Impressioni Vietnamite

Quattro amici nel sud est asiatico
Scritto da: ArturoB
impressioni vietnamite
Partenza il: 15/02/2010
Ritorno il: 02/03/2010
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
Anche quest’anno il nostro amore per il sudest asiatico, dopo Myanmar, Tailandia, Malesia, Indonesia, ci porta in Vietnam. Siamo i soliti quattro amici Alba, Arturo, Daniela e Roberto che dopo una preparazione durata qualche mese si trovano al check in della Qatar, Roma Fiumicino ore 22.oo. Il volo comodissimo e confortato da una assistenza eccezionale ci porta in 15 ore, compresa sosta per coincidenza, a Saigon. Con il taxi arriviamo in meno di mezz’ora al nostro albergo a Phan gu lao, caratteristico e centralissimo quartiere. La sua posizione ci consente il giorno successivo di andare a piedi a visitare le cose più interessanti di Saigon: il Palazzo della Riunificazione, il museo dei residuati bellici, la Cattedrale di Notre Dame, l’ufficio postale costruito da Eiffel e la elegante via Dong Khoi. La sorpresa più bella l’abbiamo quando sul retro del palazzo della Riunificazione sentiamo della musica e ci dirigiamo verso il giardino di fronte, è l’ultimo giorno del Tet, il capodanno cinese. Pagando una cifra irrisoria per l’ingresso, entriamo in questo splendido parco dove da una parte dei suonatori di tamburi eccitano un coloratissimo drago che provoca la gioia dei bambini. Più avanti vediamo una esposizione di bonsai e di paesaggi creati con rocce, cascate e fiumiciattoli. Composizione floreali aventi come tema la tigre riempiono di profumi e colori tutto il giardino. Si respira un’atmosfera di festa e la gioia dei locali è palpabile. Il pomeriggio ci troviamo a passeggiare sulla Nguyen Huè , strada salotto di Saigon a due corsie strapiena di persone e di composizioni floreali. I colori e la bellezza delle mille varietà di fiori ci colpisce e percorriamo ammirati e divertiti la strada in su e in giù. Per riposarci saliamo sul tetto dello Sheraton. E’ quasi il tramonto e quale migliore occasione per bere qualcosa e fare delle foto alla città che si riempie di milioni di luci.. La Lonely ci consiglia di andare a cena al Quan An Ngon. Non lo fate! Taxi e Pullmann vomitano senza sosta turisti che vengono radunati in attesa di un posto a sedere. Dopo qualche minuto arriva un cameriere che dice : “Follow me!” E li comincia la corsa tra sale, corridoi e giardini dietro a questo che non si cura neanche di vedere se lo stiamo seguendo. Bene o male ci trova un tavolo sotto ad un ventilatore a tutto gas. Il tavolo è ancora ingombro dei resti del pasto precedente, ma niente paura, un inserviente con straccetto e vetril dà una pulita sommaria la tavolo e senza mettere tovaglia e tovaglioli prende la comanda. Dopo mezz’ora arrivano tre dei quattro piatti ordinati. Aspetto il mio con pazienza, ma dopo venti minuti i morsi della fame si fanno sentire e mi rivolgo al cameriere chiedendo informazioni sulla mia cena. Passano altri dieci minuti e un altro cameriere molto dispiaciuto si scusa dicendomi che quello che avevo ordinato era terminato. Ordino un’altra cosa pregando una certa urgenza, infatti dopo neanche un minuto arriva il cameriere con una pietanza che non era quella ordinata, ma a detta sua era molto buona e la potevo mangiare…… Il conto per favore! Finiamo la cena in un altro locale in via Pasteur: quasi peggio. Non voglio spaventare nessuno. Questa serata è stata l’unica del genere. Abbiamo sempre mangiato ottimamente! La mattina dopo prendiamo un taxi per l’aeroporto, poi torniamo in albergo: Roberto ha dimenticato la macchina fotografica, poi di nuovo all’aeroporto in zona Cesarini e, con la lingua di fuori ci imbarchiamo per Huè. Un’ora di volo e dall’estate torrida di Saigon ci ritroviamo sotto una pioggerellina tipo Londra e 12 gradi in maglietta a maniche corte. L’hotel Orchid è molto accogliente: PC in camera, bollitore con tè e caffè, ciabattine, kimono di seta e bilancia pesapersone (vade retro), al rientro pomeridiano troveremo sempre una merendina o della frutta fresca. Il personale dell’albergo è molto simpatico e cordiale, ma deve essere normale in Vietnam. Tutti ti sorridono. Disfatte le valige ci mettiamo qualcosa di pesante e ci dirigiamo a piedi verso la cittadella ad un km circa. Durante la strada ci fermiamo a mangiare in quello che crediamo sia il ristorante consigliato dalla ragazza dell’albergo: il Lac Than. Cibo molto mediocre e servizio lentissimo il tutto in un ambiente piuttosto sporco e decadente (al contrario di tutto il resto del Vietnam pulito e curato, gli operatori ecologici lavorano a pieno ritmo per tenere le strade pulite ). Ci accorgiamo solo quando usciamo che l’insegna del ristorante è molto simile a quello consigliato: Lac Thaun, peraltro raccomandato anche dalla Lonely. Si e alzato anche un discreto venticello e il solo kway sopra la camicia non basta. Entriamo dalla porta di sinistra della Cittadella, quella di destra è riservata ai locali che credo paghino meno di noi, comunque la cifra è accettabile: 2 euro. La cittadella è molto curata nella parte anteriore e un po’ decadente mano a mano che si avanza nella visita, ma decisamente bella. Fa veramente freddo e terminata la visita alla Cittadella decidiamo di rientrare in cyclo e lì abbiamo provato il brivido della gara fra i due conducenti che pedalando velocemente snocciolavano la formazione del Milan e della Juve. Prima della cena al ristorante Caramel (la migliore per cibo, ambiente, competenza e gentilezza di tutto il viaggio) ci fermiamo in un negozio di orologi falsi. E sì, qui il falso, a differenza di Bangkok, viene esposto alla luce del sole ed è fatto molto meglio. Non resisto alla tentazione e con 26 euro mi porto via due Rolex automatici perfetti! Rientrati in hotel concordiamo una macchina con autista per il giorno dopo: Tombe imperiali di Tu Duc, Minh Mang e Khai Dinh, Pagoda di Thien Mu e case giardino. Peccato la mancanza di sole per le fotografie, ma bellissimo lo stesso. La sera ceniamo di nuovo al Caramel: Indimenticabile. Finita la cena ci salutano e ci abbracciano. La gentilezza dei Vietnamiti è sorprendente, una ragazza che ci aveva visto fare dei tentativi vani per prendere un taxi, a quell’ora tutti pieni, di sua spontanea volontà senza che nessuno glielo avesse chiesto ce ne ha chiamato uno col telefonino e con un sorriso dolcissimo se ne è andata via per i fatti suoi . Il tempo è migliorato. Partiamo con un comodissimo van 7 posti per Hoi An. Abbiamo concordato con l’autista l’itinerario e le fermate che faremo durante il tragitto. La strada è breve ma piena di cose interessanti da vedere. Dopo aver lasciato l’ interminabile periferia arriviamo ad un bivio: passare sotto la montagna o valicare il Passo delle Nuvole, ovviamente decidiamo di salire e dopo una serie infinita di curve arriviamo su di un’ altura che domina il mare su due fronti. L’ insistenza dei venditori di souvenir ci costringe a fuggire. Scendiamo dalla montagna e davanti ai nostri occhi si para la spiaggia di China Beach, famosa per gli americani che durante la guerra ci facevano il surf, vedi Apocalypse now . Prima di arrivare a Hoi An passiamo per Da Nang, anzi più precisamente per la parte prospiciente il mare. Quest’ ultimo non si vede quasi piu’ perché una fila interminabile di bandoni ne esclude la vista, al di là di questa cortina stanno rovinando l’ ambiente con innumerevoli costruzioni di residence di lusso, campi da golf e mega alberghi. Credo che stiano facendo più danni di quanti ne fecero gli americani durante la guerra. Lasciata Da Nang svoltiamo per una stradina che ci conduce, attraversando centinaia di negozi di statue di marmo, alla Marble Mountain, una collina alla quale si accede tramite una faticosissima scalinata. Si possono visitare tre belle grotte ex presidio dei Viet cong e da una stretta gola si gode una magnifica vista su China beach. Il turismo locale è molto sviluppato e il rapporto oriente/ occidente è 100 a 1. Una cosa che mi ha colpito e che non ho mai riscontrato nei miei precedenti viaggi in oriente: quando stai per fare una foto inevitabilmente ma sicuramente in modo inconsapevole i viet si mettono tra l’ obiettivo e il soggetto e ti impallano il panorama. L’ albergo di Hoi An, L’Ha An, è un vero gioiellino ancora più bello di quello di Hue. E’ immerso in un giardino tropicale e le nostre stanze affacciano sul suo patio. Fiori e frutta dappertutto, in camera, in bagno e sul letto, comodità di tutti i tipi. Ci aveva detto un locale a Saigon che due giorni sarebbero stati troppi per un paese come Hoi An. Niente di più falso. E’ piacevole gironzolare per il mercato e per i mille negozi delle bellissime vie. L imperativo è mercanteggiare; si parte da 300 per arrivare a 50 ma sempre col sorriso. Molti ristorantini affacciano sulla strada e hanno un arredamento curato e piacevole. In ogni strada ci sono migliaia di lanterne che si accendono al tramonto e danno all’ ambiente un tocco di romanticismo in più. Gli articoli più gettonati sono collanine, orecchini, magliette false, ceramiche, kimoni e cappelli. Abbiamo fatto i migliori massaggi in assoluto al 868 una boutique di massaggi collegata all’albergo. Sono un po’ più cari del solito ma meritano. Quello che non merita assolutamente è il giro in barca che viene proposto dai barcaioli alla fine del mercato. Il prezzo da pagare e 100.000 dong per l ora, circa 6 dollari, ma i furbi partono da 30, e comunque non valgono neanche la metà. L albergo mette a disposizione degli ospiti delle biciclette; ne ho preso una per andare a vedere la spiaggia che dicono a 5 km. Saranno perlomeno 8 e non è un gran che. Una distesa di sabbia chiara occupata perlopiù dai locali sdraiati su delle stuoie al riparo degli alberi che costeggiano la spiaggia, molto carini invece sono i ristorantini che appena fuori città costeggiano un ramo del fiume. Girare con la bici può sembrare pericoloso per la gran moltitudine di motorini che sfrecciano da tute le parti, però se si ha padronanza del mezzo va tutto ok, il pericolo più grande sono i turisti che a naso in su attraversano la strada, per fortuna non ne ho preso nessuno. Piuttosto laboriosa è stata la ricerca del taxi per l’ aeroporto. L’ albergo chiede 30 dollari, i taxi della cooperativa con la fascia verde ne chiedono 20 e sono irremovibili. Un tassista anonimo che per la verità ci sembra un po’ sconvolto parte da 20 e poi scende a 15. Mi faccio scrivere sul suo biglietto il prezzo, l’orario l’albergo e quanti passeggeri siamo, non si sa mai, le sorprese non mi piacciono. Speriamo bene… Puntualissimo il taxi per l’aeroporto di Da Nang arriva davanti all’albergo. Ma l’autista non è lo stesso. Si è addormentato e ha mandato il fratello, meno male. Questo parla un corretto inglese, è educatissimo e ci racconta un sacco di cose del Vietnam. Ci dà un suo biglietto da visita e ci chiede di fargli pubblicità. Se lo merita mr. Dung , dunghiglandtour@yahoo.com ecco fatto! Voliamo in business perché non c’erano posti in economica, ma per 10 dollari in più ne è valsa la pena, Vip Lounge, snack, bibite a volontà e poltrone comodissime. Saigon ci accoglie con il suo caldo soffocante, per fortuna alle 16,30 precise ogni pomeriggio si alza un bel venticello e la temperatura si fa piacevolissima. Decidiamo di andare a vedere il quartiere cinese di Cholon con il suo mercato. Se non fosse per un bel tempio cinese nelle vicinanze, questa passeggiata si potrebbe evitare. Il mercato è all’ingrosso e non c’è nulla di pittoresco. Prenotiamo presso l’agenzia Vinaday l’escursione ai cunicoli di Cu chi. Da non perdere. Dopo un breve filmato dove gli orrori della guerra fanno molto meno male di quelli visti al museo dei residuati bellici, la guida ci conduce a vedere i cunicoli, le trappole e delle ricostruzioni dei momenti di vita dei vietcong . Ogni tanto si sente il crepitio di un mitra. E’ possibile sparare con degli M16 o con i AK47 meglio conosciuti come Kalashnikov. Lo ritengo abbastanza di cattivo gusto. Al pomeriggio mettiamo a dura prova i nostri piedi con un giro di shopping in centro. Per fortuna i centri massaggio non mancano per cui ci prendiamo una pausa di un ‘ora ed usciamo volando. E’ ora di cena e ci imbattiamo in quella che sarà la nostra seconda stupenda esperienza gastronomica: Il Saigon Halal, un ristorante mussulmano proprio di fronte allo Sheraton, gestito da una dottoressa malese di nome Shimi. Una donna dal fascino e dalla simpatia che non potremo mai scordare. Domani partiremo per la gita sul Mekong. Questa gita è un must. Come andare in Spagna e non vedere la corrida. Ebbene non fate né uno né l’altro. Quello che speravamo fosse una risalita in barca su uno dei fiumi più grandi del mondo si è rivelata essere una trappola per turisti con tanto di visita alla fabbrica di caramelle con assaggio e canzoncina di un gruppo musicale locale, visita ad una fabbrica di liquori e ristorante obbligato dalla guida che non avendo avuto nessun provento dai nostri mancati acquisti, ha subito cambiato tono nei nostri confronti, si è chiuso in un mutismo e si è limitato allo stretto necessario. Sono state decisamente troppe le ore in macchina da My Tho a Can Tho e ritorno per vedere il mercato galleggiante. Abbiamo visto di meglio nelle backwaters in Kerala. Can Tho, descritta come ridente cittadina, ma che ci avrà da ridere! E’ un paesotto piuttosto anonimo dove una volta c’era una strada chiamata “dei ristoranti”. Ora ce ne sono di decenti solo un paio dove peraltro abbiamo mangiato molto bene. La notte l’abbiamo passata al Victoria Hotel ***** bello ma molto poco funzionale rispetto agli alberghi di Huè e Hoi An costati un quinto. Tanto per intenderci, abituati al computer in stanza, qui in tutto l’albergo ce ne stavano solo due, vecchissimi, di cui uno rotto e uno occupato da un educatissimo signore che ci stava giocando a scacchi, meditando lungamente fra una mossa e l’altra. Se proprio non se ne può fare a meno consigliamo la gita di un solo giorno: 160 Km., le solite factories per turisti, un giro in piroga in un ramo del fiume tra mangrovie e bambù, ma almeno si evitano altri 200 km. In un paesaggio anonimo e alla velocità di 50 km orari per i numerosi autovelox, che qui rispettano tutti. Ritornati nel pomeriggio a Saigon, approfittiamo per un altro massaggio, torniamo a cena al Saigon Halal e dopo cena ci tuffiamo nell’atmosfera caotica delle bancarelle di fronte al Ben Tanh Market. Per andare a Mui Né, ultima tappa del nostro giro l‘agenzia Vinaday ci propone all’alternativa del taxi o dell’autobus, un open bus sleeping. Con la modica cifra di 8 dollari a testa e con la grande fortuna di avere un nuovissimo pullman tutto per noi (eravamo gli unici passeggeri) ci siamo fatti una bella dormita durante quasi tutte le cinque ore di viaggio, accomodati in veri e propri letti con tanto di cuscino e copertina. A metà del tragitto il pullmann si è fermato per consentire una sosta ai passeggeri. I bagni di questa stazione di servizio ci hanno meravigliato. Ci siamo dovuti togliere le scarpe e prima di entrare ci hanno fornito di ciabatte. All’interno i pavimenti brillavano per la pulizia. Se questo è terzo mondo, in quale posizione si trovano i bagni delle nostre autostrade? L’autobus ci lascia esattamente di fronte al nostro albergo: il Sunshine beach resort. Meno appariscente degli altri visitati su internet ma forse per questo più a dimensione umana. La nostra stanza immersa in un giardino tropicale dista solo 20 metri dalla spiaggia. Oltre a tutti i comfort, disponiamo anche di un salottino di vimini sulla veranda. La colazione mattutina a base di centrifugati di frutta freschissima, caffè latte marmellata uova ecc. Sta a testimoniare che la nostra scelta in base al rapporto qualità/prezzo è stata felicissima. Il mare di Mui Né non è particolarmente pulito: le alghe e il fondale conferiscono all’acqua un colorito verdognolo non esattamente piacevole. Il bello di questa località sono i suoi dintorni e così nel pomeriggio partiamo con una jeep con autista, 40 $ in quattro, alla scoperta di alcune vere meraviglie. La prima è la risalita a piedi scalzi, contornati da una natura stupenda, di un fiumiciattolo che porta al mare le cui acque sono rosse per l’ argilla che si disgrega dalle pareti di un canyon di sabbia stratificata grigia e rossa di spettacolare bellezza. La seconda tappa la raggiungiamo dopo circa 20 km. La nostra jeep condotta magistralmente dal suo driver si ferma sulla riva di un laghetto di ninfee di fronte a maestose dune di sabbia chiara. Sembra di stare nel Sahara. Poco più avanti sbucano fuori dei bambini con dei fogli di plastica. Per 20.000 dong (80 cent. Di euro) si affittano e ti consentono di fare del surf sulla sabbia. Fa troppo caldo e bisogna raggiungere le alture più distanti, per cui faccio un misero tentativo su un collinetta bassa, ma senza pendenza non si scivola. Basta così, va bene lo stesso! Dopo esserci rinfrescati con una bella birra ad un bar presso un boschetto alla base delle dune, proseguiamo per un Canyon che alla luce dell’imminente tramonto assume una colorazione rosso fuoco. Bellissimo. Lo spettacolo del sole che cala, illumina di un colore irreale la flotta di centinaia di barche da pesca variopinte che affollano il porto del villaggio di pescatori. L’ultima meraviglia ce la riservano le dune rosse, affollate di locali che vengono a godersi gli ultimi raggi di sole. Mui Né di sera è un susseguirsi di ristoranti, molti dei quali veramente belli e romantici. Ne abbiamo trovato uno, il nostro fiuto non ci ha traditi, e per tre sere abbiamo mangiato divinamente assistiti da un personale gentile e premuroso . L’ultima sera ci hanno salutato con baci e abbracci e una certa commozione. Mui Né è un bel posto nel quale starci 2 o 3 giorni, ma occorre sbrigarsi. Stanno costruendo dappertutto e lo standard sta deviando su un turismo di massa quasi esclusivamente russo. Non ci sono quasi indicazioni in inglese, ma su ristoranti, negozi e boutiques di massaggi campeggiano insegne in cirillico. Altra nota stonata sono un serie di negozi squallidissimi, simili a capannoni dove viene venduta da svogliati gestori perennemente incollati davanti al televisore la peggiore paccottiglia. Il vicino paese di Phan Thiet è sede di un grande e variopinto mercato, ma per chi ha lo stomaco debole, visto, o meglio sentito l’odore è consigliabile passarci alla svelta. Per chi invece resiste, il premio sarà la possibilità di scattare stupende fotografie. Il viaggio volge al termine. Concordiamo con l’agenzia di fronte al nostro hotel un taxi per l’aeroporto di Saigon (partono da 90 dollari, ma alla fine cedono per 65). Sembra impossibile che per fare 200 km. Ci vogliano quasi 6 ore, ma ce ne rendiamo subito conto a pochi km. Dalla città. Gli ultimi 30 km li facciamo a passo d’uomo. Questo viaggio ha soddisfatto tutte le nostre aspettative. Il Vietnam è bellissimo, bellissima è la sua gente e il loro carattere, di un popolo dominato e ferito da Cinesi, Francesi e Americani, che nello stesso tempo ha saputo reagire e infliggere ad un nemico potentissimo sconfitta e umiliazione. Torneremo, c’è ancora tanto Vietnam da visitare e già sentiamo la nostalgia di quello che abbiamo visto.


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