Vietnam da nord a sud 7

Vietnam: il paese dei motorini
Scritto da: Lucy05
vietnam da nord a sud 7
Partenza il: 14/02/2010
Ritorno il: 27/02/2010
Viaggiatori: 7
Spesa: 2000 €
Malpensa e naturalmente i primi ad arrivare sono i bergamaschi. L’aereo parte alle 13 ma E’ il giorno di San Valentino e noi siamo in partenza per il Vietnam. Come sempre ci troviamo alla arriveremo ad Hanoi soltanto il giorno dopo alle 12,30 ora locale. Per il visto stavolta ci siamo appoggiati ad una agenzia on line e ha funzionato perfettamente. Infatti in dogana presentiamo il modulo che abbiamo ricevuto via e-mail e che abbiamo debitamente compilato e applicato foto formato tessera e senza problemi ci rilasciano il visto, è stato semplice ed economico. Proprio in questi giorni in Vietnam si festeggia il capodanno, è l’anno della tigre ,non sono molto contenti perché pare che sia un segno che porta delle difficoltà un po’ su tutti i livelli, ma lo stesso i festeggiamenti dureranno una decina di giorni. Per questo motivo, onde evitare problemi, abbiamo preparato un programma dal quale, purtroppo, non si può prescindere in quanto tutti gli alberghi sono prenotati. Dico purtroppo perché noi siamo abituati ad avere un margine di avventura in modo da insaporire un po’ di più il viaggio ma pazienza lo stesso non ci faremo mancare delle belle emozioni. All’uscita dall’aeroporto individuiamo subito il cartello che porta il mio nome e quindi il nostro autista che ci porterà all’albergo. Con lui c’è Giulia, la ragazza con la quale ho trattato in rete, che ci seguirà telefonicamente durante tutto il viaggio in quanto l’autista non parla altra lingua che non sia la sua. Nella hall dell’albergo ci accoglie un bellissimo e gigantesco albero di mandarini, quelli piccoli propri dell’oriente, se vogliamo fare un paragone quello è il loro albero di Natale. Con Giulia definiamo gli ultimi dettagli e poi ognuno si ritira nella sua stanza, stasera a cena saremo ospiti di lei (anche se non ci crediamo molto perché all’ultimo, con una scusa poco credibile, ci ha spillato ben20 euro a testa e quindi alla fine ci paghiamo altro che la cena!!!). In camera ci staremo solo il tempo materiale per sistemare le valigie e rinfrescarci un attimo e poi via che si va a conoscere la città vecchia. Ero in bagno che cercavo il pulsante che fa scendere l’acqua nel WC quando mi capita in mano una manopola e istintivamente la faccio girare; da sotto l’orlo del water fa capolino un corto tubicino bianco e fa schizzare una striscia d’acqua dentro la tazza. Caccio un urlo e Mirella, che è nella stanza, si chiede cosa ci sarà mai di così terribile in bagno per farmi gridare a quel modo ma io divertita le dico che ho scoperto un rudimentale bidet. La città vecchia è proprio lì, appena fuori dal nostro maleodorante Hotel. La prima cosa che notiamo sono i tanti esagerati, pendenti, aggrovigliati e intrecciati fili della luce che sono malamente legati e attorcigliati intorno ad un palo piantato alla buona sul marciapiede. Qui è d’obbligo una foto. Girovaghiamo un po’ per le vecchie vie ma il capodanno vuol anche dire negozi chiusi perché essendo un paese socialista naturalmente i lavoratori sono tenuti in seria considerazione perciò gioco forza dar loro la possibilità di festeggiare in famiglia. La nostra meta è il lago che si trova in centro alla città e ci arriviamo con poca difficoltà. Sì qui c’è più vita e più colori e passeggiamo intorno al lago. L’acqua è vita, ecco perché quando si vede il mare, un lago, una cascata o un fiume anche senza volerlo ci si aprono i polmoni e il cuore. Non troppo lontano vediamo un lungo ponte che collega la terra ferma a un’isoletta e decidiamo di andare a vedere cosa nasconde d’interessante quella parte di lago. Non siamo i soli ad avere quest’idea. All’entrata del ponte c’è un chiosco dove vendono i biglietti d’ingresso e la coda è piuttosto lunga e quando arriva il nostro turno scopriamo che sull’isola c’è un tempio da visitare. Sarà il primo che visiteremo di una lunga serie ma lo stesso ogni volta sarà una sorpresa. Girovaghiamo ancora un po’ anche perché nel frattempo si è fatto buio, ed è bello vedere come si illumina la città e soprattutto il lungo lago. La cena “offerta” da Giulia è stata molto buona. Naturalmente era un ristorante tipico con piatti tipici, così ne abbiamo approfittato per chiedere il nome di qualche pietanza che maggiormente ha deliziato il nostro palato. E’ stata una giornata piuttosto lunga perché la notte prima non abbiamo dormito ( io sull’aereo però sì ) perciò è meglio andare a letto presto. Nonostante il gran puzzo di muffa che la moquette manda sono certa che stasera non tarderemo ad abbandonarci fra le braccia di Morfeo. Martedì 16 febbraio Oggi in programma abbiamo la Pagoda dei profumi. Ci alziamo verso le sette per poter fare colazione in santa pace. La colazione è a buffet, proprio la mia preferita e io ne approfitto. Alle 8.15 abbiamo appuntamento con il nostro autista, gli dobbiamo dare un colpo di telefono perché la via che c’è davanti all’albergo è stretta e senza parcheggi, quindi non può sostare a lungo. Che comodità avere l’autista sempre a disposizione!!! La Pagoda dista da Hanoi circa km.60 però non è così subito raggiungibile. Non so come mai, ma in Vietnam nonostante le strade siano libere o comunque poco trafficate e l’asfalto si presenti in buone condizioni, le macchine procedono sempre a passo lento. Certo siamo in vacanza e perciò ci rilassiamo e cerchiamo di abituarci anche noi a questa sana consuetudine di prendere la vita con più calma. Dopo circa due ore l’autista ferma la macchina sul lungo fiume, ci indica un fabbricato sulla destra e ci dice ” ticket ” , è l’unica parola che sa in inglese e non conosce altra lingua che non sia la sua. Maria Angela, che da sempre in ogni viaggio è la nostra cassiera, scende e segue l’autista e per curiosità vado anch’io. Ci danno due plichi di biglietti di colori diversi, Maria Angela paga, poi l’impiegato, dopo essersi grattato la testa e aver farneticato qualcosa in una lingua per noi incomprensibile, ce ne da un’altra manciata e ci scrive una cifra su un foglietto, io e Maria Angela ci guardiamo,ci consultiamo e alla fine decidiamo che non c’è altro da fare che fidarci e pagare, dopo di che andiamo a raggiungere i nostri compagni di viaggio. In riva al fiume, in equilibrio sulla barca, il nostro barcaiolo ci sta aspettando. Con lui c’è una signora un po’ anziana che, intanto che noi prendiamo posto sull’imbarcazione, si mette a poppa e prende in mano un lungo remo e lo posiziona già in acqua pronta a partire. Quando tutti siamo sistemati il ragazzo va a prua e ha inizio il nostro viaggio sul fiume, un fiume abbastanza ampio con acque non proprio trasparenti ma con una bella vegetazione lungo tutto il suo percorso e tantissime barche che lo navigavano. Sono passate le 11 quando finalmente accostiamo e scendiamo. Percorriamo un largo marciapiedi in sasso fiancheggiato a sinistra da una serie di baracche, un po’ in legno e un po’ in tessuto, adibite a ristoranti e andiamo avanti. Non sappiamo di preciso dove stiamo andando ma il nostro barcaiolo ci ha indicato sempre dritti e noi proseguiamo lasciando alle nostre spalle ristoranti, bancarelle di dolciumi, di soldi falsi, grossi forni rudimentali che sfornano croccanti baguette. Baguette??? Silvia ha già, al posto delle pupille, la foto del famoso pane francese. Il profumo è irresistibile e a mezzogiorno non avremo il tempo di fermarci in qualche ristorante a pranzare e probabilmente non incontreremo forse più un altro forno, meglio approfittarne e dopo un attimo ognuno ha la sua baguette da sgranocchiare. Proseguiamo seguendo la folla che si fa sempre più numerosa fino a svoltare e prendere per un ampio viale in salita. Profondi e bassi gradini portano in alto verso la famosa Pagoda dei profumi. Ai lati, sotto le folte chiome di giganteschi alberi,tante bancarelle vendono i tipici dolci e altre, oggetti fatti con fogli di metallo dorato, gli stessi oggetti che adornano i templi. Arrivati ai piedi della pagoda ci accoglie subito un gran puzzo di fumo e infatti alla nostra sinistra un forno sta bruciando una piccola montagna di soldi falsi. Saliamo gli ultimi gradini che ci porteranno all’entrata del tempio e passiamo a fianco a un porta incenso a forma di un pentolone pieno di sabbia dove sono infilati i bastoncini accesi. All’interno il colore predominante è l’oro e i fedeli a mani giunte pregano e poi infilano dove capita una o più banconote false, si inchinano ancora una volta e poi passano in un’altra stanza. Qualcuno porta della frutta, la appoggia un momento, prega poi riprende la sua frutta e va, il cibo è stato benedetto. Lasciamo la Pagoda e ci avviamo in cerca della funivia che ci porterà in cima alla montagna. La coda è lunghissima e Vanni si lamenta scoraggiato e io tento di ricordargli che il famoso bicchiere è mezzo pieno, comunque più di una mezz’ora abbiamo dovuto aspettare prima che arrivasse il nostro turno. Arrivati alla meta ci troviamo presto in mezzo a una folla immensa e proseguiamo in salita fino a raggiungere e passare sotto un arco, qui comincia la discesa. Si scende camminando uno a fianco all’altro, uno dietro all’altro senza spintoni ne sorpassi azzardati eppure ad un certo punto mi giro e non nego di aver avuto un capogiro nel vedere tutta quella folla dietro di me. Davanti però guardando verso il basso lo spettacolo è sorprendente. Io a Lourdes non ci sono mai stata ma quello che si presenta ai miei occhi ricorda molto le foto e le riprese che ho visto della madonna di Francia. Qualcuno di noi entra nella grotta altri preferiscono aspettare fuori. A parte altri tempietti che si trovano anche all’interno, è bello ammirare le stalattiti e stalagmiti che col tempo si sono formate. Terminata la nostra visita facciamo il percorso a ritroso fino ad arrivare ai nostri barcaioli. Siamo in mezzo al fiume belli rilassati quando il ragazzo e la signora anziana incrociano le braccia e si mettono a scioperare. Al momento non riusciamo a capire cosa stia succedendo, noi non comprendiamo il vietnamita e loro non parlano altra lingua. Poi passano a gesti bruschi, ci guardano con occhi cattivi e la voce si fa minacciosa, il ragazzo allunga le mani verso le nostre borse e ci chiede espressamente i dong, capiamo allora che vogliono la mancia, ma non è questo il modo e proprio per questo motivo non avranno nulla. La strada per raggiungere l’albergo è ancora lunga, ci mettiamo comodi sul nostro van e ne approfittiamo per ammirare il paesaggio e intanto a poco a poco arriva il tramonto. Un ristorante nei dintorni dell’albergo andrà benissimo per la nostra cena che sarà a base di pollo alla griglia. Peccato che poi per il ritorno abbiamo perso la strada, ma non ci sono preoccupazioni se si ha l’accortezza di portare sempre con sé il biglietto dell’albergo.

Mercoledì 17 La meta di oggi è Halong Bay e va detto che siamo non poco emozionati data la risaputa meraviglia del posto. Partiamo alle 8.30 con una sosta per i bisogni fisiologici. Ovviamente la fermata avviene là dove magistralmente è stato messo un grande negozio dove si vendono sculture in pietra e mobili molto belli e costosi, fatti apposta per i turisti. Fortunatamente Gina e Paola non sono interessate a questi articoli e allora la sosta si fa breve e ripartiamo subito. Arriviamo alla baia che è ormai mezzogiorno, scendiamo dal van e il nostro autista ci guida verso l’entrata del molo. C’è un pigia pigia di gente e mi domando come possa riuscire a farci passare oltre senza farci schiacciare, ma il trucco c’è. Sulla parte laterale dell’entrata un ragazzo volge lo sguardo verso di noi, alza la mano e ci fa segno di raggiungerlo. Ha già in mano tutti i nostri documenti della prenotazione e senza difficoltà passiamo dalla porta secondaria superando la calca. La nostra giunca si chiama HUONG HAI JUNK e io faccio correre lo sguardo fra le tante che ci sono ormeggiate per vedere se riesco a scorgerla. Nel mezzo del passaggio, a pochi passi l’uno dall’altro, ci sono dei grossi anelli di metallo affondati nel cemento, io noto i primi e poi dimentico gli altri e la distrazione mi è fatale, inciampo in uno dei più sporgenti, faccio un volo, ricado pestando le ginocchia con una forza tale che, a distanza di un mese, ancora adesso provo dolore alla sola pressione, ci impiego un po’ a rialzarmi e i miei compagni di viaggio non osano ridere. Ecco l’abbiamo raggiunta non ci resta che salire. Con noi ci saranno due signore francesi e a tavola faremo la loro conoscenza. Pranziamo alle 13 e io già pregusto il pesce e specialmente i frutti di mare che hanno promesso ci avrebbero servito. Pesce e frutti di mare sono buonissimi ma le porzioni sono molto esigue ed è impossibile soddisfarci. Alle 15 salpiamo per andare a visitare una grotta. Si tratta di una grotta di stalattiti e stalagmiti, è gigantesca e spettacolare, a esaltarne la bellezza luci colorate sapientemente piazzate nei punti di maggior effetto. Con noi, per tutto il tempo che staremo alla baia ci sarà l’interprete parlante inglese, così faremo lavorare Silvia che ci tradurrà in italiano. L’unica spiegazione che ci può dare in un ambiente simile è soltanto far notare forme strane che assume il calcare. A volte ricorda un animale altre volte un personaggio ma rimane sempre una cosa soggettiva, un po’ come quando si gioca a cercare le figure nelle nuvole. La figura sulla quale però tutti siamo d’accordo, e anche la più fotografata, è quella che sporge da una roccia, bella imponente e messa in risalto da una luce di colore rosso, sì indubbiamente quella è una forma fallica. Si risale tutti sulla giunca per andare a visitare un’isola vicina dove, con un clima più favorevole, è possibile fare il bagno. Indubbiamente la spiaggia è molto bella con la sabbia fine ma dorata. Il panorama intorno è spettacolare ma per meglio apprezzare l’effetto bisognerà salire 450 gradini e raggiungere la cima della collina. La vista è da mozza fiato, la fatica è stata premiata, non ci resta che immortalare il momento per portare a casa un ricordo che rimarrà nel tempo. Si torna alla giunca dove passeremo la notte è una mini crociera studiata per visitare la baia di Halong una delle più belle baie che io abbia mai visto, anzi dicono che sia una delle più belle del mondo. La cena sarà ancora a base di pesce, sempre buono ma sempre scarso e a tavola è talmente freddo che siamo costretti a tenere le giacche. Il tempo non è stato dei migliori fino adesso, il cielo è sempre stato coperto ma per fortuna non ha mai piovuto, almeno non abbiamo dovuto girare con gli ombrelli. Stavo pensando a quanto sarebbe stato bello poter stare sul ponte a goderci il fresco della sera e fare un bel bagno durante il giorno. I camerieri ci danno due mazzi di carte in modo da giocare a scala quaranta. Non tarderemo ad andare a dormire ma intanto inganniamo un po’ il tempo. All’ora di ritirarsi Gina e Paola si lamentano perché la loro stanza è molto fredda e il riscaldamento non funziona. Abbiamo movimentato tutti per risolvere il problema ma non c’è stato niente da fare, l’unica cosa che hanno ottenuto è stata una coperta in più. Questa notte io dormirò da sola perché in barca non ci sono stanze a tre e senza Mirella che mi controlla dimenticherò il mio foulard di seta nero che era un ricordo dello Yemen.

Giovedì 18 La crociera continua. Ci alziamo presto, alle sette abbiamo la prima colazione e poi un’altra grotta da visitare. Entriamo nella sala ristorante e troviamo una sorpresa. Sul primo tavolo, dove solitamente siedono le signore francesi, è steso un telo di morbido tessuto e sopra, una a fianco all’altra, tante collane di perle dai colori e riflessi diversi una dall’altra. Come mosche sul miele ci avviciniamo tutte, logicamente tranne Vanni il quale, staccando le braccia leggermente da corpo, alza testa e sguardo verso il cielo e libera uno sbuffo. Solo Maria Angela ne compra una, rosa, molto bella e a un prezzo che ne vale veramente la pena. Salpiamo alle otto circa, la meta non è lontana e si vedono anche altre giunche che vanno verso la nostra stessa direzione. Non lontano da noi c’è una barchetta governata da una donna che indossa un cappello dai colori sgargianti. Non si riesce a capire cosa ci sia sulla barca, si vede solo che è piena di cose coloratissime, la signora cerca di attirare la nostra attenzione e noi guardiamo e capiamo allora che quello è un mercato galleggiante. Adesso non è il momento di fare acquisti ma la sera prima Gina non si è fatta scappare l’occasione di comprare un paio di grosse conchiglie con incollate alla madreperla due perle non ancora ultimate. Risulterà essere stato un buon affare visti i prezzi che girano dalle altre parti. Verso prua, sembra una cosa incredibile, ma su una grossa zattera c’è una casa gialla. Ha proprio la forma di una villetta e tutto intorno un angusto terrazzo dove trovano spazio persino la scopa e un secchio per le pulizie. Sembra impossibile, mi avevano parlato delle case galleggianti ma non pensavo fossero proprio così, comunque in seguito ne vedremo molte altre. Entriamo in una grande bocca spalancata scavata nella roccia, è bellissima, alta, con il soffitto a volta e le pareti che scendono a picco sul mare. Si vede dall’altra parte, non è una grotta ma un tunnel, un breve ma suggestivo tunnel. Sembra scavato di proposito ma sicuramente è naturale. Ecco siamo fuori e…stavo per dire navighiamo in mare aperto, invece no non è così. Lascio spaziare lo sguardo tutto intorno e rimango senza parole, quello che vedo è semplicemente straordinario, questa baia non finisce mai di stupirmi. Quando stamattina avevano detto che ci avrebbero portato a visitare un’altra grotta eravamo sì contenti ma chiaramente in modo contenuto, in fondo una molto bella l’avevamo già vista ieri e avevamo paura di trovarci di fronte a un dejà vu, ma questa no, questa è una cosa diversa. Il pilota gira sapientemente la giunca con molta lentezza fino a trovarci di fronte alla grande bocca. Siamo sul ponte e niente ostacola la nostra vista, giriamo su noi stessi per guardare tutto intorno. In ogni parte e ovunque corra il nostro sguardo vediamo, quasi in perfetto cerchio con un raggio di circa300 metri, colline e montagnette, e al di là il mare. Sembra di essere in mezzo a un laghetto, con acque di un bel color azzurro, se non fosse per quella breve galleria che c’è davanti a noi,l’unico punto dal quale può entrare l’acqua del mare. Con malavoglia lasciamo questo posto incantevole, è ora di preparare i bagagli fuori dalla stanza perché fra poco scenderemo, la nostra crociera è giunta al termine e alle 11.30 il nostro autista sarà sul molo ad aspettarci. Riprendiamo il nostro van e torniamo verso la capitale, ma l’autista, di cui non ricordo il nome, ad un certo punto ferma l’auto, scende e torna con un ananas già pulito e a pezzi e ce lo da, è un regalo e non vuole soldi. Di tutti gli autisti che abbiamo avuto questo è stato certamente il più premuroso e bravo ed è stato l’unico al quale, per un disguido, non abbiamo dato la mancia e di questo me ne rammarico ancora adesso. All’ora di pranzo ci fermiamo ad un mega ristorante per pranzare e noi brontoliamo perché non vogliamo andare dove scendono tutti i turisti, di ristoranti belli ne abbiamo anche noi in Italia e in Vietnam vogliamo mangiare alla vietnamita dove mangiano i vietnamiti. Ovviamente l’autista non capendo niente di quello che sta succedendo chiama al telefono Giulia e me la passa. Cerco di far valere le nostre ragioni mettendoci tutta l’enfasi possibile, Giulia mi lascia sfogare fino in fondo poi con calma mi spiega che proprio lì dove ci troviamo noi c’è sì il mega super lussuoso ristorante per i turisti, ma anche quello più piccolo modesto e tipico vietnamita, a noi la scelta. Mi vergogno un po’ per la mia irruenza ma l’importante che tutto sia risolto. Verso le 16.30 arriviamo ad Hanoi e ci facciamo lasciare in riva al lago dove andremo a prenotare il teatro delle marionette sull’acqua. Siamo fortunati c’è posto alle 17.30 . Anche qui come in Mongolia se si vuole fotografare bisogna pagare una piccola somma a parte, e noi la paghiamo. Molto particolare questo spettacolo e ci prende molto. L’unico problema lo ha Paola con la sua vicina di poltrona. Alla sprovveduta da fastidio il flash della macchina fotografica e non le importa niente se abbiamo o no il permesso, ma Paola non molla ne ha tutto il diritto di scattare flash e lo fa valere. Meno male che qui abbiamo pagato non come in Mongolia che le mie compagne di viaggio hanno fatto le furbe…. Usciamo da teatro e ci incamminiamo sul lungo lago, è una bella serata e si passeggia volentieri. Gigantesche fioriere ospitano una gran quantità di vasetti, messi a schiera, straripanti di fiori multicolori, è capodanno e l’esposizione serve ad allietare la festa. Durante la passeggiata vediamo un ristorantino semplice ma raffinato, si sale una breve gradinata e un leggio regge la carta del menù, i prezzi sono accessibili si mangia anche pesce, peccato non approfittarne! Entriamo; il locale è molto accogliente e i camerieri sono premurosi e vestiti in modo elegante. A metà sala, sulla sinistra del corridoio, c’è un palchetto in legno dove un’orchestra suona le musiche locali e una bella cantante, vestita con il costume tipico dagli splendidi colori, intona il canto quasi in un sussurro. Ci accomodiamo al tavolo proprio a fianco a loro e incominciamo a ordinare. Intanto che aspettiamo di essere serviti ascoltiamo la musica osservando con quanta maestria suonano strumenti a noi sconosciuti, ma ecco che ad un certo punto la cantante si stacca dal gruppo e viene verso di noi, ha in mano una manciata di roselline rosa e,con un sorriso, ne fa dono a ognuna di noi. La canzone è finita e la donna torna da noi, stavolta vuole sapere da dove veniamo, dopo averlo saputo si consulta con l’orchestra e poco dopo partono le note di “ O sole mio “ , Gina, che ha una bella voce, intona il motivo e in breve si trova in mano il microfono. Seguiranno applausi e complimenti.

Venerdì 19 Oggi visita della città di Hanoi, la capitale. Credo sia d’uopo partire dal museo di Ho Chi Min. All’entrata non ci meravigliamo se troviamo, a grandezza naturale, la statua in bronzo dello zio della patria. Saliamo i gradini che ci portano al piano rialzato dove incomincia il museo. E’ molto grande e ricco di storia, nazionale e di tutti i giorni, persino le pareti parlano di amor patrio e grande riconoscenza e affetto verso quel piccolo grande uomo che è stato per i vietnamiti, Ho Chi Min. Poco lontano dal museo si può visitare la Pagoda su una sola colonna, all’interno c’è un tempietto. Lasciamo museo e pagoda e ci incamminiamo verso il mausoleo di Ho Chi Min. Il mausoleo troneggia imponente sopra una piazza dalle dimensioni esagerate. La folla , composta da un buon numero di persone, si perde nella vastità di quello spazio. Sembriamo una manciata di formichine che si aggirano su una fetta di torta, il resto della piazza è quasi completamente vuoto. Superfici così vaste e vuote mi ricordano tanto la vecchia Russia. Oggi è impossibile visitare il corpo imbalsamato dell’amato statista, non è giorno di apertura, per cui scatteremo solo qualche foto ricordo e riprenderemo il nostro itinerario. La prossima tappa è il museo aperto delle etnie e l’entrata sembra quella di un villaggio. In lontananza si vede una capanna altissima con il tetto che parte da circa tre metri da terra e si alza fino ad arrivare ad un’altezza di sette otto metri, il colore è un marrone grigio e il materiale sembra paglia. L’antica abitazione è su palafitta e lateralmente ha una scaletta in legno dove si sale per visitare l’interno. Poco lontano c’è una casa in legno, lunga, bassa e recintata. Deve essere qualcosa di molto particolare perché attira molta gente la quale, solo girandole attorno, diventa allegra, la cosa ci incuriosisce ed ecco che andiamo a vedere. E’ un mausoleo di un capo villaggio di chissà quanti anni fa. Il motivo di tanta allegria e ilarità??? A cavallo del basso recinto di legno una fila di figure umane lignee accoppiate, maschio e femmina uno di fronte all’altra, troneggiano in piedi con vestiti adamitici e il solito maschietto esibizionista mostra un pene dalle proporzioni esagerate e visibilmente in stato di eccitazione. Questo viaggio diventa ogni giorno più sexy. Siamo fortunati perché oggi c’è una festa di una minoranza etnica e donne nel loro costume tradizionale preparano all’aperto, su fuochi accesi in terra, i dolci tipici. Fra questi quelli che riconosciamo sono i torroncini, infatti in una pentola tostano le arachidi, in un’altra mescolano tutti gli ingredienti sempre tenendo la pignatta sul fuoco. C’è lavoro anche per i maschietti, difatti poco lontano dalle indaffaratissime signore due maschietti stanno cucinando la porchetta e dall’aspetto sembra proprio squisita. E’ ancora presto per pranzare e quindi meglio non farci venire l’acquolina in bocca. A fianco al fiume si trova il tempio della letteratura, attraversiamo il ponte ed entriamo. Le cerimonie sono sempre fastose, il colore predominante è sempre l’oro. Oro negli addobbi sugli ( altari?) oro il viso in metallo di Budda oro gli oggetti in carta metallica che portano in dono e oro la più parte delle vesti delle donne che hanno una parte nella cerimonia. La quantità dei bastoncini d’incenso accesi è tale da far venire la nausea e provocare il mal di testa, ma in fondo è sempre bello poter mettere a confronto culture diverse. IL caffè come piace a noi è ovvio che qui non lo troviamo, personalmente in mancanza di quello espresso non mi dispiace il tipo americano, ma alla maggioranza della mia compagnia manca proprio il nostro italiano. Oggi però ci buttiamo e proviamo quello vietnamita. Ci viene servito in una tazza in ceramica, neanche eccessivamente grande, con sopra un contenitore dello stesso materiale e colore pieno d’acqua con in fondo il caffè in polvere e sotto un colino. Mi ricorda tanto la vecchia napoletana e il procedimento più o meno è quello. Purtroppo a nessuno è piaciuto e l’esperimento non si ripeterà più. Mirella dirà poi che doveva essere veramente cattivo se anch’io mi rifiuto di berlo una seconda volta. Rientriamo in albergo nel tardo pomeriggio , stasera prendiamo il treno per Sapa, abbiamo la cuccetta. Il treno parte alle 20.30 non abbiamo certo il tempo di andare al ristorante per la cena e allora è meglio premunirci. Dopo esserci consultati abbiamo deciso di andare a cercare qualcosa da mangiare da portare sul treno. Paola e Mari dall’Italia hanno portato un pezzo per una del favoloso formaggio di grana, basterebbe un po’ di pane e della frutta e siamo a posto. Non molto lontano dal nostro hotel c’è un mercato e troviamo la frutta. Certo i prezzi sono piuttosto alti per essere in Vietnam e per questo ci meravigliamo, ma se ci hanno imbrogliato allora si sono messi d’accordo tutti perché il costo non variava molto da un banchetto all’altro. Sembra facile trovare il pane, ma non qui. Di panetterie non ne vediamo nemmeno una ma non è un caso, proprio non ce ne sono perché naturalmente qui al posto del pane si usa il riso, ma i francesi hanno lasciato loro in eredità i forni dove cuocere le baguette, ma vai a sapere dove le vendono….Pazienza al momento ci accontentiamo e poi si vedrà. Alla stazione arriviamo un’ora in anticipo, abbiamo già la prenotazione ma i biglietti li dobbiamo chiedere a dei ragazzi vestiti di arancione che sono in un piccolo ufficio nei dintorni della stazione. Prima però ci guardiamo attorno per cercare un piccolo supermercato o negozietto che venda qualcosa che assomigli al pane. Proprio sulla destra in cima a una gradinata vediamo un chiosco e senza perder tempo ci avviciniamo. Ci sono dei sacchetti con dei panini morbidi, non è il massimo ma vanno benissimo anche quelli se non fosse che un grido di Silvia attira la nostra attenzione e ci fa guardare in fondo alla gradinata. Una signora un po’ su di età vestita di nero ha un cesto pieno di baguette fresche di forno e le vende. Ci sono costate un euro l’una, a volte ci dimentichiamo che in Vietnam non ci sono i prezzi imposti e bisogna contrattare sempre, ma abbiamo il pane. Nella sala d’attesa gremita di gente aspettiamo circa mezz’ora e poi finalmente si aprono le porte e possiamo salire a prendere posto nel nostro scompartimento. Le cuccette sembrano belle, c’è un tavolo dove appoggiamo il nostro cibo e prima che il treno parta lo consumiamo. Ci fermiamo a chiacchierare un po’ e poi stanchi per la lunga giornata ci diamo la buonanotte e ognuno si ritira nel proprio lettino.

Sabato 20 Il treno arriva a Sapa alle 5 del mattino e, come ripeto, siamo fortunati ad avere sempre un autista per noi, infatti è fuori che ci aspetta e partiamo subito per il nostro albergo. Ci vorrà un’ora per raggiungerlo e quando alle 6 entriamo in hotel, il receptionist ci guarda sorpreso e noi ci scoraggiamo un po’. Io in treno ho dormito, ma non tutti i miei amici hanno avuto questa fortuna, per cui il dover contrattare ancora per avere le stanze ci demoralizza un po’. L’impiegato non parla altro che il vietnamita e allora sarà il nostro autista a parlare al posto nostro e senza problemi sistemerà la situazione. A sinistra dell’entrata c’è un salottino e fra i divani anziché esserci il tavolino c’e un braciere che risulta essere l’unica fonte di calore in tutto il locale. Fuori la temperatura è da pieno inverno e quel tepore ci aiuta appena. I nostri bagagli sono impilati a fianco al banco della reception, le stanze non sono ancora pronte ma intanto noi andiamo a fare colazione. Alle 8 siamo pronti per incominciare un’altra giornata da turisti. Il programma oggi prevede una passeggiata fra i villaggi delle minoranze etniche. La giornata non è delle migliori, ma non si tratta soltanto del freddo, la cosa peggiore è la nebbiolina che si è alzata e che purtroppo ci impedisce di vedere bene e di fotografare quelle tante distese di risaie a terrazzamento. Sarebbe stato davvero un bel panorama e qualche volta il sole, bontà sua, fa capolino fra le nubi, la nebbia si dirada permettendoci di ammirare il bucolico paesaggio. L’autista ci lasci all’entrata del primo villaggio, a fatica ci fa capire che ci aspetterà alla fine dell’ultimo, appena dopo il ponte. Non sappiamo di preciso quanta strada ci sarà da fare e nessuno se lo chiede, pare che a nessuno importi, impegnati come sono a guardarsi in giro e catturare ogni piccolo dettaglio della vita quotidiana degli abitanti. Le loro abitazioni sono capanne fatte di legno con il tetto in lamiera, una vecchia signora ci invita ad entrare nella sua e noi la seguiamo volentieri. La donna è talmente anziana da essersi dimenticata l’età, non ha più denti e la pelle è così grinzosa da sembrare una ragnatela. In centro alla casa c’è un fuoco acceso e il fumo sale libero fino al soffitto e poi si fa largo fra piccoli tronchi di legno che sostengono il tetto e le giunture della lamiera che lo ricopre ed esce all’aperto. Non ci sono cucine, sale,salotti o camere da letto ma un paio di giacigli ai lati della capanna, della paglia in un soppalco e una pentola coperta di fuliggine su una specie di ripiano, niente altro. Usciamo e ringraziamo la vecchia che ci ha ospitati e lei ci saluta con un sorriso sdentato. La strada non è asfaltata, del resto qui di macchine non ce ne sono vanno tutti a piedi solo di tanto in tanto si vede una moto. Ai lati della strada una nidiata di maialini neri si sono addormentati uno accanto all’altro e più avanti un contadino incita il suo bufalo a camminare verso casa. Due ragazze vestite con i loro bellissimi costumi ci guardano , sorridono e ci salutano, approfittiamo per chiedere loro se le possiamo fotografare e loro si mettono in posa. Lasciamo questo villaggio e ne comincia subito un altro e notiamo subito che gli abitanti hanno lineamenti diversi e vestiti diversi, usano colori più sgargianti specialmente i copricapo che sono bellissimi. E’ sicuro che conoscono l’esistenza dei turisti perché appena ci vedono si affiancano a noi e incominciano la litania e l’insistenza del “vu cumprà” vietnamita. Vendono i loro manufatti, sono molto belli ma una volta in Italia non li useremo mai, comunque qualcuno di noi qualcosa comprerà. Ci sono tanti bambini e Silvia tira fuori un sacchetto di caramelle e quasi non fa in tempo ad aprirlo che le loro manine sono già tese impazienti ad afferrare il prezioso contenuto. In Italia insegnano a non accettare caramelle dagli sconosciuti, qui non vedono l’ora che ne passi qualcuno affinché ne possa offrire loro qualcuna. Siamo arrivati a Ta Van, l’ultimo dei villaggi e appena dopo il ponte c’è il nostro van parcheggiato in nostra attesa. Torniamo in città e dato che è ora di pranzo invece di entrare in albergo ci fermiamo addirittura al ristorante a fianco. Non ricordo se abbiamo mangiato carne o pesce ma quello che mi è rimasto impresso, come sulla giunca, abbiamo dovuto mangiare con la giacca a vento perché il riscaldamento era inesistente, in più la porta d’entrata era fatta come quelle dei saloon per cui lo spiffero era fisso. Infreddoliti andiamo al nostro hotel sperando che le stanze ci siano state assegnate e, come promesso da Giulia, siano anche riscaldate. Le stanze ci sono, belle, ampie, con comodi letti e finestre luminose ma manca il riscaldamento, come si fa a fare la doccia e dormire? Il tempo di girarmi e vedo arrivare Mirella e Mari con ognuna un termosifone ad olio e mi fanno segno di star zitta. Le furbacchione hanno visto dalle stanze aperte i caloriferi e senza pensarci due volte sono entrate e li hanno presi. E brave le mie amiche!!!! Alle 14.30 usciamo per andare a visitare un altro villaggio e qui gli abitanti sono molto più insistenti e a tutti i costi vogliono che si comprino loro i manufatti. La tipicità di questo villaggio non è nelle abitazioni o nel panorama ma nel mercato che ospita. La storia di questo mercato è molto romantica e si perde nella notte dei tempi. Si chiama “mercato dell’amore” ma non si vende niente che faccia pensare a qualcosa del genere. Tanti anni fa qualcuno si era accorto che queste minoranze etniche erano troppo sparse in giro e piuttosto lontane le une dalle altre ma non solo fra etnie ma anche tra famiglia e famiglia risultando così difficile se non impossibile l’incontro fra i giovani e quindi l’inattuabilità di contrarre nuovi matrimoni. Qualcuno pensò allora di trovare una soluzione al problema e l’unica cosa che potesse far incontrare la gioventù era di organizzare una manifestazione pubblica, e quale miglior occasione per un mercato? Risultò una trovata vincente e i ragazzi aspettavano il sabato per poter fare il filo alle ragazze e queste si agghindavano e continuano ad agghindarsi con i loro costumi freschi di bucato. Bancarelle, dove vengono esposti vari e coloratissimi prodotti, si susseguono una a fianco all’altra e una di fronte all’altra ma ciò che maggiormente attira l’attenzione di Gina e Paola sono le loro tipiche borse che se ne trovano di tutte le variazioni di forme e colori anche se all’apparenza sembrano tutte uguali. Inutile dirlo, la tentazione è troppo forte e le nostre amiche comprano. Il resto delle bancarelle vendono cose che servono soltanto agli indigeni, dai colorati costumi agli attrezzi per la campagna, è un mercato abbastanza vasto anche se alla fine tutti vendono le stesse cose. Facciamo un giro nel villaggio e Gina vede un negozio che vende le loro tipiche borse rifinite molto meglio e con prezzi abbordabili e senza contrattare più di tanto decide di comperarne una anche di quelle. Siamo arrivate a sera e prima di ritirarci ognuno nelle proprie stanze mangiamo una pizza nel ristorante vicino al nostro albergo.

Domenica 21 Carichiamo i bagagli in macchina perché non torniamo più in albergo, ma adesso siamo diretti ad un altro mercato, quello di un villaggio di nome Bac Ha. IL posto è piuttosto distante infatti ci vorranno due ore e mezza per raggiungerlo. A differenza di quello dell’amore questo ha anche al suo interno dei ristorantini all’aperto. E’ bello girare fra le bancarelle dove a mancare non sono certamente i colori ma non c’è proprio niente che possa interessare a noi e allora, fatto un giro e foto in abbondanza, usciamo. Si è fatta l’ora di pranzo e andiamo verso il centro in cerca di un ristorante. Non è difficile trovarne uno, ma la cosa curiosa è che di fronte si trova una sala per i massaggi specializzata in quelli per i piedi e gambe e dato che il tempo non manca Paola e Gina, subito dopo pranzo, ne approfittano. Ci incamminiamo per la cittadina a passo lento in modo da cogliere ogni dettaglio della loro vita quotidiana e non mancano le sorprese. Sui motorini ormai siamo abituati a veder caricare di tutto, piante, water, mobili e tutto il ben di Dio, ma un maiale di grossa taglia ancora non ci era capitato di vederlo eppure….Ovviamente prima è stato messo dentro una cesta di un materiale tipo vimini di una forma da contenere perfettamente il suo grosso corpo. Peccato per la nebbia che ci impedisce di vedere bene però il grugnito spaventato del porco fende la nebbia e i nuovi padroni incuranti lo legano ben stretto in modo da essere sicuri di non perdere il prezioso carico. D’altra parte in Vietnam sono pochissimi a potersi permettere un veicolo che non sia il motorino, non si vedono circolare nemmeno camioncini o pick up e allora ognuno fa come può. Come ripeto oggi il tempo c’è e visto che passiamo proprio adiacente alla Cina, scendiamo dalla macchina e ci fermiamo a vedere da vicino il confine. Un fiume divide le due nazioni e il ponte che lo sovrasta è chiamato “ Ponte dell’amicizia”. Il nome mi sembra di buon auspicio e sembra che abbiano tutte le intenzioni di mantenere i buoni rapporti sia di qua che di là, intanto proprio a fianco al ponte c’è un giardinetto e in mezzo l’immancabile tempio e i fedeli, con le mani piene di bastoncini d’incenso accesi, si chinano e pregano con fervore. Che lo facciano per mantenere la pace fra i due paesi? Io glielo auguro di cuore. E’ arrivato il momento di risalire in macchina e di andare verso la stazione, anche stanotte dormiremo in treno, è ora di tornare alla capitale. Qualcosa da mangiare ci è rimasto dalla volta scorsa, un po’ di grana e della frutta, ma ci mancherebbe il pane, speriamo di essere fortunate. Ormai sappiamo che il posto dove vendono le baguette è nei dintorni delle stazioni per ciò stiamo con gli occhi aperti e non facciamocele sfuggire. Poco dopo infatti vediamo una donna con un cestino pieno e con uno scatto felino l’abbiamo raggiunta e svuotata del suo carico.

Lunedì 22 Alle 4.30 siamo alla stazione di Hanoi, come ci ha detto Giulia usciamo sulla destra dove va la maggior parte della folla e subito all’uscita troveremo il nostro autista ad aspettarci. Non è così, siamo abituati alla puntualità e precisione dei nostri autisti per cui deve esserci qualcosa che non va. Cerchiamo a destra e a sinistra ma di lui nessuna traccia, si son fatte ormai le 5 e io chiamo Giulia e glielo dico, ma pochi minuti dopo lo vediamo arrivare tranquillo e pacifico e senza dare spiegazioni o chiedere scusa ci indica il van. Arrivati in albergo abbiamo appena il tempo di una doccia, di un riposino, la colazione e poi subito in aeroporto per andare a Danang. In origine la destinazione doveva essere Huè ma il capodanno ha messo in movimento il turismo interno così non abbiamo più trovato posto sull’aereo e quindi per forza abbiamo dovuto optare per Danang e almeno qui ci è andata bene. Arriviamo in aeroporto alle 12.30 e stavolta l’autista è puntuale, prendiamo posto sul van e partiamo subito per fermarci poco dopo ad un ristorante per il pranzo. A Huè non perdiamo tempo in albergo, infatti appena depositati i bagagli partiamo alla volta della cittadella. Si passa un ponte stando attenti a non finire sotto quella inevitabile fiumana di motorini. Oltrepassato il muro di cinta ci si trova davanti una costruzione antica con la gigantografia di Ho Chi Min, un grande prato dove centinaia di moto sono parcheggiate e, sopra un fossato, un vecchio ponticello passato il quale inizia la “ cittadella”. E’ bellissima, grande, un susseguirsi di giardini con fiori e piante e larghi viali con piante di bonsai messi a gruppetti vicino a un’isola verde che portano alle pagode e ai palazzi imperiali, la città proibita. C’è tanto verde e tanti colori come quel rosso dei fiori che fiancheggiano quel viale e ci conduce a un’altra antica costruzione. C’è tanto spazio e tante cose da vedere e ci si può perdere facilmente. Infatti ci cerchiamo, ci contiamo e ci accorgiamo che ne mancano due: Gina e Paola. Inutile aspettarle o peggio tornare indietro a cercarle, meglio proseguire che eventualmente ci troveremo all’uscita. Così è, difatti quando ritorniamo indietro le troviamo, a una buona distanza l’una dall’altra, non lontane dall’uscita. Gina si era fermata ad ammirare e fotografare un giardino e quando si è guardata intorno non ha più visto nessuno di noi. Paola che si era accorta della sua mancanza, anche perché la controlla spesso, è tornata indietro a cercarla e,una volta trovata,ha proseguito con lei nella breve passeggiata fra le aiuole della cittadella. Adesso finalmente ci siamo tutti e ci avviamo verso l’ultima cosa che ci rimane da visitare: il mausoleo di Tu Duc. Finisce qui la nostra giornata culturale e nel frattempo si è fatto sera, torniamo in albergo e ci prepariamo per uscire a cena. In città è un po’ come essere a Napoli, i semafori sono soltanto un consiglio e le strisce pedonali probabilmente servono soltanto per interrompere quel monotono grigiore dell’asfalto. Così tutti e sette noi ci troviamo all’angolo di un incrocio che continuiamo a girare la testa prima a destra poi a sinistra, ma non riusciamo mai a trovare il momento buono per attraversare. Nessuno di quella moltitudine di motorini accenna a un minimo rallentamento e le poche e lussuose macchine sfrecciano via come fossero in autostrada. Ci sentiamo quasi ridicoli perché rischiamo di fare l’alba senza essere riusciti a raggiungere il ristorante per la cena. Pochi passi dietro di noi c’è un gruppetto di giovani seduti sui propri motorini che chiacchierano. Si accorgono della nostra difficoltà, una ragazza si stacca dai suoi amici e mossa a pietà si avvicina a noi, prende la mia mano e chiamando i miei compagni ci aiuta ad attraversare. Ecco finalmente siamo dall’altra parte della strada però ci accorgiamo che in fondo non siamo da nessuna parte, ancora non sappiamo dove trovare un ristorante e allora perché non approfittare della gentilezza della ragazza e farci dare una mano anche in quello? Questa non è una zona dove abbondano negozi ed esercizi di ristorazione però ci spiega che non molto lontano da lì si trova un hotel tre stelle dove si mangia all’aperto. E’ una bella serata e non fa freddo e poi non c’è scelta ci avviamo seguendo le indicazioni dataci dalla ragazza ma dopo poco la stessa ci raggiunge e si offre di farmi salire sul motorino per accompagnarmi fino all’albergo così è sicura che non ci perdiamo. Sono strani questi vietnamiti ma non si può certo dire che non si fanno in quattro per darci una mano.

Martedì 23 Oggi si parte per Hoi An, ci vogliono due ore di macchina per raggiungerla è meglio partire presto. Dopo circa mezz’ora di strada l’autista ferma la macchina e ci fa scendere. Sulla destra c’è il fiume con tante barche con solo i barcaioli che remano velocemente. Forse vanno in qualche punto preciso in cerca di clienti, sembra che si inseguano o che siano in gara fra loro, qui una foto ci sta proprio bene. Dall’altra parte della strada c’è una grigia e lunga gradinata alla fine della quale un altrettanto grigio edificio antico. Saliamo i gradini e ci troviamo su una terrazza, poi altri gradini, altra terrazza con tante statue di soldati a grandezza naturale, altri gradini e poi finalmente arriviamo all’entrata del grigio edificio: il mausoleo di Khai Dinh. Entriamo e rimaniamo abbagliati dalla luce accecante dovuta all’abbondanza del color oro che adorna i vari altari e mensole. E’ un bel colpo d’occhio non c’è che dire, c’è anche del vasellame e l’immancabile incenso. Ripartiamo per poi fermarci dopo un’altra mezz’ora per la pausa pranzo. Stavolta mi sembra che abbiano esagerato un po’ con il negozio turistico…..si tratta di statue a grandezza naturale, vasi normali e giganteschi, tavolini e tantissime altre cose tutte meravigliosamente in marmo. Molto belli ma difficili da far entrare in valigia. Per il ristorante non c’è scelta è rigorosamente turistico, mangeremo piuttosto male e pagheremo salato. Il pomeriggio lo passiamo a visitare la vecchia città. La vecchia casa di Phung Hung è un antico edificio di colore rosa con i tetti a pagoda adornati di rosse lampade che gli conferisce il tipico fascino orientale. I giardini sono ben curati con fiori interrati e in vaso e poi bonsai, tanti e molto belli, talmente belli da non resistere e chiedo a Vanni se mi scatta una foto in mezzo a due dei migliori. Naturalmente accetta ma, nel riconsegnarmi la macchina fotografica sorride e dice: “ Ho ripreso tutti e tre i bonsai”. Passeggiamo per le vie e sembra che la città sia in festa. Dai tetti delle case, da una parte all’altra della strada, è teso un filo sul quale pendono lampade di carta dalle particolari forme e dai colori sgargianti. E’ proprio una bella cittadina e il ponte giapponese non può che aumentarne il fascino. Visitiamo anche il tempio antico Quan Cong proprio appena in tempo dopo di ché cerchiamo un ristorantino per la cena. Questa volta siamo noi a scegliere e la scelta cade su “ Miss Ly “ . Si rivela un ottima scelta, le specialità sono deliziose e il prezzo molto contenuto. Non lontano dal nostro hotel c’è un grande mercato che apre di sera, è una buona occasione per passare una bella serata all’aperto. E’ davvero vasto e c’è di tutto e tante cose belle ma anche molti tarocchi, io ne approfitto e mi compro una borsa. C’è da perdersi fra queste luci, banchetti e colori e ad un certo punto ci guardiamo Silvia, Mari, Mirella, Vanni ed io, mancano Paola e Gina. Diamo un’occhiata in giro ma niente da fare qui intorno non ci sono proprio, Silvia chiama al telefono Paola e alla fine decidono di ritrovarci tutti in hotel e così sarà.

Mercoledì 24 Oggi giornata di tutto relax. Ci alziamo con calma alle 9 e facciamo colazione, subito dopo ci prepariamo con borsa cappello e occhiali perché si passa la giornata in spiaggia. C’è un bel sole e l’aria è bella calda a differenza di Sapa che ci guardavamo attraverso la nebbia. Il mare non è lontano e per raggiungerlo chiamiamo un taxi. Il taxista già da subito ci chiede dove ci deve portare e noi rispondiamo: “ Al posto di mare più vicino” ma lui insiste per sapere il luogo preciso ma noi non riusciamo a capire e allora si arrende, scuote la testa e parte. Pensavamo ci portasse in qualche spiaggia libera, preferibilmente attrezzata anche solo come quella che avevamo trovato in Oman, invece si ferma davanti all’entrata di un hotel e ci invita a scendere. Non sappiamo se esistono spiagge libere ma sembra che questa sia una consuetudine qui in Vietnam, infatti appena scesi dalla macchina ci viene incontro una sorridente dipendente dell’albergo e ci invita ad entrare e noi la seguiamo . Poco dopo, pagato il dovuto, siamo già in spiaggia ognuno sulla propria sdraio a goderci il meritato riposo. L’acqua del mare non è ancora sufficientemente calda per me da permettermi un bagno ma una passeggiata sul bagnasciuga è salutare. Al ritorno, appena raggiunti i miei amici, si avvicina un venditore ambulante, niente di nuovo in tutte le spiagge del mondo succedono queste cose ma la differenza sta in quel che propongono. Il ragazzo ha le braccia cariche di fili di perle vere, certo non di prima scelta o qualità ma le perle sono vere come più volte ci ha dimostrato. Qui comincia la trattativa che è la parte più difficile. In realtà non esiste il prezzo giusto perciò è complicato stabilirne uno. Di norma si parte dalla metà di quanto chiede l’ambulante e così via fino a trovare un accordo. Di norma io cedo prima dello sfinimento ma stavolta, visto che non avevo un particolare interesse per l’articolo se non quello di pensare a chi avrei potuto regalarlo, sono arrivata fino in fondo portando via una collana a tre fili di colori diversi uno dall’altro a un prezzo inferiore alla metà di quanto mi abbia proposto. Sono proprio soddisfatta dell’acquisto, le perle sono piccole rispetto alla media ma sono belle luminose e molto simili l’una all’altra, niente a che vedere con quella di Mari comprata sulla giunca, ma anche queste fanno la loro bella figura e so già a chi regalarle. Anche Silvia era interessata a un filo di perle di misura più grossa per sua mamma ma non ricordo se alla fine ha trovato quelle che cercava. Inutile dire che Gina anche se, come ha detto lei, ne aveva già una o due e non se ne faceva niente, ne ha comunque comprato un filo anzi, dato che quello che voleva lei il ragazzo non l’aveva, se lo ha fatto preparare e, intanto che noi eravamo lì a prendere il sole lui è andato via ed è tornato più tardi con la collana che Gina desiderava. Insomma anche il venditore ha fatto buoni affari, almeno così sembra vista la soddisfazione che lascia trapelare. Alle nostre spalle, non lontano dal nostro ombrellone, c’è il ristorante all’aperto e data l’ora è il caso di avvicinarci, ma io oggi voglio lasciare riposare lo stomaco, in compagnia sono portata a mangiare più del necessario e dopo mi appesantisco e allora l’unica è saltare il pasto di tanto in tanto così mi metto al pari. A fine pranzo Silvia mi chiama e mi fa segno di raggiungerli e io vado. Quando sono vicino mi indica un piatto e mi dice che è avanzato un pesce che proprio non sono riusciti a mangiarlo e per favore di fare uno sforzo perché è un peccato lasciarlo lì. In effetti il pesce è leggero anche se è piuttosto grosso dato che occupa tutto il piatto però e sottile non so di che razza sia però non mi pongo il problema e incomincio ad affondare il coltello nella tenera carne ma di polpa non ce n’è è soltanto la pelle, bello scherzo…. E’ arrivata l’ora di rientrare, dobbiamo essere a Saigon questa sera, l’aereo parte alle 18 e non ci aspetta. Come precedentemente detto, a causa della ricorrenza di capodanno, per paura di non trovare posto negli alberghi abbiamo prenotato tutto in precedenza così all’arrivo a Ho Chi Min ( la vecchia Saigon ) non perdiamo tempo e raggiunto il nostro van andiamo direttamente in albergo. E’ stata una giornata di tutto riposo, ci voleva proprio per spezzare un po’ la nostra movimentata vacanza.

Giovedì 25 Siamo a Saigon e ancora oggi purtroppo Saigon non si può che associare alla guerra e come tutti, anche noi, abbiamo desiderio di visitare i tunnel che hanno scavato i vietcong per nascondersi e sorprendere gli americani. Ci alziamo alle 7, ci vuole circa un’ora e mezza di strada per arrivare a Cu Chi. Lungo il percorso passiamo attraverso foreste immense di caucciù, chissà cosa poteva esserci qui in tempo di guerra, che nascondiglio per i soldati di ambo le parti…. Prima di farci entrare nei cunicoli ci illustrano un po’ quella che era la giornata tipo del soldato vietcong. Passiamo poi alle trappole inventate per catturare gli americani, cose davvero raccapriccianti e mi fanno venire in mente quelle per catturare e uccidere gli animali delle foreste. Il tunnel scelto per la visita guidata è lungo circa m.250 ma a me sembra km.250. E’ risaputo che i vietnamiti sono di statura piccola ma comunque sempre più alti di me eppure per tutto il percorso ho dovuto rimanere con la schiena piegata. Nonostante adesso la galleria sia illuminata e non sia poi così angusta, Paola dietro di me spinge e ansimando mi chiede di dire alla guida di andare più veloce, segno che anche lei soffre un po’ di claustrofobia, ma dietro di noi gli altri sono più rilassati e camminano lentamente osservando tutti i particolari perciò bisogna aspettarli. Non si può entrare nei tunnel senza una guida perché è come un labirinto con tante vie e incroci ed è molto facile perdersi. Veramente interessante ma all’uscita ho tirato un sospiro di sollievo. Passeggiamo successivamente sopra le gallerie calpestando lo stesso terreno che calpestarono i soldati facendo lo stesso loro percorso quotidiano e infatti ogni tanto vediamo statue di soldati che sembrano veri e che sono riprodotti in pose di relax con il fucile appoggiato sulle ginocchia o appeso ad un braccio. Sotto una tettoia di paglia c’è un grande tavolo in legno con attorno le panche e lì ci fanno sedere e ci fanno gustare quello che i soldati erano soliti mangiare; manioca con noccioline e sale, davvero squisito. La visita è finita, è stata molto interessante anche se siamo rimasti un po’ coinvolti e perciò ci lascia un po’ di amaro in bocca. Ad un’ora di distanza da qui c’è il tempio caodaista di Long Hoa a km.4 da Tay Ninh e noi andiamo a visitarlo. Prendiamo per un ampio viale pedonale e sul fondo vediamo il tempio, ma poco prima di arrivarci, seduto in terra sulla parte destra del viale, c’è un bambino piccolo di circa un anno e mezzo che chiede la carità. E’ completamente solo a parte qualche turista che fra tenerezza e pietà gli allunga una banconota e lui immediatamente la prende e la nasconde nel pannolino che ancora porta. E’ impossibile rimanere indifferenti di fronte a una scena del genere ma a noi non resta che salutarlo e riprendere la nostra strada. Ci avviciniamo al tempio, una costruzione bassa ma piuttosto lunga con due campanili che sovrastano l’entrata. L’edificio è tinto a colori pastello con la base di un tenue rosa, è bello a vedersi, mette allegria. Un vecchio con l’abito lungo e bianco, che è la tunica che tutti i caodaisti maschi e femmine indossano, ci avvisa che per entrare bisogna togliersi le scarpe e di lasciarle sul lato sinistro della breve gradinata dove già ce ne sono tre o quattro schiere. Noi obbediamo e cerchiamo di lasciarle tutte vicine in modo da trovarle subito all’uscita dopo la funzione. Non ci sono ne banchi ne sedie all’interno, il salone è diviso in tre navate, due laterali strette e quella centrale più ampia. A formare le navate sedici colonne in gesso di color rosa salmone con in rilievo un dragone dai colori vivaci. Le otto colonne a destra e otto a sinistra del salone reggono un soffitto a volta color azzurro con tante stelle che ha il significato della volta celeste. Saliamo sulle balconate per meglio assistere alla cerimonia e poter fotografare con libertà. La funzione ha inizio. Sulla sinistra in file ordinate entrano le donne e sulla destra gli uomini, mentre nel corridoio centrale i sacerdoti con i vari doni. Alla testa dei ministri del culto sono sicuramente le autorità ecclesiastiche perché indossano abiti colorati, sempre in tinta unita ma colorati. Al di là di quello che rappresenta la funzione è comunque un bello spettacolo a vedersi. Non spetta a me giudicare se la loro fede è giusta o sbagliata, in fondo non fanno male a nessuno perché la base della loro religione è la bontà d’animo in generale, ma quel che mi fa sorridere è il fatto che fra i loro chiamiamoli “santi” ci sono: Victor Hugo Giovanna D’Arco, Charlie Chaplin e William Shakespeare. La cerimonia è finita e noi ci apprestiamo ad uscire. Non siamo tutti in gruppo ma, a causa della grande folla e dal fatto che ognuno di noi vuole scattare la foto più bella, ci troviamo ad uscire uno per volta. La nostra grande sorpresa è che sulla porta un vecchio, forse lo stesso di prima, a ognuno di noi indica dove sono state messe le nostre scarpe. Non ci si scappa, sono tutte insieme e ci sono solo le nostre, come sarà successo? Se è opera del vecchio deve avere una bella memoria in quanto di gente ce n’era davvero tanta, infatti le balconate erano tutte piene. Risaliamo sul pullmino che ci porta al ristorante a mangiare, manco a dirlo si tratta del solito per turisti, per fortuna non c’è posto perciò si cambia. Siamo tutti stanchi di lottare ogni volta per farci portare in posti vietnamiti e non europei, quindi lasciamo che sia l’autista a decidere. La scelta cade su un ristorantino con una cameriera su di età un po’ bizzarra che appena seduti ci chiede la provenienza e saputo che siamo italiani intona con grande enfasi “ bandiera rossa” in italiano e la canta tutta fino in fondo. Rientriamo a Sai Gon. Vanni si è preso un bel raffreddore e non è per niente in forma, Silvia rimarrà con lui in albergo mentre noi finiremo la giornata facendo shopping.

Venerdì 26 Siamo ormai alla fine di questo viaggio e quel che è certo è che non abbiamo sprecato neanche un giorno, anzi sono stati tutti piuttosto pieni e interessanti e sicuramente non sarà di meno neanche questo che stiamo per affrontare. Partiamo alle otto perché ci vogliono circa tre ore per arrivare a Cai Be, un villaggetto sul delta del Mekong. Qui prendiamo una barca per andare a visitare l’isola della fabbrica di caramelle. Lungo la navigazione dovremmo vedere anche il mercato galleggiante, ma a parte una barchetta, dove c’è qualche bibita, per il resto non si vede niente. Il fiume non è proprio uno splendore, anzi è talmente sporco e color fango da non vedersi nessun riflesso, speriamo non sia pescoso. Sbarchiamo sull’isola e con noi c’è una guida parlante inglese. Come prima cosa ci fa entrare in una capanna o meglio una grande tettoia di paglia dove all’interno sono posti pochi tavolini per la degustazione del miele. Ronzano troppe api intorno e io, a causa della mia allergia, devo uscire e allontanarmi prima possibile, per cui questa parte l’ho proprio saltata. Dopo circa un quarto d’ora gli amici e la guida mi raggiungono e insieme ci avviamo verso la fabbrica delle caramelle. Sull’isola si gira a piedi, è piccola e tutto concentrato e non ci sono mezzi di trasporto se si escludono le biciclette. Dopo una breve camminata arriviamo al laboratorio. La costruzione è fatta da una parte in mattoni e una parte in paglia e le pareti non arrivano a toccare il soffitto ma viene lasciato uno spazio affinché possa circolare l’aria e uscire il caldo che si forma a causa dei fuochi accesi. Il tetto è in lamiera e il sottotetto foderato di legnetti intrecciati tipo vimini. L’interno a prima vista sembra un caos in quanto si vedono in terra secchi, cesti, recipienti di ogni genere e grandezza, attrezzi ai quali non sappiamo dare un nome e neanche a cosa possano servire e poi pentoloni enormi su un fuoco acceso in una stufa di cemento. E’ un locale unico piuttosto grande dove in fondo sono posti due tavoli pieni di confezioni di caramelle e torroncini prodotti in questa fabbrica. Qui viene fatto tutto rigorosamente a mano e noi abbiamo la possibilità di vedere le varie fasi della preparazione fino al prodotto confezionato. Molto interessante, chissà dove faranno la pausa caffè i dipendenti……non ho visto la toilette all’interno ma fuori tutto intorno c’è una folta vegetazione. Dio come sono diverse le cose da una parte all’altra del mondo …. C’è una vecchia casa sull’isola che, a detta della guida, vale la pena di vedere, prima però c’è la pausa pranzo. L’antica abitazione è ancora parzialmente abitata. Infatti, seduta in modo orientale su di una coperta stesa in terra con dei cuscini ricamati a mano, sta una anziana signora con un portamento molto dignitoso ed elegante. La vecchia donna è piccola e minuta e ha sul naso degli enormi occhiali da vista che le coprono metà viso e annuisce gentilmente quando le si chiede di poter scattarle una foto. All’interno la casa è foderata di legno scuro e dello stesso legno massello è il tavolo con le sedie che si trova in centro al soggiorno. Sparsi qua e là si vedono candelabri in vetro antico, bottiglie con particolari forme e tazze e vasi in ceramica. L’antica abitazione è stata trasformata in un museo e a ragion veduta perché è veramente bella. Certo l’isola ha poco da offrire per quanto riguarda il lavoro perciò credo che i proprietari se ne siano andati. La visita dell’isola è finita, si rientra a Ho Chi Min in albergo e ci riposiamo un po’. Alle sette ci si trova nella hall per uscire a cena. Rientreremo tardi perché abbiamo scoperto il mercato e l’unico che saprebbe resistere allo shopping è Vanni ma con sei donne non riesce a spuntarla. Sabato 27 Oggi è proprio l’ultimo giorno, questa sera alle sette e trenta saremo in volo per l’Italia, ma intanto abbiamo il tempo di visitare la città. Partiamo dal “Palazzo della Riunificazione” , chiamato così dal 1975 quando i vietcong ne presero possesso ponendo fine alla divisione fra nord e sud. Prima invece si chiamava palazzo presidenziale. La costruzione è bellissima in stile moderno con grandi sale spaziose e molto luminose, arredato con gusto e raffinatezza. Su un grande terrazzo del quarto piano c’è ancora un vecchio elicottero militare ma penso che sia in disuso e che l’abbiano messo lì solo per i turisti. La seconda visita è dedicata alla cattedrale di Notre Dame e poi qualche foto all’ufficio postale in quanto molto bello di colore rosa con il soffitto molto alto a volta. Siamo arrivati all’ora di pranzo e l’autista ci accompagna al ristorante. Siamo già tutti seduti a tavola e i camerieri ci portano la carta del menù. Siamo concentrati a leggere e a scegliere quando Gina ad alta voce esprime il suo parere riguardo ai prezzi. Noi ci guardiamo e continuiamo a tacere mentre lei incrocia le braccia, come facevano gli operai della FIAT negli anni sessanta, e dice di scioperare se non si cambia ristorante. Dopo di lei segue Paola, mentre Vanni e Silvia dicono di vergognarsi ad alzarsi e uscire. I camerieri ci guardano perché non riescono a capire che cosa stia succedendo, noi che non sappiamo cosa fare e Gina e Paola che continuano a tenere le braccia incrociate. Una soluzione bisogna trovarla e la figura la faccio io e mi alzo per prima e invito gli altri a seguirmi all’uscita, d’altra parte è vero i prezzi sono piuttosto alti però lo stesso i capricci delle nostre compagne di viaggio ci hanno un po’ colti di sorpresa. Proprio a due passi da lì ce n’è un’ altro e prima di entrare consultiamo la carta con relativi prezzi. Pare che questo vada meglio e finalmente si pranza. Non poteva passare inosservato questo trambusto, infatti quando il nostro autista è tornato ci ha chiesto subito come mai avessimo cambiato ristorante. Naturalmente sappiamo delle provvigioni che si prendono i connazionali che portano i clienti per cui capiamo anche che possa esserci rimasto male. Il museo della guerra è quello che ci rimane da visitare e noi ci andiamo. Naturalmente è interessante conoscere come si è svolta la guerra e i mezzi e le armi usati, ma mi mette angoscia e allora tornando a casa preferisco pensare e ricordare quel Vietnam che ho visitato da nord a sud, con la sua gente così gentile, disponibile, sempre pronta al sorriso e che tanto si dà da fare per poter un giorno lasciare alle spalle i brutti ricordi e riuscire ad emergere. Curiosità Compagnia aerea Singapore air line Costo € 917 Moneta Dong 1 €uro vnd 2500 circa Fuso orario + 7 ore



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