Un mese in Nepal, da solo!

Io (Livia) avevo mandato al mio amico Gianpaolo il resoconto del mio viaggio in Sud Africa. Lui, per non essere da meno, mi ha mandato un resoconto del suo fantastico viaggio in Nepal. Perché non vada perso, io lo ho digitato sul computer, cosa che lui non avrebbe saputo fare… Lo riproduco qua, perché può essere utile ai vari Turisti per...
Scritto da: Livia Comandini
un mese in nepal, da solo!
Partenza il: 01/04/2001
Ritorno il: 30/04/2001
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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Io (Livia) avevo mandato al mio amico Gianpaolo il resoconto del mio viaggio in Sud Africa.

Lui, per non essere da meno, mi ha mandato un resoconto del suo fantastico viaggio in Nepal. Perché non vada perso, io lo ho digitato sul computer, cosa che lui non avrebbe saputo fare… Lo riproduco qua, perché può essere utile ai vari Turisti per caso! Il tutto è iniziato con la Singapore Air-lines molto bene. Ti offrono champagne a bordo tanto per cominciare. Poi meravigliose ragazze ti offrono tra l’altro un gelato italiano o un “amenity kit bag” con dentro calze, spazzolino da denti e un minidentifricio. Il viaggio lunghissimo, quasi schizofrenico. Prima a Singapore (quasi trenta gradi di differenza rispetto ad Amsterdam!) e sei sette ore rispetto l’Olanda dopo di dodici, tredici ore di viaggio non-stop. L’aeroporto di Singapore è una specie di Disneyland, molto più gustoso di Schipol, una serra tropicale piena di orchidee e piante così meravigliose e perfette che bisogna toccarle per verificare se sono vere. Tutto vero con una manciata di kitsch. Da Singapore a Kathmandu con la stesa compagnia aerea, senza monitor personale e meno champagne, però sempre ottima. Le ore di volo sono solo cinque e mezzo e l’ora torna indietro di tre ore e mezzo, ma non sono sicuro. Il mio orologio impazzisce e al posto di un giorno dopo mi ritrovo due giorni dopo. Allora gira e rigira di tutto un mese e riesco a metterlo a posto. Arrivo a Kathmandu alle ore 12 locali. Un caldo terribile, prendo subito un taxi e mi ritrovo subito in una stanza, la prima che ho cercato senza fatica perché è fuori stagione, accanto alla Kumari, la dea vivente. E’ una bambina che è la reincarnazione di non so che e abita una casa bellissima con le finestre e le decorazioni piene di intarsi e capolavori in legno. La Kumari abita al primo piano, non può toccare terra, è portata in processione, è sempre su troni e baldacchini. In giorno l’ho vista. Si è affacciata alla finestra per due secondi e poi è ritornata indietro. Era senza trucco e costumi da cerimonia. Una bambina graziosa come le altre. Però sembra che per trovarla ci sia un procedimento molto ferreo, un po’ come la selezione di Salsomaggiore. Poi alla fine vince una. Secondo la mia guida ci sono undici dee viventi nella vallata di Kathmandu, ma sembra che non sia vero. Ce ne sono solo tre nelle tre città storiche, un tempo reami, e cioè Kathmandu, Petan e Baktapur (in quest’ultima città, la più ben conservata, Bernardo Bertolucci ha girato il suo “Piccolo Buddha”). Per entrarci bisogna pagare il biglietto come andare al museo o al cinema. Piuttosto caro, ma la città, e questo vale per molte altre, è un museo vivente. Tutto fuori è ancora attuale con tutti i riti, i canti i fiori gli incensi e tanta merda di tutti gli animali, sacri e no. Già a Kathmandu il primo giorno mi ritrovo in un caos tra medioevo e tempo moderno. Galline per la strada, oltre alle mucche sacre, ma c’è già la prima persona amica che mi chiede il mio e-mail. Internet sta invadendo il Nepal, uno stato dove persino nella capitale ci sono strade non ancora asfaltate. In un mondo da fiaba un rullino da trentasei è già fatto con la paura che le batterie non siano buone. La mia Nikon invecchia e a volte non segnalandomelo mi fa dei colpi bassi. Tra una pagoda e l’altra, tra un santone arancione e uno rosso, tra un ragazzo in bluejeans di imitazione con il cavallo alle ginocchia come i ragazzini di qui e americani, tra Nepali con costumi tradizionali di un’eleganza innata, tra qualche turista che sembra vestito da martedì grasso, per lo più pantaloni safari e sandali che sembrano zattere, tra qualche vacca che senza pardòn ti fa arrivare la sua coda in faccia, tra qualche scimmia che ti aggredisce solo se hai cibo, io mi sento felice. Non avevo dormito da un giorno o più, ma tutto mi sembra così stimolante che passo ore e ore per il vecchio Kathmandu. Poi crollo dalla stanchezza e vado a letto. Il ritmo della città è dalle 4 o 5 della mattina fino alle 8 o 9 di sera; tra le 9 e le 4 sembra che ci sia il coprifuoco, buio e solo suoni strani. Mi adeguo al ritmo locale per gustare di più la vita del Nepal. Mi alzo alle 5, alle sei prendo il tè buonissimo fatto con il latte e il cardamomo proprio sotto “casa”. Ci sono già bambini di strada, moltissimi, che ti chiedono se possono bere anche loro un tè. R poi sorridono in un modo che neanche il figlio di un miliardario può sorridere. Ma il mio primo tè me l’hanno offerto due ragazzi di 14-15 anni che andavano a scuola. Erano così contenti che io andassi a sedermi accanto a loro e parlare con loro che non mi hanno permesso di pagare. Costava poco, ma per loro è il prezzo normale. Il fatto mi ha commosso che tutto pimpante mi ritrovo su un sentiero tra vecchi quartieri, un ponte mobile tutto tremolante e poi in lontananza della collina due occhioni enormi che ti osservano. E’ la stufa del tempio buddista con dipinti gli occhi. Raggiunto il luogo tra una selva di scimmie di tutte le età e tante bandiere buddiste che sventolano legate tra un albero e l’altro. Il posto è meraviglioso, fa caldo, ho già bevuto uno o due litri d’acqua. Volendo i primi giorni vedere il più possibile prendo un taxi per essere presto in un altro posto, questa volt indù. Vengono fatte anche le cremazioni e il fiume è puzzolente, ma è sacro. Anche qui tanti santoni che si mettono in posa per farsi fotografare. Passo qualche ora, poi attraverso una collina piena di templi e sculture che vengono segnate con le paste colorati dai colori solari; arrivo in un altro quartiere a 4 o 5 chilometri dal centro di Kathmandu. Di nuovo due occhioni mi osservano. E’ il tempio buddista più grande della città e qui ci sono moltissimi rifugiati del Tibet. Anche questo è un posto unico. Comincio ad avere fame ed allora vado a mangiare “momo”, un piatto di origine tibetana, una specie di tortelloni a forma di mezzaluna, ripieni di carne di bufalo buonissima, serviti su un piatto disposti attorno a una salsa centrale e una zuppa, un brodo a parte. E’ il mio secondo giorno in città e già mi sembra di aver visto molto. Scopro che ci sono pochi o niente viaggi organizzati per turisti. Allora prendo iniziativa e come matto viaggio sui bus locali, bassissimi e a volte così pieni che il contatto fisico è inevitabile; due teste sotto le braccia, una gamba tra le mie, un sedere contro la mia pancia, un seno contro i miei fianchi. Con i bus locali, unico turista a bordo raggiungo posti splendidi, appena qualche chilometro fuori città, ma per arrivarci si impiega moltissimo! Le strade sono pessime e a volte piene di curve. Campi ondulati di grano, piante grasse, tanto bambù e flora subtropicale mista a quella di 1300 metri. Un giorno prendo la filovia che unisce Kathmandu con Baktapur. Con 200 lire ti fai una distanza di quindici chilometri o più. Salgono a una certa fermata anche tre capre; una era molto spaventata. Probabilmente erano destinate al sacrificio. Vengono offerti molti animali, quelli non sacri naturalmente, nei rituali del martedì e del sabato (la nostra domenica). Sono stato in uno di questi posti dove si fa questo tipo di rituale. Viene tagliato il collo all’animale, versato il sangue alle divinità (statue) che diventano rosseggianti, e poi la gente ritorna indietro con l’animale senza testa. Se lo portano a casa e vanno a fare pic-nic. Mi è capitato di vedere e fotografare file anche di centinaia di metri.

Se c’è bel tempo, soprattutto la mattina presto prima che le nubi si abbassino ti puoi vedere scorci dell’Himalaya, montagne che ti raggiungono i 6-7-8 mila metri come niente. Per vedere magari anche l’Everest devi stare in posti strategici lungo una settimana per avere il bel giorno. Mi è capitato in una città sul lago di avere due di questi giorni. E’ un’emozione. Paesaggi a 360° con 180° montagne altissime piene di neve. La gente del Nepal è diversissima. Ci sono tantissime razze e tantissime culture con lingue diverse. Ci sono le caste come in India e molti rifugiati del Tibet. Se chiedi a un Nepali: “sei Hindi o Buddista?” spesso ti risponde: “tutti e due”. Dopo aver girato per quasi due settimane per Kathmandu e la sua vallata attirando l’attenzione di qualcuno venivo riconosciuto. Incredibile. Ti ho visto ieri là, l’altro giorno dall’altra parte. In questo modo ho fatto conoscenza con tanta gente. Poi ero abitudinario se il posto mi piaceva. Andavo a mangiare spesso da un fratello e sorella, lui 26, lei 41 con una bambina enorme di 12 (sembra una di 18) Erano molto dolci. Si sedevano con me al tavolo per farmi compagnia e parlavano di tutto. Lei era una cuoca bravissima. In venti minuti mi preparava delle cose di alta cucina. Ho sperimentato le cose più strane. Sono stato male solo un giorno. Poi al lago, un caldo afoso anche di notte, con il ventilatore a pieno andamento mi è venuto un po’ di mal di schiena. La parte bassa sembrava bloccata, non faceva più la curva. Allora sono andato a farmi i massaggi in una clinica di massaggio. E’ una combinazione con il barbiere locale. La sala del barbiere è un localino due metri per tre fatto di lamiera ondulata. Un efebo con gli occhioni come quelli del tempio buddista (stufa) mi ha fatto un massaggio meraviglioso adoperando metà tubo di una crema che mi ha fatto subito star meglio, così che potevo di nuovo curvare la schiena. Anche l’efebo ha voluto darmi il suo EMAIL (di solito lo chiedevano a me). A dir la verità penso che non sia stato un massaggio ad alto livello perché era troppo per essere vero. Sul bigliettino da visita: “Barber shop, Hair cut, Sharing, Ayurvedic, Shiatsu, Accu pressure, Massage clinic. Essendo diventato un po’ amico ci sono andato ancora due volte, così che la mia schiena si curvava sempre di più. Però ho ricevuto anche un rimprovero: “perché non sei venuto ieri?”. Tutto questo avvenne a Pokhara, una cittadina a sette ore di bus da Kathmandu.

A ottocento metri c’erano di notte delle zanzare o simili molto noiose. Mi hanno ridotto la mia testa rasata in uno stato che sembrava che avessi il morbillo. Intanto ammucchiavo souvenirs di tutti i tipi: maschere (15), dischi compatti (9), un libro, bandiere e parafernali buddisti, incenso, tè, statuette tantriche, “corone” hindi, spezie.

Dopo una settimana di lago dove ho visitato grotte e posti dove c’era molto turismo locale (dovevo fotografare in continuazione con le macchine fotografiche degli altri), un festival della luna piena associato alla nascita di Budda con musiche dei monaci buddisti e tanta gente con offerte arancione sulla testa, tanti bufali grigi che giravano per la strada come se fossero veicoli, un’isoletta con un tempio e tante altre cose, sono ritornato ancora dopo sette ore di autobus a Kathmandu, per starci una settimana. Ritorno a mangiare al solito posto. Mi fanno cose speciali. Mi dicono che sono tristi perché fra quattro cinque giorni parto. L’uomo del tè della mattina mi riconosce e così molti altri. Mi sembra di essere ritornata o a casa. Uno studente, che in un giorno di sciopero mi ha aiutato a tornare da un paesino isolato in città camminando chilometri con lui e prendendo un tuk-tuk (mini taxi), quindici giorni prima, mi riconosce anche lui in una città di più di mezzo milione di abitanti. Non voleva neanche una coca-cola; mentre tutti ti chiedono latte, cioccolata o un po’ di soldi. C’è molta povertà nel reame del Nepal. Molte cose vengono fatte con sussidi stranieri. Ci sono molte dimostrazioni di carattere politico. L’unico partito proibito è quello maoista; hanno paura dopo quello che è successo al Tibet nel 1959. Però quando ero lì c’era la visita ufficiale di un ministro cinese, una certa madame … Certi giorni mi sembrava di essere al festival dell’Unità di una volta, tra bandiere rosse e danze popolari.

L’ultima settimana a Kathmandu, senza lo stimolo di voler vedere ancora una pagod, ancora un tempio, ancora una montagna, erano giorni bellissimi, per un turista comune probabilmente buttati via, ma per me molto nepali. Andavo spesso in un giardino aperto dall’una alle sette del pomeriggio. Lì c’era solo gente locale. Ho parlato con moltissimi. Se mi chiedevano cosa facevo di lavoro dicevo che non ce l’avevo. Se insistevano dicevo che ero attore. Il fatto provocava una sensazione. Cosa strana. Attore veniva associato a movie star. Allora spiegavo che ero un povero(cioè non un ricco) attore di teatro e un po’ di televisione. Nonostante non fossi una movie star, il fatto faceva molto colpo dappertutto. Gli occhi si allargavano, mi osservavano, e se uno mi era seduto di fianco andava a sedersi di fronte.

La grappa locale si chiama RAKSI. E’ buonissima ma non c’è in bottiglia. Si vende sciolta come da noi il vino una volta. E’ più tequila che grappa, chiara, forte, mi faceva dormire bene. In Nepal imitano tutto quello che si trova in bottiglie sigillate: vodka, whisky, rhum, ecc. La birra è buonissima, fatta lì ma con nomi come San Miguel, Tuborg, ecc. Scarpe e abbigliamento hanno etichette false. Per sempio, di CATerpillar da noi ci sono solo le scarpe. Lì hanno cinture, blue-jeans, giubbotti, dappertutto l’etichetta CAT. Anche se i giovani vestono all’europea, o, meglio, all’americana, c’è ancora gente dai 40 in su che veste in modo tradizionale. Ogni popolo ha il suo costume. Così che il primo giorno mi sembrava di essere arrivato in mezzo a un allestimento operistico moderno dove c’è un “missioto” di stili non più storicamente fedeli come in Visconti, ma costumi diversi.

Dopo settimane di discussioni con il regista e il drammaturgo, il costumista ti fa arrivare un’Aida in pantaloncini corti, una Lucia anni ’30, un Otello situato nella guerra del Golfo, una Rosina senza mutande. Nel Nepal c’è di tutto. Donne che sembrano matrone romane, uomini che sembrano usciti dal Mille e Una Notte, ragazzotti sul cinese (per noi) che indossano pantaloni cuciti, ragazze dai colori sgargianti, dalle combinazioni così azzardate che da noi borghesemente verrebbero associate alla prostituzione.

La televisione c’è. E’ per lo più in bianco e nero e adoperano un filtro verde e rosso per vedere meglio, ma per me è più affaticante perché il filtro ti taglia l’immagine in pezzetti come se fosse un arlecchino. C’è anche quella a colori. Ne ho visto solo una.

Io per la strada mi sentivo sicuro. Visitavo anche bidonville, ma non avevo la minima paura. Che differenza con l’America latina! Per me quella in Nepalè stata una vacanza eccezionale. Forse la più autentica. In quattro settimane ho parlato solo con due turisti! Per il resto ho fatto tutto da solo e sono stato continuamente a contatto con i Nepali, soprattutto gente popolare, genuina. Ora sto collocando i ricordi di viaggio nel punto giusto, il che vuol dire che ogni volta devo spostare tutto. Una maschera dei monaci buddisti è bellissima. Ha già trovato il posto giusto con altre nove. Una decima ce l’ho nell’ingresso. E’ piatta, di stoffa e collage, mi fa pensare a Enrico Baj.

L’ho presa in un negozio di un tibetano che mi ha fatto in regalo una sciarpa chiara che porta fortuna, avendo intuito che dovevo partire. All’aeroporto almeno una decina di persone aveva la stesa sciarpa al collo (io ce l’avevo in borsa) e altri avevano delle collane di fiori. Probabilmente avevano ricevuto anche loro dai loro amici un simbolo di buona fortuna dovendo partire. Evitavo di farmi dipingere il viso con le polveri colorate. I santoni ti vogliono fare i simboli hindù sulla fronte, ma io non li volevo. Nel viaggio di ritorno, lunghissimo perché dovevo aspettare qualche ora in più a Singapore, il solito champagne, il solito gelato italiano, il solito “amenity kit bag ”, la solita ragazza hostess meravigliosa che mi aiuta a trovare un posto per la mia borsa troppo grande con le quindici maschere rituali, i soliti neonati che se non piangono mi osservano come se fossi un animale raro.

Sul tetto di una casetta c’era una scimmia a Kathmandu. A un bambino venditore clandestino ho detto: “Quello è mio fratello”. Due settimane dopo, passando per lo steso posto, io avevo dimenticato tutto, il bambino mi riconosce e dice: “Dov’è andato a finire tuo fratello?” E un ragazzo mi ha detto che Roberto Baggio è buddista come loro!



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