disposizione, raggiungendo l’ingresso del parco; subito dopo la strada prende a salire e peggiora notevolmente. Il viaggio non è certo il massimo del confort, a causa della scomoda posizione in sella alle moto da cross e ai continui sobbalzi per le buche. In compenso il paesaggio è molto bello: saliamo in mezzo ad una vera e propria giungla con alberi giganteschi. E’ proprio un peccato che il parco non sia attrezzato per essere visitato in libertà: anche a causa della presenza di mine, ci si deve limitare alla strada principale senza nessuna possibilità di trekking. La prima sosta è in prossimità dei resti di un ristorante, ridotto ad un ammasso di travi di legno. Finalmente arriviamo in vetta a 1000 metri di quota, dove sorgeva la stazione climatica di Bokor. Il paesaggio cambia completamente, la giungla scompare lasciando il posto ad un vasto pianoro affacciato sul golfo di Tailandia. La giornata purtroppo non è limpida e quindi il panorama è abbastanza limitato (le guide ci dicono che nei giorni sereni la vista spazia fino alla grande isola vietnamita di Phu Quoc). Per prima visitiamo una ex residenza del re, situata in una splendida posizione affacciata verso il mare. Un tratto in piano ci porta al cuore della vecchia stazione climatica, fondata dai francesi e abbandonata negli anni sessanta. Oggi “sopravvivono” solo una serie di edifici devastati. La zona è stata teatro di una lunga battaglia tra khmer rossi e vietnamiti; asserragliati nella chiesa e nell’albergo i due schieramenti si sono presi a lungo a cannonate. Iniziamo la visita dal casinò, per poi passare al Bokor Palace, l’albergo punta di diamante della stazione climatica per il suo lusso e la sua splendida vista panoramica. Le cose sono completamente cambiate rispetto al passato: la struttura in cemento armato degli edifici ha resistito anche alla guerra ma tutto è in rovina. A causa di un’alga le pareti hanno assunto un curioso colore rosso. Percorriamo gli ambienti del Bokor Palace passeggiando nella reception, nella vasta sala da ballo, nelle camere degli ospiti e negli ambienti di servizio, tutti completamente devastatati. Sembra un po’ di essere nell’albergo di Shining e ci si aspetta di vedere spuntare da un momento all’altro Jack Nicholson. Su molte pareti si vedono graffiti, spesso di belle donne, lasciati dai soldati durante la guerra. L’albergo doveva essere veramente splendido e la sua terrazza panoramica, affacciata sulla giungla e sul mare, teatro di chissà quali eventi mondani. Lasciato l’albergo passiamo, sull’altro lato del fronte di battaglia, alla chiesa cattolica anche questa completamente rossa per le alghe. Sulla collina retrostante ci sono ancora le strutture in ferro utilizzate per sistemare l’artiglieria. Il giro prosegue con la Pagoda delle Cinque Barche, così chiamata per le formazioni rocciose che la circondano. I “soliti” stupa e santuario sono stati da poco restaurati e la vista anche qui è molto bella. Un paio di monaci ci salutano con dei sorrisi. La visita “canonica” del parco proseguirebbe con le cascate di Popkvill ma siamo nella stagione secca e le guide ci convincono che non vale la pena fare la deviazione richiesta, mentre è preferibile tornare in pianura e andare al fiume. In realtà la guida di Stefania, il “capo” dei due, è un po’ un furbetto e chissà se ci avrà detto la verità !?. Torniamo quindi fino a Kampot (che male al sedere) per allontanarci di nuovo fino ad un’altra zona del parco, dove scorre il Teuch Chou River. Il posto è molto popolare tra i cambogiani: ci sono tutta una serie di tettoie con amache dove ci si può rilassare a pagamento. Noi ci sistemiamo invece direttamente su alcuni macigni in riva al fiume. Un gruppo di bambini fa il bagno, aiutandosi con dei gigantesche salvagenti (sembrano camere d’aria di pneumatici) e si diverte a giocare. Le bambine sono molto carine ma non vogliono assolutamente essere fotografate anche se si divertono a fare le “smorfiose”. Alcune donne sono alle prese con il bucato. Tutti quanti fanno il bagno completamente vestiti !! Dopo un po’ di tentennamenti mi decido anche io per il bagno (alla occidentale, cioè in costume !!) insieme alle due guide mentre Stefania si sbizzarrisce nelle foto dalle rocce. Arriva anche un vecchio con il bucato ed una vecchia radio dalla quale esce una musica gracchiante. Nascono delle discussioni accese e scherzose con le bambine (chissà cosa si diranno !?). Dopo un po’ una mamma sculaccia intensamente la figlioletta che piange disperata mentre le bambine uscite dall’acqua si asciugano rapidamente i vestiti (effettivamente con il clima tropicale facendo il bagno vestiti si risolve anche il problema di lavare gli indumenti che poi si asciugano subito !!). Risaliti nello spiazzo ci sediamo ad una bancarella per assaggiare uno strano frutto che si vede un po’ ovunque in Cambogia: ha le dimensioni di un nostro cocomero ma è tutto coperto di spunzoni. Il suo sapore molto dolce mi risulta gradito. La gita al fiume è stata veramente piacevole, un “bagno” nella vita locale cambogiana.

Tornati in città (lungo la strada incrociamo le bambine del bagno che ci salutano allegramente), superiamo una lunghissima colonna di studenti in bicicletta che escono dalla scuola (nel paese abbiamo visto molte scuole, diverse costruite con finanziamenti di privati giapponesi, e tutto ciò lascia ben sperare per il futuro). Giunti in albergo salutiamo le nostre efficienti guide, compagne di due giorni di viaggio. Per cena, date la scarsa scelta disponibile, optiamo nuovamente per il posto del giorno precedente. Appena seduti subiamo l’”assalto” di un locale, che ci aveva adocchiati già il giorno prima. Sta per aprire una sua guesthouse e può fornire tutti i possibili servizi (come illustra il volantino che ci fornisce). Ci prega quindi di fargli un po’ di pubblicità tornati in Italia (essere segnalato nella Lonely Planet sarebbe una “svolta” per lui) e, data la sua insistenza, finiamo per accettare la sua offerta di procurarci il taxi per Phnom Penh per il giorno dopo. Vorremmo partire molto presto ma ci spiega che è impossibile trovare altri passeggeri prima delle otto (sostiene anzi di averne già due per quell’ora ma si capisce chiaramente che è una balla !!).

Mercoledì 12 marzo Alle otto il taxi prenotato si presenta puntuale per prelevarci in albergo anche se il tizio del giorno prima non si vede. Ci rechiamo alla stazione dei bus per cercare altri passeggeri e compare il nostro “amico”. Dopo un po’ di tira e molla sul prezzo e sul numero di passeggeri partiamo in quattro, insieme ad una coppia di cambogiani. Paghiamo sei dollari a persona ma verremo accompagnati fino alla guesthouse di Phnom Penh.

Il tassista è un po’ più tranquillo di quello dell’andata, anche se corre notevolmente. Alle undici e mezzo arriviamo in albergo, dopo avere lasciato i due cambogiani in un quartiere di strade sterrate e case ad un piano (sospetto che “dietro” i viali principali della capitale ci sia tutta un’altra città !!). Ci sistemiamo nella stessa stanza delle prima notte e ci informiamo per avere una moto che ci porti fino ai killing fields. Nell’attesa ci sediamo comodamente sulle sedie di paglia della “reception”. Dopo un po’ si presenta un tizio con una sgargiante camicia di seta stile caraibico e un motorino abbastanza scassato. Non parla inglese ma risulterà comunque simpatico, accompagnandoci anche durante le visite nei vari posti. I killing fields si trovano una quindicina di chilometri a sud della città. Superato il Palazzo Reale proseguiamo passando davanti al monumento all’amicizia con il Vietnam, formato da gigantesche statue di soldati vietnamiti e contadini cambogiani, ricordo della liberazione dai khmer rossi, e al monumento all’Indipendenza, una specie di versione cambogiana dell’arco di trionfo parigino, situato in mezzo al traffico di una piazza circolare. Proseguiamo verso sud tra un gran numero di moto, lasciando poi la strada principale per una polverosa e malandata sterrata fino ai killing fields. Questo luogo è simile purtroppo a tanti altri scoperti in tutto il paese e usati dai khmer rossi come fosse comuni. Le povere vittime erano condotte fin qui dal carcere S-21 per essere uccise e sepolte. Negli ultimi tempi a causa della scarsità di mezzi le uccisioni avvenivano a bastonate !! A ricordo di questi tragici eventi sorge il Choeung Ek Memorial, un alto edificio dove sono sistemati su dei ripiani centinaia di teschi divisi per sesso e per età. I segni riportati fanno capire la triste sorte subita da questi poveretti, spesso segnati dalle bastonate con cui furono uccisi. Nel ripiano più basso si trova un gigantesco mucchio di vestiti recuperati dai cadaveri. Il posto è di una tristezza indescrivibile e volutamente una parte delle fosse comuni non è stata toccata. Un albero reca un cartello per ricordare che qui furono uccisi molti neonati, sbattendoli ripetutamente sul suo tronco.

Per completare la giornata dedicata alla triste storia della Cambogia, tornati in città, andiamo a visitare il Toul Sceng Genocide Museum, ospitato nel carcere S-21 dei khmer rossi. In questa prigione, ricavata da una scuola, sono passate circa 15.000 persone e solo sette sono sopravvissute, salvate dall’arrivo dei vietnamiti. Nel carcere era rinchiuso chiunque fosse sospettato di attività contro rivoluzionarie. Le prime stanze sono tremende: erano utilizzate per gli interrogatori sotto tortura e sulle pareti ci sono delle gigantografie delle foto di quanto trovarono i vietnamiti liberatori. Anche il resto della visita lascia il segno. I khmer rossi, nella loro follia sanguinaria, fotografavano tutti i prigionieri e documentavano ogni cosa che facevano. Sulle pareti sono appese le foto di centinaia di prigionieri; si vedono persone di tutte le età e le estrazioni sociali (compreso un australiano dal momento che i khmer rossi non risparmiarono nemmeno alcuni stranieri), alcuni con volti impressionanti per il terrore. Il pensiero della fine che tutti quanti hanno fatto è veramente agghiacciante. In una sezione del museo sono riportati dei dipinti, realizzati da un pittore tra i pochi sopravvissuti, e raffiguranti “scene di vita” nel carcere. Saliti al piano superiore assistiamo ad una proiezione di circa un’ora. L’inglese non sempre è perfettamente comprensibile ma il video aiuta comunque a farsi un’idea della tragedia. Il filmato racconta, sullo sfondo delle vicende storiche, la storia di una coppia vittima dei khmer rossi, nonostante lui fosse uno dei membri del partito (le purghe erano una costante del regime). I colpevoli di questo genocidio (addirittura anche il macellaio direttore del carcere) sono ancora impuniti ed i cambogiani hanno uno strano rapporto, quasi timoroso, con il loro passato. E’ strano per esempio vedere nel filmato il pittore sopravvissuto ed uno dei carcerieri raccontare insieme le vicende passate. In questi anni ci sono state lunghe discussioni tra l’ONU ed il governo cambogiano per l’istituzione di un processo e sembra che proprio nei giorni del nostro viaggio si stia finalmente giunti ad un accordo. Terminato il filmato, mi infilo nell’edificio principale della prigione (sarebbe chiuso per lavori), visitando le celle al primo piano e quelle in legno al secondo. I balconi corridoio hanno ancora il filo spinato messo per impedire ai prigionieri di suicidarsi gettandosi di sotto. Scossi da quanto visto lasciamo il museo e ci rechiamo al vicino Psar Toul Tom Poung, noto come il mercato russo. Questo mercato è considerato uno dei posti migliori per fare acquisti in Cambogia ma noi ci limitiamo ad un paio di statuine (Budda e Ganesh) e ad un campanaccio di legno.Tornati in centro ci facciamo lasciare sul lungofiume per una passeggiata, salutando il nostro driver che sembra molto contento degli otto dollari intascati. Solita puntata ad un Internet Point per le telefonate e un po’ di navigazione. Il lungofiume è animatissimo; mentre sono seduto su un muretto, in attesa che Stefania invii le sue e-mail, si avvicina strisciando un mendicante senza gambe, a ricordo che i problemi del paese non appartengono solo al passato. Sulla strada di ritorno verso l’albergo incontriamo l’elefante di Wat Penh che torna a “casa” in mezzo al traffico. Cena indiana piccantissima in albergo (Stefania si gode un buon lassie).

Giovedì 13 marzo Il traghetto per Kratie, la nostra prossima meta, parte alle sette e mezzora prima siamo al molo d’imbarco, situato proprio davanti all’albergo, per comprare i biglietti. L’imbarcazione è uno speed boat dalla forma stretta e lunga. Sotto coperta c’è un unico ambiente con due lunghe file di sedili separate da uno stretto corridoio; l’aria condizionata è a palla e la televisione trasmette karaoke a volontà !! Insieme agli altri pochi stranieri ci sistemiamo quindi sul tetto, seguendo i consigli della Lonely Planet (se mai il traghetto dovesse ribaltarsi sarebbe dura venire fuori da sotto coperta !!). Il traghetto è affollatissimo e viene caricato di tutto, compresi una serie di motorini sistemati anche loro sul tetto. Alle sette puntuali si parte; procedendo verso sud lungo il Tonle Sap River abbiamo modo di rivedere il lungofiume di Phnom Penh con il complesso Reale e la Silver Pagoda. Un po’ più a sud il fiume confluisce nel Mekong e viriamo decisamente a sinistra in direzione nord. Il Mekong è veramente maestoso: siamo nella stagione secca ma ciò nonostante il fiume è immenso. Durante la stagione delle pioggia il volume delle acque è tale da risalire il Tonle Sap, fino all’omonimo lago e allagare vastissime regioni (il ritorno della corrente nel “verso normale” viene celebrato a novembre con grandi feste). Durante la navigazione lo speed boat viaggia alternativamente vicino alle due rive e quindi abbiamo modo di vedere alcuni villaggi, con povere case in legno a palafitta. Alle fermate salgono alcune venditrici; da una acquisto delle specie di fagottini fritti ripieni molto buoni. Verso le dieci arriviamo a Kompong Cham, dominata dal ponte recentemente costruito con finanziamenti giapponesi. Continuiamo la navigazione verso nord. Le fermata nei villaggi si succedono. Ogni tanto incrociamo qualche imbarcazione, alcune barche di legno di pescatori veramente malridotte e una specie di traghetto merci pieni di ogni cosa, compresi mini altari con Budda !! La navigazione è molto bella, e la stagione asciutta ci consente di goderci lo spettacolo del fiume all’aperto, anche se alla fine saremo cotti dal sole !! All’una, con circa un’ora di ritardo, finalmente arriviamo a Kratie. Appena scesi veniamo assaliti dai procacciatori di pensioni ma resistiamo alle numerose offerte; decisi a seguire i consigli della Lonely Planet, puntiamo infatti alla Star Guesthouse nella piazza del mercato. Lasciato il bagaglio in stanza ci accordiamo per una gita in motorino nei dintorni. Ci viene fatta addirittura una ricevuta con tanto di programma scritto: visita di un villaggio, della pagoda di Phnom Sambok e gita in barca per ammirare i delfini dell’Irrawaddy. Dopo un po’ si presentano i due moto driver; il “capo” ha la faccia da bambino ma in realtà si rivelerà un gran furbone. Lasciamo Kratie diretti verso nord e facciamo una prima sosta in mezzo a coltivazioni di canna da zucchero. Le guide ci tagliano e puliscono una canna e ce la fanno assaggiare (è molto coriacea e si mangia a morsi). Proseguiamo ancora verso nord costeggiando il Mekong. Passiamo per una serie di villaggi con splendide case in legno su palafitte, le più belle viste in tutta la Cambogia, fino a Phnom Sambok. Su una collina, con bella vista sul fiume, sorge la solita serie di edifici religiosi. In questa stagione le campagne sono brulle per la lunga assenza di pioggia e sicuramente nella stagione umida la vista deve essere molto più bella. Nel santuario principale un ciclo di affreschi rappresenta le pene dell’inferno che aspettano i peccatori (tutto il mondo è paese !!). Dentro una piccola cappella vediamo i resti di una statua di Budda, ridotta dai khmer rossi ad una specie di scheletro; in un altro edificio i locali adorano un statua di un bue sacro. Proseguendo lungo il Mekong arriviamo alla località di Kampie, famosa per la possibilità di avvistare una rara specie di delfini di acqua dolce, i delfini dell’Irrawaddy. Saliamo su una barca guidata da un vecchio dall’espressione simpatica (non parla inglese) e ci allontaniamo un po’ dalla riva. Immediatamente scorgiamo i delfini che periodicamente spuntano dall’acqua per respirare. E’ veramente strano vedere dei delfini in un fiume; la specie è a rischio di estinzione e questa è una delle poche zone in cui è ancora possibile avvistarli. Sono proprio buffi, privi del “naso” a punta dei loro fratelli marini. Il vecchio spegne il motore e andiamo placidamente alla deriva nella corrente, godendoci in silenzio lo spettacolo del fiume in un’atmosfera di grande suggestione. Tornati a riva lasciamo una mancia al nostro “marinaio” che ci ringrazia calorosamente (il suo compenso in realtà è compreso in quanto abbiamo pagato alla guesthouse ma sicuramente consisterà in pochi spiccioli). Risaliti sulle moto torniamo verso sud ripercorrendo la strada lungo il Mekong. A questo punto mi aspetterei di visitare il “famoso” villaggio incluso nel “contratto”, ma arrivati quasi in città chiedo spiegazioni e mi viene detto che la “visita” del villaggio è stata già effettuata (era la fermata per la canna da zucchero !!). A completare il quadro sulle nostre guide, ci offrono di accompagnarci al molo per comprare i biglietti del traghetto per il giorno dopo e il “bambino furbo” cerca di farci pagare un dollaro in più del prezzo stabilito. La Star Guesthouse ha avuto un grosso successo e i suoi gestori sembrano preoccupati ormai solo di fare soldi senza un minimo di cordialità, per non parlare dei “collaboratori esterni” … In questo caso sarebbe stato meglio affidarci ad un moto-driver qualsiasi e seguire il consiglio di uno dei procacciatori che ci aveva proposto un albergo molto bello sul lungofiume di recente apertura. Salutate comunque le nostre guide, prima di tornare in albergo, decidiamo di fare una passeggiata per Kratie. Procediamo verso nord per una strada parallela al lungofiume fino ad una zona con belle case in legno. Torniamo poi indietro sul lungofiume godendoci il tramonto con il sole che scompare dietro la riva di fronte. Dopo una doccia ristoratrice in albergo, ceniamo alle bancarelle sul lungofiume. Ci sediamo in una prima bancarella per una zuppa di riso con pollo e passiamo poi ad una seconda per dei noodle con maiale. Al nostro tavolo arriva una famiglia locale, papà con 4 bambini, e tutti quanti prendono una specie di gelato in una ciotola. Ci divertiamo a familiarizzare a gesti con i simpatici bimbi. Finito il gelato salgono tutti e cinque sul motorino di famiglia e se ne vanno !! Venerdì 14 marzo Alle sette ripartiamo nuovamente con lo speed boat, meno affollato del giorno prima, ripetendo il percorso dell’andata fino a Kompong Cham. Durante la navigazione notiamo un paio di caratteristici villaggi galleggianti: le capanne di legno si trovano proprio in mezzo all’acqua. Alle dieci e mezzo siamo a Kompong Cham. Il nostro programma della giornata prevede una rapida visita della città e dei dintorni, per poi trasferirci a Kompong Thom. Superato quindi l’assalto dei “procacciatori” di taxi appena scesi dal molo, ci rechiamo ad una guesthouse, segnalata dalle guide per la cordialità dei suoi gestori. L’idea è di appoggiare qui i bagagli e fare il solito giro in motorino della città. Il proprietario in effetti è molto gentile; sopraggiungono un paio di moto driver e ci accordiamo direttamente con loro, appoggiando gli zaini in un’altra guesthouse subito a fianco. Le due guide sono molto simpatiche e in gamba; parlano un ottimo inglese e si riveleranno le migliori del viaggio. Alla periferia della città visitiamo Wat Nokor, il nostro primo tempio di età angkoriana. Le rovine sono piccole rispetto a quelle di Angkor ma non sapendo ancora cosa ci aspetta le apprezziamo molto !! Alcuni bassorilievi con le apsara, le danzatrici divine, sono molto belli. Nel santuario centrale i cambogiani hanno aggiunto una costruzione moderna molto kitch, come spesso accade in oriente, e l’effetto è abbastanza strano (i “puristi” storceranno sicuramente il muso !!). Proseguiamo il giro allontanandoci di una decina di chilometri dalla città fino alle colline di Phnom Bros e Phnom Srei. Situate una di fronte all’altra, ospitano due complessi religiosi, costruiti secondo una leggenda in una sorta di competizione tra uomini e donne. La solita lunga scalinata con naga ci porta in cima a Phnom Srei. Il panorama è ampio, ma la stagione secca ce lo fa apprezzare di meno. La nostra guida ci fa una lunga disquisizione sull’attuale situazione della Cambogia. Il prossimo luglio si terranno le elezioni ed il nostro “cicerone” è schierato con il partito di Sam Rainsy, l’unico veramente interessato alla sorte della popolazione; la Cambogia, ci spiega, è un paese molto povero, nel quale chi è povero lo è veramente mentre chi è ricco se la spassa. L’attuale gruppo dirigente, legato al primo ministro Hu Sen, controlla il paese (grazie per esempio al possesso totale dell’informazione televisiva !!) e non fa certo gli interessi del popolo. La corruzione è dilagante e la vita politica molto pericolosa (durante l’attuale campagna elettorale alcuni rappresentanti del partito di Sam Rainsy sono stati assassinati). La discussione si sposta poi sul passato: la guida ci dà la sua interpretazione della follia dei khmer rossi. A suo parere il loro obbiettivo era quello di sterminare il popolo cambogiano e fare colonizzare il paese dai cinesi !! I discorsi sono molto interessanti e ci aiutano a capire cosa “bolle in pentola” nel paese. Mentre concludiamo la visita, tra le statue di Budda del santuario centrale spunta un gattino. Passiamo poi alla seconda collina, Phnom Bros, accompagnati dall’altra guida. Sulle sue pendici si trova una colonia di scimmie, una volta molto più numerose (molto sono state vendute ai vietnamiti che a quanto pare amano mangiarne in particolare il cervello !!). In cima si trova un grosso santuario ed altri moderni edifici religiosi. Ridiscesa la collina abbiamo modo di dare un’occhiata ad un grosso Budda costruito di recente grazie ai finanziamenti del primo ministro. Il caldo è notevole e quindi, prima di ripartire, ci rilassiamo ad una bancarella assaggiando il frutto del loto: da una specie di campana verde si estraggono i semi da mangiare, simili nell’aspetto ai nostri fagioli. Tornati in città ci facciamo accompagnare alla stazione dei bus per procurarci un mezzo fino a Kompong Thom, la nostra prossima tappa. Ci accordiamo rapidamente per viaggiare insieme ai locali in un affollato minibus. Torniamo quindi alla guesthouse per recuperare i bagagli e, salutati i nostri simpatici moto driver, lasciamo Kompong Cham. Finalmente viaggiamo come “veri” cambogiani, in un affollato minibus pieno di famiglie con bambini. Stefania ha portato dall’Italia una serie di regali per i bambini e quindi ne distribuiamo un po’ tra i nostri compagni di viaggio; particolare successo riscuotono un pinocchio con il naso che si illumina e un pupazzo che si agita tutto tirando un cordoncino. I regali sono per i bambini ma la moglie dell’autista, una marpiona, si “impossessa” di uno dei più belli, una lunga penna rosa con specchietto e spazzola !! I nostri compagni di viaggio apprezzano molto il gesto e per ricambiare ci offrono da mangiare, ma noi decliniamo l’invito. Percorriamo l’ottima strada per Phnom Penh fino a Skone, dove arriviamo dopo un’oretta. Durante la sosta salgono altri passeggeri. La città è famosa perché i suoi abitanti hanno una passione gastronomica veramente particolare: amano mangiare fritti giganteschi ragni pelosi !! Lasciamo Skone prendendo la strada che collega Phnom Penh a Seam Reap. Le sue condizioni in questo tratto sono pessime, un susseguirsi ininterrotto di buche. Probabilmente la situazione cambierà a breve in quanto fervono i lavori di ristrutturazione. Dopo due ore finalmente arriviamo alla nostra meta finale, Kompong Thom. Ci sistemiamo in una guesthouse ospitata in un edificio di legno molto carino. La camera è veramente minuscola e senza bagno e ci costa solo 10.000 riel. Sono le tre e mezzo e il tempo a disposizione per visitare il complesso religioso di Pnom Suntuk, ad una ventina di chilometri dalla città non è molto. Come al solito ci accordiamo con due moto driver e partiamo ripercorrendo la strada proveniente da Skone, in mezzo ad un unico gigantesco polverone !! Dopo un’oretta siamo a Pnom Suntuk. Una scalinata di 980 gradini porta in cima alla collina dove si trovano i santuari. Le due balaustre sono formate dai soliti naga sorretti da un lato da demoni e dall’altro da dei. Il complesso è molto popolare tra i cambogiani ma data l’ora siamo gli unici visitatori. Iniziamo la lunga ascesa e subito due ragazzine prendono a seguirci, sventolandoci con dei ventagli. Vista la sudataccia apprezziamo la loro buona volontà per darci un po’ di sollievo. A metà salita ci fermiamo per un’occhiata al vasto panorama ed una foto con le ragazzine. La mia insiste a sventolarmi e per scherzare mi faccio dare il ventaglio iniziando io a sventolare lei, tutta sudata; sembra molto stupita tanto che subito vuole ristabilire i “ruoli corretti” !! Finalmente esausti arriviamo in cima. Il luogo con i suoi vari edifici religiosi è molto piacevole, frequentato a quest’ora solo da qualche monaco e gruppi di bambini. Sui fianchi rocciosi della collina sono scolpiti una serie di grossi Budda distesi, molto suggestivi così immersi nella natura. Ripresa la scalinata, una vera pacchia in discesa, torniamo alla base della collina dove salutiamo le due ragazzine, lasciandole naturalmente una meritata mancia vista la faticaccia (purtroppo non abbiamo portato con noi la busta regali !!).Tornati a Kompong Thom ci accordiamo con i nostri moto driver per la gita della mattina successiva al sito archeologico di Sambor Prei Kuk. Dopo una buona cena facciamo una brevissima passeggiata; Kompong Thom non offre molte attrattive, è una cittadina molto piccola ed anche la strada principale non è asfaltata e piena di polvere. Con un notevole atto di coraggio, assaggio ad una bancarella una specie di gelato, molto popolare tra i locali. Nonostante l’abbondante presenza di ghiaccio non ci saranno conseguenze sul mio ciclo digestivo !! Sabato 15 marzo Il sito archeologico di Sambor Prei Kuk dista da Kompong Thom una trentina di chilometri ma la strada è una vera pacchia dopo l’esperienza del giorno passato. Attraversiamo di nuovo la campagna cambogiana, passando per una serie di piccoli villaggi con le solite case in legno. Dopo un’ora arriviamo a destinazione e, pagato l’ingresso, entriamo nel sito, considerato il più importante in Cambogia relativo al periodo pre-angkoriano (i templi furono costruiti intorno al 600 d.C.). Iniziamo il giro dal gruppo sud, Prasat Neak Pean: un recinto racchiude un’area rettangolare nella quale sorgono due file di torri ottagonali, con al centro un prasat, torre santuario, e un piccolo edificio dedicato al bue sacro Nandi. Gli scarsi resti dell’ingresso del recinto sono completamente avvolti da un grosso albero. Gli edifici in laterite presentano su ciascun lato una porta (tre però sono finte porte) e sono decorati da bassorilievi con raffigurazioni di curiosi “palazzi volanti”, specie di padiglioni nei quali siedono le divinità. In moto ci spostiamo all’isolato Prasat Trabeang Rupeak e mentre gli giriamo intorno vediamo spuntare tra i sassi un grosso serpente. Nel gruppo centrale è sopravvissuta, molto rovinata, solo la torre santuario principale, ricoperta per metà da un gigantesco albero di fico. Una liana pende dall’albero formando un’altalena perfetta e non posso resistere alla tentazione di dondolarmi un po’. Una coppia di splendide statue di leoni fiancheggia ancora l’ingresso della torre.Un nuovo tratto in moto ci porta al gruppo nord, Prasat Sambor Prei Kuk, anche questo costruito in mattoni di laterite. Il santuario centrale è molto rovinato (presenta la caratteristica forma a quinconce con quattro torri agli angoli ed una centrale). Meglio conservate sono le quattro torri allineate ad ovest, con uno splendido bassorilievo di un palazzo volante. Terminiamo il giro con l’isolata torre di Ashram Issey, per poi ristorarci ad una bancarella con il solito cocco. Per tornare a Kompong Thom ripercorriamo la strada dell’andata, godendo nuovamente l’attraversamento di bei villaggi immersi in una vegetazione di palme e banani. Recuperato il bagaglio nella guesthouse, ci facciamo lasciare alla stazione dei bus, dove ci accordiamo per prendere uno shared taxi fino a Seam Reap. Sul sedile posteriore siamo in sei, insieme ad una famiglia cambogiana benestante. Mamma e papà tengono i bambini in braccio e si tengono belli larghi stringendoci per bene. Fa un po’ impressione vederli così ben vestiti in confronto ai nostri compagni di viaggio del minibus del giorno prima. Viaggiamo per un’ora su una strada in buone condizioni, per poi fermarci in un paese per la “pausa pranzo” in un ristorante (buoni i noodle e il riso con verdure e maiale). Ripreso il cammino la strada diventa un disastro. Dopo altre due ore, alle due del pomeriggio, finalmente arriviamo a Seam Peap. Ci facciamo lasciare a Wat Bo Street, piena di pensioni e ci sistemiamo alla Mahogany Guesthouse dove trascorreremo tre notti. L’edificio in legno è molto carino e le camere al primo piano, precedute da un bella veranda, si aprono con belle porte lavorate su un corridoio tutto rivestito in legno. Seam Reap si trova ad una decina di chilometri dal Tonle Sap, il vasto lago che caratterizza il paesaggio della Cambogia centrale. Una delle sue attrazioni è costituita dai villaggi galleggianti e quindi decidiamo di dedicare il pomeriggio alla visita di un “floating village”. Fermiamo il solito motociclista di passaggio; parla un buon inglese e si darà molto da fare nella speranza di “guadagnarsi” anche i giorni successivi ma risulterà da classificare nella categoria “furbetti”. Usciamo dalla città costeggiando il fiume sul quale si allineano misere capanne. In questa zona la presenza del lago rende il paesaggio molto verde nonostante la stagione asciutta. Arriviamo alla collina di Phnom Krom, sulla cui sommità sorge uno dei tre templi montagna di Yasovarman I. Questo re fece costruire i suoi templi sulle tre colline principali della regione di Angkor (il più famoso è il Phnom Bakeng). Il panorama dalla cima dovrebbe essere molto bello ma dato che non abbiamo ancora acquistato il biglietto per i siti di Angkor dobbiamo rinunciare alla visita. Durante la stagione delle piogge le acque arrivano fino alla collina mentre ora si deve percorrere ancora un lungo tratto fino al lago. Attraversiamo una delle zone più povere viste in tutta la Cambogia: un moltitudine di persone vive in misere e piccole capanne in mezzo alla mondezza e a un acqua maleodorante. Tutto ciò stride violentemente con il flusso di turisti che procedono nei loro pullman lussuosi verso il villaggio galleggiate (la sua visita è una tappa obbligata per il tour classico di Angkor). Alla fine della strada c’è un assembramento di bancarelle e una gran confusione. Il nostro motociclista ci indirizza verso la barca “giusta”, appartenente sicuramente ad un suo amico. Vorremmo aggregarci a qualcun altro, dato che il costo della barca è di dieci dollari, indipendentemente dal numero di passeggeri, ma risulta impossibile. Insieme al nostro inseparabile moto driver e al solo “equipaggio”, costituito da due bambini, partiamo alla volta del villaggio su una lunga barca che potrebbe ospitare una decina di persone. L’affollamento è notevole e i bambini marinai devono districarsi nel traffico di barche. Percorriamo l’ultimo tratto del fiume, ridotto a canale maleodorante e finalmente sbuchiamo nel lago. Il villaggio spunta subito davanti a noi (la sua posizione cambia a secondo del regime delle acque). Tutte le costruzioni sorgono in mezzo all’acqua su delle zattere. Incrociamo la scuola ed una serie di pittoresche capanne. In mezzo al villaggio un tizio cammina tranquillamente con l’acqua fino al petto ed il cappello in testa !! La barca procede fino ad una specie di “fattoria” per turisti, attrezzata con un’esposizione di animali, tra i quali un grosso serpente che un locale si diverte a mostrare ai turisti avvolgendoselo intorno al corpo, e con tutta una serie di gadget. Il nostro “finanziamento obbligatorio” alla fattoria si limita all’acquisto, ad un prezzo triplicato, di un paio di bevande. Concludiamo il giro dopo circa un’ora con una complicata manovra di attracco in mezzo a decine di barche. La visita al villaggio è diventata ormai un business turistico facendo perdere gran parte della suggestione del luogo. Risaliti in moto torniamo verso la città. Prima di passare nuovamente davanti a Phnom Krom, ci fermiamo per ammirare nella splendida luce del tardo pomeriggio le verdi risaie accompagnate da una distesa di fiori di loto. Un gruppo di bambini ci saluta vivacemente; uno cavalca un bue dalle lunghe corna. Tornati in città congediamo la nostra guida, dato che il giorno successivo preferiamo muoverci in bicicletta, e facciamo una breve passeggiata verso il fiume. Nei pressi dei Giardini Reali, dominati sullo sfondo dal lussuoso Gran Hotel D’Angkor, si trova, in mezzo al traffico di una rotatoria, una piccola cappella. Al suo interno c’è la statua di un personaggio molto venerato. Un gruppo di persone reca in offerta una testa di maiale ma concluse le preghiere se la riporta via !! Alla pensione ci consigliano di affittare le biciclette al ristorante tailandese di fronte, dove più tardi ceniamo mediocremente (i noodles sono secchi, niente a che vedere con quelli mangiati in altri posti più spartani). Dopo cena ci informiamo per l’affitto delle biciclette: scopriamo allora che si tratta delle biciclette dei camerieri che arrivano la mattina presto al ristorante e ne hanno bisogno di nuovo solo la sera tardi (l’arte di arrangiarsi …). Scegliamo quindi quelle che ci sembrano messe meglio accordandoci per prelevarle la mattina seguente alle sei. Prima di tornare in albergo facciamo una seconda puntata fino al fiume e ai Giardini Reali. In un recinto all’aperto si trova il ristorante del Gran Hotel D’Angkor ed è in corso uno spettacolo di danza. Ci uniamo quindi al gruppo di persone che fuori dal recinto si gode la rappresentazione a sbafo, assistendo ad un paio di balletti (carina in particolare la storia di corteggiamento ambientata tra i pescatori del Tonle Sap).

Domenica 16 marzo Alle sei del mattino ci presentiamo al ristorante tailandese per prelevare le biciclette e anche in questo caso, come nella guesthouse di Phnom Penh, troviamo alcuni camerieri che dormono sui tavoli. Angkor sorge ad un decina di chilometri a nord della città. Lungo la strada si trova la biglietteria, organizzata come una specie di casello. L’ingresso per tre giorni è salato, costa ben quaranta dollari una cifra spropositata in confronto alle altre spese del viaggio ma siamo di fronte ad uno dei capisaldi del turismo mondiale e i cambogiani cercano di “approfittarne”. Dobbiamo consegnare una foto tessera che viene inserita nel biglietto plastificato che ci viene rilasciato. Proseguiamo verso nord fino ad Angkor Wat, dove pieghiamo a sinistra seguendo l’immenso fossato che circonda il tempio. Abbiamo deciso di rimandare la sua visita al giorno successivo (la luce migliore è al pomeriggio) e di iniziare la scorpacciata di templi che ci attende con quelli di Angkor Thom, la città di Jayavarman VII, il re più famoso di Angkor. Arrivati all’ingresso sud ci si presenta una visione stupenda: un ponte in pietra di un centinaio di metri conduce alla porta, fiancheggiato a sinistra da 54 dei e a destra da 54 demoni. Entrambi i gruppi reggono un naga, il serpente mitologico con nove teste; la vista sullo sfondo è chiusa dalle mura della città con la porta sormontata da tre torri con i giganteschi volti del re che guardano verso i quattro punti cardinali. Stregati dalla visione d’insieme non tralasciamo i particolari avvicinandoci alle curiose statue dei demoni. Passati sotto la porta entriamo in Angkor Thom, la capitale del regno di Jayavarman VII che contava, attorno al 1200, circa un milione di abitanti (le mura che la cingono formano un quadrato di chilometri di lato). Al centro esatto della città si trova il tempio principale, il Bayon. Per raggiungerlo la strada attraversa una foresta e sembra strano pensare che tanti anni fa questo posto fosse così densamente popolato. Avvicinandoci al Bayon da sud, scorgiamo dapprima una selva confusa di torri e solo quando siamo più vicini notiamo che ognuna di esse reca gli enigmatici volti del re (o del Budda Lokesvara a secondo delle interpretazioni) che guardano in tutte le direzioni !! L’ingresso al tempio è da est e quindi a quest’ora abbiamo la luce “giusta”. Lasciamo le biciclette, bloccate con i lucchetti, vicino alle onnipresenti bancarelle, chiedendo per ulteriore sicurezza ai loro gestori di dargli un’occhiata (girano infatti voci di furti). La situazione si ripeterà per tutta la giornata e ci costringerà a fare acquisti ad ogni bancarella (visto il caldo ne approfittiamo per rifornirci di bevande) facendo quasi nascere il sospetto che la storia dei furti sia stata messa in giro apposta dai proprietari delle bancarelle !! Attraverso un breve ponte si arriva subito al muro del terzo recinto del tempio, interamente ricoperto di splendidi bassorilievi. In passato tutto intorno correva una galleria porticata ma oggi sono sopravvissuti solo alcuni pilastri con splendidi bassorilievi di apsara, le danzatrici celesti. Per ammirare i bassorilievi effettuiamo il giro in verso orario, secondo “quanto prescritto”. Il popolo non poteva spingersi oltre questo muro e quindi le rappresentazioni erano rivolte a mostrare a tutti la grandezza del re. Si inizia con la sfilata del potente esercito reale, con i generali in groppa agli elefanti. Non mancano tuttavia belle scene rurali di vita quotidiana. Girato l’angolo seguono dei bassorilievi ancora più belli: l’ambientazione questa volta è il lago Tonle Sap con la rappresentazione della battaglia navale del 1177 tra Khmer e Cham. I guerrieri sono a bordo di lunghe barche, i khmer a capo scoperto, i Cham con un curioso cappello a forma di fiore. La battaglia segnò il trionfo di Jayavarman VII, dopo che i Cham erano riusciti a conquistare e saccheggiare Angkor. Nella fascia più bassa sono raffigurate scene di vita quotidiana lungo il lago, in un quadro veramente incantevole: si vedono pescatori impegnati nella pesca con le ceste, persone che cuociono degli spiedini, un gruppo di donne che si tolgono i pidocchi a vicenda. Abbiamo percorso un quarto del giro e, dato che le guide dicono che abbiamo concluso la parte più interessante dei bassorilievi, decidiamo di interromperne la visione per entrare nel recinto da sud, attratti dai volti che ci guardano da tutte le torri. Superata anche la galleria del secondo recinto, una scala ci porta nell’ultimo dalla forma irregolare a croce dentata. Una serie di gallerie, passaggi e gradini rende difficile farsi un’idea della struttura complessiva, facendoci sembrare di essere in una specie di labirinto. Siamo su una terrazza con un santuario centrale circolare, in mezzo ad una selva di torri con gli enigmatici volti. Le decorazioni a bassorilievo non mancano, sia sotto forma di disegni floreali sia con le splendide apsara. Vaghiamo per un po’ in giro alla ricerca dei tanti splendidi scorci. E’ difficile staccarsi dai volti ipnotizzanti ma ridiscesi ai recinti esterni riprendiamo il giro dei bassorilievi. Completiamo dapprima il giro del terzo recinto, ammirando curiose scene di un circo e nella parte nord-est nuove scese della guerra tra Khmer e Cham. I bassorilievi del secondo recinto sono di più difficile lettura, sia perché sono conservati meno bene, sia perché non formano una fascia continua ma sono continuamente interrotti da torri e passaggi. Concludiamo la visita appena in tempo, proprio mentre sopraggiungono frotte di turisti giapponesi. Recuperate le biciclette, proseguiamo verso nord fino ad un vasto spiazzo che costituiva la piazza centrale di Angkor Thom. Sulla sinistra corre la lunghissima Terrazza degli Elefanti, utilizzata in passato come un’enorme tribuna per assistere alle cerimonia pubbliche (subito dietro si estende infatti il recinto del palazzo reale che visiteremo più tardi). Il basamento è decorato con una processione di elefanti, quasi a dimensioni naturali, mentre negli avancorpi sono presenti splendidi garuda. Parcheggiate nuovamente le biciclette davanti ad un gruppo di bancarelle, proseguiamo il giro a piedi. Subito a nord della Terrazza degli Elefanti, si estende la Terrazza del Re Lebbroso. Il nome deriva da una statua ritrovata sul posto e conservata al Museo Nazionale di Phnom Penh che rappresenterebbe Jayavarman affetto dalla lebbra. Le mura frontali sono decorate da cinque ordini di rilievi, rappresentanti divinità, demoni e le solite apsara. Una sorpresa ancora più grande si ha infilandosi in uno stretto passaggio: dietro la terrazza se ne trova un’altra, risalente ad un’epoca precedente e con sculture ancora più belle. Le apsara indossano splendidi gioielli mentre i demoni hanno espressioni veramente spaventose. Proseguendo verso nord arriviamo a Tep Pranam, una vasta terrazza buddista che oggi ospita solo una grossa statua di Budda seduto su un fiore di loto, costruita riutilizzando antiche rovine. Un percorso di un centinaio di metri verso ovest attraverso la foresta ci porta fino al Preah Palilay. Il santuario centrale è molto rovinato e alcuni alberi sono cresciuti sulle sue scalinate, creando un quadro veramente suggestivo. A questo punto pieghiamo verso sud entrando, attraverso una gopura, in una vasta zona cinta da mura nella quale un tempo sorgeva il palazzo reale. L’edificio, come anche altri che dovevano sorgere nel recinto, era costruito in legno ed è quindi del tutto scomparso. Sopravvivono invece alcuni bacini, il più grande con una serie di gradoni decorati da naga e animali acquatici e l’immancabile tempio al centro dell’area, il Phimeanakas. Tutto questo complesso risale a molti anni prima di Angkor Thom e solo più tardi finì per trovarsi circondato dalla città di Jayavarman VII. Il tempio è abbastanza piccolo e presenta una “classica” struttura, con una piramide di laterite a tre livelli sormontata da un santuario in arenaria. Per arrivare in cima scaliamo una ripidissima scalinata dai gradini strettissimi. Una leggenda racconta che il tempio era abitato da uno spirito che di giorno aveva l’aspetto di un serpente e di notte quello di una bella donna. Il re doveva visitarlo tutte le notti (beato lui !!) e se avesse mancato l’appuntamento una sola volta sarebbe morto. Dirigendoci verso sud usciamo dal recinto reale e subito di fronte ci troviamo l’imponente struttura di un altro tempio, il Baphuon. Da molti anni il tempio è sottoposto ad una vasta opera di restauro e non può quindi essere visitato. Non ci resta allora che girargli intorno, ammirando questo “tempio montagna” a cinque livelli, simboleggiante il mitico Monte Meru, centro dell’universo. Anche in questo caso la sua costruzione è di molti anni precedenti ad Angkor Thom. Completato il giro arriviamo all’ingresso principale rivolto ad est. Una strada sopraelevata di pietra, poggiante su basse colonne e lunga un centinaio di metri, ci porta dall’ingresso del tempio nuovamente sulla piazza centrale di Angkor Thom. Siamo in prossimità dell’estremità sud della Terrazza degli Elefanti, e questa volta proseguiamo verso nord camminando sopra la terrazza. Giunti all’estremità opposta mi colpisce un curioso bassorilievo dove sono rappresentate alcune scene di sport ed in particolare un gruppo di cavalieri che sembrano giocare a polo !! Ormai comincia a fare caldo e quindi, raggiunte le biciclette, ci rilassiamo un po’ seduti alle bancarelle, dissetandoci con qualche bevanda. Prima di inforcare nuovamente le bici visitiamo le costruzioni che sorgono sul lato della piazza opposto alle terrazze. Una fila di torri chiamate Prasat Suor Prat, “torri dei funamboli”, deriva il proprio nome dalla credenza che tra esse venissero stese delle funi per le esibizioni degli acrobati. Anche i due lunghi edifici denominati Kleang, cioè “magazzini”, hanno suscitato molte discussioni sul loro reale utilizzo. Visitiamo quello nord, ammirando in particolare le splendide finestre chiuse da colonne in pietra che nelle loro decorazioni simulano gli intarsi del legno. Finalmente riprese le biciclette lasciamo la piazza centrale di Angkor Thom, dirigendoci verso est. Una rapida sosta ci permette di vedere la statua di Budda trovata nel Bayon ed oggi ospitata sotto un padiglione moderno. La strada prosegue in mezzo alla foresta fino al Victoria Gate, uno dei due ingressi orientali nella mura di Angkor Thom. Anche questa porta è sormontata dai faccioni e dotata di un ponte con le balaustre con i naga sorretti da dei e demoni (rispetto all’ingresso sud le statue però sono più rovinate). La nostra visita di Angkor Thom si è conclusa ed il resto della giornata sarà dedicato agli altri templi, situati lungo il cosiddetto Piccolo Circuito. Percorsi qualche centinaio di metri, ai due lati della strada ci appaiono due piccoli templi, il Thommanon e il Chau Say Tevoda. Iniziamo la visita dal Thommanon, in ottimo stato di conservazione per gli estesi restauri a cui è stato sottoposto. Molti templi di Angkor sono stati restaurati con la tecnica dell’anastilosi, cioè smontando tutto il complesso e ricostruendolo pezzo per pezzo !! Le due gopura est ed ovest, il santuario centrale ed un altro piccolo edificio, addossati l’uno all’altro, formano un vero gioiello. Le mura sono decorate con bassorilievi floreali e splendide divinità femminili. Altrettanto belli sono alcuni architravi sopra le porte (uno rappresenta Vishnu sopra Garuda). Attraversata la strada diamo solo una rapida occhiata al Chau Say Tevoda, tempio “gemello” del Thommanon, attualmente ricoperto da impalcature per il restauro in corso. Ripreso il Piccolo Circuito incrociamo Spean Thmor, un ponte in pietra dell’epoca khmer del quale sopravvivono solo alcuni pilastri ormai circondati dalla vegetazione per il ritiro delle acque. Proseguiamo fino al Ta Keo, imponente “tempio stato”, il primo completamente in arenaria, costruito intorno al mille e mai terminato. La sua particolarità è quella di essere completamente privo di decorazioni. L’ingresso è ad est e il suo aspetto veramente imponente. La struttura è quella del classico tempio montagna con cinque livelli: i due più esterni sono costituiti da recinti mentre i tre più interni sono strettissimi e formano un’alta piramide sopra la quale sorgono cinque torri disposte a quinconce. Una difficoltosa scalata mi porta fino in cima da dove mi godo un bel panorama sulla foresta circostante e su tutto il complesso. La fatica della scalata e il sole cocente ci richiedono una sosta ristoratrice. Ne approfittiamo quindi per un buon pranzo alle bancarelle di fronte al tempio. Ad Angkor non ci sono problemi per sfamarsi dato che davanti a tutti i templi principali ci sono chioschi dove ci si può fare cucinare un “pasto caldo”. I noodle sono ottimi e facciamo i complimenti alla signora che ce li ha preparati. Un gruppo di donne ci fa compagnia mentre mangiamo e con una simpatica e garbata insistenza riesce a farci acquistare una maglietta con Angkor Wat e una delle tipiche sciarpe colorate cambogiane. Al momento di ripartire, una ruota della bici di Stefania che già da un po’ aveva cominciato a dare segni di “cedimento”, è quasi a terra. Le solerti ragazze delle bancarelle ci procurano una pompa ma è abbastanza mal messa e solo una mano locale e maschile riesce ad utilizzarla per gonfiare la ruota. Proseguiamo verso sud lungo il Piccolo Circuito fino al Ta Prohm, il tempio più suggestivo di Angkor. Il complesso è stato lasciato così come è stato riscoperto, immerso nella giungla, con le radici di alberi secolari che avvolgono le rovine. L’effetto è veramente stupendo. Il “tempio monastero” fu costruito da Jayavarman VII in onore della madre. Entriamo dall’ingresso ovest del recinto più esterno, caratterizzato dalla “solita” torre con i faccioni del re. Un sentiero di qualche centinaio di metri in mezzo alla foresta ci porta alla gopura del recinto successivo, superata la quale si giunge nella parte centrale del complesso, costituito da tre gallerie e una serie di bassi edifici ad un solo piano. La giungla ha invaso il tempio e molte parti giacciono rovinate al suolo separate in grossi blocchi; si finisce così per vagare in una sorta di labirinto fra stretti passaggi spesso bloccati. Gli scorci suggestivi si succedono con le gigantesche radici degli alberi che avvolgono gli edifici. Arrivati nel cortile centrale ammiriamo l’albero più famoso del complesso: è veramente gigantesco e poggia sul tetto della galleria con un selva di radici che si allungano sulla parete esterna avvolgendo completamente la porta di ingresso. Proseguendo verso est, tra edifici resi verdastri dal muschio, si deve percorrere una passerella a fianco della quale la radice gigantesca di un albero sembra il tentacolo di una piovra poggiato tra le rovine. Arrivati alla gopura est non ci resta che tornare indietro. Tentiamo un percorso diverso dall’andata ma finiamo in un “vicolo cieco” e dobbiamo tornare indietro per la strada nota. Conclusa la visita e acquistate un po’ di bevande dai “guardiani” delle biciclette, riprendiamo il percorso costeggiando il muro esterno del Ta Phrom. Arrivati ad un bivio, pieghiamo a sud continuando sul Piccolo Circuito e dopo poche decine di metri raggiungiamo la terrazza di Srah Srang e il tempio di Banteay Kdei, situati una di fronte all’altro. Srah Srang è uno dei tanti bacini che i re khmer amavano costruire ad Angkor. Al suo centro sorgeva un isoletta con un tempio in legno mentre sul lato occidentale, dove ci troviamo, Jayavarman VII fece costruire molti anni dopo la creazione del bacino, una terrazza decorata con balaustre a forma di naga. Il luogo è proprio delizioso. Sull’altro lato della strada sorge Banteay Kdei, altro tempio monastero opera di Jayavarman VII, preceduto da una torre di ingresso con i faccioni del re. Il complesso ha molte analogie con il Ta Phrom, ma si trova in condizioni peggiori. Superato l’ingresso orientale un lungo percorso nella giungla ci porta fino alla Sala delle Danzatrici, così chiamata per le splendide apsara scolpite sui numerosi pilastri. L’asse centrale del tempio è formato da una serie di passaggi che, incrociando le varie gallerie, danno l’impressione di un lunghissimo corridoio. Conclusa la visita del tempio ci aspetta una sorpresa: la ruota posteriore della bicicletta di Stefania è completamente a terra. Siamo fortunati, ci dicono che nelle vicine bancarelle c’è un ciclista. Dopo un primo intervento di una donna, arriva il vero “ciclista”, una bambina che con grande solerzia ripara il buco nella camera d’aria. Tutta la simpatica famigliola ha assistito alla riparazione e alla fine, oltre a pagare il solito dollaro per il lavoro, regaliamo un braccialetto alla bambina e un pupazzo ad una più piccolina.

L’ultima visita della giornata è dedicata alle cinque torri di Prasat Kravan, costruite in mattoni e particolarmente belle nella luce del tardo pomeriggio. Sorgono allineate su una bassa piattaforma e l’attrattiva maggiore sono i curiosi bassorilievi in mattoni all’interno della torre centrale, dedicati a Vishnu, uno dei quali rappresenta il dio in groppa a Garuda. Ormai abbiamo terminato le visite di questa lunga giornata e proseguendo verso sud raggiungiamo il lato orientale di Angkor Wat, ricongiungendoci poi alla strada proveniente da Seam Reap. Abbiamo così percorso interamente il Piccolo Circuito. Un gruppo di scimmie si aggira nei paraggi spingendosi fino al ciglio della strada. Tornati in città a Wat Bo Street restituiamo le biciclette ai camerieri del ristorante tailandese (il proprietario della bici di Stefania guarda astutamente la ruota posteriore) e ci godiamo un meritato riposo nella guesthouse. La sera decidiamo di cenare nella zona del mercato Psar Char (ne approfitto per acquistare una statuetta di Budda). Optiamo per un ristorante vietnamita, Soup Dragon, assaporando una zuppa di verdure, del pesce piccante e dei calamari agrodolci, tutto molto buono anche se un po’ caro (sugli standard cambogiani naturalmente !!) Lunedì 17 marzo La sveglia come al solito è alle sei del mattino. In questa seconda giornata dedicata ad Angkor intendiamo visitare una serie di templi lungo il Grande Circuito. Le distanze sono maggiori rispetto al giorno precedente e quindi decidiamo di spostarci in moto anziché in bicicletta. Giunti sulla strada principale, il tratto urbano della National Route 6, veniamo subito abbordati da una serie di moto driver e ci accordiamo con un tipo alto e magro che parla inglese. Ci porterà in giro tutto il giorno per dieci dollari. Percorriamo nuovamente ma in verso opposto la strada seguita la sera prima fino al bacino di Srah Srang. Questa volta però giriamo a destra, imboccando la strada del Grande Circuito. Costeggiamo il grande bacino per un lungo pezzo fino al primo tempio della giornata, il Pre Rup. Il suo nome significa “girare il corpo” e fa riferimento a un rituale della cremazione. Costruito prima del mille in laterite con le torri in mattoni, ha una colorazione calda, particolarmente bella a quest’ora della mattina. Si tratta di un classico tempio montagna con al centro una piramide a tre livelli, alla quale si ascende dai quattro lati attraverso scale sorvegliate da statue di leoni seduti. Sulla terrazza culminante sorgono cinque torri santuario disposte a quinconce; sono tutte aperte solo ad est mentre sugli altri lati spiccano false porte decorate con splendidi bassorilievi. Una particolarità del tempio sono, appena entro il recinto più esterno, due gruppi di tre torri su ogni lato dell’entrata. La prima torre del gruppo nord manca completamente, forse non fu mai costruita oppure i suoi mattoni sono stati completamente riutilizzati. Conclusa la visita proseguiamo in moto lungo il Grande Circuito fino al tempio successivo, l’East Mebon che, anche se più piccolo, ricorda nell’aspetto il Pre Rup con il solito tempio montagna sormontato da torri disposti a quinconce. Originariamente il tempio sorgeva su un’isola al centro dell’East Baray, un gigantesco bacino idrico, risalente circa al 900 d.C. Ed oggi completamente prosciugato. Le terrazze al centro dei quattro lati del recinto servivano come banchine di approdo per le barche. Agli angoli del primo e secondo livello si trovano belle statue monolitiche di elefanti. Il tempio successivo è il Ta Som, una delle tante opere di Jayavarman VII, come si capisce immediatamente dall’inconfondibile presenza dei faccioni di Bodhisattva che guardano nelle quattro direzioni. Si tratta di un piccolo tempio non restaurato, il cui aspetto più caratteristico è costituito dall’enorme albero di ficus che avvolge interamente con le sue radici la gopura orientale. La visita successiva è dedicata al Neak Pean, un unicum ad Angkor. Il piccolo complesso buddista opera di Jayavarman VII è formato da una grande vasca quadrata circondata da quattro vasche minori. Al centro della vasca principale si trova un’isola circolare, delimitata da due naga con le code intrecciate (da cui deriva il nome del tempio “serpenti attorcigliati”). Sopra una scalinata circolare, al centro dell’isolotto, sorge una torre santuario mentre proprio davanti si trova una stranissima statua, raffigurante Balaha, una manifestazione di Bodhisattva, con il corpo equino sostenuto da un groviglio di gambe umane. Dalla vasca principale l’acqua fluiva a quelle secondarie attraverso quattro mascheroni, posti in quattro piccole camere, dei quali quello con volto umano è sicuramente il più bello. Oggi le vasche sono asciutte ma una volta lo spettacolo dell’isolotto con i naga ed il tempio circondati dall’acqua doveva essere di una grazia estrema. L’ultimo tempio che ci manca per completare il Grande Circuito è il più bello, il Preah Khan. Siamo di fronte all’ennesimo tempio monastero di Jayavarman VII. Il complesso è uno dei più grandi di Angkor, un dedalo di gallerie ed edifici decorati con splendidi bassorilievi, e si trova oggi in uno stato di semirovina, avvolto dalla giungla, in una situazione che ricorda il Ta Phrom e rende il luogo ancora più affascinante. Il recinto esterno è decorato ogni 50 metri da gigantesche ed impressionanti statue di Garuda con le ali spiegate. Contrariamente a come si faceva una volta, entriamo nel complesso da ovest. Superato il recinto più esterno, una lunga via processionale passa oggi in mezzo alla foresta (quest’area un tempo era occupata da abitazioni), circondata da due file di nicchie che una volta ospitavano statue di Budda, distrutte al momento della “restaurazione” induista. Il recinto successivo, il terzo, segna l’inizio del tempio vero e proprio. La struttura del complesso è caratterizzata da due assi principali, est-ovest e nord-sud, costituiti da lunghe gallerie che si intersecano proprio al centro. Proseguendo ancora verso est fino al primo recinto, ci si presenta un colpo d’occhio splendido: un gran numero di piccoli santuari, uno vicino all’altro, sono ricoperti da decorazioni a bassorilievo con motivi floreali, apsara e asceti in posizione yoga !! Finalmente arriviamo nella torre santuario centrale, con al centro un altare a stupa del sedicesimo secolo. Guardando nelle varie direzioni possiamo scorgere le lunghe gallerie assiali che caratterizzano il tempio. Sembra veramente di essere al centro dell’universo !! Ci dirigiamo verso nord, seguendo l’altro asse principale del tempio, e nel dedalo di rovine riusciamo a scovare un bel frontone con una rappresentazione di Vishnu disteso sopra un drago con la moglie sulle ginocchia. Tornati al centro del tempio e ripresa la marcia verso est, raggiungiamo la vasta sala delle danzatrici, con magnifici architravi scolpiti con apsara danzanti. Subito a nord si trova uno strano padiglione, a due piani con colonne, che ricorda le architetture occidentali. Una leggenda afferma che l’edificio conteneva la Preah Khan, la “spada sacra” che i re khmer si passano di generazione in generazione ed oggi si troverebbe nascosta nel Palazzo Reale di Phnon Penh. Ci troviamo ora sul lato interno del terzo recinto e restiamo stupiti dalla vista di un gigantesco albero che si appoggia sulle costruzioni. Passati all’esterno ci accorgiamo che in realtà gli alberi sono addirittura due !! Siamo di fronte alla gopura orientale del terzo recinto, accesso principale al tempio e pertanto particolarmente monumentale. Ormai non ci resta che ripercorrere a ritroso la lunga strada che ci separa dall’ingresso occidentale, ammirando nuovamente lo spettacolo di questo tempio. Abbiamo completato il giro del Grande Circuito, ci troviamo poco a nord dell’ingresso settentrionale di Angkor Thom e prima di passare al pezzo forte della giornata, Angkor Wat, decidiamo di tornare in città per confermare i voli di ritorno. L’ufficio della Bangkok Airways si trova lungo la strada per l’aeroporto; ci informano che il volo Seam Reap – Bangkok del giorno successivo è soppresso e ci spostano quindi su un volo mezzora più tardi. Per il volo della Thai invece non possono darci nessun aiuto, e quindi dato che la Thai non ha un’agenzia in città, non ci resta che tentare di contattarli telefonicamente. Come il giorno prima però tutti i tentativi falliscono e quindi torniamo nuovamente alla Bangkok sperando che si impietosiscano e ci diano una mano per confermare il volo intercontinentale ma non c’è niente da fare (sti tailandesi !!). Rinunciamo quindi per ora alla riconferma del volo e torniamo ad Angkor. Arrivati davanti ad Angkor Wat pranziamo in una dei numerosi ristorantini all’aperto. Nei pressi si trovano un paio di “chioschi” per telefonare. Sono gli equivalenti cambogiani delle nostre cabine telefoniche: il telefono in realtà è un cellulare messo a disposizione da un privato. Anche da questa postazione naturalmente la Thai non risponde. Finalmente è arrivato il momento di visitare Angkor Wat, il tempio principale del sito, considerato il complesso religioso più grande del mondo, simbolo della nazione cambogiana tanto da essere raffigurato anche nella bandiera nazionale. E’ il coronamento di un’aspirazione di tanti anni e mi sento emozionato. Il tempio, costruito intorno al 1150 da Suryavarman II, unisce due aspetti che non sempre si sposano bene insieme: la maestosità delle strutture architettoniche e la grande attenzione per i dettagli decorativi. Il complesso è circondato da un gigantesco fossato rettangolare lungo più di un chilometro per lato e largo quasi 200 metri. I fossati dei castelli europei al confronto sono ben poca cosa !! Da questo punto la silhouette del tempio centrale con le cinque torri appare veramente lontana. L’accesso è solo da ovest, dove il fossato è attraversato da una strada rialzata in arenaria con i soliti naga balaustra. Tutta la visita non è che una lunga processione verso oriente e per questo motivo, seguendo il consiglio delle guide, abbiamo deciso di visitare il tempio nel pomeriggio quando il sole si trova alle nostre spalle. Superato il ponte arriviamo alla gopura del quarto recinto, un porticato lungo duecento metri con tre torri riccamente decorato con bassorilievi, tra i quali spiccano sulla facciata interna le “solite” splendide apsara. Un tempio così vasto non poteva che avere un ingresso così monumentale !! Dentro la galleria si trova una statua di Vishnu con otto braccia che stringono nelle mani vari oggetti. La statua è avvolta in un drappo e reca varie offerte, testimonianza che anche oggi la fede buddista non ha fatto dimenticare le vecchie divinità induiste. Una seconda strada rialzata, fiancheggiata manco a dirlo da balaustre a forma di naga ed ancora più lunga di quella che scavalcava il fossato, porta fino al recinto successivo, superando uno spiazzo erboso. Circa a metà strada si trovano due biblioteche, seguite da due piscine. Ormai ci siamo avvicinati di molto al tempio centrale e la sua vista, riflessa nelle acque della piscina nord, costituisce uno degli scorci più belli della visita. La strada rialzata termina in una terrazza cruciforme subito di fronte alla gopura del terzo recinto. Una galleria corre tutto intorno proteggendo i bassorilievi che coprono tutte le pareti; centinaia di metri di pannelli scolpiti si succedono in uno spettacolo che sarà difficile dimenticare. Il giro si “deve” compiere in verso antiorario. Iniziamo quindi con la sezione sud della galleria ovest dove è rappresentata la battaglia di Kurukshetra, tratta dal poema epico indù Mahabarata: gli eserciti dei cugini Kauravas e Pandavas procedono a ranghi serrati, provenienti uno da nord ed uno da sud, per poi scontrarsi nella parte centrale del pannello in una mischia selvaggia. I generali avanzano in mezzo alla fanteria a dorso di elefanti o sopra elaborati carri. Alcune parti appaiono molto più lucide a causa dello sfregamento delle mani di generazioni di fedeli. Girando l’angolo si passa dalla mitologia alla storia con la rappresentazione della marcia trionfale dell’esercito di Suryavarman II. Il re stesso è raffigurato seduto su un trono e protetto da una decina di ombrellini parasole. Il pannello successivo rappresenta i 32 inferni ed i 37 paradisi, raffigurati in due fasce separate da una linea orizzontale di garuda. In paradiso gli eletti siedono in palazzi circondati da donne (ricordando i “palazzi volanti” di Sambor Prei Kuk), nell’inferno i dannati vengono sottoposti a pene tremende legate ai peccati commessi. Girato l’angolo siamo di fronte al bassorilievo più famoso di Angkor Wat, la Bollitura dell’Oceano di Latte. Decine di asura (demoni con gli occhi a bulbo) e di deva (dei) sono impegnati in una sorta di “tiro della fune”, dove la corda è costituita dal serpente Vasuki. In alto centinaia di apsara danzano nel cielo mentre in basso nel mare spuntano varie creature acquatiche. Al centro il serpente si avvolge intorno al monte Mandala, situato in mezzo all’Oceano di Latte e sostenuto da Vishnu incarnato sotto forma di una gigantesca tartaruga. Con la trazione esercitata da dei e demoni l’oceano di latte comincia a bollire ed il processo durerà mille anni fino alla produzione dell’elisir dell’immortalità. La bollitura dell’oceano darà inoltre vita ad una serie di esseri mitologici tra cui le apsara e l’elefante a tre teste, Airavana. La rappresentazione è veramente spettacolosa !! Proseguiamo il giro del recinto ma i bassorilievi che seguono appartengono ad un’epoca successiva e sono molto più rozzi. L’ultimo pannello, nuovamente nella galleria ovest, è di nuovo splendido: rappresenta la battaglia di Lanka (Sri Lanka) tratta dal Ramayana. La mischia è veramente furiosa e si combatte in tutti i modi possibili, anche mordendo il cavallo del proprio nemico !! Al centro si trova Ravana, il gigante avversario di Rama, che non passa certo inosservato con le sue dieci teste e venti braccia !! La visita dei bassorilievi è stata meravigliosa ma sfiancante per il caldo tremendo e si rende quindi necessaria una puntata alle bancarelle sistemate vicino alla piscina nord per acquistare un paio di bevande. Il cielo ormai è sgombro dalle nuvole e quindi ne approfitto per la foto precedentemente rimandata. Ormai è tempo di riprendere il nostro cammino verso il cuore del tempio. I tre recinti centrali costituiscono anche i tre livelli del tempio piramide. Entrati nel terzo recinto per la gopura ovest, passiamo in un chiostro formato da gallerie disposte a croce in modo da creare quattro cortili. In una camera, poggiandosi contro la parete e percuotendosi il petto, l’eco crea l’effetto che si stia suonando un tamburo. Ai lati del chiostro, nello spazio erboso che separa il recinto successivo, sorgono su alti piedistalli due biblioteche. Una scala ci porta al recinto ed al livello successivi. Ci troviamo in un cortile in pietra al centro del quale svetta alto l’ultimo livello dominato dalle cinque torri. Tutto intorno esternamente corre una galleria e sulle pareti una profusione di 1500 apsara, veramente stupefacente. Siamo all’ultima fatica: una scalinata mozzafiato, con l’ausilio di un corrimano posto ad uso dei turisti, ci porta in vetta. Le gallerie corrono sui quattro lati e formano una croce nel mezzo, separando il livello in quattro cortili quadrati. Agli angoli si stagliano quattro torri ed al centro la torre più alta, ricca di bassorilievi, creando la caratteristica struttura a quinconce. Alcuni monaci buddisti cercano sollievo dal caldo sedendo nei punti dove si crea un po’ di corrente d’aria. I loro mantelli colorati aggiungono un ulteriore fascino al luogo già di per se incantato. Decidiamo di imitarli, godendoci il panorama sulla giungla circostante e la vista splendida su Angkor Wat. Ormai è tempo di riprendere il lungo cammino verso l’uscita. Vista la fila di turisti per scendere sulla scala dotata di corrimano, opto per un’altra senza agevolazioni divertendomi nella picchiata. Mentre percorro all’indietro la strada intrapresa all’andata non posso fare a meno di voltarmi ripetutamente a guardare indietro lo spettacolo del tempio !! Decidiamo di concludere la giornata ad Angkor scalando la collina dove sorge il tempio montagna di Phnom Bakheng, considerato uno dei punti panoramici migliori per ammirare il tramonto. Alla base della collina staziona un gruppo di elefanti “a disposizione” di chi vuole risparmiarsi la faticosa ascesa . Naturalmente noi preferiamo affidarci alle nostre gambe, affrontando quella che una volta era una lunga scalinata ma che ora è ridotta ad un ammasso di sassi e rocce. Sulla spianata in cima alla collina sorge il tempio piramide; precedente al 900 d.C., rappresenta la prima costruzione dell’area di Angkor e sorgeva al centro della capitale di Yasovarman I, trasferita da Roluos ad Angkor. La piramide a cinque livelli era accompagnata da 109 torri santuario (molte scomparse), disposte intorno alla base, sui vari livelli e naturalmente sulla terrazza superiore a quinconce. Al centro dei quattro lati, ripide scalinate, guardate da leoni, permettono di salire sulla piramide. Purtroppo Phnom Bakheng è diventato popolarissimo per ammirare il tramonto su Angkor Wat e quindi la collina è stracolma di turisti vocianti che rovinano la poesia del luogo. Il panorama effettivamente è bello: le cinque torri a forma di pannocchia di Angkor Wat spuntano lontane in mezzo alla giungla e la vista spazia su un’ampia regione. Alle sei il sole tramonta e, visto che il cielo non è limpido, decidiamo di anticipare una parte delle orde di turisti e ridiscendere subito. La nostra guida ci aspetta puntuale come sempre alla base della collina ed una rapida corsa in moto ci riporta in città fino alla guesthouse per il meritato riposo. E’ la nostra ultima sera in Cambogia e quindi vorremmo cenare come dei veri locali. Ci affidiamo alle bancarelle del mercato Psar Chas ma l’esperienza non è per nulla positiva: prendiamo una specie di pollo allo spiedo molto unto ed una zuppa “acida” praticamente immangiabile. Riconosciuta la sconfitta, decidiamo quindi di tornare nel “circuito turistico” e ceniamo in un locale dal nome molto poco accattivante, Cool Corner Pizza !! Rinunciando naturalmente alla pizza, scegliamo zuppa e maiale con ananas (buoni !!).

Martedì 18 marzo/ Mercoledì 19 marzo Il nostro ultimo giorno ad Angkor è dedicato alla visita dei dintorni. Come al solito partiamo alle sei del mattino, insieme alla nostra fedele guida del giorno prima, alla volta di Kbal Spean, il “fiume dei mille linga”, situato una trentina di chilometri a nord est di Angkor. Attraversata una serie di piccoli villaggi, dopo un’ora e mezzo arriviamo a destinazione un po’ doloranti visto che viaggiamo in tre su un motorino. Alle solite bancarelle ci dicono che dobbiamo aspettare l’arrivo dell’addetto al controllo dei biglietti e quindi ne approfittiamo per rilassarci una decina di minuti. Un trekking di mezzora, attraverso un bel sentiero che si snoda in mezzo alla giungla, ci porta fino al fiume. Sulle rocce i khmer hanno scolpito moltissime raffigurazioni di divinità, alcune addirittura sul letto stesso del fiume. Su una roccia che affiora dall’acqua è rappresentato con grande naturalezza Vishnu addormentato (sembra proprio che si sia scelto un posticino tranquillo per una pennichella !!). Poco più a valle il letto del fiume è ricoperto di linga, simboli fallici, che avevano il compito di purificare l’acqua che poi scorreva fino ad Angkor. Sulla parete subito dietro si scorgono varie divinità tra cui Nandi, il bue cavalcato da Shiva. Scendendo per un ulteriore tratto si vede una raffigurazione di Shiva con la consorte Uma. Una scala porta fino ad una cascata, la cui portata in questa stagione è molto ridotta. Intrapresa la via del ritorno a metà strada vediamo venirci incontro la nostra magrissima guida, forse preoccupato dal prolungarsi della nostra assenza (il suo inglese è molto “essenziale” e quindi la comunicazione problematica). Concludiamo il trekking proprio mentre le prime orde di turisti giapponesi iniziano l’escursione. Ripresa la moto torniamo indietro fino a Banteay Srei, prossima tappa della giornata. Questo piccolo tempio dedicato a Shiva è un vero e proprio gioiello per i suoi splendidi bassorilievi, i più belli di Angkor. Il suo nome significa “cittadella delle donne”: si racconta infatti che sia opera di una donna per l’estrema raffinatezza delle sue sculture. La sua costruzione risale a prima dell’anno mille ma il suo stato di conservazione è ottimo dato che è stato sottoposto ad una completa opera di anastilosi. Un’altra particolarità del complesso è quella di essere costruito con un’arenaria dalla calda tonalità rosata che conferisce alle decorazioni un fascino ulteriore. L’ingresso si apre ad est e preannuncia quanto seguirà: sul frontone triangolare sopra la porta è rappresentato Indra, dio del cielo, sopra un elefante a tre teste, Airavata. I personaggi sono circondati da un groviglio di decorazioni floreali con un effetto quasi barocco. Subito dopo una via processionale di un centinaio di metri porta fino al tempio principale. A metà percorso facciamo una deviazione verso destra per ammirare, nel frontone di un piccolo padiglione, Vishnu nella sua incarnazione di uomo leone che tiene il re delle Asuras che aveva osato sfidarlo a testa in giù, fendendo il suo petto con gli artigli. Superata la gopura del terzo recinto, il cui frontone si trova al museo Guimet di Parigi, la vista si apre sul complesso centrale, circondato da un fossato. La foto alle torri riflesse nell’acqua è d’obbligo!! La gopura del secondo recinto è conservata perfettamente, sormontata da un frontone triangolare con decorazioni a motivi floreali, incorniciato da due “fasce” terminanti con volute. Subito a ridosso si trova il primo recinto, varcato il quale finalmente giungiamo nell’area centrale. Lo spettacolo è superbo: gli edifici sono interamente ricoperti di decorazioni a bassorilievo, paragonabili ad opere di intarsio nel legno. Appena entrati sui lati si trovano due biblioteche, tra le quali leggermente più indietro si protende il santuario centrale. Sul lato occidentale, opposto all’ingresso, sono allineate tre torri, due laterali e quella centrale un po’ più grande facente parte del santuario principale. La profusione di decorazioni lascia quasi storditi, anche se purtroppo una serie di cordoni limita gli spostamenti precludendo la visione di molti particolari. Ammiriamo per prima la biblioteca nord: il suo ingresso è rivolto ad ovest e così sulla facciata opposta si trova una falsa porta tutta scolpita, sormontata da un frontone con un superbo bassorilievo: dall’alto Indra, in piedi sopra un carro trainato da un elefante a tre teste, scatena una pioggia celeste, rappresentata da raggi paralleli, sopra una foresta dove Krisna bambino e suo fratello Balarama appaiono circondati da animali. Altrettanto bello è il frontone est della biblioteca gemella nel quale è rappresentato il gigante Ravana dalle molte teste che cerca di sollevare il monte Kailasa; gli animali fuggono spaventati e in alto, sopra il monte, Shiva tiene la moglie Parvati atterrita sulle ginocchia. Aggirandoci intorno agli edifici si susseguono scorci superbi: l’infilata delle tre torri viste da ovest, i bassorilievi dei guardiani nelle nicchie della torre centrale e quelli di divinità femminile piene di gioielli nelle torri laterali. La mente corre anche alle splendide statue viste al museo di Phnom Penh, provenienti da questo tempio. Terminiamo la visita spossati dal caldo fortissimo ma entusiasti per quanto abbiamo visto. Un percorso di un’ora e un quarto in moto ci porta ai templi di Rolous, lungo la strada nazionale 6 proveniente da Kompong Thom, una decina di chilometri ad est di Seam Reap. Questi templi sono i più antichi della zona di Angkor e quindi non ci resta che concludere questi giorni indimenticabili con il posto da cui tutto ebbe inizio !! Per primo raggiungiamo Preah Ko ma prima di visitarlo il caldo fortissimo ci obbliga a una sosta ristoratrice alle immancabili bancarelle. Avvicinandoci all’area centrale incontriamo tre statue del bue Nandi, cavalcatura di Shiva, dal quale il complesso deriva il suo nome (Preah Ko significa “Sacro Toro”). Al centro, su una bassa piattaforma, sorgono due file di torri santuario in mattoni, dedicate agli antenati del re. Le torri sono adornate da nicchie con statue, false porte con stipiti formati da colonne ottagonali e architravi superbamente decorati. A guardia degli ingressi delle torri anteriori si trovano splendide coppie di leoni. Nonostante le impalcature dei lavori di restauro in corso ad opera dei tedeschi il colpo d’occhio è stupendo. Ripresa la moto proseguiamo fino al Bakong, l’esempio più antico di tempio stato. Entrati nel primo recinto superiamo l’antico fossato, oggi occupato da alberi e campi di riso, percorrendo un ponte con la più antica balaustra a forma di naga. Entro il recinto successivo si trova un colorato monastero moderno, circondato da vasi fioriti, e una scuola dalla quale giunge il vociare dei bambini. Ancora un altro recinto e raggiungiamo la parte centrale del complesso, una piramide a cinque livelli, sormontata da un’unica torre santuario più tarda. Agli angoli dei vari livelli si stagliano statue di elefanti. Il caldo è veramente tremendo e decidiamo di riposarci all’ombra della torre centrale. Il panorama è bello e da lontano assistiamo alle operazioni di bucato di un monaco intento a lavare il suo mantello. Un giro attorno alla piramide ci consente di ammirare le otto torri santuario in laterite che la circondano, con le “solite” false porte incorniciate da colonne ottagonali e architravi splendidamente decorati. Terminata la visita sorge un’animata discussione: prima di entrare nel tempio con Stefania abbiamo “promesso” di acquistare le bevande ciascuno ad una bancarella diversa ed ora le proprietarie vengono a riscuotere il “dovuto”. Esausti per il caldo rinunciamo a visitare Lolei, il terzo tempio dell’area di Roulos e ci facciamo riportare in città. Dopo una puntata all’ufficio postale, torniamo in albergo e con nostro sommo piacere, visto anche il lungo viaggio in aereo che ci attende, ci viene consentito di usare la nostra stanza per una doccia liberatrice !! Puntuale come sempre la nostra guida ci viene a prendere per portarci all’aeroporto; una sola moto è sufficiente per entrambi e per il nostro ridotto bagaglio. Dopo un sentito saluto (e naturalmente il saldo di quanto dovuto), sbrighiamo rapidamente le varie formalità nel piccolo aeroporto, ammazzando la lunga attesa, siamo in larghissimo anticipo, sfogliando i libri della fornita libreria. Un volo di un’ora ci porta a Bangkok. Il volo per Roma parte solo a mezzanotte e così non ci resta che passeggiare per i numerosi negozi dell’aeroporto. Le notizie della guerra imminente in Iraq, scoppierà la notte successiva, destano qualche preoccupazione in Stefania ma per il resto il lungo volo notturno scorre tranquillo. Grazie al fuso orario siamo a Roma, puntualissimi, alle sei del mattino. Lo sbalzo climatico è notevole e con i nostri vestiti estivi non siamo molto attrezzati per sostenerlo. Teniamo comunque duro e andiamo addirittura al lavoro, dove veniamo accolti con una certa “circospezione” per le notizie sulla mortale polmonite acuta scoppiata in questo periodo in Estremo Oriente.



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