Viaggio nei parchi americani

Con volo diretto Roma-Chicago siamo arrivati negli Stati Uniti. Abbiamo preso l'auto a noleggio e... via per 42 giorni per i parchi ovest degli Usa
Scritto da: lampo
viaggio nei parchi americani
Partenza il: 07/09/2011
Ritorno il: 18/10/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
Premessa

Visitare i Parchi dell’Ovest americano e alcuni monumenti Nazionali è stato come realizzare un sogno, la vacanza che tutti abbiamo sognato di fare una volta nella vita. Siccome, per noi, è la prima volta che visitiamo il continente nordamericano, dopo aver visitato il Canada, siamo rimasti completamente affascinati dalla bellezza, dalla varietà, dalla grandiosità della Natura ancora incontaminata, spesso mescolata alla modernità più ‘spinta’ in una maniera che noi italiani non riusciamo a concepire facilmente, abituati come siamo ad un nostro piccolo mondo domato e plasmato ormai da secoli. Negli Stati Uniti, e in particolare nell’Ovest, l’idea di ambiente “a misura d’uomo” tende a svanire con il risultato di sentirsi piccoli, piccoli. L’auto (o il camper) è sicuramente il mezzo migliore per scoprire gli Usa autentici, quelli dei film on the road, perché se si vuole scoprire l’essenza di un Paese, non si possono visitare solo le grandi città (New York ecc…) ma è la provincia, i posti sperduti, i deserti e le praterie che trasmettono la vera natura degli States. Noi abbiamo noleggiato un’auto e siamo partiti verso l’ignoto, verso le meraviglie naturalistiche che questo paese può offrire e non abbiamo avuto alcuna paura di girare per le “routes” americane. Gli Usa possiedono un numero spropositato di parchi naturali e aree protette, monumenti rocciosi, canyon, laghi, montagne… non basta una vita per vederli tutti, e luoghi come Yellowstone, il Grand Canyon, la Monument Valley, Mesa Verde, le Montagne Rocciose, ecc possiedono un fascino unico che dev’essere respirato e vissuto. Nessuna foto e video possono minimamente riprodurre il reale splendore impressionato nella nostra memoria e nei nostri occhi. In generale si può’ affermare che il costo della vita, fuori dalle grandi città, è inferiore al nostro in Italia (a prescindere dal cambio favorevole)

Le bibite: mettono molto, molto ghiaccio in qualsiasi bevanda che non sia il “famoso” caffè lungo. Per gli americani è incomprensibile bere un bicchiere d’acqua o una bevanda senza ice cubes.

Km Percorsi: abbiamo guidato per 13.500 km circa. Gli Usa sono organizzatissimi e potete fidarvi molto della loro organizzazione. Sotto certi aspetti, per noi italiani “mediterranei”, possono anche sembrare un poco naif, esagerati e, se siamo rispettosi della loro cultura e delle loro regole, ci accorgiamo immediatamente che sono molto gentili, ospitali e sorridenti (gaudenti), altrimenti sanno essere molto duri. È molto importante conoscere BENE l’inglese se si vuole partecipare a delle escursioni con i ranger altrimenti non si capisce niente di quello che dicono in americano e nemmeno perché tutti ridono alle loro battute che fanno spesso e volentieri… oppure non siamo nemmeno accettati al tour previsto (esempio scendere nel Grand Canyon a dorso di mulo fino ad arrivare al fiume Colorado e restarvi probabilmente due giorni).

Preparazione del viaggio

Abbiamo incominciato a organizzare il nostro viaggio negli Usa alla fine di giugno. A noi interessava maggiormente la visita del parco di Yellowstone (che dista circa 2500 km da Los Angeles) perciò abbiamo deciso di rinunciare alla visita delle città e dei parchi della California. In internet abbiamo letto che nel parco di Yellowstone (altezza media 2500 metri) è probabile che cada la neve e faccia molto freddo già alla fine di settembre, quindi abbiamo deciso di partire i primi di settembre e andare subito a vedere i parchi del Sud Dakota, Montana e Wyoming e, dopo scendere al sud per visitare i parchi del sud-ovest (Utah, Colorado, Arizona ecc). Per scrupolo abbiamo verificato, sempre in internet, la disponibilità degli hotel situati dentro i parchi e sempre li abbiamo trovati occupati: ergo impossibile prenotare in anticipo una camera. Abbiamo letto i diari di coloro che sono andati in Usa ed hanno visitato i parchi, ma per la quasi totalità erano diari di giovani e relativi ad un periodo di 15/20 giorni massimo, mentre non abbiamo trovato alcun diario di persone più grandi (forse perché sono andati con le gite organizzate dai vari tour operator). Sono stati giorni frenetici alla ricerca di possibili soluzioni per superare l’handicap del pernottamento negli hotel che si trovano dentro i parchi. La decisione è stata quella di partire con al seguito una piccola canadese così da poter dormire nei campeggi situati all’interno dei vari parchi. Abbiamo controllato le nostre due (vecchie) piccole tende e le abbiamo trovate inutilizzabili. Modificata la scelta… abbiamo anche una tenda grande, la apriamo… è tutto a posto questa va proprio bene. Proviamo a metterla nella valigia e scopriamo che non entra ed è anche troppo pesante! Ripensiamo il tutto… no!

Abbiamo deciso di partire e partiremo con una nuova piccola canadese. Andiamo a comperarla e la prendiamo della misura che entra dentro la valigia, così potremo partire con un borsone a mano ciascuno ed una sola valigia grande. Non ci resta che programmare il viaggio. Prima di decidere come, dove e quando prendere l’aereo verifichiamo in diversi siti di compagnie aeree i costi, la durata e i pesi e le misure dei bagagli. E qui troviamo alcune difficoltà: c’è la compagnia che per i bagagli a mano richiede certe specifiche misure e pesi, altre che non indicano le misure, altre ancora non permettono di portare il bagaglio a mano a meno di una piccola borsa ecc, ecc. Insomma, una giungla! Forse sarebbe più semplice affidarsi a un tour operator e fare scegliere a lui che ci dice come, e cosa si può portare; ma non è il nostro caso, il viaggio è il nostro e vogliamo prendere noi tutte le decisioni – giuste o sbagliate! La nostra scelta è: compagnia aerea americana con volo diretto senza scali da Roma per Chicago. E così il 4 agosto 2011 prenotiamo il volo Roma – Chicago a/r con partenza il 7 settembre e ritorno il 17 ottobre, il primo pernottamento del motel a Chicago per la sera del 7 settembre e gli ultimi due giorni (15 e 16/10/2011) di pernottamento nel centro di Chicago (in Adams str. -nel loop ). Infine l’auto alla Hertz vicina all’aeroporto O’Hara di Chicago per il periodo 8 settembre-15 ottobre e con pagamento alla consegna dell’auto a Chicago. Ora non ci resta che attendere il giorno della partenza! Antero decide, visto che abbiamo comperato una nuova piccola canadese di diventare socio del club Koa (Kampgrounds of America), si iscrive, riceve la tessera e ottiene la possibilità di avere uno sconto per la sosta nel campeggi. Sempre leggendo in internet viene a conoscenza che è possibile acquistare delle carte telefoniche con pochissima spesa che permettono di parlare con telefoni fissi in Italia ad un costo irrisorio e per una durata di oltre 1000 minuti (salvo diminuire velocemente se si chiamano cellulari). Effettua una prenotazione di una carta telefonica via internet e subito iniziamo con le difficoltà legate alla lingua. Infatti con una mail ci viene comunicato che riceveremo una telefonata dal loro centro per confermare il tutto. E così avviene, Antero è costretto a capire (!) e rispondere (!) in inglese alle domande che la signorina gli rivolge. Crede che tutto vada bene, anche perché riceve immediatamente una mail di conferma che contiene anche il pin da utilizzare quando saremo in Usa. Tutto a posto? Nemmeno per idea! Arriva un’altra mail, dove ci chiedono di telefonare ad un numero italiano a Roma per darci ulteriori informazioni circa l’attivazione della carta telefonica. Antero compone il numero e… un disco registrato in americano pone delle domande che non si riesce a capire. Siamo in difficoltà! Non riusciamo a capire se la carta telefonica funzionerà oppure no. Cerchiamo qualcuno che capisca e parli bene l’inglese e troviamo fra i nostri conoscenti una persona che ha vissuto a lungo in Inghilterra e parla correttamente l’inglese. Andiamo a trovarla (si tratta di una gentilissima signora) la quale prova a fare il numero di Roma. Bene per ben quattro volte è costretta a chiudere il telefono perché non riesce a comprendere bene cosa dice il disco parlato in americano e non in inglese! Poi dopo vari tentativi entra in contatto con un operatore “vivo” il quale parlando in inglese riferisce che la scheda telefonica è a posto e funzionante (n.b. ci siamo preoccupati per niente perché il messaggio con il quale ci chiedevano di telefonare era stato inviato antecedentemente al messaggio di conferma della validità della carta telefonica, ma a noi era pervenuto subito dopo). Tutto questo fa parte del frizione, dell’agitazione che ci prende quando dobbiamo pensare a un lungo viaggio in posti che non conosciamo ed in particolar modo quando (come sempre) SIAMO SOLI. Passano i giorni e ripensando al viaggio che faremo, ci viene in mente (lo avevamo dimenticato!) che, se vogliamo dormire nella tenda, nei campeggi dobbiamo avere anche due sacchi a pelo e due materassini gonfiabili… fuggiamo ed andiamo ad acquistare quello che ci manca: un sacco a pelo. Riprendiamo la valigia grande, ci mettiamo dentro i due sacchi a pelo, la tenda e scopriamo che non ci sta altro se non le scarpe da trekking che dobbiamo portare per fare le escursioni nei parchi, e non vogliamo portare con noi due valigie grandi! Cambio. Partiremo senza tenda; ci sistemeremo come e dove possibile. Di nuovo in internet alla ricerca di motel nei pressi dei parchi e prendiamo nota che quelli dove c’è la disponibilità di camere si trovano tutti a circa 30-50-80 chilometri dai vari parchi. Bene, la nostra ultima decisione è: fissare tre notti nel campeggio vicino al parco di Yellowstone (50 km) prendendo un bungalow per la notte così siamo sicuri che potremo visitare il parco con tutto il tempo che vogliamo. Così facciamo, ma ci attende un’altra sorpresa: nella lettera di conferma della prenotazione ci viene spiegato che in tutti i campeggi americani non viene data la biancheria (lenzuola, guanciali e coperta), ma in compenso, in tutti c’è il riscaldamento. Non importa, appena arrivati in America ci attrezzeremo comprando quello che ci manca. Nel frattempo nostro figlio ci regala uno smartphone e lo prepara in modo tale che, prendendo Wi-Fi in Usa possiamo telefonare con internet. Si rivelerà una grande cosa: abbiamo telefonato a tutti i parenti, amici e conoscenti, spendendo pochissimi euro! Finalmente arriva il giorno della partenza, ci accompagna all’aeroporto nostro figlio, il tempo per il check in e siamo pronti per partire. Il volo parte in orario, atterrando a Chicago lo stesso giorno alle ore 15,30.

Durata del viaggio: 42 giorni (7 settembre – 18 ottobre 2011).

Stati che abbiamo attraversato: 14. Illinois, Wisconsin, Minnesota, South Dakota, Wyoming, Montana, Idaho, Utah, Colorado, Arizona, New Mexico, Texas, Oklahoma, Missouri. Inoltre, abbiamo visitato tantissimi parchi statali e monumenti nazionali.

Parchi e siti visitati:

Illinois Visita della città di Chicago.

South Dakota: (Parchi Nazionali) Badlands e Wind Cave, (Siti Storici Nazionali) Minuteman Missile, (Monumenti commemorativi) Monte Rushmore e Crazy Horse, (Montagne Rocciose) Black Hills, Belle Fourche (centro geografico nazionale).

Wyoming e Montana: (Parchi Nazionali) Yellowstone e Grand Teton, (Monumenti Nazionali) Devils Tower, (Aree Nazionali) Bighorn Canyon e la Chief Joseph scenic byway.

Utah: (parchi Nazionali) Zion canyon, Bryce Canyon, Capitol Reef, Arches, Canyonlands (Monumenti Nazionali) Cedar Breaks, Grand Staircasse Escalante, Needles Park, Hovenweep, Natural Bridges (Aree nazionali e Parchi Statali) Anasazi park, Devils Canyon, Dead Horse Point, Kolob Canyon, Snow Canyon.

Colorado: (Parchi Nazionali) Mesa Verde (Monumenti Nazionali) Dolores, Yucca House (Siti storici) Fuor corners.

Arizona: (Parchi Nazionali) Grand Canyon, Petrified Forest, Monument Valley Navajo Tribal Park (Monumenti Nazionali) Canyon de Chelly, Montezuma Castle, Walnut Canyon, Navajo, Meteor Crater. (Parchi Statali) Slide Rock state park Sedona la scenic byway di Sedona e la famosa Route 66 fino a Chicago.

New Mexico: (Parco Storico) Pecos (Monumenti Nazionali) Petroglyph Circle, Santa Fe, El Malpais, Acoma Pueblo (Sentieri storici) El Camino Real, Santa Fè, Pecos, Los Angeles NM e Ruote 66.

Oklahoma: (siti storici Nazionali) Forte Reno a El Reno (Monumenti commemorativi) Oklahoma city.

Mercoledì 7 settembre

Partiamo! Alle 6, dopo aver salutato i figli, i nipoti, il cane e il gatto, con la macchina ci dirigiamo verso l’aeroporto di Roma. Troviamo confusione nel raccordo anulare, ma siamo partiti con comodo ed arriviamo al terminale 5 in orario per fare il check in, tutto veloce e senza disguidi e siamo già in attesa di imbarcarci. Mentre attendiamo facciamo il controllo di tutti i documenti, biglietto aereo compreso riscontrando che non abbiamo ricevuto il biglietto relativo al ritorno. Minuti di panico poi approfittando della cortesia di un giovane Italiano che deve andare a Chicago per lavoro, tiriamo un grosso respiro di sollievo. Ci dice che è tutto memorizzato nel computer della compagnia aerea e non c’è bisogno di avere il cartaceo (Io e Mary ci guardiamo… che figura! Sono passati 3 anni dal nostro ultimo viaggio in aereo e le cose nel frattempo sono cambiate e noi non siamo aggiornati). Ore 10,30 ci imbarchiamo, ore 11,15 in perfetto orario l’aereo decolla e lascia il suolo Italiano. Dall’oblò possiamo vedere l’Isola d’Elba, la Sardegna, poi la terra scompare, siamo sopra l’oceano. Il viaggio si svolge tranquillo, le ore di volo sono tante (10,45) e cerchiamo di appisolarci tra un pasto e l’altro. Il servizio a bordo è continuo ed abbondante facciamo, colazione, pranzo, merenda e cena. Arriviamo puntuali all’aeroporto O’Hara di Chicago che sono le 15,30 locali, mentre siamo in fila per i controlli proviamo a telefonare e inviare messaggi, ma non prendiamo la linea, vediamo dei cartelli che avvisano che non c’è copertura di rete, rimandiamo a domani anche perché in Italia sono le 22,30. Mentre gli americani, che sono sbarcati assieme a noi effettuano velocemente i controlli a tutti gli altri, noi compresi, ci fanno fare una lunga mostruosa fila di attesa, poi ci fanno fotografie, prendono le impronte delle dita, controllano i documenti ecc; solo dopo quattro ore riusciamo ad uscire dall’aeroporto e sono le 19,30. Il primo impatto in America è negativo! ma non è il solo: infatti, quando prendiamo il tassì e consegniamo un biglietto con su scritto il nome dell’hotel, la via,ecc ecc il tassista, afro-americano, fa un sacco di eccezioni, dice di non conoscere la zona, tergiversa, ci fa arrabbiare fino a farci dire che, avendo il navigatore, basta che inserisca l’indirizzo dell’hotel! Così fa e così riusciamo ad arrivare per cena al nostro Hotel. Siamo stanchi, dopo aver lasciato le valigie in camera, andiamo in un vicino Burger restaurant, consumiamo un pasto veloce e poi andiamo a dormire.

Giovedì 8 settembre

Alle 4 ci svegliamo per telefonare in Italia; nell’hotel c’è wi-fi free, ci colleghiamo ad internet e parliamo con i figli (il nuovo smartphone si è subito dimostrato utilissimo!). Facciamo colazione e chiamiamo un taxi che ci conduce alla Hertz autonoleggi vicino all’aeroporto. E’ presto e abbiamo fissato l’auto per le 12, ma sono appena le 10,30. Chiediamo allo sportello se è possibile anticipare, ci dicono di si, sbrighiamo alcune formalità, confermiamo il pieno di benzina per chilometri illimitati, aggiungiamo al contratto un’assicurazione per ulteriori danni alla vettura e… ci consegnano l’auto. Sono le 11, un impiegato che parla anche un po’ di italiano ci consegna una macchina nuova (il contachilometri segna 10.700 miglia); si tratta di una Chevrolet mod. Impala, 3500 di cilindrata e ci ricorda di non usare mai il piede sinistro altrimenti pigiamo il freno e corriamo il rischio di inchiodare. Partiamo lentamente e con una certa preoccupazione, raggiungiamo il casello di uscita che è regolarmente sbarrato; un altro impiegato della Hertz ci chiede il passi, lo controlla elettronicamente e la sbarra si alza. Ecco, ora siamo fuori ci stiamo immettendo nella strada (anche questa sembra un’autostrada essendo a 4 corsie) che ci conduce velocemente all’ingresso dell’autostrada 90, quella che conduce fino a Rapid City. Che confusione, macchine che ci superano da destra e da sinistra, tutte vanno molto veloci mentre noi non superiamo le 45 miglia. Arrivati al primo casello dobbiamo pagare, (sappiamo di avere il Telepass che ci consente di passare velocemente ma non vogliamo utilizzarlo, dato il costo abbastanza sostenuto in caso di utilizzo) quindi prepariamo le monetine esatte, ma c’è anche il casellante che riscuote… tutto diventa più facile. Per uscire da Chicago paghiamo ancora altre 3 volte (1 $ alla volta!) poi niente più, intanto il traffico è diventato ancora più caotico, Antero decide di uscire dall’autostrada per… riprendere fiato e pieno possesso del concetto che guidare una macchina automatica è diverso da guidare una vettura con il cambio manuale. Non appena si presenta uno svincolo sulla destra Antero fa per uscire dall’autostrada. E qui succede quello che non volevamo succedesse. Poiché lo svincolo è in salita, Antero cerca di scalare la marcia e utilizza il piede sinistro per “schiacciare la frizione” invece… si blocca l’auto in modo repentino! Le macchine che sono dietro sono costrette a frenare, fino a far fumare le gomme, tanto erano veloci. Che fortuna! Due macchine si fermano a meno di 5 centimetri da noi, senza toccarci, le altre sono riuscite a scansarci. Ci becchiamo un po’ d’insulti, chiediamo venia, poi, lentamente, molto lentamente, con il piede sinistro lontano dalla pedaliera ed il braccio destro che non tocca il cambio ripartiamo. Mary da ora in poi deve controllare che Antero non metta assolutamente la mano sopra il cambio! Ora che anche il traffico è molto diminuito abbiamo il tempo di goderci lo spettacolo circostante, breve sosta per pausa pranzo, superiamo la città di Madison, poi nella zona turistico-balneare del lago Delton, anche se ancora è giorno decidiamo di fermarci per rilassarci un pochette, poi cerchiamo nelle vicinanze un motel e lo troviamo a Willis-Dells. Sistemate le valigie in camera (questa operazione “stressante” la ripeteremo per i prossimi 40 giorni), avendo visto che nel motel c’è la piscina e la spa, decidiamo di andare a fare un lunga e rigenerante pausa nelle calde acque della spa che con le sue bollicine ci tonifica il corpo. E così facciamo ora di cena.

Venerdì 9 settembre

Alle 8 sveglia, telefonate ai figli (grazie wi-fi), una buona colazione e un caffè lunghissimo che ci fa rimpiangere i nostri caffè, forti, pastosi, bassi… eccitanti. Riprendiamo l’autostrada, facciamo sosta per uno spuntino e con il solito caffè, acquistiamo viveri per il pranzo che consumiamo in una area picnic, in mezzo al verde; ci sono molti tavoli da picnic e dei bagni superpuliti. Proseguiamo, la strada è monotona, poco traffico e davanti a noi campi sterminati coltivati a granturco. Ogni tanto vediamo grandi fattorie con grandissimi silos e annessi per il bestiame e tutto è pulito ed ordinato. Raggiungiamo la cittadina di Mittchell dove troviamo un motel che sembra uscito da un film, è decorato con teschi di buoi e corna di cervo ed ha una grandissima piscina sul davanti, incominciamo a vedere cose che ci ricordano che il west si sta avvicinando.

Sabato 10 settembre

Non riusciamo a prendere la linea AT&T quindi non ci resta che provare con la famosa scheda americana. E’ una procedura lunga il numero da comporre è molto lungo poi si deve aggiungere il codice pin, infine il numero di telefono italiano da chiamare con lo 039 davanti, ma ci riusciamo utilizzando il telefono che abbiamo in camera. Che bellezza abbiamo 1111 minuti da consumare e via a telefonare ad amici e parenti. Partiamo e la prima sosta è in un grosso centro commerciale Val-Mart (ipermercato grandissimo che troveremo anche nei più piccoli paesi) e comperiamo il necessario per poter trascorrere 3 giorni nel campeggio Koa a West Yellowstone e cioè un caldo piumino, un guanciale, una scatola termica per cibi e…. un pitale. Si, proprio un pitale, per la notte. Non sappiamo come siamo sistemati nel campeggio… e se fossimo molto distanti dai bagni? Meglio non rischiare. Naturalmente abbiamo già cambiato il nostro modo di mangiare. Abbiamo abbandonato il tipico menù americano (i dolci sono tutti con la glassa, ricoperti con vaniglia o altro e molto, molto dolci, poi il pane… a noi piace il pane con la crosta croccante, mentre qui in America esiste solo pane molliccio, morbido, buono solo per fare i famosi panini MacDonalds. Le salse sono inserite in tutti i cibi che sono sì gustosi, ma altamente calorici. La pasta è sempre una specie di colla, la carne è superspeziata e le quantitrà sempre da giganti. Poi, a completare l’opera, la televisione fa vedere come i ristoranti preparano il cibo e come i clienti se li gustano aprendo la bocca a mo’ di forno, poi, cosa ancora più importante, abbiamo visto tantissimi americani obesi, non grassi, ma obesi-grossissimi- tanto che ci siamo impauriti e fra noi abbiamo detto: modifichiamo subito il nostro modo di mangiare. La mattina facciamo colazione con i corn flakes nel latte freddo, freddo (il latte, già freddo, si trova in termos immersi in una ciotola di ghiaccio), meno di mezzo bicchiere di caffè lungo lungo, una banana o altra frutta e via; per il pranzo facciamo scorta di frutta di vario tipo, cracker, formaggini e yogurt; talvolta prendiamo fette di prosciutto o altro con del pan carré. Per la cena ci procuriamo cosce di pollo fritte, pollo arrosto, affettati vari e formaggi, bistecchine di bisonte con purea ed altre amenità pronte da cuocere in pochissimi minuti al microonde; e poi asparagi, fagioli, piselli, e altri tipi di verdure in scatola, compriamo in gran quantità l’insalata, le carote, i pomodori, carciofi e altre verdure già pronte. Ecco questa è stata la nostra alimentazione per tutto il periodo salvo qualche volta mangiare al ristorante messicano, cinese e…. americano. Oggi vogliamo andare a visitare il famoso National Park delle Badlands. Percorriamo sempre la interstate 90 e prendiamo l’uscita 131, facciamo 5 chilometri ed ecco davanti a noi l’ingresso nord-est del Parco.

Al ranger di guardia (anzi è una grossa ranger) chiediamo un pass valido per 1 anno che ci consente di entrare in tutti i parchi e monumenti nazionali Usa al costo di $ 80. Entriamo e subito notiamo che il parco intero è un’area geologica di incredibile fascino, costituita da calanchi, pinnacoli, guglie d’arenaria stratificata, con differenti colorazioni, in un percorso labirintico di estrema bellezza, un vero caleidoscopio di colori strani e luccicanti delle formazioni la cui spettacolarità è data dalla continua erosione del terreno che continua a scolpire la “butte” ancora oggi (Butte = “piccola collina” isolata, dai lati fortemente inclinati e dalla cima piatta), tanto che un giorno – nel futuro – le Badlands saranno completamente erose. Percorriamo lentamente la Loop Road e facciamo sosta ogni qual volta che troviamo un trial (percorso o sentiero) il quale ci permette di avvicinarci a piedi ai pinnacoli ed ai calanchi. Lungo il percorso notiamo tante macchine ferme lungo il ciglio della strada: siamo nella zona di Robert Prairie dog town, dove troviamo la più grande comunità di cani della prateria (Prairie Dog) delle Badlands. Continuando nel percorso e arriviamo nella riserva indiana di Pine Ridge dove si trova il White River Visitor Center con ranger della comunità tribale Oglala Sioux. Al Ben Reifel Visitor Center – aperto tutto l’anno e sede centrale del parco abbiamo assistito ad un filmato molto interessante. Ci dirigiamo verso Wall e troviamo il Cedar Pass Lodge con un accampamento di tende indiane (tepee). Ritorniamo nella I90 e poi andiamo a visitare il “Missili Minuteman National Historical Site” dove vediamo gli aerei, i missili e tutta la tecnologia americana per lo spazio. Si sta facendo tardi. Andiamo a Wall, piccolo paesino particolarmente conosciuto per il suo Drug Store, che è diventato una attrazione turistica. Nella città vecchia sono stati ricostruiti bar e negozi tipici del Far-west americano. C’è anche un piccolo museo, colmo di fotografie originali dell’epoca che ritraggono i capi indiani; il Wounded Knee, completamente dedicato ad un tragico episodio del 1890 quando il 7° cavalleria massacrò le tribù di Toro Seduto e Big Foot, segnando la fine della resistenza indiana. Troviamo un motel vicino al centro e dopo cena ritorniamo nella strada dove si affacciano tanti vecchi saloon ,abbiamo la sensazione di vivere nel passato.

Domenica 11 settembre

Al contrario del primo impatto che abbiamo avuto con gli americani, ora constatiamo una disponibilità ed una accoglienza veramente calorosa. Tutti si sforzano di capire il “nostro” inglese, e collaborano con cortesia. Stasera vogliamo pernottare a Custer. A Rapid City facciamo compere in una famosa gioielleria; “Rushmore Gold & Diamond Factory”. Acquistiamo due orologi particolari; hanno entrambi una foglia di vite e un grappolo d’uva così come tutti i gioielli che qui producono. Quando arriviamo al Canyon Lake vediamo dei cartelli che pubblicizzano una chiesa in legno originaria della Norvegia. Noi ne abbiamo viste tante, ma qui in America è davvero una rarità; è stata smontata in Norvegia, portata qui e ricostruita. Proseguendo, prima di arrivare al Monte Rushmore entriamo con l’auto dentro un parco dove gli animali sono liberi. Orsi che ci attraversano la strada, alci che pascolano liberamente, bisonti sonnolenti che ci accompagnano fino all’uscita non senza averci dato quel certo frizzicore e timore per gli eventuali danni all’auto.

Una breve sosta per il pranzo e alle 15 siamo finalmente all’ingresso del Monumento Nazionale di Monte Rushmore. Presentiamo il pass, ne verificano la validità, ci consegnano il materiale illustrativo del monumento e posteggiamo la macchina in un grande garage sotterraneo (a pagamento). Percorriamo pochi metri lungo un viale con tutte le bandiere di ciascun stato americano e, giunti nel piazzale vediamo scolpiti su una grande parete di roccia i volti di quattro famosi Presidenti degli Stati Uniti d’America (da sinistra a destra: George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosvelt, Abraham Lincoln), scelti rispettivamente come simboli della nascita, della crescita, della conservazione e dello sviluppo degli Stati Uniti. La scultura è veramente imponente, è alta circa 18 metri ed è un’importante meta turistica, anche per le bellezze naturalistiche delle Black Hills (montagne nere) e rappresenta il simbolo dei primi 150 anni della storia americana. Dal piazzale si vede il grande teatro scavato nella roccia, mentre a lato alcuni scalini conducono ad un museo e proseguono fino al bosco diventando un trail (sentiero) che arriva fin sotto i volti dei Presidenti. Fa molto caldo e i ranger suggeriscono di portarsi dietro l’acqua così facciamo e percorriamo il trail ammirando quelle imponenti sculture che incombono sopra di noi. È ancora giorno quando lasciamo Monte Rushmore. Proseguiamo e arriviamo nel villaggio di Custer nel Parco nazionale delle Black Hills. Quando arriviamo ci attende una gradita sorpresa, tutto il villaggio è in stile western, case, bar, banche, stazione dello sceriffo. Tutte sono di legno con colori vivaci, tutte hanno la bandiera americana. Facciamo una breve passeggiata, compriamo qualcosa da mangiare che consumiamo nel motel dove passeremo la notte.

Lunedì 12 settembre

Di buon’ora (sono appena le 8) prendiamo la US16 che ci porta in breve tempo nel luogo dove si trova la meravigliosa scultura (ancora da finire) creata dagli indiani in memoria di Cavallo Pazzo. All’ingresso del Crazy Horse memorial notiamo subito i tratti somatici caratteristici degli indiani, posteggiamo l’auto, prendiamo gli opuscoli che ci consentono di conoscere la storia di questo popolo e del suo grande desiderio di costruire questo monumento, assistiamo ad un interessante filmato che illustra tutte le fasi di preparazione della immensa scultura, la quale, una volta completata, sarà la più grande scultura nella roccia mai costruita, larga 195 mt ed alta 172 mt. (solo per fare un paragone, le teste scolpite sul Monte Rushmore sono alte solamente 18 metri). I capi Lakota appoggiarono l’idea di uno scultore intenzionato a onorare la memoria di quello che viene definito l’ultimo Sioux a fare la scultura così enorme per riparare alla “provocazione” dell’uomo bianco che aveva costruito Rushmore nel territorio sacro agli indiani. Nel 1999, l’allora presidente americano Bill Clinton si recò sul luogo degli scavi. Chi aveva dedicato la vita affinché Cavallo Pazzo potesse tendere il braccio a indicare le sue amate Black Hills, anche a lavori incompiuti poté legittimamente affermare che un risultato era stato raggiunto: un presidente americano rendeva omaggio alla memoria del più grande condottiero Lakota che la Storia ricordi, mai divenuto ufficialmente capo del suo popolo ma leader indiscusso solo in virtù del proprio carisma. Prendiamo una piccola corriera che ci conduce fin sotto la testa scolpita e ne ammiriamo la grandezza, resta ancora molto da fare per terminare l’opera ma gli indiani vanno fieri della loro decisione: non desiderano i contributi nazionali e mandano avanti i lavori solo con i ricavi degli ingressi e delle vendite di oggetti ricordo. Incontriamo una coppia di Francesi, i primi europei che vediamo; sono venuti in America per ben 3 volte e ora sono diretti a Yellowstone. Noi invece andiamo nel Custer Park dentro le Black Hills e ci immettiamo nella US 87. L’itinerario si snoda lungo le pendici di alte montagne, attraversiamo piccole gallerie scavate nella roccia, passiamo vicini ad un lago bellissimo vedendo colline tondeggianti e montagne con infinite guglie di granito, percorriamo strade (il Wildlife loop) che si aprono su panorami mozzafiato in uno scenario sempre stupendo. Durante il nostro giro all’interno del parco ci dobbiamo fermare varie volte per far passare branchi di bisonti, cerbiatti con la coda bianca, tacchini, scoiattoli, cani della prateria e asinelli, tantissimi asinelli. Lo sapevamo, per averlo letto in alcune riviste che qui si trova uno dei branchi più grandi degli USA di bisonti, una notevole quantità di antilocapre, e tanti altri tipi di animali ma, una cosa è leggere e fantasticare ed un’altra è vivere questi incontri ravvicinati. Arriviamo nella mitica scenic byway 16a che percorriamo fino a superare Keystone, poi ci immettiamo in un’altra strada panoramica, la 385 dove godiamo di panorami superbi, la natura qui è la padrona assoluta. Arriviamo finalmente a Deadwood, monumento storico nazionale: è una città del Far West una volta governato da banditi, giocatori d’azzardo e pistoleri. La sua storia inizia nel 1876, due settimane dopo la battaglia del Little Bighorn dove avvenne la sconfitta del generale Custer.

La scoperta dell’oro attira fuorilegge, giocatori e pistoleri insieme ai cercatori d’oro. Deadwood è una città che deve ancora nascere, che vive senza leggi, popolata da ogni sorta di criminali. In un luogo dove non vi sono leggi, l’unica legge che vale è quella del più forte, in questo caso Al Swearengen, uno dei pionieri fondatori della città, padrone dell’unico Saloon dove gestisce i suoi loschi affari. Altri personaggi arrivano in città con l’intento di ricominciare una nuova vita: tra loro vi sono Seth Bullock, ex-sceriffo, il più famoso pistolero del west e cercatore d’oro Wild Bill Hickock (ma solo poche settimane dopo il suo arrivo, viene ucciso mentre gioca a poker e tiene una mano di poker di assi e otto – per sempre conosciuta come la mano del morto), e Calamity Jane i quali sono entrambi sepolti nel Cemetery Mount-Moriah a Deadwood. Dopo gli incendi che hanno devastato più volte la città, facendola diventare un vecchio paese fantasma, ecco che nel 1989 viene legalizzato il gioco d’azzardo. Così oggi si presenta la città, come un immenso casinò con sale da gioco in ogni angolo di strada; infatti anche nel nostro motel esiste un saloon con annessa sala da gioco. Dopo esserci rilassati nella spa (piccola piscina con acqua calda – 38°- e con le bolle!), andiamo a mangiare nella sala da gioco e qui troviamo molta gente impegnata alle slot machine e ai tavoli verdi. Le luci abbaglianti e lampeggianti, assieme al chiasso ci fanno pensare a come dovevano essere i saloon nell’800, e facciamo subito caso al fatto che la cassa del casinò è riparata da grosse sbarre utili a limitare le intemperanze dei giocatori nei confronti della cassiera. Ci sono giocatori sorridenti (hanno vinto) ed altri che sembrano disperati (hanno perso), altri che strascicano i piedi e sembrano rincretiniti dai suoni e dai rumori del saloon; e così passiamo la serata, sono le 24 ora locale ed ancora entrano persone per tentare la fortuna mentre noi andiamo a riposare.

Martedì 13 settembre

Come al solito facciamo colazione con i corn flaks poi alle 8, dopo pochi chilometri siamo nella cittadina di Lead famosa per la sua miniera d’oro che fino alla chiusura avvenuta nel 2001 era la più antica al mondo ancora in funzione. Chiediamo di partecipare ad una visita guidata per andare a vedere l’enorme pozzo largo 550 metri e profondo 300 metri, ma le visite sono terminate il 10 settembre; pazienza, ci accontentiamo di vedere l’enorme pozzo da una terrazza. Prendiamo la US 14 ed arriviamo a Spearfish, incastonato negli spettacolari paesaggi del suo canyon, e che ci affascina con il suo quartiere storico. Proseguiamo verso il “il centro geografico degli Stati Uniti”, infatti nella nostra guida abbiamo letto che si trova nei pressi di Belle Fourche. A Spearfish ci procuriamo un depliant con l’indicazione del “centro”; interroghiamo il nostro Neverlost (il navigatore americano), facciamo la rotta e partiamo decisi ad immortalare questo momento. Superiamo la cittadina di Belle Fourche ed il navigatore ci dice che il “centro” è a circa 30 miglia (50 km), siamo confusi, credevamo che fosse vicino alla città, invece il navigatore conferma sempre la posizione. Continuiamo su una lunga striscia di asfalto circondata da praterie, steppa e niente altro; già incominciamo a vedere i cartelli che indicano il vicino confine con il Canada mentre rarissime macchine percorrono la strada; ci domandiamo… ma dove si va? Finalmente il navigatore indica di prendere una pista così da arrivare al punto esatto… ma siamo in pieno deserto, niente e solo niente, davanti a noi e non vogliamo lasciare la pur solitaria strada asfaltata. Ci guardiamo intorno e non vediamo niente (nel depliant c’era la foto del “centro” con tanti alberi intorno ma qui non c’è proprio niente. Improvvisamente, e per fortuna, arriva una macchina. Antero fa cenno all’autista di fermarsi e questo si ferma proprio in mezzo alla strada (tanto è tutta diritta e non ci passa quasi nessuno!). Chiediamo dove si trova il famoso “centro degli Stati Uniti” e facciamo vedere il navigatore, ci dice di tornare indietro fino a Belle Fourche e superare il ponte, subito a sinistra troveremo il famoso “centro”. Il navigatore ci ha imbrogliato, voleva forse che arrivassimo in Canada? Ritorniamo indietro, ripercorriamo i 50 chilometri che ci separano da Belle Fourche, arrivati al ponte troviamo una piazzetta, lasciamo la macchina e, dietro il visitor center, appare ai nostri occhi il famoso “centro geografico degli Stati Uniti”. Si tratta di un grande disco di marmo con incisa la sagoma dell’America, dell’Alaska e delle Hawai che insieme formano gli stati uniti. Sì, anche se il “centro” può sembrare troppo a nord bisogna tenere in conto anche questi due stati che sono agli estremi del territorio degli Stati Uniti d’America. Facciamo le fotografie di rito, telefoniamo, grazie alla connessione wi-fi, ai figli un breve spuntino e ripartiamo per visitare la famosa Torre del Diavolo così chiamata dagli indiani la Devils Tower. Alle nostre spalle lasciamo il Sud Dakota ed entriamo nel Wyoming; in questo stato si respira la storia quella magica e cruenta, del west; è anche lo stato meno popolato degli Usa e nulla è cambiato dai tempi dei pionieri e dei cowboy. La spettacolare natura delle montagne rocciose è rimasta intatta, il rodeo è ancora il fatto più importante, mentre il lavoro più ambito è quello dell’horse whisperer (l’uomo che sussurra ai cavalli): e ci sono persone che riescono a domare cavalli selvaggi semplicemente sussurrandogli dentro le orecchie. La strada scorre senza alcun panorama, solo praterie, poi improvvisamente all’orizzonte compare un grosso cono di pietra: la Devils Tower che è quanto rimane di un cono vulcanico. E’ veramente imponente e quando siamo alla base della “montagna” ci sentiamo piccoli, piccoli. La sua strana forma è costituita da tante colonne verticali di roccia e notiamo che ci sono molti scalatori che cercano di arrivare sulla cima. Noi facciamo il giro della base della torre, entriamo in un sentiero dentro il bosco e vediamo tanti, tantissimi scoiattoli poi tantissime buche nel terreno… sono i famosi cani della prateria che entrano ed escono come a volersi far fotografare. Si è fatto abbastanza tardi, non ci resta che andare nella prima cittadina e trovare un motel, facciamo pochi chilometri e ci fermiamo a Gillette un paese che non ha niente di particolare se non quello che a noi serve: un motel.

Mercoledì 14 settembre

Anche stamane lasciamo presto il motel, vogliamo visitare Buffalo, le Big Horn Mountains con la famosa scenic Byway che da Lowell in uno spettacolare panorama ci condurrà fino a Cody. Arriviamo a Buffalo, improvvisamente il cielo si fa scuro, tira un forte vento, fa freddo tant’è che alla prima sosta notiamo che siamo a 0 gradi, proseguiamo sperando in un miglioramento. Saliamo nella montagna fino a raggiungere 3000 metri ma non riusciamo a vedere alcunché perché la nebbia ha avvolto tutto, ora proseguiamo a 5/10 miglia, non c’è traffico, siamo soli ci sono curve a gomito e continui saliscendi, ad ogni curva abbiamo la sensazione di uscire di strada, quindi abbiamo anche un po’ di paura. Purtroppo lo stupendo panorama che si doveva vedere passando da questa strada è rimasto avvolto nella nebbia e non vedevamo l’ora di ridiscendere ed arrivare a Cody. Finalmente e solo quando arriviamo a Powell la nebbia sparisce. Lungo la strada c’è un visitor center, dagli opuscoli vediamo che nei pressi meriterebbe una visita un Canyon bellissimo, ma noi ci accontentiamo di vederne il filmato perché mancano ancora circa 50 chilometri per arrivare a Cody dove dobbiamo prenotare la camera, ed assistere allo spettacolo western che si terrà davanti all’Hotel Irma alle ore 18. Entrati in relativa confidenza con la cordiale, disponibile, gentile e cortese ranger del visitor center, Antero le chiede di prenotare per nostro conto una camera all’hotel Irma per questa sera. Certo la discussione si protrae per alcuni minuti visto il nostro inglese, ma alla fine la ranger capisce e telefona all’Hotel, comunica i nostri dati e, più importante, la nostra carta di credito, e ci rassicura per l’esito della prenotazione. Evviva! Facciamo in tempo ad arrivare a Cody, visitare la cittadina, sistemare le nostre cose nella camera prenotata ed assistere tranquillamente allo spettacolo. Questa città è anche famosa per il Buffalo Bill Historical Center che contiene delle collezioni di cultura western e per il Cody Firearms Museum, la più grande raccolta la mondo di armi da fuoco americane e ancora oggi Cody parla ancora di lui: di Buffalo Bill (William Frederick Cody) e dei suoi famosi rodeo. Inoltre, uno dei siti storici della città è l’hotel ristorante Irma, perché fu costruito da Buffalo Bill come albergo di lusso e come concreta rappresentazione della leggendaria ospitalità western; porta il nome della figlia più giovane, Irma, e ancora oggi viene gestito dalla famiglia. Ogni sera davanti all’hotel è possibile assistere alla rappresentazione dei tradizionali duelli con le pistole del vecchio west. Quando arriviamo all’hotel riceviamo una calorosa accoglienza, dei camerieri in perfetto stile western ci accompagnano nella nostra camera e qui una gradita sorpresa: dormiamo nella camera n.20 quella preferita dal colonnello W.F Cody (Buffalo Bill) ed a lui intestata, in altre camere ci sono ancora i buchi lasciati dalle pistolettate. Superato l’attimo di naturale emozione per quella stanza arredata nello stile western ed in considerazione che la temperatura oscilla tra 3 e 7 gradi ci facciamo una bella doccia calda riscaldandoci un po’, ripensando che solo ieri avevamo avuto oltre 35 gradi! Che emozione! tutto qui ricorda il vecchio west, la scala di legno per andare nei piani superiori, la grande sala dove è stato allestito il ristorante. Il bar dove nel bancone (di ciliegio regalo della regina Vittoria a Buffalo Bill) ci sono i maniglioni di ottone, un grande specchio dietro i barman e… le sputacchiere per terra. Alle 18 in punto, proprio dalla uscita laterale dell’hotel, in una strada che viene chiusa per l’occasione, assistiamo alla preparazione della scenografia. Lo spettacolo comincerà subito dopo l’inno nazionale americano al quale partecipano tutti in piedi e mano sul cuore; non solo gli attori ma tutto il pubblico presente, e alla fine dell’inno scroscia un enorme applauso! Veramente emozionante. Poi lo spettacolo; gli attori (gente del paese) parlano, gridano (noi naturalmente non capiamo cosa dicono) sparano con il fucile e con le pistole, si ubriacano, fanno una rapina alla banca, si sfidano a duello e… vince la legge. Alle 19,30 termina lo spettacolo tra grandissimi applausi, tutti andiamo incontro agli attori per scattare una foto ricordo. E’ finita la giornata in modo splendido e domani ci attende Yellowstone.

Giovedì 15 settembre

Partenza per il parco di Yellowstone dove resteremo 4 notti e 5 giorni. Il parco nazionale di Yellowstone si trova nell’estremo settore nord-occidentale dello stato del Wyoming e sconfina, per un piccolo tratto, negli stati del Montana e Idaho, occupando un’ampia zona delle Montagne Rocciose. È uno dei più grandi ecosistemi intatti della zona temperata rimasto sulla Terra. Yellowstone è il più antico parco nazionale del mondo (è stato fondato nel 1872 ed è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1978). Il parco si estende per 8.980 km² su una serie di altipiani che hanno un’altitudine media di 2.400 metri s.l.m. La zona è attraversata da diversi corsi d’acqua, il più lungo dei quali è il fiume Yellowstone, da cui il parco prende il nome, che lo attraversa totalmente da sud a nord per poi gettarsi in un profondo canyon e creando due magnifiche cascate. Nel parco sono presenti molti trail (sentieri) e mulattiere che si estendono in totale per 1600 chilometri. Geyser e formazioni Il parco è celebre per i numerosi geyser, le sorgenti calde (200° c) e altre interessanti zone geotermiche. I Geyser sono circa 400 e qui raggiungono la più alta densità al mondo; i più grandi emettono getti di vapore a intervalli regolari che arrivano fino a 50 metri. Le sorgenti calde sono ancora più numerose; l’acqua fuoriuscita da molte di queste e ricca di minerali che creano nei terreni attorno coni e terrazzi. L’esempio più famoso e impressionante è quello del Mammoth Hot Springs, dove sono sorti dei depositi che toccano addirittura i 90 metri. Il geyser più noto è senz’altro “l’Old Faithul” (il “Vecchio Fedele” in inglese) che i turisti possono osservare quando emette getti di vapore ogni 93 minuti. Sotto il parco di Yellowstone si nasconde un Supervulcano che secondo gli esperti prima o poi erutterà, facendo fuoriuscire immense quantità di cenere che si depositeranno su tutto il Nord America. Un’accentuata pendenza del terreno ha in effetti del tutto svuotato un lago, a dimostrazione della salita e della crescente pressione del magma sottostante la superficie del terreno. Vi sono poi molte altre formazioni rocciose come alcuni vulcani di fango (mucchi di fine materiale roccioso bagnato da acque sorgive) o come le Tower Falls, cascate alte 40 metri, il Golden Gate Canyon e l’Obsidian Cliff, una formazione di ossidiana alta circa 50 metri. Il parco è molto importante in campo nazionale e internazionale per essere popolato da specie rare e spesso in via di estinzione. Ci sono quasi 60 specie di mammiferi nel parco, tra cui il Lupo grigio, il Bisonte americano, l’orso bruno, l’alce, il cervo mulo, il bighorn, lo wapiti, la capra delle nevi, il puma, la lontra, l’antilocapra, l’aquila di mare dalla testa bianca simbolo degli stati uniti d’America, il leone di montagna, la lince ed il famoso orso grizzly, ormai diventato il simbolo di Yellowstone.

Lasciamo Cody e proseguiamo per circa 100 chilometri nella US 14 A fino ad arrivare all’entrata est del parco dove facciamo la classica fotografia ricordo. Al casello d’ingresso, dopo il controllo del pass, il ranger ci consegna tutta la documentazione e notiamo che i luoghi del parco da visitare sono frazionati in 5 momenti ed il percorso forma una specie di 8 quindi se incominciamo da dove siamo entrati noi visiteremo per primo il Fishing Bridge e Lake Village, successivamente il Canyon Village, a nord il Mammoth Hot springs, ad ovest l’Old Faithfull ed il Grant Village a sud (tutti con una altezza media di oltre 2.000 metri). Un opuscolo in Italiano ci semplifica la lettura quindi dividiamo in 5 giornate la visita del parco. Fatti pochi chilometri davanti a noi, nelle vicinanze del lago, una mandria di bisonti pascola tranquillamente nella prateria. Costeggiamo un po’ il lago, siamo a 2400 metri di altezza, fa caldo.Vediamo il maestoso Lake Yellowstone Hotel completamente di legno e di colore bianco e giallo così come era stato costruito nel 1891. Ritorniamo a nord e costeggiamo il fiume Yellowstone che è il più lungo fiume senza dighe degli Stati Uniti e sfocia nel Missouri. Qui ha carattere torrentizio, e vediamo tanti pescatori che pescano a mosca; qui è possibile catturare pesci anche da 50/80 chili! Ad una curva ci appare sulla sinistra un immenso bacino di pozze con acque bollenti con colori che vanno dal verde al rosso bruciato mentre l’acqua è blu cobalto; siamo nella zona del sulphur Caldron e del Mod Vulcano. Percorriamo per intero il trail in mezzo a queste meraviglie; le passerelle talvolta sono proprio sopra le fumarole e a volte le esalazioni non permettono di vedere nulla. Percorriamo la valle Hayden lussureggiante di prati e zone paludose paradiso degli animali selvatici. Non facciamo molta strada e siamo costretti a fermarci in coda a tante altre macchine; Come mai, cosa succede? C’è un branco di bisonti che, lentamente, attraversa la strada. Poco più avanti un piccolo gruppo di alci pascola nella prateria in mezzo alle fumarole; quasi senza accorgersene siamo già arrivati al Canyon Village e tralasciamo la visita delle famose cascate. Giunti all’incrocio est del Grand Loop Road (una strada che forma un 8 perfetto lunga 280 chilometri) .Dobbiamo ancora percorrere più di 100 chilometri per andare al campeggio che abbiamo prenotato per 3 notti e che si trova a circa 10 chilometri da West Yellowstone. Giunti alla Norris junction (incrocio) scendiamo a sud poi a Madison junction giriamo a destra per andare verso l’uscita ovest del parco e raggiungere west Yellowstone e poi il nostro campeggio. Le distanze sono ragguardevoli e la velocità è limitata a 25 miglia orari. Arriviamo al campeggio che alle 18 circa, Antero mostra la tessera di socio, ritira la chiave del bungalow ma prima di andare nella nostra “piccola casetta” il gestore ci fa l’elenco delle cose che non possiamo fare; la principale è quella di non lasciare niente fuori, mettere la spazzatura negli appositi contenitori in ferro coperti ermeticamente, perché (ci troviamo in un bosco dentro il parco) di notte gli orsi e gli altri animali vanno alla ricerca di cibo e, possono essere pericolosi. Quindi se abbiamo qualche alimento che teniamo in macchina deve essere accuratamente coperto affinché gli animali non sentano l’odore; il rischio è trovare l’auto sfasciata se non ci atteniamo alle regole. E così, informati sul da fare andiamo a prendere possesso della nostra piccola baita in legno. Davanti all’ingresso, sotto un piccolo porticato c’è un terrazzo con un grande dondolo, a fianco c’è un grande barbecue e… il famoso recipiente con coperchio, tutto in ferro, per la spazzatura, chiuso ermeticamente. L’interno della baita è spartano, è un monolocale con un letto grande e 2 lettini a castello, mancano lenzuola, coperte e cuscini e, manca anche il bagno. Noi abbiamo però tutto il necessario perché lo abbiamo comperato a Rapid City. In compenso abbiamo il riscaldamento che proviamo subito essendosi abbassata la temperatura in modo repentino: durante il giorno la temperatura è sempre tra 20/25 gradi, ora, alle 19, ci sono 2 gradi e di notte farà ancora più freddo. Nel campeggio, a circa 150 metri da noi, c’è anche una grande piscina riscaldata ed una spa che resterà aperta fino alle 23 ma, con questo freddo non è proprio il caso di attraversare il parco per andare in piscia.

Venerdì 16 settembre

Abbiamo dormito al calduccio, mentre fuori stanotte è andato sotto zero. Il letto è un po’ duro ma nel complesso siamo stati bene. Per fare colazione dobbiamo andare in paese a 10 chilometri perché qui, nel campeggio c’è di tutto ma solo fino al 10 settembre. Nella cittadina tutte le abitazioni, motel, ristoranti, bar, etcc sono in stile vecchia America, molto caratteristici ed accoglienti. Entriamo in una libreria perché espone un cartello con su scritto “caffè espresso”, esiste una macchina per caffè e domandiamo alla gentile signorina se è possibile avere un caffè ristretto. Capisce che siamo Italiani e ci mette tutto il suo impegno ma… ne viene fuori un caffè abbastanza buono ma ancora molto, molto lungo; comunque è bevibile e non è un litro! Intanto il cielo si è coperto di nubi che non promettono niente di buono. Prendiamo dalla valigia il necessario per coprirsi, ripararsi dalla pioggia e dal freddo ed entriamo nel parco. La strada costeggia il Madison River e, arrivati all’incrocio decidiamo andiamo a sud ovest, verso l’Old Fathful per visitare Lower Geyser Basin, Gran Prismatic, insomma tutte le meraviglie che incontreremo nei 30 chilometri che percorreremo. Il cielo è coperto, fa abbastanza freddo e talvolta cade una leggera pioggerella. Impossibile elencare le meraviglie che incontriamo: alcuni placidi bisonti pascolano tra i soffi ribollenti, prendiamo il primo camminamento in legno che ci conduce direttamente a pochi metri da calderoni che odorano di uova marce, intorno a noi una frenesia di colori, l’acqua di un azzurro trasparente contrasta con il giallo ed il rosso dovuto ai batteri che si riproducono solo a temperature letali per qualsiasi altro essere vivente, pare di essere in un paradiso travestito da inferno di Dantesca memoria. Arrivati nei pressi del Grand Prismatic Spring, lasciamo la macchina nel parcheggio e prendiamo la passerella che ci porta fin sul bordo di questa grande polla colorata, ma i fumi che sprigiona sono cosi tanti e spessi che riesce difficile poterla vedere bene. C’è una possibilità, raggiungere un piccolo ponte a circa un chilometro, oltrepassarlo e prendere un sentiero che, dopo circa 2 chilometri ci porta nella montagna, proprio sopra la grande polla. Andiamo con l’auto fino al piccolo ponticello, poi dopo aver letto che è molto probabile incontrare orsi nel percorso, lasciamo perdere. Nell’arco di parecchi chilometri quadrati ci sono decine di altri geyser alcuni più grandi e più belli dell’Hold Faithful, ma molto meno costanti e precisi nelle loro esibizioni, quindi uno spettacolo riservato ai pochi che hanno la possibilità di trascorrere molte ore qui. Noi abbiamo la fortuna di assistere ad alcune di queste eruzioni ed è solo in questo momento che ci rendiamo conto che non esiste solo il fenomeno eruttivo ma anche i colori delle concrezioni tutt’intorno, fino a scoprire che tutte le bocche sono collegate fra loro. Infatti vediamo che, mentre un geyser erutta, la polla accanto si svuota, risucchiando l’acqua verso il basso. Entrambe si riempiranno pochi minuti più tardi ad eruzione avvenuta: un fenomeno che ci ha lasciato a bocca aperta. Ed arriviamo al geyser più famoso e suggestivo in quanto, per una strana alchimia sotterranea erutta a intervalli regolari e puntuali siamo davanti al’ Hold Faithful. Dentro il maestoso ed imponente Lodge viene affisso dai ranger l’orario delle eruzioni; siamo fortunati la prossima eruzione ci sarà fra 10 minuti, andiamo vicino al cono e aspettiamo assieme a tantissimi altri turisti. Il geyser incomincia a sbuffare con sempre maggior rumore, mentre innalza nuvole di fumo sempre più in alto fino ad esplodere con un grande boato e lanciare acqua bollente e fumo fino ad oltre 50 metri di altezza. Che meraviglia, siamo sopraffatti dall’energia e dalla bellezza della natura. Tra un breve scroscio d’acqua ed un timido e tiepido sole riusciamo a vedere una gran quantità di geyser ed ora è giunto il momento di rientrare nella nostra baita. Ripercorriamo la stessa strada ma viaggiamo più lentamente del solito (nel parco massimo 25 miglia/ora) perché se abbiamo fortuna, vedremo nel folto del bosco i cervi, qualche grosso orso e nella prateria i lupi, i bisonti e le antilocapre. Siamo stanchi e ,dopo cena, un po’ di tv, una partita a carte e poi a dormire.

Sabato 17 settembre

Quando usciamo dalla nostra baita vediamo tantissimi cavalli selvaggi che trotterellano liberamente e dobbiamo stare molto attenti con l’auto. Ritorniamo nella nostra libreria per prendere un caffè espresso, comperiamo una mappa dello Utah, poi andiamo in giro per i motel al fine di trovarne uno che abbia libera una camera per il giorno 18/9. Uno, due… cinque; finalmente troviamo un motel che ha una camera libera che fissiamo immediatamente lasciando il riferimento della carta di credito. Siamo contenti perché nel campeggio non c’era più disponibilità per un ulteriore giorno e noi vogliamo restare nel parco un giorno in più. Oggi ritorniamo al Canyon Village per terminare la visita delle famosissime cascate del fiume Yellowstone che scorre nel magnifico canyon. Ci sono comodi e grandi parcheggi e le passerelle di legno che permetto di arrivare anche in fondo al canyon. Fa freddo, tira un vento gelido ma porta il sereno ed il sole che fa risplendere i colori giallo, arancione e rosso del canyon. Per prima visitiamo la Lower Fall (cascata inferiore), con un salto di 90 metri ed una portata d’acqua veramente impressionante. Poi prendiamo un secondo sentiero che ci porta sull’orlo della Upper Fall (cascata superiore) con un salto meno imponente ma più emozionante in quanto tra noi e l’acqua c’è solo un piccolo parapetto in legno. Con l’auto arriviamo al parcheggio dove, con un sentiero, è possibile raggiungere il posto più panoramico del canyon e della Lower Fall. Come passa veloce il tempo! è ora di pranzo; facciamo sosta al canyon village dove ci sono ristoranti e negozi. Telefoniamo in Italia utilizzando la scheda americana e mentre Mary sta parlando con sua sorella vediamo un bisonte che è venuto a pascolare proprio davanti a noi, siamo emozionatissimi. Proseguendo il nostro itinerario superiamo il Dunraven Pass a 2700 metri d’altezza da qui godiamo del miglior punto di vista dell’antica caldera di Yellowstone; ancora 30 chilometri ed arriviamo alla cascata Tower Fall. Da una balconata facciamo le foto di rito poi scendiamo con un ripido sentiero di 800 metri che porta fino alla base della cascata. Proseguiamo ancora per pochi chilometri ed ecco davanti a noi a Specimen Bridge, la più grande foresta pietrificata del mondo, ceneri e colate di fango hanno bruciato gli alberi 50 milioni di anni fa. Alle 19,30 siamo nella nostra piccola casa, siamo stanchi e non abbiamo voglia di andare a cenare nella vicina cittadina e poiché stasera è l’ultima notte che trascorriamo nella baita dobbiamo preparare i bagagli. Facciamo un piccolo riepilogo mentale: ci siamo sempre domandati come mai quando, alle 19 circa, arrivavamo a Yellowstone, trovavamo i negozi chiusi e poi alle 22 si spengevano le luci del campeggio; stasera abbiamo capito: West Yellowstone si trova nello stato del Montana (e non nel Wyoming) e qui siamo una ora avanti rispetto al resto del parco. Capito l’arcano!

18 settembre Domenica

Oggi partiamo presto. Facciamo sosta per il solito caffè, poi la solita fila per vedere i bisonti e gli alci, e dopo alcuni chilometri, prima di arrivare alla Madison junction vediamo ancora una fila di automobilisti che guardano verso il cielo. Ci fermiamo anche noi e domandiamo ad un giovane cosa c’è, negli alberi davanti a noi ci sono delle aquile dal collo bianco. Con la macchina fotografica e con la cinepresa ci dedichiamo alla cattura fotografica dell’aquila che rappresenta il simbolo degli Stati Uniti. Finalmente riusciamo ad inquadrarla; è immobile su di un ramo, scattiamo alcune foto a ricordo dell’emozionante incontro. A nord del Norris Basin, che faremo al ritorno, c’è un importante museo che racconta la professione del ranger. Certamente il piccolo lago Beaver, l’Indian Creek, lo Sheepeater Cliff, seppure belli svaniscono letteralmente al paragone di quello che stiamo per vedere. Davanti a noi, su di una collina ecco Hot Springs, un ampio complesso di sorgenti di acqua calda (che per alcuni aspetti ricordano quelle turche di Pamukkale).

Queste sorgenti si sono formate nel corso di migliaia di anni, il loro calore è alimentato dalla stessa sorgente magmatica che alimenta le altre aree geotermiche dello Yellowstone, esse si trovano su una larga collina di travertino, creatasi in migliaia di anni proprio con i depositi delle acque ricche di carbonato di calcio: la Terrace Mountain di Mammoth è la più grande formazione del genere in tutto il mondo. Le alghe che vivono nelle piscine calde hanno colorato il travertino con sfumature di marrone, arancione, rosso e verde. Nel corso dei secoli le sorgenti hanno generato varie Terrace: Opal, Minerva, Cleopatra, Jupiter, Main, Prospect, New Highland, White Elephant Back e Angel. Ci sono poi Canary Spring, Palette Spring, Orange Spring Mound e formazioni bizzarre come il Liberty Cap. Siamo incantati da questo posto meraviglioso, percorriamo le passerelle che ci conducono nelle varie terrazze, una differente dall’altra e scopriamo sorgenti d’acqua che formano camini, altre che scorrono sotto i nostri piedi (sotto la passerella) con colori forti, abbaglianti , cascate di un bianco accecante, altre di un colore verde smeraldo, il tempo scorre veloce, ci “dimentichiamo “ di pranzare pur di continuare a vedere queste meraviglie della natura. Poi andiamo nella piccola cittadina che si trova alla base della collina, per la strada e nei giardini ci sono tante femmine di alce con i cuccioli e… fotografie a non finire. Scendiamo ancora e raggiungiamo Gardiner la porta nord del parco e sede del primo fortino costruito a presidio e tutela del parco. Riprendiamo la strada verso sud per vedere il Norris geyser Basin, la zona termale più antica e più calda del parco che è anche la più dinamica. Qua e la tra gli alberi notiamo i fenomeni termali, forti sbuffi di acqua e vapore, talvolta anche colorato. Andiamo a vedere il geyser attivo più alto del mondo, sperando di vederlo all’opera ma le sue grandi eruzioni – che possono raggiungere i 120 metri – sono rare e non godiamo di questa opportunità, in compenso riusciamo a vedere Echinus geyser che è il più grande geyser di acqua acida che improvvisamente davanti a noi si è prodotto in uno spettacolo di eruzioni e risucchi d’acqua creando grandi pozze d’acqua verde, rossa e gialla… che spettacolo di colori. Ritorniamo a west yellowstone ed andiamo al motel che avevamo prenotato. Stasera abbiamo forno microonde, frigorifero, macchina dal caffè, tv, ferro da stiro e lettoni grandi grandi con tanti guanciali e coperte e, la spa con acqua calda. Una corsa ad un piccolo supermercato dove comperiamo della frutta, una zuppa Campbell, due magnifiche pizze e della buona birra. Scaldiamo la zuppa e le pizze nel microonde, guardiamo la tv e ci rilassiamo. Domani, torniamo a vedere la zona del Blak Basin e del Gran Prismatic Basin, proseguendo verso l’Hold Faithfull ed infine uscire dal parco per andare al Teton park.

Lunedì 19 settembre

Stanotte abbiamo proprio riposato bene. Sono le 9 a West Yellowstone, ma quando entriamo nuovamente nel parco il nostro orologio segna le otto quindi abbiamo tutto il tempo per poter vedere di nuovo i geyser che si trovano nel percorso che facciamo prendendo l’uscita sud del parco. Per prima troviamo Firehole Canyon drive, la Fountain Flat drive e la Firehole lake Driver, così facendo siamo nel Lower geyser basin dove si vedono la Fountain Paint Pot, la Great mountain Geyser e il Grand Prismatic Spring nel Midway geyser basin. Qui facciamo sosta per rivedere questa meravigliosa grande polla d’acqua blu con riflessi giallo, arancione e rosso, con ai bordi tutti i colori dell’arcobaleno e tutte le sue sfumature più vive. Lasciamo alla fantasia di chi ci legge immaginare quanti e quali colori hanno impressionato l’iride dei nostri occhi! Prima di arrivare al vecchio Faithful facciamo una nuova escursione, questa volta veloce, per rivedere nell’Upper geyser basin il Biscuit ed il Black Sand Basin anch’essi con colori fantastici, da mozzafiato. Quando arriviamo all’Old Faithful che sta finendo la sua consueta eruzione, ma facciamo in tempo a scattare alcune foto del vapore che lancia verso un cielo terso e celeste. Sono le 12,30 e abbiamo completato la visita del Parco di Yellowstone, ora procediamo spediti per andare a vedere il Parco del Grand Teton. Superato il Craig Pass arriviamo al Grant Village dove facciamo una breve sosta poi la strada scorre senza niente di particolare, superiamo Lewis Lake ed in meno di una ora siamo all’uscita sud del Parco. Davanti a noi le famose “Tette” (teton), così le chiamarono i Francesi quando scoprirono queste montagne. Le montagne superano i 4000 metri e ci sono ghiacciai perenni. Arriviamo a Colter Bay Village, nel lago Jackson, dove prendiamo gli opuscoli che illustrano le bellezze e caratteristiche di questo parco. Dal grandissimo piazzale di sosta partono vari trail che costeggiano il lago fino ad arrivare nelle zone panoramiche di Willow Flats. Noi andiamo con l’auto visto che la strada, dopo un ampio giro ritorna in riva al lago e ci permette di gustare un meraviglioso panorama. Superiamo la diga sullo Snake River ed arriviamo ad un piccolo lago Jenny Lake che giace alla base delle 3 montagne più alte del parco. Al centro visitatori una gentile e giovane ranger (che non conosce e non capisce per niente l’Italiano ma sa parlare bene il francese) ci spiega che ci sono due possibilità per arrivare alle cascate nascoste:

1- Si può prendere il sentiero che costeggia tutto il lago ed in circa tre ore (andata e ritorno) si arriva all’Inspiration Point, l’unico posto da dove è possibile vedere le famose cascate nascoste che si chiamano così (Hidden Falls), proprio perché non è possibile vederle da altri posti.

2- Si può prendere un piccolo battello che in 15 minuti attraversa il lago, poi una volta scesi prendere un sentiero che in circa 20 minuti ci conduce fino all’Inspiration Point.

Noi scegliamo la seconda ipotesi, ci sembra più romantica e… meno faticosa! Fatto il biglietto al momento dell’imbarco appongono un timbro indelebile sul dorso della mano chi, come noi ha scelto di andare e tornare con il battello. Il battello parte ogni 30 minuti e noi arriviamo in tempo per prendere quello dello 15; partiamo ed attraversiamo il lago con una discreta velocità tant’è che gli spruzzi d’acqua ci bagnano tutti. Siamo circa una ventina di passeggeri e durante il tragitto una ranger ci illustra come e cosa fare in caso di naufragio e noi… tocchiamo ferro. Per la velocità, per l’altitudine (siamo a 3000 metri) abbiamo il naso e le guance rosse dal freddo, però, quando arriviamo sotto il ghiacciaio e vediamo alpinisti che scalano queste immense montagne, siamo veramente contenti di esserci fermati in questo bellissimo lago. Scendiamo per andare a vedere queste famose cascate; il sentiero è ripido e sconnesso e ci vogliono 20 minuti; mentre stiamo tutti andando nel sentiero ecco che il ranger ci comunica che alle 16,15 parte l’ultima corsa per ritornare al visitor center e per coloro che fanno più tardi resta soltanto la possibilità di ritornare prendendo il sentiero (in una ora e mezzo). Guardiamo l’orologio; sono le 15,15, per raggiungere la cascata occorrono almeno 20 minuti per andare e 20 per tornare forse se partiamo spediti facciamo in tempo ad arrivare, vedere queste cascate, fare le fotografie anche al ghiacciaio sopra di noi e ritornare in tempo per riprendere il battello che ci riporta vicino al posteggio dell’auto. E così “scaliamo” la montagna, Mary è un po’ in difficoltà perché oltre che essere in salita è anche sconnesso arriviamo quasi in cima e Mary si ferma, mentre Antero prosegue velocemente, arriva proprio sopra le cascate, scatta le foto e ritorna subito per ridiscendere fino al battello. Arriviamo precisi precisi, già il ranger fa la conta dei passeggeri e avvisa che quelli in esubero dovranno rientrare a piedi. Noi siamo tra quelli che prenderanno il battello… evviva! Il ritorno è ancora più veloce dell’andata, prendiamo l’auto e lasciamo questo bellissimo lago contornato da queste grandiose montagne. Percorriamo verso sud la US 89, fino alla Antelope Flats Road, poi continuando vediamo alla nostra sinistra, delle costruzioni in una immensa prateria: si tratta del rifugio degli Elk (alci femmine) per l’inverno. Ancora pochi chilometri ci dividono dalla città di Jackson che si trova a “soli” 2000 metri di altezza. Oggi la città è considerata come una delle più note località sciistiche del mondo. Alberghi, ristoranti, gallerie d’arte e traffico, traffico, confusione. Gli abitanti, come recita il cartello che si trova sempre all’entrata di ogni città del west, sono appena 8.700, ma sembrano 300.000. Passiamo per il centro e andiamo a vedere il Million Dollar Cowboy Bar, dove si sta a sedere nelle selle utilizzate come sgabelli. Ma c’è troppa confusione, veniamo da un paradiso terrestre come Yellowstone ed il Grand Teton e non siamo abituati a tutto questo caos. Alla periferia della città troviamo un motel 6 super accessoriato e ben insonorizzato e qui ci fermiamo. Prima di cena, in considerazione che si prende sempre internet, Antero approfitta dell’occasione per spedire con il cellulare tante fotografie ai figli, fratelli,sorelle e amici.

Martedì 20 settembre

Dopo un buon sonno ristoratore, con calma, siamo pronti per andare a vedere i parchi dello Utah. Lasciamo Jackson e la sua confusione e proseguiamo per la US 89 che attraversa una parte dello Stato dell’Idaho. Superato Alpine deviamo a destra per andare a Pocatello, raggiungiamo Soda Springs, poi andiamo a vedere alcuni piccoli paesi con nomi francesi che ci incuriosiscono. Arriviamo a Montpellier, minuscolo villaggio con piccole casette colorate, poi vediamo Paris, dove facciamo una brevissima sosta. Ora la strada prosegue entrando nello Stato dell’Utah e costeggia lo splendido Bear Lake, uno dei più grandi laghi naturali negli Stati Uniti occidentali. Alcuni lo chiamano il “caraibico delle Montagne Rocciose” per la sua acqua blu turchese intenso. Oggi siamo partiti tardi, abbiamo fatto varie soste e, arrivati nella minuscola ma splendida cittadina di Garden City (562 abitanti) facciamo pausa pranzo,davanti a noi una distesa di acqua blu circondata da alte montagne coperte di neve. Siamo incerti se proseguire prendendo la US 30 poi la US 16, infine la US 39 per andare a Ogden, oppure proseguire per la US 89 arrivare a Logan. Optiamo per la seconda ipotesi, abbiamo visto che la strada è indicata come scenic byway, infatti subito dopo Garden City affrontiamo una ripida salita (2.800 metri) fino al passo e da qui ci godiamo il bel panorama sul lago e sui monti Naomi che lo circondano. Quando ridiscendiamo dal passo, la strada scorre dentro il Canyon Logan dai colori tenui che vanno dall’ocra al grigio e contornato da tantissimo verde delle piante. In una piazzola dove ci fermiamo notiamo un particolare (che avevamo già visto anche nelle Badlands, nel Grand Teton e nei vari canyon che abbiamo percorso): una piastra circolare di ferro e ottone, (un po’ più grande dei nostri 2 euro) conficcata in terra. Siamo curiosi e andiamo a verificare di cosa si tratta… sorpresa! Nella medaglia ci sono scolpite le coordinate (lat e long) geografiche. Dobbiamo scoprire il perché ci sono questi riferimenti. Oggi è una giornata che trascorriamo molto lentamente, ancora risentiamo la stanchezza dei giorni precedenti quindi quando arriviamo a Logan, visto che si tratta di una cittadina graziosa e senza molta confusione ci fermiamo. Prima ancora di cercare il motel chiediamo ad un ranger qualche informazione circa le piccole piastre metalliche piantate in terra: vengono messi da ciascuno stato nella esatta posizione delle coordinate geografiche così da avere i punti di riferimento per qualsiasi evenienza (per ritrovare cavi sotterranei, acquedotti ecc, ecc oppure per un eventuale soccorso stradale o boschivo), inoltre questi punti corrispondono realmente alle coordinate e vengono acquisiti anche dai navigatori satellitari; e noi abbiamo avuto l’opportunità di verificarlo! In Italia o perlomeno dove abitiamo noi, come facciamo? Il punto di riferimento – senza coordinate geografiche – sono: un muretto al confine di una proprietà, una maestà lungo la strada, un albero, un cippo; insomma tutto come nel medioevo e senza la sicurezza della precisione. Soddisfatti delle spiegazioni, ma dispiaciuti per la nostra arretratezza nel settore (basterebbe che l’Anas, la forestale etc. etc, ponessero identici sigilli, dopo aver verificato le esatte coordinate. E’ pure vero che occorrono anche le attrezzature giuste e la conoscenza da parte degli addetti). Sarà possibile? Ora siamo alla ricerca di un motel, troviamo un Super8 molto ben posizionato e ben attrezzato. Infatti oltre ad avere le solite cose come il microonde, il frigorifero e la macchina per il caffé, ha una bella poltrona davanti alla tv ed un tavolo molto grande, dentro al motel una grande piscina ed una vasca spa con acqua caldissima. Naturalmente, dopo aver sistemato i nostri bagagli ed essere andati ad acquistare cibarie, andiamo a fare il solito bagno nella Spa dove restiamo fino alle 19,30.

Mercoledì 21 settembre

Decidiamo di restare qui un altro giorno ad oziare. Il cielo è sempre sgombro da nuvole e fa caldo; a noi basta fare delle passeggiate. A piedi andiamo verso il centro di Logan, nel percorso notiamo, a fianco del fiume, un grande campo da golf (ce ne sono da tutte le parti), e qui restiamo un po’ guardando i giocatori sbizzarrirsi nelle varie buche. La giornata scorre veloce, domani andremo a Salt Lake City. Dopo cena guardiamo il canale della tv locale che ci sorprende per alcune notizie. Nel corso della giornata, nella autostrada che porta a Salt Lake City, ci sono stati vari incidenti a causa dei lavori in corso che interessano tutte le interstate che portano alla capitale dello Utah con conseguenti ingorghi.

Giovedì 22 settembre

Permangono notizie negative sul traffico ma abbiamo ancora tanta strada davanti a noi e continuiamo a percorrere la US 89. Arrivati a Brigham City prendiamo la intestate 15; il traffico diventa molto consistente, il navigatore ci avverte dei lavori in corso e calcola il tempo di percorrenza. Arriviamo a Ogden, traffico intensissimo, non facciamo alcuna sosta. Prima di arrivare a Salt Lake city nord consultiamo di nuovo la nostra guida che recita: Historic Temple Square, con il tripudio di edifici moderni ed imponenti legati alla storia e religione dei Mormoni, è la ragione principale della visita. E’ vero che l’Historic Temple è il più grande tempio mormone del mondo, ma è anche vero che solo i mormoni possono entrare, mentre tutti gli altri lo possono scoprire soltanto grazie agli audiovisivi del visitor center. Proseguiamo nella nostra lettura della guida Lonely e Michelin e vediamo che nei dintorni ci sono luoghi che, per noi, valgono la pena di vedere. Confermiamo la nostra decisione di saltare la visita di Salt Lake city ed eliminare l’inconveniente del traffico e proseguire fino a Nephi. Usciamo dall’interstate a Centerville, prendiamo la US 67 dove troviamo si molto traffico (essendo parallela alla intestate 215 e 15), ma ci permette di arrivare in un posto da favola: a kennecott’s Bingham Canyon mine ovvero alla più grande miniera (di rame) a cielo aperto della terra il cui diametro è oltre 3 km ed è profonda oltre 1,2 km. Proseguiamo in una zona desertica, poi prendiamo la US 68 che costeggia il Lake Utah, riprendiamo l’interstate 15 ed arriviamo alle 18 a Nephi dove ci fermiamo al motel6. E qui vale la pena di raccontare cosa ci accade. Ieri sera, cioè il 21 settembre, abbiamo chiesto alla signorina della reception del motel super8, se ci prenotava una camera al motel6 di Nephi per il giorno 23 e cioè per questa sera. Il gestore del motel6, carinamente ci ha chiesto i documenti e concesso lo sconto senior, ci ha mostrato la camera e, dopo aver pagato, ci ha messo sotto gli occhi una strisciata nella quale era riportata la cifra di $ 76.50 pregandoci di volerla firmare. Chiediamo di cosa si tratta e ci dice che è il corrispettivo della camera maggiorato delle spese relativa alla prenotazione per la notte del 21/9. Cosa? Naturalmente non firmiamo e contestiamo il suo comportamento, gli mostriamo la fattura dei 2 giorni di pernottamento nel motel a Logan, gli spieghiamo che era impossibile essere a Logan a dormire, e la sera stessa essere qui a Nephi e che forse aveva capito male quando la signorina gli aveva telefonato; lui insiste, vuole essere pagato e usa toni accesi nei nostri confronti. Con tutta calma Antero tira fuori il cellulare e dice al gestore che telefona alla polizia e si prepara a comporre il 911 così che si possa mettere le cose in chiaro. Solo a quel momento il gestore diviene più calmo, pretende sempre di essere pagato ma è molto, molto più calmo. Dopo una lunghissima discussione (lui in filippino-americano, noi in inglese italianizzato) sembra che sia tutto a posto. Chiediamo allora di avere la ricevuta che ci ha mostrato così da conservarla; per tutta risposta la fa in tanti piccoli pezzi e la butta nel cestino, gli chiediamo di volerci consegnare tutti i pezzetti e gli diciamo che la vogliamo perché dobbiamo essere sicuri che non faccia il furbo e, magari ci addebiti nonostante non abbiamo firmato niente. Riusciamo ad avere i minuscoli pezzi, in camera proviamo ad riassemblarli, ci riusciamo alla meglio ma si capisce di cosa si tratta. Antero scatta una foto dello scontrino e a farlo vedere al gestore. Facciamo un salto al burger restaurant poi rientriamo per riposare, e come tutte le sere prepariamo in modo estemporaneo un programma di visita per il giorno seguente.

Venerdì 23 settembre

Ieri sera guardando la carta stradale abbiamo visto che è possibile raggiungere Bryce Canyon tramite strade statali che passando da Gunnison, Aurora, Antimoni, Osiris e Widtsoe, attraverso tutte le grandi foreste di questo Stato, è il più panoramico di tutti ma l’itinerari prevede anche la percorrenza di strade che, nella cartina, sono indicate come pavimentate (non asfaltate), quindi occorre maggior cautela e minor velocità tant’è che ci vuole un maggior numero di ore per raggiungere la meta. Controlliamo, con il cellulare, in google maps e vediamo che percorrendo le strade statali occorrono più di 5 ore mentre il percorso in autostrada, via Beaver è di circa 3 ore. Da oggi entriamo nella zona più affascinante di tutto lo stato dell’Utah. Qui ci sono 3 parchi nazionali (Bryce, Zion e Capitol Reff) e due monumenti nazionali (Grand Staircase Escalante e Cedar Breaks) strepitosi parchi e foreste, quindi li vogliamo vedere. Per primo il Bryce Canyon e dovremo cercare nei dintorni qualche motel dove dormire poiché già sappiamo che sono tutti prenotati. Alle 8 siamo a fare rifornimento a Fillmore (50 miglia da Nephi), proseguiamo velocemente poiché qui è consentito andare fino a 75 miglia l’ora. Subito dopo Beaver prendiamo l’uscita 95 per andare sulla US 20 che ci riporta nella US 89 fino a Panguitch siamo a circa 30 miglia dall’ingresso nel Bryce Canyon; qui tutti i mothel sono già prenotati. In qualche modo faremo, ora vogliamo andare a vedere. Siamo nella US 12 e più precisamente nel Red canyon… che spettacolo! Qui è tutto color rosso mattone e, mentre la strada ci offre panorami per noi inconsueti e meravigliosi, scattiamo foto a non finire. Siamo oramai vicinissimi al canyon, prima incontriamo un villaggio con ristoranti, negozi, residence, parchi divertimenti, campeggio con tepee e bungalow. Si tratta del famoso (almeno qui) Rubys Inn. Proviamo a domandare se ci sono bungalow liberi, niente, andiamo all’Hotel idem, proviamo anche nel residence ma già sappiamo che per i prezzi proibitivi non ci fermeremo… ma non c’è da preoccuparsi… è tutto prenotato. Uffa! Andiamo nel Canyon; solita foto ricordo, poi all’ingresso controllo del Pass, ritiro degli opuscoli e in men che non si dica siamo al visitor center. I ranger sono tutti cordiali e danno informazioni a tutti, noi abbiamo la fortuna di trovare una ranger che parla un po’ di Italiano la quale ci suggerisce di effettuare il percorso fino al termine della strada senza soste per le visite e fermarsi a Rainbow Point, da lì incominciare la visita del Canyon, poi ridiscendere con l’auto e fermarsi in tutti i parcheggi, poiché il canyon rimane sulla nostra destra. Così facendo potremo meglio vedere tutte le meraviglie ed il sole, alto nel cielo, permette di fare delle bellissime fotografie. Certo che qui fa molto caldo e siamo sempre sopra i 2000 metri! Per arrivare in cima, a Rainbow Point, percorriamo 30 km di una buona strada di montagna, da qui come in tutto il canyon, partono trail che, entrando nelle Pink Cliffs (scogliere rosa) dal colore rosa-rosso arancione, formano dei Loop (circuiti) dentro il canyon stesso. E’ molto difficile descrivere i colori e le forti sensazioni provate, come è difficile riferire cosa abbiamo visto ad ogni sosta, per questo desideriamo elencare i vari punti nei quali ci siamo fermati e far parlare le fotografie che abbiamo scattato. Dopo Rainbow guardiamo Yovimpa Point, Ponderosa Canyon, Agua canyon, Natural Bridge, Farview point, Swamp Canyon, Bryce Point, Inspiration Point, sunset point, Sunrise Point. Il percorso stradale è facilitato da segnalazioni e da grandi parcheggi dai quali partono trail che scendono dentro i vari canyon. E’ tutto un salire e scendere dall’auto, affacciarsi ad un balcone che permette di vedere le varie forme ed i colori dei pinnacoli, e scattare tante, tante fotografie. Talvolta ci spostiamo da un punto all’altro percorrendo un trail così da godere della vista dei canyon che si trovano proprio sotto di noi. Dal Bryce Point vediamo una immensità di pinnacoli, rossi, ocra, gialli, arancioni, percorriamo il trail che da qui conduce fino a Inspiration Point e possiamo vedere una meraviglia delle meraviglie: un anfiteatro di rocce! Arrivati al sunset point notiamo che da qui parte un trail denominato Navajo loop trail che consente di discendere dentro il canyon fino a raggiungere un vecchio villaggio navajo abbandonato. Siamo stanchi, ma la tentazione è forte. Scendiamo, è un sentiero che inizialmente fa piacere percorrere poi incomincia ad essere ripido e facciamo fatica anche nello scendere. Man mano che scendiamo la temperatura sale e cresce l’affanno. Mary incomincia a sentire la stanchezza e vedendo quanto ancora ripido è il sentiero, pensa al ritorno a quanto sarà faticoso che già le batte forte il cuore; decide di rinunciare mentre Antero continua fino ad arrivare fino in fondo. Che spettacolo! Ora le rocce diversamente illuminate, hanno preso il colore rosa cupo, altre, illuminate dal sole nella cima sono gialle. Il contrasto dei colori è fantastico… come è fantastica (faticosissima) la salita per ritornare nel parcheggio! Abbiamo fatto in tempo a vedere tutto, sarebbe eccezionale poter restare fin dopo il tramonto attendendo il levare della luna, lo spettacolo sarebbe assicurato ma… non sappiamo dove andare a dormire; pertanto usciti dal Bryce Canyon, anziché ritornare a Panguitch dove già avevamo sentito che non c’erano camere libere, decidiamo di andare a destra verso Tropic dove ci sono diversi motel:ahimè, sono tutti prenotati, andiamo a Cannonville dove c’è un unico motel, niente da fare, però da qui parte una strada che conduce fino al Kodachrome Basin dove possiamo vedere i sand pipers (camini di color bianco o grigio al mattino mentre la sera, come noi li vediamo sono color malva e arancio bruciato), proseguiamo fino ad arrivare ad Escalante superando Henrieville, ma non troviamo da pernottare. Il sole sta tramontando, decidiamo di ritornare verso Bryce Canyon e poi arrivare all’interstate (autostrada) dove sicuramente troveremo motel liberi. Quando arriviamo a Henrieville notiamo un grande motel che prima non avevamo visto, domandiamo si hanno una camera disponibile. Il prezzo non è dei migliori, ma siamo stanchi e ci fermiamo qui. In compenso si tratta proprio di un bel motel e vale i soldi spesi.

Sabato 24 settembre

Riprendiamo la US 12 e ripercorriamo a ritroso il Red Canyon fino all’incrocio con la US 89. Anche questa parte di strada è panoramica e molto bella arrivati a Long Valley Junction svoltiamo a destra sulla US 14 che sale in montagna. Il percorso si snoda tra una colata colossale di lava, arriviamo, per una pista sterrata al Lago Navajo di un bel colore verde. Mentre ci godiamo lo spettacolo abbiamo una gradita sorpresa; un cerbiatto esce dal fitto del bosco e, sul bordo della pista si ferma a mangiare le foglie di un albero. Poco più avanti la strada sale ancora raggiungendo i 3000 metri e ci consente di vedere un anfiteatro in arenaria orlato di pini americani, tra le più vecchie piante viventi su questa terra siamo nel Cedar Breks. Arriviamo a Cedar City sembra proprio un villaggio Svizzero; le abitazioni hanno tetti spioventi per proteggersi dalla neve che cade copiosa in inverno. E’ una città turistica con discreti impianti sciistici. Prendiamo la interstate 15 e all’uscita 42 prendiamo una pista a destra che ci porta in poco tempo a Pine Valley, ritorniamo nell’interstate e poco dopo voltiamo a sinistra per immetterci nella strada panoramica che scorre dentro il Kolob Canyon. Il parco è nel deserto e fa molto caldo (41°), nella guida che ci consegnano ci sono tante raccomandazioni, guidare piano, portare con se abbondante acqua, avere qualcosa di salato da mangiare, non allontanarsi dai sentieri. Se il Bryce era composto da una infinità di pinnacoli qui ci sono alte rocce stondate di color mattone e giallo ocra. Ritorniamo sulla interstate 15 e, prima di entrare nella città andiamo a vedere un altro canyon, molto piccolo ma molto interessante. Infatti si trova proprio nel deserto, deserto di sabbia. Lungo la strada che da St.George porta all’ingresso del canyon ci sono alcuni centri residenziali con abitazioni che sembrano uscite da un libro di architettura, sono di un color rosso vinaccia, basse, circondate da cactus e piante grasse, tutte hanno giochi d’acqua. Quando arriviamo all’ingresso del Canyon una gentile ranger ci spiega che, trattandosi di un parco statale, dobbiamo pagare l’ingresso. Il biglietto costa 3 $ e ci permette di restare fino alle 22. Qui è il regno delle tartarughe del deserto, del coyote, del Mostro di Gila (una grossa lucertola di 60 cm velenosa), mentre la vegetazione della zona è costituita prevalentemente da piante del deserto, come scrub, yucca, cactus e cespugli di salvia. Facciamo il Jenny’s trail un percorso nelle dune di sabbia sperando di vedere la famosa tartaruga (e non il mostro di gila!), fa molto,molto caldo, sono le 16,30 e ci sono 42°! Rimaniamo incantati dalle formazioni di pietra rossa e bianca che in alcuni posti sono coperte di lava. Anche questo è un Canyon che ci è rimasto nel cuore. Finiamo il loop e riprendiamo la strada per St. George; qui resteremo altre 2 notti e sarà la nostra base di appoggio perché vogliamo visitare lo Zion National Park.

Domenica 25 settembre

Il Parco nazionale di Zion, si trova in un ambiente unico dove si incontrano imponenti formazioni rocciose e profonde gole incise e modellate dalla forza delle acque del Virgin River e dei suoi affluenti lunghe 24 km e profonde 800 metri. Il nome Zion, adottato ufficialmente per designare il canyon nel 1918, risale a Isaac Behunin, uno dei primi coloni mormoni insediatisi nel canyon nel 1863, il quale riteneva di aver trovato in quel luogo il monte descritto dal profeta Isaia nella Bibbia, anche molte delle formazioni di roccia che costituiscono le principali attrazioni del parco hanno nomi di derivazione biblica come i Templi della Vergine, la Sentinella, i Tre Patriarchi. Fatta colazione riprendiamo l’interstate 15, poi all’uscita 16 deviamo sulla US 9, attraversiamo il villaggio di Hurricane, di Virgin ed infine arriviamo a Springdale cioè all’entrata dello Zion Park. Abbiamo già percorso 60 chilometri! La cittadina è accogliente, elegante e molto turistica. Naturalmente tutti i motel (e ce ne sono molti), lodge e hotel sono prenotati già da tempo anche perché bisogna ricordare che Las Vegas si trova a 150 miglia, Bryce Canyon a 90, Page ed il lake Powell a 140 miglia, il Grand Canyon a 230 miglia. Nello Zion Canyon non è possibile andarci in auto quindi la parcheggiamo ed utilizziamo la navetta – gratuita – che fa la spola da Springadale fino al Temple of Sinawava, percorrendo la Zion canyon Scenic drive. Il panorama è ancora diverso da tutti quelli finora visti. Siamo proprio dentro la gola del canyon e sopra le nostre teste incombono le rocce che ancora non permettono al sole di riscaldarci, praticamente risaliamo il fiume Virgin che ha scavato ed eroso queste montagne e notiamo come sia fitta la vegetazione, con alberi, felci, pale di fico d’india, ed anche cipressi. Scendiamo a Zion Lodge, ci attrezziamo per l’escursione (acqua e viveri) e superato il fiume prendiamo un sentiero (Emerald Pools trails) che arriva ad una cascata che per la verità troviamo quasi completamente asciutta ma che riesce comunque a creare un incredibile arcobaleno. Ora il percorso si fa più sconnesso è tutto in salita e più faticoso ma dalla nostra posizione godiamo di un paesaggio idilliaco sul fiume che prepotentemente discende la valle. Finalmente, dopo 2 ore arriviamo alla sosta dove troviamo la navetta, siamo a The Grotto, il tempo di salire e dopo 10 minuti scendiamo di nuovo ad Angels Landing, una parete rocciosa grandissima dove molti scalatori cercano di raggiungere la vetta. Qui le rocce sono di un bel colore bianco e grigio, altre, illuminate dal sole tendono all’argento. Facciamo una piccola parte del West Rim Trail (occorrono almeno 4 ore per farlo tutto), dopo, sempre con la navetta, arriviamo alla fine della strada e cioè a Temple di Sinawava dove incontriamo una moltitudine di turisti. Poiché fa molto caldo ed il piazzale di sosta è sotto un sole cocente ci fermiamo solo il tempo per una rinfrescata (ci sono apposite cannelle) ed entriamo nel sentiero che, dentro la gola, risale il fiume. Assieme a noi ci sono giovani coppie, famiglie con bambini molto piccoli, tantissimi giovani ed anche tanti “giovani” vecchietti, come noi, che nonostante evidenzino gli acciacchi sono decisi a percorrere seppur molto lentamente tutto il sentiero. Incontriamo giovani ranger che chiamano a raccolta i più piccoli per mostrare loro le fotografie degli animali che vivono qui, altri ranger hanno addirittura pesci e uccelli impagliati da far vedere, così la passeggiata diventa anche istruttiva. Nel percorso incontriamo tantissimi scoiattoli, poi improvvisamente un nugolo di persone ci obbliga a fermarsi; sono tutti intenti a fotografare una grossa tarantola, naturalmente anche noi la fotografiamo. Da nps.gov. u.s.a. (le tarantole sono i più grandi ragni nel sud-ovest, nonostante nei film horror vengano indicate come mortali, velenosi e aggressivi, le tarantole sono in realtà creature docili e anche se sono in grado di mordere una persona, il loro veleno è considerato non tossico per l’uomo. Se ne vedete una durante la vostra visita parco, consideratevi fortunati!). Dopo circa 2 ore di cammino, arriviamo nel punto dove, se vogliamo continuare dobbiamo guadare il fiume che ora è abbastanza basso ma torrentizio. Tutti i giovani, chi con le scarpe, chi senza, attraversano il guado e risalgono ancora il canyon e mentre le ragazze strillano per l’acqua gelida i ragazzi più spavaldi si mettono a correre, qualcuno scivola e brrr! Fa il bagno, e tutti ridono. Vorremmo proseguire anche noi, ci togliamo le scarpe, sentiamo l’acqua e ce le rimettiamo subito, restiamo qui, ci riposiamo un po’ prima di ritornare al piazzale. La giornata è trascorsa veloce, sono le 16 quando riprendiamo la navetta, una ultima sosta al visitor center, poi riprendiamo la nostra auto e ritorniamo a St. George.

Lunedì 26 settembre

Alle 7,30 locali telefoniamo ai figli e parenti, tutto ok; partiamo e, superato il villaggio di La Verkin riprendiamo la US 89 fino a Virgin dove dopo una deviazione, non indicata, risaliamo la Kolob Terrace Road, nella strada panoramica che entra nel cuore del parco. E’ poco frequentata e conosciuta ma proprio bella. Si percorre tutta in auto, ci sono parcheggi nei punti più caratteristici da qui partono trail molto lunghi ed impegnativi che consentono una vista indimenticabile sullo Zion Park e sulle vette che sovrastano la sottostante gola del Canyon. Oggi ci pare di toccare con mano quelle pareti bianche argentee che abbiamo visto ieri, poi la strada sembra ridiscendere ed entriamo in una piccola valle circondati da formazioni rocciose stranissime, sono basse, tonde e paiono inanellate per l’erosione dell’acqua, hanno un colore brunito qualcuna di color nocciola, altre gialle, altre ancora rosso mattone, sopra ci sono pini che non riusciamo a capire come possano essere cresciuti così incastrati nella roccia. Non c’è proprio nessuno! Siamo soli in questa immensità, nel percorso incontriamo cavalli allo stato brado, molti piccoli elk e, mentre siamo fermi per consumare il nostro pranzo una nuvola di… uccelli blu volteggia tra i rami e i pioppi, sopra le nostre teste. Siamo meravigliati, mai avevamo mai visto gli uccelli con le piume completamente blu. Restiamo fermi ad aspettare che qualcuno venga più vicino per vederlo meglio e fotografarlo (si tratta di un uccello chiamato Steller’s jay). Rientriamo che fa ancora molto, molto caldo, oggi abbiamo superato i 45 gradi. Prima di cena prepariamo l’itinerario per domani vogliamo arrivare a Moab passando per il Parco di Capitol Reef. Ci sono varie possibilità:

– arrivare a Springdale, andare verso nord fino a Bryce poi fare la US 12 da Escalante così da arrivare nel parco: tempo di percorrenza 6 ore per 240 miglia!

– prendere di nuovo la intestate 15 fino alla uscita 95 prendere la 20, la 89, la62, arrivare a Burville e, con la US 24 arrivare nel Parco; tempo di percorrenza 4 ore per 220 miglia.

– prendere l’autostrada e arrivare all’uscita che ci permette di proseguire su strade grandi e scorrevoli. Scegliamo la seconda ipotesi però decidiamo di partire presto perché, dopo aver visto Capitol Reef vogliamo andare a dormire a Green River nella Interstate 70 a circa 50 chilometri da Moab.

Martedì 27 settembre

Partiamo molto presto, sono le 6 ed è ancora è buio. Intanto però nella intestate c’è molto traffico. Siamo già sulla US 20 quando vediamo sorgere il sole, procediamo spediti, ora non c’è traffico arriviamo finalmente a Lyman dove inizia la strada panoramica con imponenti rocce dai colori giallo, arancio, qualcuna è viola, altre color ocra. Al visitor center chiediamo informazioni; il ranger (donna, come sempre), davanti ad un grande plastico ci illustra le caratteristiche del parco, ci mostra i vari percorsi e ci dice che ci sono molte incisioni rupestri – petroglifi – e i pittogrammi, ancora visibili lungo il corso del fiume Fremont (fatti dagli indiani che vissero in questa zona svariati secoli fa) e così scopriamo il parco che si presenta come un miscuglio di diversi tipi di arenaria che dà vita a crepe, archi e ponti i quali formano una miriade di canyons. Perfetti per fare passeggiate, inoltre ci sono imponenti monoliti di arenaria Navajo che sono ideali come punto di osservazione e per fare meravigliose fotografie. Dal visitor center si diparte una strada laterale – Scenic drive – che si addentra per circa 20 chilometri lambendo strapiombi variopinti e vari canyons laterali e che, come ci ha spiegato la ranger, costituisce il mezzo più agevole per apprezzare le caratteristiche salienti del Parco, quindi proseguiamo in auto fino a fare un breve percorso sterrato ad un viewpoint dove ci fermiamo per fare un piccolo trail che arriva a Grand Wash. Ritorniamo nella strada panoramica e proseguiamo per circa 30 chilometri e quando arriviamo alla fine della scenic Drive notiamo che c’è un percorso di circa 5 chilometri di strada sterrata, anzi sabbiosa, che ci permette di raggiungere il Golden Throne a Capitol Gorge. Entriamo quindi in un canyon dalle pareti altissime, dilaniate dall’erosione, la strada è percorribile con molta attenzione ed è molto emozionante, il fiume è straripato ed ha reso la sabbia (siamo nel deserto, ricordiamocelo) una poltiglia. Occorre fare molto piano ma lo spettacolo che si presenta davanti a noi è stupendo e, nello stesso tempo, ci emoziona. Arriviamo in un grande piazzale dove troviamo qualche turista che ha percorso il trail come noi. Il sentiero scorre tra il letto del fiume, che qui ora sembra asciutto, e tra le alti pareti del canyon, ne percorriamo un po’, quindi ritorniamo all’auto e proseguiamo il nostro giro. La strada costeggia il fiume Fruita e vediamo un piccolo borgo western dove alloggiano gli inservienti del parco e dove invece una volta abitavano i primi coloni. E’ impressionante il colpo d’occhio di queste casette stile “Casa nella prateria” immerse nei frutteti di Fruita. Si, perché come fosse un miracolo, tutta la zona è adibita a frutteto dove si può entrare, raccogliere liberamente frutta e poi pagare all’uscita. Fantastico! Ma la cosa più bella è vedere cerbiatti brucare nei prati attorno alle poche case e, ancora più suggestive sono le casette stile old western totalmente ristrutturate che si vedono lungo il percorso; una delle più affascinanti resta la vecchia scuola con davanti il classico carro dei buoi. Sembra di percorrere a ritroso il tempo fino ai tempi dei pionieri del west. Arrivati ad un grande spiazzo vediamo alcuni turisti che guardano i famosi petroglifi. Nella parete ce ne sono molti che sono facilmente visibili ed accessibili da una passerella in legno. Proseguiamo fino ad arrivare ad un piccolo percorso sterrato che ci conduce alla vista del Capitol Dome, una parete bianchissima adagiata sopra il crinale del parco. Il tragitto è molto affascinante, evidenziando alcune formazioni geologiche davvero uniche e strane; vedere un’intera parete bucherellata in stile gruviera svizzero non è da tutti i giorni. Il lavoro incessante del vento e dell’acqua è di una fantasia sorprendente. E così arriviamo a Orientation Pullout, praticamente l’uscita del parco. Ora la strada scorre con ai lati colline di color grigio che sembrano di cemento. Arriviamo a Green River dove cerchiamo un motel, ma non troviamo posto, e neppure a, pertanto dobbiamo arrivare a Moab. Ma siamo fortunati! Troviamo subito il motel Super8 accogliente, pulito e… disponibile. Qui resteremo il tempo necessario per poter visitare, con calma, Canyonlands, Arches National Park e Needles overlook. Fa caldo, la piscina ancora funziona e così andiamo a rilassarci un po’.

Mercoledì 28 settembre

Poiché qui fa molto caldo partiamo presto la mattina così da poter visitare i parchi quando ancora la temperatura è sopportabile, infatti alle 8, dopo aver fatto la foto ricordo, siamo già all’ingresso del parco. L’Arches National Park, rappresenta la più grande collezione di archi naturali del mondo, con oltre 2000 archi d’arenaria forgiati in milioni d’anni dalle forze naturali. Sublimi pinnacoli di pietra che sembrano sfidare le leggi di gravità, talvolta con le sembianze di nastri delicati che curvano verso il cielo per poi rivolgersi nuovamente verso la terra, talvolta come finestre che si affacciano all’interno di imponenti picchi di solida roccia. Gli archi non sono l’unica attrazione dell’Arches National Park. Questo è un “giardino” in pietra, con massicce rocce perfettamente bilanciate, arenaria fine, guglie, i famosi Marching Men e altre fantastiche meraviglie geologiche. Il suo monumento più famoso rimane comunque il Delicate Arch.

Oltrepassato l’ingresso inizia una ripida salita che offre un bellissimo panorama sulla città di Moab, siamo entrati in un deserto arido di colore rosso e, cartina alla mano proseguiamo spediti verso il nostro primo obiettivo: il Delicate Arch, lasciando per dopo la visita del resto del parco, poiché moltissimi archi sono visibili anche dalle strade principali e dai sentieri. Man mano che ci avviciniamo, alcune formazioni diventano sempre più distinte, prendono la forma di pinnacoli, vette, guglie, rocce in bilico, e… archi. Finalmente, dopo circa 25 chilometri arriviamo al piazzale dove lasciamo l’auto e prendiamo il sentiero che prima passa accanto a Wolf Ranch, sito storico, poi continua con tanti saliscendi sulla sabbia che non permette una andatura veloce, ma si avanza piano e senza fatica. Poi il sentiero diventa ripido e sale sulla roccia perciò tutto diventa più faticoso, ci dobbiamo arrampicare, questa è la parola giusta, con cautela, seguendo i segni fatti con i sassi che indicano il sentiero. Fa caldo ed ancora abbiamo un lungo tratto da percorrere e, sicuramente, non è più facile di quello che abbiamo percorso; infatti si tratta di superare un sentiero largo non più di 50 centimetri, scavato nella roccia e senza parapetto mentre sotto di noi c’è un precipizio di oltre 200 metri. Superata questa ultima difficoltà e dopo aver percorso più di 3 chilometri, ci appare davanti a noi la meta agognata: il Delicate Arch, simbolo dello stato dell’Utah. In verità l’arco dista da noi ancora 100 metri di roccia inclinata e liscia sopra una profonda voragine tant’è che rende difficoltoso e pericoloso arrivare fin sotto l’arco. Ma… siamo arrivati fino qui, (stanchi ma felicissimi di vedere questa meraviglia) e non andiamo a fare una foto ricordo sotto l’arco più famoso degli Stati Uniti? Il tempo di riprendere fiato, piano piano ci avviciniamo (camminando tutti inclinati per mantenere l’equilibrio) fino ad arrivare sotto. Nel frattempo arrivano altri turisti che, prima ci applaudono poi armati di coraggio vengono anche loro fino all’arco. Approfittiamo della occasione per farci fare una foto ricordo insieme, restiamo qui incantati da tanta bellezza, ci riposiamo un po’ prima di riprendere il sentiero per tornare alla macchina. Meno male che siamo partiti presto, il caldo finora è stato sopportabile, ma ora che siamo arrivati all’auto che sono le 12 cominciamo a soffrire un po’. Dopo esserci rifocillati, proseguiamo la visita del parco facendo tutte le soste che ci permettono di vedere queste stranissime formazioni rocciose fino ad arrivare a Devils Garden Trailhead dove lasciamo l’auto ed entriamo nel sentiero che ci consente di vedere moltissime forme di archi. Il trail è lungo anche se non molto faticoso e, quando ritorniamo all’auto, sono già le 16,30. Percorriamo a ritroso la strada, facciamo una deviazione per andare a vedere Double Arch, North e sud Window con archi se sembrano affacciarsi alle finestre di roccia e tutti con forme e colori diversi. Non ci resta che un ultimo trail da fare quello che i ranger hanno tanto magnificato: il Park avenue un grande, meraviglioso canyon rosso contornato da rocce altissime che prendono il nome di Three Gossips, The organ, Tower of Babel. Proviamo a scendere nel canyon, facciamo poche centinaia di metri, incomincia a calare il sole che modifica la forma ed i colori delle rocce, il momento propizio per fare delle belle foto. Rientriamo in motel che siamo veramente stanchi ma orgogliosi di aver raggiunto il Delicate Arch, simbolo dello Utah.

Giovedì 29 settembre

Anche oggi partiamo presto anche perché l’entrata al Canyonlands National Park si trova a circa 60 chilometri da Moab.

“Canyonlands National Park”: un’immensa area che costituisce il parco nazionale più grande dello Utah. La vista del parco si estende per centinaia di chilometri e include le cime delle rocce rosse, i pendii e le guglie, gli altopiani e i tavolati (plateau grandi e piccoli di terreno), i fiumi Colorado e Green e, naturalmente, le vaste distese del classico scenario del sud-ovest, notoriamente rappresentate nei film Western. Il parco è ritenuto un condensato degli altri parchi perché ha archi come Arches, le colonne e pinnacoli rossi come Bryce Canyon, villaggi indiani (come Mesa Verde) e gole profonde (come il Grand Canyon). I fiumi Colorado e Green River hanno formato due canyon che hanno diviso il parco in tre distinte sezioni: Island in the sky, (“isola nel cielo”) vasto altopiano (mesa) che domina Canyonlands, offrendo panorami mozzafiato; the Needles (“gli aghi”), situato a 600 metri sotto la mesa e caratterizzato da pinnacoli rocciosi striati di bianco e di rosso; infine The Maze (“il labirinto”), considerato come uno dei settori più isolati e inaccessibili degli Stati Uniti.

Island in the Sky si estende a nord tra il Colorado ed il Green river, ed è come una torre di osservazione dalla quale si possono vedere le altre due zone: quella di The Needles si trova ad est della confluenza tra i fiumi Green e Colorado (punto d’incontro dei due fiumi). Questa zona, è conosciuta per la forma delle rocce che sono appunto chiamate “needles”- cime rocciose di colore arancione intercalate da linee bianche. La zona comprende numerosi archi, guglie rocciose, canyon e le rovine con iscrizioni su roccia delle popolazione indiane preistoriche.

La zona più remota del Canyonlands National Park- The Maze – è caratterizzata da canyon a forma di labirinto, con rocce alte e pinne sabbiose variopinte.

“Dead Horse Point State Park” In questo piccolo parco il punto forte è il balcone panoramico dal quale si può osservare l’immenso canyon sottostante e la curva a forma di ferro di cavallo formata dal fiume Colorado che sembra un serpente tra le rocce con colori estremamente suggestivi: il rosso delle rocce, il blu cobalto del cielo,il grigio-verde dell’acqua. Questo parco è anche famoso, perché vi sono state girate alcune famose scene di film hollywoodiani come il finale di Thelma & Louise, oppure la scena iniziale di Mission Impossible 2. La mappa che ci viene consegnata indica circa 70 chilometri di strada per arrivare a Island in The Sky ed i ranger all’entrata del parco ci suggeriscono di andare subito a Grand View Point Overlook e poi visitare il resto del parco al ritorno. Qui godiamo di un panorama unico e facciamo un breve trail che costeggia il bordo del canyon con viste mozzafiato. Ritorniamo indietro ci sono altri overlook e brevi trail e non ne perdiamo nessuno. Arrivati al bivio che ci consente di andare fino a Upheaval Dome, ci fermiamo a Mesa Arch percorrendo il trail che conduce a questo meraviglioso arco proteso nel vuoto in uno scenario fantastico. Mary vuole andare a vedere da vicino l’arco e, mentre Antero si allontana per fare alcune fotografie, lei si inerpica nella roccia arrivando, inconsciamente, sulla sommità dell’arco che sembra un ponte sospeso nel vuoto. Quando si accorge che sotto l’arco c’è solo il vuoto sia da una parte che dall’altra, prende paura, incomincia a tremare chiedendo aiuto. Antero prima ancora di montare sull’arco le suggerisce di mettersi carponi poi di andare a retromarcia ascoltandolo mentre gli suggerisce dove mettere i piedi. E’ finita bene anche questa avventura! La guida recitava: Dietro il Mesa Arch c’è il nulla, il terreno scende a picco e lo sguardo può così spaziare per miglia e miglia tra i canyon. E’ uno spettacolo grandioso, il fiume scorre al di sotto piccolo piccolo. Si ha davvero l’impressione di essere su un’isola sospesa nel cielo, il nome del parco è proprio azzeccato. A Holeman Spring Canyon overlook ci sembra di essere in un film western, infatti dall’alto del trail ci sembra di vedere (nei canyons formati dal Green river) gli indiani ed i cowboy che portano immense mandrie di bestiame al pascolo. Ancora una breve sosta poi andiamo a vedere il Dead Horse Point State Park. Arriviamo in cima al promontorio che si trova a piccosul Colorado e offre panorami incredibili ed una vista grandiosa sui due fiumi, il Colorado e il Green River, che si intersecano tra i canyon. Qui incontriamo una coppia di giovani italiani con i quali ci intratteniamo un po’; insieme evidenziamo la grande pulizia e l’ordine che abbiamo trovato, inoltre, tutti si scusano di non saper parlare la nostra lingua ma ci danno sempre il benvenuto e ci ringraziano per essere venuti in America. E pensare che noi abbiamo tantissime cose da far vedere ed offrire al turista e che non siamo capaci di essere più cordiali e nemmeno di tenere pulito e in ordine! Ridiscendiamo verso Moab, percorriamo un po’ di strada che costeggia il colorado, poi al motel per il giusto riposo (e la sauna nella spa).

Venerdì 30 settembre

Oggi ci spostiamo per raggiungere Mesa Verde, ma prima andiamo a vedere the Needles. Arrivati a Church Rock prendiamo la US 211 che ci porta in un sito archeologico di straordinario interesse, il Newspaper Rock State Park. Lasciamo l’auto nel parcheggio e, davanti a noi, una intera parete di roccia piena di un numero impressionante di petroglifici, il più interessante e spettacolare pannello di arte indiana del Sud Ovest. Entriamo nel canyon che ci conduce nella zona dove hanno abitato gli indiani Anasazi (Sioux). Facciamo un sentiero che ci conduce in mezzo alle rocce dove troviamo resti di un villaggio, poi ci arrampichiamo in scale di legno che ci permettono di salire sopra i tetti di queste abitazioni. Successivamente facciamo altri trail, ma quello che più ci ha colpito è vedere alcune forme di vita primordiale che riescono a vivere in minuscole buche dove l’acqua stagnante non evapora Ancora panorami su canyon scavati ora dal Colorado come premessa a quello che vedremo quando saremo nel grand canyon. Alle 17, provati dalla stanchezza dei giorni precedenti cerchiamo, nel primo villaggio che incontriamo un motel per riposare. Siamo a Monticello e in un motel gestito da indiani, quindi molto caratteristico, preludio di quello che troveremo domani a Mesa Verde.

Sabato 1 ottobre

Siamo in una zona dove moltissima popolazione ha le caratteristiche somatiche degli indiani, entriamo nello stato del Colorado e arriviamo a Cortez, una simpatica cittadina, abitata per lo più da indiani, qui tutto parla di questo popolo. Da ora in poi i motel che troveremo sono più spartani ed offrono meno comfort, sono meno appariscenti, senza piscina ed i gestori, quasi sempre indiani, sono un po’ più rustici. Prima di salire nella montagna dove si trova quel fantastico sito di Mesa Verde cerchiamo un posto per la notte. Il Parco nazionale di Mesa Verde comprende un’area in cui sono presenti i resti di numerosi insediamenti costruiti dagli antichi popoli ancestrali, una volta denominati Anasazi. Si tratta di villaggi costruiti all’interno di rientranze della roccia, denominati Cliff-dwelling, più noto e il più grande di questi insediamenti è quello denominato Cliff palace. Nonostante i più antichi insediamenti all’interno del parco nazionale di Mesa Verde risalgano a non oltre 800 anni fa, la regione era abitata dagli Anasazi già dal IV secolo. Questi primi abitanti di Mesa Verde, di cui non si conosce né l’origine né il nome con cui essi si definivano, vivevano inizialmente in abitazioni a pozzo (pit houses) formanti piccoli villaggi disposti su una superficie piuttosto vasta. Nell’arco di 500 anni essi affinarono le loro abilità costruttive e realizzarono grandi insediamenti con edifici su più livelli costruiti con fango e pietre. Questo tipo d’insediamenti viene generalmente chiamato Pueblo. In questi villaggi sono presenti oltre ad edifici ad uso abitativo e magazzini, anche delle costruzioni comunitarie ad uso cerimoniale chiamate Kiva. A partire dall’inizio del XII secolo gli Anasazi iniziarono a costruire i loro villaggi all’interno di una rientranza della roccia, realizzando gli insediamenti visibili oggi a Mesa Verde. Il motivo dell’abbandono degli insediamenti non è ancora stato chiarito. Tra le ipotesi possibili vi sono i mutamenti climatici che avrebbero causato una scarsità di risorse tali di impedire la sopravvivenza in quei luoghi. Al fine di proteggere gli insediamenti degli antichi Anasazi, fu istituito il parco nazionale di Mesa Verde, fu il secondo parco americano dopo Yellowstone. Nel 1978 il parco nazionale di Mesa Verde è stato inserito anche nella lista dei patrimonio dell’umanità dell’Unesco. All’interno del parco nazionale di Mesa verde sono presenti circa 600 cliff dwellings (abitazioni su rocce). Si tratta per la stragrande maggioranza di insediamenti molto piccoli. I più grandi sono appena una dozzina e tra questi rientrano i più celebri, tra cui Spruce Tree House, Balcony House e Cliff Palace. Il Cliff Palace è il più grande insediamento costruito nella roccia di tutto il Nordamerica. Si trova in una rientranza profonda 27 m e alta 18 ed è costituito da 220 ambienti, dei quali solo una trentina conservano le tracce di un focolare. Questo fa presupporre che le abitazioni fossero costituite da più ambienti tra loro collegati e che alcuni di essi fossero adibiti a magazzini. Long House è il secondo insediamento di Mesa Verde per dimensioni. È situato sulla Wetherill Mesa nel settore occidentale del parco. Spruce Tree House è sicuramente l’insediamento che si trova nel migliore stato di conservazione ed è il terzo più grande villaggio presente a Mesa verde. È costituito da 130 ambienti e 8 kivas. Si ritiene che possa essere stato abitato da circa 80 persone. Balcony House fu scoperto nel 1881. Per poter visitare l’insediamento è necessario scendere all’interno del canyon per 100 metri per poi risalire verso gli edifici costruiti nella cavità della roccia mediante una scala a pioli di 10 metri e alcuni stretti cunicoli. Square Tower House: la torre che dà il nome all’insediamento è la più elevata costruzione di Mesa Verde. Il sito di Mug House si trova sulla Wetherill Mesa e fu scavato e studiato negli anni ’60 dall’archeologo Arthur Rohn. È Formato da 94 ambienti posti su quattro livelli e comprende una grande kiva.

Facciamo circa 15 chilometri ed arriviamo al visitor center del Parco dove, dopo aver preso tutti i depliant, alcuni in Italiano, prenotiamo subito la visita, accompagnati dal ranger, per Cliff Palace alle ore 11,30 e per il Balcon House alle 14, visita che deve essere prenotata perché è a numero chiuso… visto dove andiamo! Inoltre leggiamo negli opuscoli che “Le visite sono molto faticose e in considerazione dell’altitudine (2700 metri), consigliamo di non farle se avete problemi al cuore o difficoltà respiratorie”. Letto ed archiviato, staremo attenti e faremo con calma. Raggiungiamo subito il luogo di ritrovo e parcheggiato l’auto, scendiamo una breve scala che conduce ad un balcone. Meraviglia! Da qui riusciamo a vedere il villaggio Anasazi denominato Cliff Palace, bellissimo e incastonato nella roccia. Il tempo di scattare alcune foto ed ecco arriva la ranger che informa i turisti (noi non capiamo quasi niente), poi scendiamo di circa 30 metri su gradini scolpiti nella roccia, dopo un breve sentiero intagliato nella roccia, una sosta per ulteriori informazioni, infine siamo davanti a queste costruzioni. Un villaggio interamente costruito nell’anfratto gigantesco di una roccia. Siamo estasiati, bellissimo. Dopo ulteriori spiegazioni del ranger circa la vita di questi popoli e la visita all’interno di un Kiva, risaliamo la montagna. Dapprima una piccola scanalatura nella roccia con microscopici scalini ci permette di salire di lato, poi una scala, un’altra… ma sono cinque e tutte posizionate in verticale, per consentirci di ritornare sul costone della roccia sopra Cliff Palace, dove possiamo ammirare altri resti di villaggi anche dalla parte opposta del canyon. Abbiamo impiegato più di una ora per la visita, nell’attesa del prossimo appuntamento mangiucchiamo qualche cosa in compagnia di tanti microscopici scoiattoli e degli uccelli blu. Per andare a vedere Balcon House ci dobbiamo spostare con l’auto e nel tragitto vediamo nella roccia ancora tanti resti di villaggi. Alle 14 in punto arriva un ranger che saluta tutti poi, intuendo che noi siamo stranieri, si avvicina e ci domanda da dove veniamo, spiccica qualche parola in Italiano e si scusa perché le informazioni che darà saranno in americano. Non ci sono problemi noi ci arrangeremo! Il gruppo che scenderà è più numeroso dell’altro quindi ci viene detto che occorrerà più tempo completare la visita e che ci vorranno almeno 2 ore. Prima di partire illustra come e cosa dovremo fare per visitare il complesso: dall’opuscolo che ci hanno consegnato al visitor center, in Italiano: “Questa visita comporta una discesa su scala di ferro per 70 metri, una ascensione di 12 metri su una scala verticalmente posizionata per accedere all’abitazione, 4 metri da percorrere attraverso, su mani e ginocchia, in un tunnel della larghezza di 46 cm e diviso in 3 parti, 3 metri di scale in verticale per uscire dalle abitazioni, infine una salita di 20 metri su una facciata di roccia aperta e nel vuoto”. Ma che siamo matti! Andiamo, un cancello separa il sentiero dalla strada, facile, poi diventa più complicato dobbiamo scendere 300 scalini in ferro, di nuovo il sentiero nella roccia, un attimo di tregua per fare fotografie e riprendere fiato, ora ci attende una bella scala a pioli che sale verticalmente per 12 metri, siamo così arrivati nel villaggio e da qui un panorama sul canyon. Proseguiamo nella visita del villaggio e dei vari kiva, ora ci aspetta una primo tunnel che si tratta di una fessura nella roccia alta ma strettissima tanto stretta che se non tratteniamo il respiro non riusciamo a passare; ma non è finita c’è un piccolo tunnel, questa volta comodo (si fa per dire!).

Infine, quello che ci avevano detto: 4 metri in un tunnell largo 46 cm scavato nella roccia su di un dirupo. Siamo tutti emozionati, ridiamo per non dimostrare di aver paura, i più bravi sono 2 bambini che ridono e passano agevolmente, poi tocca ad una signora che deve essere spinta da noi che siamo dietro e tirata dal ranger per farla uscire, poi tocca anche a noi. Passiamo… tutto bene. Il tempo di riprendere fiato ed il ranger ci indica la rupe che sta sopra le nostre teste, dobbiamo salire su 3 scale a pioli, in verticale, poi camminare su gradini scolpiti nella roccia una fiancata della montagna, sotto di noi il vuoto. Siamo tutti impauriti ed emozionati o facciamo questa scalata o non usciamo dal sito. Ridendo ci attacchiamo ad una catena che fa da corrimano e lentamente, molto lentamente saliamo i gradini, il ranger ci incoraggia e quando arriviamo in cima ci accoglie con un applauso e si complimenta con tutti. Bello, bellissimo con moltissime scariche di adrenalina, questa giornata ce la ricorderemo per il resto della vita. Nel piazzale salutiamo i compagni d’avventura, prendiamo l’auto e ritorniamo a Cortez, domani faremo il resto della visita. Quando siamo in prossimità del motel, la macchina fa un bip e lampeggia poi nel contachilometri compare la scritta “attention, as soon as possible to check and reset engine oil change”. Cosa? La macchina parla! Ci guardiamo in faccia e siamo nel pallone, abbiamo fatto circa 6000 chilometri e ci dice di cambiare l’olio? Come facciamo? Arrivati al motel chiediamo alla signora ma, essendo oggi sabato e domani domenica, ci dice che potrebbero essere tutti chiusi. Ci dà un indirizzo, poi ci ripensa e ci dice di andare al Wall-Mart l’ipermercato che si trova in tutte le città e anche nei piccoli paesi. Andiamo al vicino Wal-Mart e vediamo ( cosa che non avevamo mai notato prima), che dietro al supermercato c’è una officina meccanica che effettua anche il cambio dell’olio. Appena giunti davanti all’entrata un meccanico ci dice di attendere, prende un computer portatile, chiede gli estremi della macchina, registra il nome del conducente, guarda quanti km abbiamo percorso e “cosa dice la macchina”. Ci avvisa che saremo chiamati quando sarà tutto a posto , cioè nel tardo pomeriggio. Discutiamo un po’ per fargli capire che non lasciamo la macchina e che abbiamo bisogno di un lavoro immediato. Parlano con il responsabile dell’ufficio, ci dicono di attendere in una stanza con poltrone e caffè a volontà e, da una grande vetrata, possiamo vedere come procede il lavoro. Tolgono il filtro olio e vanno a scrivere in un computer, gonfiamo le ruote e scrivono nel computer, controllano, i tergicristallo e scrivono, mettono l’olio e scrivono, fanno il test alla batteria e scrivono…. Ma quanto scrivono, cosa scrivono e… quanto mi costa? Hanno finito il lavoro, sono passati 40 minuti, controllano e resettano il computer di bordo, ci consegnano le chiavi e… il conto! Sorpresa $ 29,89 olio e manodopera per check in compresi. Felici e contenti e con l’auto sistemata rientriamo al motel.

Domenica 3 ottobre

Facciamo con tutto comodo, la visita del resto di Mesa Verde ci porterà via mezza giornata, quindi approfittiamo della vicinanza per andare a vedere a Dolores il museo Anasazi, poi una corsa a Hovenweep National Monument dove ci sono 6 villaggi indiani Anasazi. Quando ritorniamo a Mesa verde facciamo un salto a vedere il Morefield Campground e ci fermiamo ad ogni overlook che troviamo. Giunti al bivio per Wetheril Mesa vediamo un cartello con la scritta: strada chiusa dal 15 settembre. Abbiamo ancora da vedere Spruce Tree house che si raggiunge percorrendo un sentiero, questa volta facile. poi facciamo il Mesa Top Loop, la strada che ci permette di vedere dall’alto tanti insediamenti, piccoli villaggi e torri incastrate nella roccia. Rientriamo nel motel dopo il tramonto, il tempo di fare l’itinerario per domani e preparare le valigie poi un dolce caldo riposo, siamo veramente tanto contenti quanto stanchi.

Lunedì 3 ottobre

Di buonora siamo in macchina, arriviamo a Towac un piccolo villaggio noto in colorado per essere la città dei casinò. Infatti, già prima di arrivare in paese notiamo, lungo la strada grandi stabilimenti “casinò” e tantissime macchine nei piazzali, sicuramente tutta quella gente ha dormito qui. Proseguiamo per la US 160, una lunghissima striscia diritta di asfalto nero, in contrasto con il colore giallo paglierino della steppa. Un cartello lungo la strada indica che qui e solo qui si incontrano 4 stati (New-Mexico, Arizona, Colorado e Utah). Paghiamo l’ingresso (nella Nazione Navajo dobbiamo sempre pagare, non vale il Pass) ed andiamo a vedere questo luogo. Si tratta di un grande anfiteatro con al centro un grosso disco di marmo con i punti cardinali e l’indicazione dei 4 stati. Facciamo le fotografie dopodiché comperiamo qualche oggettino artigianale alle bancarelle che gli indiani hanno aperto. Lasciamo il Four Corners Monuments, ritorniamo indietro ed al bivio prendiamo la US 41 che ci riconduce in Utah, arriviamo a Bluff, proseguiamo per Mexican Hat, una breve escursione a Gooseneks park poi, finalmente siamo nella strada panoramica che arriva alla Monument Valley. Siamo affascinati dallo spettacolo che si presenta davanti ai nostri occhi cerchiamo di scattare più foto possibili ma abbiamo il sole contro quindi facciamo le foto in controluce. Poiché i campeggi, i motel, i Lodge, ecc. sono prenotati da tanto tempo, è sicuro che qui non troveremo da dormire. Ci preoccupiamo di vedere con comodo la Monument Valley, poi stasera cercheremo qualche posto dove dormire. La Monument Valley è un’icona degli Stati Uniti D’America occidentali. Il deserto è in realtà di origine fluviale (Colorado Plateau) e si trova al confine tra Utah e Arizona in un’area abbastanza isolata quanto estesa che dista più di 70 km dalla cittadina più vicina. La strada che conduce alla Monument Valley nella parte terminale è altrettanto famosa: essa segue un percorso rettilineo in leggera discesa che dà al viaggiatore l’impressione di calarsi all’interno della valle. La strada principale che conduce al luogo è la Highway 163. Il territorio è prevalentemente pianeggiante ad eccezione del fatto che la pianura è cosparsa da una sorta di guglie dette Butte o Mesa. Questi edifici naturali formati da roccia e sabbia hanno la forma di torri dal colore rossastro (causato dall’ossido di ferro con la sommità piatta più o meno orizzontale; alla base si accumulano detriti composti da pietrisco e sabbia. La zona fa parte della Navajo Nation Reservation ed è un Tribal Park con ingresso a pagamento. Gli indiani gestiscono tutte le attività all’interno della valle compreso il discusso e costoso View hotel inaugurato nel 2009. Non è raro incontrare un set cinematografico durante la visita lungo le numerose strade sterrate che percorrono la valle infatti il luogo fa spesso da ambientazione a film western. Al Monument Valley Visitor Center è possibile scegliere di visitare la vallata con una guida Navajo a cavallo della durata di 4 ore circa oppure in macchina della durata di 2 ore. La strada sterrata e un po’ dissestata, che attraversa la valle, è comunque percorribile purché non si superino le 15 mph (velocità massima consentita sulla pista). Durante le piogge torrenziali che saltuariamente si scatenano nella valle alcune zone potrebbero allagarsi nell’arco di pochi minuti lasciando il guidatore in panne. La tribù dei Navajo vive ancora nella Monument Valley ed è possibile, con discrezione, dialogare con alcuni durante la visita nel parco. Presso il Visitor Center vi sono parecchi Indiani Navajo che con le loro Jeep invitano i turisti ad un tour organizzato, noi dopo aver visto la pista (che ci sembrava praticabile), con il depliant relativo al percorso da seguire, incominciamo, lentamente a scendere nella valle con la nostra auto. Dopo i primi trecento metri (veramente sconnessi) siamo obbligati a fare degli slalom per non entrare nelle buche o per scansare i sassi che spuntano da sotto la sabbia, poi la pista anche se di sabbia diventa percorribile con molta attenzione. Ecco si vedono pilastri di rocce maestose, impressionanti, mentre il paesaggio intorno a noi è arido, desertico. Per 11 volte ci siamo fermati per brevi trails e per altrettanti view points corrispondenti sostanzialmente ad altrettante formazioni rocciose. Nel nostro percorso abbiamo visto all’inizio i famosissimi Mittens e Merrick Butte per poi ammirare il fantastico John Ford Point, le Three Sisters, il Totem Pole (un pilastro di roccia altissimo e isolato), i Butte (le guglie di roccia, infine, come ciliegina sulla torta proprio davanti alla più fotografata Mesa, simbolo della Monument Valley, facciamo tantissime foto e ci facciamo anche immortalare con sullo sfondo la famosissima Mesa. Ripercorriamo la pista e nella parte più sconnessa, quella ora in ripida salita e molte curve, notiamo che hanno bagnato la sabbia così da permettere maggior aderenza alle ruote delle macchine. Siamo nel piazzale vicino all’hotel, la macchina bianca ora è diventata rossa per la sabbia, noi siamo estasiati ed ancora oggi, mentre scriviamo il diario, la Monument rimane tra i luoghi che più ci hanno attratto guardando le foto del viaggio e ripensando a quei momenti, è la magia di questo posto dove la rossa terra si innalza verso il blu del cielo e la vita sembra sospesa mentre il tempo scorre lentamente. Il sole cocente è ancora alto nel cielo, abbiamo la possibilità di avvicinarci quanto più è possibile al nostro prossimo obiettivo. Arrivati al bivio per Page non andiamo a vedere il Lake Powell, ma continuiamo per essere nel Grand Canyon domani. Facciamo una prima sosta lungo la strada in un motel che all’apparenza sembra discreto. Domandiamo quanto costa e, per fortuna chiediamo di vedere la camera. Ci mandano nel retro del motel in una specie di parcheggio di rulottoni, apriamo la porta di quello indicatoci e la richiudiamo immediatamente. Che schifo! Sicuramente non era abitato da più di 50 anni. Salutiamo e continuiamo fino a raggiungere la città di Tuba city dove troviamo un motel carino e accogliente; teniamo conto che è gestito da indiani ed è nella sabbia.

Martedì 4 ottobre

Arriviamo a Cameron e prendiamo la US 64 strada panoramica che entra nel parco. Sono parecchie miglia che si possono percorre verso l’altro lato del Grand Canyon in un bellissimo paesaggio che scorre tra la foresta di Kaibab sulla sinistra e l’orlo dell’abisso rosso sulla destra. Il paesaggio è montano, ci sono alberi ad alto fusto, pini ed abeti fino. Un cartello ci avvisa che stiamo entrando nel parco del Grand Canyon, ci fermiamo per la consueta foto.

Grand Canyon: attira l’attenzione del mondo per molte ragioni, ma forse la sua più grande importanza sta nel record geologico conservato ed esposto qui. Le rocce del Grand Canyon non sono di per sé uniche, rocce simili si trovano in tutto il mondo. Ciò che rende unico il record geologico del Grand Canyon è la varietà di rocce con forme e strati diversi ed ogni roccia risponde all’ erosione in modo diverso. I colori vivaci di molti di questi strati sono dovuti principalmente a piccole quantità di minerali vari, la maggior parte contengono ferro, che conferisce sfumature di rosso, giallo e verde alle pareti del canyon. Le stesse rocce raccontano la complessa storia geologica e l’origine dello stesso canyon: quando e come è venuto? Ad un certo livello la risposta è semplice: Grand Canyon è una caratteristica erosione che deve la sua esistenza al fiume Colorado. Di pari importanza sono le forze di erosione che hanno modellato e continuano a plasmare il canyon di oggi. Questi includono acqua corrente da pioggia, neve, e affluenti che entrano nel canyon in tutta la sua lunghezza. Il clima del Grand Canyon è classificato semi-arido. La pioggia arriva all’improvviso in violente tempeste, in particolare nella tarda estate di ogni anno. Il potere di erosione è quindi più evidente qui che in altri luoghi che ricevono più pioggia. Il Grand Canyon continua a crescere e cambiare. Fino a quando la pioggia e la neve cadranno nel nord dell’Arizona, le forze dell’erosione continueranno a dare la forma al Grand Canyon. Il fiume Colorado è più lungo di Grand Canyon, scorre per oltre 2.333 chilometri dalle Montagne Rocciose del Colorado fino al Golfo di California in Messico. Nel Grand Canyon larghezza e profondità variano da luogo a luogo. Al South Rim, vicino a Grand Canyon Village, è un chilometro verticale dal bordo al fiume, o 11,3 km di percorso. Nella sua parte più profonda è di 1.829 m dal bordo al fiume. La larghezza della gola del Grand Canyon Village è di 16 km, anche se in alcuni punti, è di 29 km di larghezza. Il Grand Canyon è lungo 446 chilometri. Per l’escursione al fondo del canyon e ritorno con il mulo occorrono due giorni, a piedi 3 giorni. Un viaggio attraverso il Grand Canyon in zattera può prendere due settimane o più. Poco distante dall’entrata nel parco c’è il primo punto di osservazione sul Canyon – Desert View – ( 2267 metri di altitudine) e… restiamo a bocca aperta. Che meraviglia! È esageratamente grande… immenso. Dopo esserci ripresi dallo stupore e dalla contentezza di trovarsi in questa immensità della natura proseguiamo fermandoci nei punti panoramici come Navajo Point, Lipan Point, Moran Point, Grandview Point e Yachi Point facciamo i trails che ci permettono di guardare sotto di noi nel baratro del canyon. Arriviamo al Centro visitatori del Grand Canyon (sembra una città, ci sono bus (shuttle) gratuiti che portano a tutti i punti panoramici del Canyon, treni che arrivano in una graziosa stazioncina, negozi, hotel, Lodge, camping). Prendiamo tutti gli opuscoli (ci sono anche in Italiano) grazie ai quali potremo visitare il Grand Canyon con cura, cominciando subito dal punto più panoramico Mather Point dove arriviamo dopo poche centinaia di metri su un sentiero pavimentato, pulito e grandissimo. Impossibile esprimere con parole le sensazioni che proviamo, in un bagliore di colori differenti e sotto un cielo blu ed in questa immensità ci sentiamo proprio piccoli, piccoli. Le ore passano veloci e non ce ne accorgiamo, ora andiamo subito a Tusayan (una piccola cittadina a pochi chilometri) dove c’è l’aeroporto e dove vogliamo fissare il volo in elicottero. Lasciamo il parco, nel paese, stracolmo di hotel, ristoranti, supermercati, bar ecc ecc cerchiamo un motel per fissare la camera per 2 notti. Siamo fortunati, subito dopo il Teatro Imax vediamo un piccolissimo motel (gli altri sono tutti enormi) con insegne indiane, entriamo ed alla gentile signora chiediamo se ha camere libere. Che fortuna proprio ora se ne è liberata una e proprio ora cambiano la biancheria; ci piace la confermiamo per stasera e domani. Con l’auto andiamo all’aeroporto, ma nel frattempo si è alzato un fortissimo vento che minaccia di portare nuvole piene d’acqua. Entriamo nella hall dell’eliporto e alla biglietteria troviamo una fila mostruosa di persone che fissano il volo. Finalmente tocca a noi, domandiamo quanto dura il tour, quanto costa ecc ecc. Il tour più lungo (50/60 minuti) oggi non viene effettuato a causa del forte vento e così sarà anche per domani; il viaggio più corto, salvo tempesta dell’ultimo momento verrà effettuato. Peccato! Volevamo fare il tour lungo, ma nell’incertezza decidiamo per il tour più corto, quello che dura 35-40 minuti. Andremo domani perché per oggi è tutto esaurito. Ci fermiamo una mezz’oretta ad assistere all’evoluzione degli elicotteri, intanto il vento diventa più forte e freddo. Ritorniamo al motel, lasciamo le valigie e facciamo una passeggiata in paese, dove vediamo molti autobus arrivare e scaricare una miriade di turisti. Ci fermiamo a mangiare poi rientriamo e prepariamo l’elenco dei sentieri da percorrere per meglio vedere il Canyon.

Mercoledì 5 ottobre

Stamani in paese, facciamo compere per il pranzo e attendiamo l’orario per il nostro tour in elicottero in un bar dove incontriamo una coppia di Italiani con un figlio grande. Con loro chiacchieriamo un po’ dopo ci salutiamo e andiamo verso l’eliporto; nel frattempo il vento ha diminuito la sua forza, ora siamo nella hall dell’eliporto, facciamo vedere la nostra prenotazione, ci pesano, domandano il nome, ci consegnano un biglietto con su scritto un numero e ci fanno entrare in una saletta dove assistiamo ad un breve filmato che ci illustra come utilizzare il salvagente in caso di disastro, come dobbiamo metterci a sedere, come bloccare le cinture di sicurezza e le cuffie nelle orecchie, ecc ecc. Inoltre dobbiamo stare attenti perché con le ginocchia si potrebbero aprire gli sportelli. Alle 10,15 fanno l’appello e ci ritroviamo in 3 coppie (2 sono tedesche), ci legano un piccolo salvagente alla vita e ci fanno attendere ancora e vediamo un continuo via vai, sali-scendi di persone dagli elicotteri. Ora usciamo e attendiamo nella pista il nostro turno, tira un forte vento e fa abbastanza freddo, viene il fotografo che ci fotografa davanti all’elicottero. Ci chiamano per numero Mary ha il 4, Antero ha il 6 e montiamo in ordine. Siamo dentro l’elicottero 3 persone davanti alle altre, siamo stretti ci tocchiamo le ginocchia. Antero accanto alla porta così può girare il video e fare le fotografie, Mary è nel mezzo. E decolliamo (per noi in elicottero è la prima volta), sorvoliamo il bosco poi arriviamo sopra il Canyon, le sensazioni sono forti, il pilota si diverte anche a fare delle piccole evoluzioni che a noi ci impensieriscono. Il sole talvolta scompare a causa delle nuvole portate dal vento ma riusciamo a fare delle belle foto anche del fiume Colorado che scorre nel fondo del canyon. Atterriamo, è finito il tour, per noi è stata una esperienza bellissima, in più abbiamo visto il Grand Canyon dall’alto e dentro ed il panorama è stato di quelli che non si scordano più. Salutiamo i nostri compagni di viaggio, prendiamo l’auto e andiamo verso l’entrata sud del Parco, parcheggiamo l’auto davanti al Market plaza per fare shopping: compriamo e spediamo le cartoline a parenti e amici! Ritorniamo al visitor center e facciamo i trail che costeggiano il Canyon, sosta al Museo e poi percorriamo circa 5 chilometri di sentiero per arrivare fino alla piccola stazione dove giungono i treni provenienti da Flagstaff. Proprio sopra la stazione ferroviaria ci sono moltissimi Lodge, Hotel, andiamo a vederli, sono molto belli e in posizioni eccezionali, tutte le finestre offrono uno spettacolo unico sul canyon. Guardiamo attentamente le stazioni dove si fermano le navette e prendiamo la navetta per il percorso rosso quello non consentito alle auto. Con il bus percorriamo diverse miglia sull’orlo del canyon fino al punto estremo di Hermits Rest. Da qui si gode un altro stupendo panorama nel punto più ad ovest, una bella passeggiata per respirare appieno l’aria limpida e frizzante di montagna e per prendere una cioccolata calda in una vera e propria baita adibita a punto di ristoro. Riprendiamo il bus che al rientro effettua solamente due soste, una è la nostra fermata al Mohave Point. Da qui, seguendo i consigli della guida, ci incamminiamo a piedi verso il primo punto più a est: l’Hopi Point. Vale la pena farsi questa passeggiata per tantissimi motivi. Innanzitutto, già solo camminando a piedi sull’orlo del Grand Canyon si aprono paesaggi incredibili visti da una prospettiva diversa dei soliti punti panoramici e in modo molto più isolato. Sembra infatti strano, ma basta fare pochi passi e la gente si volatilizza nel nulla, dando finalmente un senso di maggiore intimità nell’osservare questo spettacolo della natura. Il sentiero è lungo appena 1,3 Km e non presenta dislivelli, per cui si percorre molto tranquillamente in 30 minuti, fermandosi spesso e volentieri per scattare foto. Inoltre, è uno dei pochi punti dove si riesce a scorgere molto bene il verde smeraldo del Colorado, artefice primario della millenaria erosione di questa roccia arenaria. In ogni caso, tutto l’orlo del Grand Canyon può essere percorso a piedi con i trail segnati. Il giro ci tiene impegnati fino al tramonto ma il cielo si è completamente annuvolato. Prendiamo la navetta blu che, dopo un lungo giro ci riporta al visitor center. Con l’auto ritorniamo al motel, ora fa molto freddo entriamo ed accendiamo il riscaldamento sperando che domani sia più caldo e più bel tempo.

Giovedì 6 ottobre

Stanotte è piovuto tanto ed ha tirato un fortissimo vento e quando apriamo la finestra abbiamo una sorpresa, la macchina è coperta di neve! Brr, fa freddo, aspettiamo un po’ poi alle 9 il sole fa capolino e ritorna il sereno. Mentre percorriamo i pochi chilometri che ci separano dall’ingresso del parco vediamo un branco di alci che tranquillamente pascola nel bosco ai bordi della strada. Si fermano tantissime macchine e creiamo un ingorgo tale che i ranger sono costretti ad intervenire. Fa ancora freddo ma il cielo è limpido, torniamo a vedere i più importanti overlook facciamo sosta per imprimere bene nella nostra mente questo spettacolo della natura. Lasciamo il Grand Canyon e, arrivati a Flagstaff, deviamo per andare a vedere la famosa scenic bay way che passando dall’ Oak Creek Canyon arriva a Sedona. Sedona: Nota nel mondo per la bellezza delle rocce rosse, la comunità di Sedona è situata nel cuore dell’Arizona centrale, 200 km a nord di Phoenix e 50 km a sud di Flagstaff. Posta ad una altezza sul mare di 1500 metri, Sedona gode di stagioni deliziosamente miti. La straordinaria bellezza della natura, il clima, l’aria e l’acqua di una purezza cristallina fanno di Sedona la seconda attrazione turistica dell’Arizona in ordine di popolarità. La ricchezza e diversità culturale di Sedona è una Mecca per artisti, scrittori, imprenditori e, naturalmente, turisti. L’ottima posizione e il clima di Sedona permettono di praticare tutto l’anno ogni genere di attività all’aria aperta, come golf e cavalcate. I molti sentieri, da facili camminate a eccitanti sfide, sono aperti tutto l’anno. Questa pittoresca città è circondata da rocce rosse monoliti nome Caffettiera, Cattedrale e Thunder Mountain. All’estremità nord della città è la splendida Oak Creek Canyon, una gola mozzafiato selvaggiamente meravigliosa. Le famose rocce rosse di Sedona sono formate da uno strato di roccia conosciuta come la Formazione Schnebly Hill, si tratta di uno spesso strato di roccia rosso arancione che si trova solo nelle vicinanze di Sedona. Inizialmente la strada scende ripida dentro il canyon senza presentare panorami particolari. Poi, quando il canyon si allarga ammiriamo alte formazioni rocciose di un colore particolare che ci obbligano a fermarci per fotografarle. Arrivati a Sedona vediamo che è una cittadina (10000 abitanti), in stile messicano con tanti negozi, alberghi e ristoranti, una vera città elegante e turistica, circondata da stupendi monoliti colorati. Prima di lasciarci alle spalle questa bellissima cittadina e proseguire fino a Montezuma Castle facciamo una breve sosta per visitare lo Slide Rock state Park posto in uno scenario incantevole. Non troviamo alcun motel dove poterci fermare per la notte, quindi riprendiamo la interstate che passa in mezzo alle montagne coperte di neve. Ritorniamo verso Flagstaff sperando di trovare un clima più mite e decidere cosa fare domani. La sera quando guardiamo il telegiornale alla televisione vediamo un servizio su Phoenix; (a circa 230 chilometri da Flagstaff) oggi c’è stata una tempesta di sabbia con un vento fortissimo ed un gran caldo che ha bloccato la città. Subito dopo il cronista fa vedere che nei prossimi giorni entrerà da ovest (dalla California) una forte corrente fredda che farà scendere il termometro sotto lo zero con probabilità di neve! Cancelliamo la visita a Phoenix dal nostro itinerario e proseguiremo percorrendo la Route 66. Un mito immortale, la Route 66; è stata fagocitata dalle più svariate highway, ma il suo fascino è sempre intatto. La strada madre (“mother road”) che congiunge Chicago e Los Angeles, attraversando in diagonale metà degli Stati Uniti, rappresenta un ideale di libertà.

Venerdì 7 ottobre

Dopo aver telefonato ad amici e parenti andiamo alla macchina ed abbiamo una fresca sorpresa: la macchina è completamente coperta di neve e fa molto freddo, però sulla strada è tutto pulito. Togliamo la neve e prendiamo la Interstate 40 ( ex route 66) fino ad arrivare,dopo pochi chilometri, al Walnut canyon National Monument.

E’ un Monumento Nazionale situato a circa 10 da Flagstaff, a circa 2.040 metri di altitudine. Il Canyon è profondo 350 metri e dal piano del Canyon bisogna scendere con un percorso ad anello e tramite 245 scalini per vedere le abitazioni costruite dal popolo Sinagua, un gruppo pre-colombiano che ha vissuto a Walnut Canyon dal 1100 al 1250. Sinagua in spagnolo significa “senza acqua”, un riconoscimento al popolo Sinagua che è stato in grado di vivere in una regione arida. Le abitazioni sono piccole e la maggior parte si trovano vicino al sentiero ad anello. Una casa tipica misura circa due metri di altezza per sei metri di lunghezza per tre metri di profondità e potrebbe essere stata la dimora di una singola famiglia. Il ranger di servizio ci illustra il percorso da seguire e fa presente che, per l’altitudine e per i 245 scalini da scendere (e dopo da risalire tot. 490), è importante non avere alcun disturbo respiratorio, ci informa anche che può nevicare. Iniziamo il sentiero, scendiamo fino a raggiungere il percorso nella roccia che ci permette di vedere le abitazioni di questo antico popolo, durante la visita ritroviamo un nostro amico: una tarantola che sveltamente si rifugia tra i sassi. Questo canyon, poco conosciuto, ci riserva dei bellissimi panorami e colori diversi come il grigio ed il nero. Mentre stiamo riprendendo a salire i famosi gradini comincia a nevicare poi dopo circa 15 minuti torna a splendere il sole… ma fa ancora tanto freddo. Proseguiamo sulla interstate e vediamo in lontananza il cielo nerissimo, davanti a noi si sta scatenando una tempesta di neve e man mano che ci avviciniamo la neve è sempre più fitta, ora siamo nel bel mezzo della tempesta e nevica cosi forte che in pochi minuti si forma una coltre di 5 cm di neve sulla interstate. Facciamo molta fatica a proseguire e non vediamo quasi più nemmeno la strada poi, usciti da quella cappa di cielo nero, improvvisamente e inaspettatamente smette di nevicare e ricompare il sole. Siamo arrivati al bivio che in pochi chilometri ci conduce al Meteor crater, il luogo meglio conservato della terra che porti il segno dell’impatto di un meteorite. Un meteorie di 45 metri di diametro che, quando ha toccato terra, 50000 anni fa ha creato un cratere profondo 173 metri e largo 1 chilometro e mezzo. Entriamo nel sito e ammiriamo questo cratere vedendo anche i minimi particolari grazie a dei teleobiettivi. Curioso è pensare che questa location sia stata utilizzata per anni dalla Nasa nell’intento di preparare gli astronauti al suolo lunare. Nel vicino museo è esposto un pezzo di meteorite che, ci dicono, porti fortuna a toccarlo, poi assistiamo ad un filmato interattivo molto ben riuscito, che spiega gli effetti di un impatto di corpi celesti sul nostro pianeta; inquietante. Dopo pranzo riprendiamo la strada e arrivati a Winslow entriamo nel paese che ha conservato tutte le caratteristiche dei paesi del west attraversati dalla Route 66. Veramente carino e particolare. Noi cerchiamo uno storico Hotel costruito da un importante architetto nei primi anni del novecento e simbolo ancora attuale della Route 66, si tratta del Posada Hotel. Nell’adiacente posteggio lasciamo l’auto ed andiamo a visitare l’hotel. E’ caratteristico e fatto veramente bene. Per capire come è l’hotel vale ricordare la recensione del National Geographic traveler: la storia inizia con Fred Harvey, che nel 1920 decide di costruire un grande albergo nel centro del nord dell’Arizona. “La Posada”, il luogo di riposo, doveva essere la più bella del sud-ovest, con un servizio impeccabile per i viaggiatori. I costi di costruzione hanno superato 1 milione di dollari nel 1929 e con la biancheria, argenteria, porcellane, cristallo e arredi il costo finale è stato di 2 milioni di dollari (circa $ 40 milioni di dollari di oggi). Un vero must della route 66. Riprendiamo la mitica route 66, superiamo Jacrabbit, facciamo una sosta al famoso trading post Geronimo poi, giunti ad Hobrook andiamo a vedere Hopi travel Plaza dove troviamo un motel con tutte le comodità.

Sabato 8 ottobre

Stamane la nostra destinazione di visita è la Foresta pietrificata La Petrified Forest, è propriamente una foresta pietrificata; 225 milioni di anni fa, i tronchi di grandi alberi caduti e trasportati a valle dai fiumi, vennero progressivamente coperti da fango e ceneri vulcaniche. Iniziò quindi un procedimento che rallentò la decomposizione del legno e le acque, ricche di sali minerali, penetrarono nei tronchi fino a sostituire le fibre del legno. Questo lungo processo di calcificazione trasformò i tronchi di legno in veri e propri tronchi di pietra. Quando, circa 200milioni di anni, fa le montagne incominciarono a sgretolarsi sotto l’azione atmosferica, l’intera zona scomparve sommersa dalle acque dell’Oceano e le foreste sepolte si trovarono a circa 900 metri di profondità. Successivamente l’evaporazione dell’acqua provocò la cristallizzazione della silice penetrata all’interno dei tronchi che, originariamente bianca o grigia, si è colorata di giallo o arancione per gli ossidi di ferro e di azzurro o di nero per gli ossidi di manganese. Noi entriamo dall’accesso sud del parco e risaliamo una strada che percorre la valle per una cinquantina di chilometri fino ad arrivare al Painted Desert (deserto Dipinto). All’ingresso del parco ci avvisano che è severamente proibito, pena l’arresto, asportare materiale dal parco avvisandoci che ci saranno controlli lungo la strada ed all’uscita del parco. Giunti al Rainbow Forest Museum assistiamo ad un interessante filmato che illustra come si è formata la foresta. Usciamo dal museo e facciamo un lungo trail che ci porta a camminare tra una gran quantità di alberi pietrificati. Sono di un colore rosso mattone e all’interno prendono colorazioni vivaci che sembrano di marmo o di madreperla. Oggi fa molto caldo e la temperatura al museo indica 38°, ma i ranger ci avvisano che sono possibili improvvisi acquazzoni e freddi venti. Man mano che andiamo a nord troviamo dei brevi sentieri dove è possibile camminare proprio come se fossimo dentro la foresta. Indubbiamente la parte più bella della Petrified resta Blue Mesa; un percorso a piedi di un miglio, fatto di sali scendi che ci porta in mezzo a delle colline di argilla con colori che tendono meravigliosamente al blu e al grigio. Lungo il percorso si possono osservare tronchi fossili anche di notevoli dimensioni; ma la parte più bella è proprio questo immenso altopiano a cavallo della Route 66, attraversato da queste colline color blu a sud e rosso porpora a nord. Risalendo ci sono un paio di punti di fermata legati ad antiche rovine di pueblo; uno di questi, il Newspaper Rock, permette di vedere da lontano, (dato che è proibito avvicinarsi) i petroglifi. Arrivati all’incrocio della interstate proseguiamo per la vecchia route 66 (siamo sempre dentro il parco), ed arriviamo ad un’altra meraviglia della natura: Painted Desert (deserto dipinto). Una distesa infinita di piccole colline argillose, appena puntellate da un tenue verde della vegetazione, non c’è nessuno, siamo solo noi e il vento che crea dei piccoli mulinelli con la terra rossa; qui il silenzio è assordante, meraviglioso. Il deserto possiede nove punti panoramici con vedute multicolori e così vediamo i colori che nelle tenere rocce sedimentarie erose, sono dovuti principalmente all’ematite (rosso), alla limonite (giallo) e al gesso (bianco). Lo spettacolo al quale assistiamo è dunque veramente straordinario: in un paesaggio brullo e riarso spiccano i colori (resi vivi dai raggi del sole) dei tronchi di pietra che paiono gigantesche colonne di un tempio. Le foreste pietrificate non sono una rarità sulla crosta terrestre, ma è in Arizona che il fenomeno ha raggiunto la sua forma più suggestiva. Nel momento più bello ecco che la macchina fotografica si blocca, sicuramente è entrato qualche granello di sabbia, non possiamo più utilizzarla. All’uscita del parco ci fermano i ranger, gentilmente ci domandano se abbiamo asportato qualche reperto, no certamente! Non fanno altre obiezioni e ci lasciano passare. Riprendiamo la Mitica route 66 fino ad arrivare a Gallup dove andiamo a trovare un Wall-Mart per acquistare una nuova macchina fotografica. Come la vogliamo noi non è disponibile, siamo costretti a rimandare l’acquisto a domani. Dopo aver prenotato il motel facciamo una breve escursione nel paese che però non ci appare così interessante come descritto nelle varie guide. In definitiva nel Navajo Village ci sono un chilometro di case arroccate lungo la vecchia “strada madre”, a poche decine di metri dall’highway I-40, noi credevamo di trovare qualcosa di più caratteristico, invece ci sono solo dei negozi di souvenirs e qualche tavola calda.

Domenica 9 ottobre

Riprendiamo il nostro viaggio percorrendo la route 66, superiamo Continental divide, Thoreau, Previt ed arriviamo a Grants. Andiamo al Wall mart sperando di trovare la macchina fotografica ma anche qui ne sono sprovvisti, dobbiamo utilizzare la cinepresa se vogliamo avere qualche ricordo dei luoghi che visitiamo. All’incrocio con la Interstate 40 prendiamo la US 117 per andare a vedere uno strano parco: El Malpais National, un grandissimo parco letteralmente coperto da una immensa colata lavica che domina il paesaggio. Al ranger station una gentile ranger ci suggerisce le soste dove conviene fermarsi per avere una veduta spettacolare del parco. Fatti pochi chilometri andiamo a Sandstone Bluffs Overlook una strana scogliera piatta che domina la vallata completamente nera per la lava che si estende a perdita d’occhio. Proseguiamo ed arriviamo nella zona conosciuta come “the Narrows”, scogliere che sono alte come una fortezza, con grosse crepe e fessure formate dalle acque. Un breve sentiero conduce in cima a l’Encierro Cerro un Bluff Mesa (collina) dove godiamo di un’altra vista panoramica spettacolare. Dove è possibile ritorniamo nella vecchia route 66 e passiamo attraverso paesi come San Fidel, Laguna, Mesita, poi di nuovo nella interstate per andare ad Albuquerque, vediamo se possiamo comperare la macchina fotografica. Il navigatore indica che nella città ci sono 6 Wall-Mart, noi ne scegliamo uno (quello più a nord) perche abbiamo intenzione dopo di proseguire fino a Santa Fè. Attraversiamo tutta la città trovando una caotico traffico, poi raggiunto il wall-mart entriamo ma troviamo la macchina non disponibile, siamo dispiaciuti e meravigliati, un addetto alle vendite molto gentile e disponibile ci dice che è inutile seguitare a cercare il tipo di macchina che noi vogliamo perché nel New Mexico quel tipo verrà riconsegnato ai vari punti di vendita solo dopo il 18 ottobre, però è possibile che in un altro stato sia stata consegnata per la vendita e per poterlo sapere basta entrate nel sito della Wall-mart e vedere. Bene, stasera con calma faremo il controllo con il cellulare. Percorrendo la route 66 che qui è divisa in 2 parti, arriviamo a Fe il cui nome completo è La Villa Real de la Santa Fé de San Francisco de Asís, (Città reale della Santa Fede di San Francesco d’Assisi) ed è la capitale del New Messico e qui dormiamo.

Lunedì 10 ottobre

Santa Fe si trova ad un’altitudine di 2.132 metri sul livello del mare ed è la capitale federale più alta. Fondata nel 1610 dagli spagnoli, è il più antico insediamento europeo in suolo statunitense ad ovest del Mississippi, è anche la più antica tra le capitali federali degli Stati Uniti. La cittadina è molto carina, sembra di essere in Messico. Le case sono di un colore rosso bruciato e gli abitanti, quelli indiani, sono coperti da una specie di poncho colorato. Ci sorprende la chiesa dedicata a San Francesco d’Assisi grandissima e che è considerata dalla chiesa cattolica al pari della Basilica di Assisi. Ancora pochi chilometri e facciamo sosta a Pecos nelle cui vicinanze c’è un Parco Storico Nazionale. In questo territorio esistevano dei pueblo, villaggi ancestrali, e gli abitanti, dapprima sottomessi con le armi vennero poi sottomessi dalla religione importata dagli Spagnoli. Infatti, i francescani che qui vennero numerosi, costruirono una grande chiesa primitiva che abbiamo potuto vedere seguendo un percorso nel parco. Al termine, quando stiamo per uscire il ranger ci suggerisce di vedere un breve filmato sulla storia di questo luogo, ancora considerato sacro dagli indiani nativi. E scopriamo che all’inizio gli spagnoli ed i frati portarono cultura e civiltà poi sottomisero questo popolo che successivamente si ribellò agli obblighi dettati dalla legge umana e religiosa e, bruciarono tutto scacciando gli invasori. Salutato il ranger, proseguiamo e fatti pochi chilometri arriviamo a Las Vegas. Un grosso cartello ci avverte: Questa è la prima, vera Las Vegas! La piazza centrale, circolare è circondata da palazzi in stile messicano ed è carina. Proseguiamo fino ad arrivare a Santa Rosa, una breve sosta vicino ad un negozio di materiale elettronico (siamo ancora alla ricerca della macchina fotografica) e sentiamo un profumo intenso di peperoni arrostiti. Guidati dall’odore troviamo una bancarella con due messicani intenti a girare un grosso cilindro forato e pieno di piccoli peperoni sopra ad un fuoco. L’odore è talmente “europeo” che non possiamo lasciare perdere. Chiediamo se ci vendono qualche peperoncino e loro ci mostrano un sacchetto, già pronto che sarà almeno cinque chili.

Uno dei due prende un peperoncino, lo sbuccia e dicendoci che è poco piccante ce lo offre. E’ buono ma noi diciamo che vogliamo solo pochi peperoni, niente da fare, abbassano il prezzo e ci appiccicano il pacco. Oggi ancora dobbiamo pranzare, ci fermiamo in un parco con l’intenzione di gustarci qualche peperone. Abbiamo il pane, l’olio ed il sale, siamo a posto. Il tempo di pulirne tre, sfilettarli e metterli nel pan carrè e dare un grosso morso, immediatamente ci bruciano le labbra, la gola… sono tremendamente forti (ecco perché ridevano tanto i due messicani quando li abbiamo comperati!). Per farla breve il bruciore dalla bocca è passato allo stomaco poi… anche più sotto! Dormiamo a Tucumcari.

Martedì 11 Ottobre

Stamani dormiamo tanto e partiamo. Ad una donna delle pulizie lasciamo in regalo il frigo portatile, il sacco a pelo. Dopo mille ringraziamenti partiamo e lasciamo il New mexico, attraversando la parte nord del Texas; il panorama è sempre uguale, immense distese di praterie. Ieri sera guardando internet abbiamo visto che nel Texas è possibile trovare la macchina fotografica che desideriamo ed è in vendita ad Amarillo. Cerchiamo il wall-mart, anche qui in questa minuscola città, è grandissimo e… finalmente compriamo la tanto sospirata macchina fotografica: una Canon ultimo modello. Quando incontriamo la segnaletica della route 66 usciamo dall’autostrada e visitiamo alcuni bar e distributori storici; poi lungo la strada notiamo sempre più case che nel giardino hanno tante zucche di tutte le dimensioni; si stanno preparando al 1° novembre, festa di Halloween; addirittura, in un piazzale, vediamo tantissime zucche ed un cartello con la scritta “posteggio per le zucche”. Entrati in Oklahoma cerchiamo e lo troviamo, un motel con spa. Facciamo una lunga pausa in ammollo nel caldo della piscina aspettando l’ora di cena.

Mercoledì 12 ottobre

La mattina, fatti pochi chilometri, andiamo a vedere, nella cittadina di El Reno, il Forte Reno. E’ un sito storico dai nativi assieme ai primi colonizzatori poi divenuto un fortino importante durante le guerre di indipendenza e serviva come base ai nordisti. Successivamente ristrutturato durante la seconda guerra mondiale è stata la sede dove venivano addestrati gli indiani navajo che, con la loro incomprensibile lingua, furono di notevole aiuto per la fine delle ostilità. Durante la nostra visita, accompagnati da una vispissima e gentile vecchietta scopriamo una cosa che non sapevamo. Qui, in questo fortino sono sati tenuti in prigionia 70 soldati Tedeschi e 8 Italiani catturati durante la guerra in Africa, qui sono rimasti e qui sono morti. Ora si trovano sepolti in un piccolo cimitero. Vediamo il cimitero e le tombe dei nostri connazionali, una è stata da poco rimossa, facciamo le foto di ciascuna lapide con l’intenzione di comunicare a chi di dovere che qui giacciono i corpi di nostri connazionali. Al ritorno chiediamo alla signora se ci può dare l’elenco completo e gentilmente ci fa una fotocopia dei nominativi (P.S. prima di stendere questo diario, appena giunti in Italia, abbiamo interessato il Ministero competente il quale ci ha comunicato che è a conoscenza di quanto da noi riferito, ed hanno collaborato con i familiari per il rientro dell’unica salma reclamata; inoltre hanno informato i parenti di tutti gli altri soldati). Quando arriviamo nella città di Oklahoma il traffico è snervante autostrade che si intersecano tra loro, sopraelevate a cinque corsie, noi veniamo dall’ovest dove ci eravamo abituati a percorrere le strade senza particolare affanno… insomma, siamo preoccupati sappiamo che man mano che ci avviciniamo a Chicago il traffico peggiorerà. Sosta, appena possibile, per rivedere il nostro itinerario di rientro: avevamo pensato di passare da Tulsa, Springfield in Missouri, St. Louis, Springfield in Illinois e Chicago, ma decidiamo di andare a Tulsa, Joplin, Jefferson city, Springfield e Chicago (saltando la visita di St. Louis). Continuiamo, ma il traffico non diminuisce, anzi aumenta di nuovo, improvvisamente. Vicino ad un piccolo paese, la macchina ci ‘parla’ ancora, nel tachimetro compare la scritta “please check the left rear tire pressure. Danger”. Abbiamo bucato? Lasciamo la Interstate ed entriamo nel villaggio. Girovaghiamo per un po’ senza trovare nulla, cominciamo a preoccuparci poi vediamo una carrozzeria. Antero entra dentro e chiede ad un giovane di venire a vedere l’auto. Con molta difficoltà, riusciamo a fargli capire di leggere cosa dice il tachimetro, sorride, gonfia la ruota sinistra posteriore, poi l’anteriore e ci dice ok. Resetta il tachimetro e ripartiamo. Noi ci siamo impauriti, pensavamo a qualcosa di grave, un buco nella gomma o problema meccanico. Proseguiamo, ed arrivati a Tulsa, il traffico è un vero pandemonio, arriviamo al confine dell’Oklahoma e deviamo per Joplin proprio al confine del Missouri dove ci fermiamo per la notte.

Giovedì 13 ottobre

Stamane, prima di partire, chiamiamo una inserviente alla quale vogliamo regalare quello che ci è rimasto di quello che abbiamo acquistato per la nostra permanenza negli Usa e cioè il guanciale, il piumone, biscotti, alcune scatolette di carne e verdura. La signora, anziana e magrissima, non capisce che vogliamo regalarle la roba, pensa che la vogliamo lavare, poi quando intuisce che è un regalo ci abbraccia, piange, dice di essere una indiana Ceroky e ci accompagna da suo marito che allo stesso modo ci ringrazia tanto che ci siamo emozionati. Partiamo, anche oggi è una giornata di trasferimento, andiamo verso la cittadina di Nevada, superiamo un grazioso paese, Hermitage, e siamo a Jefferson City. Visita della cittadina, niente di speciale, e poi proseguiamo per Mexico. Arrivati a Bowling Green vediamo questa piccola cittadina veramente graziosa ed ordinata, ci fermiamo qui per la notte e siamo a nord di St. Louis, che dista meno di 60 chilometri.

Venerdì 14 ottobre

Il nostro viaggio sta terminando, sono già tre giorni che piano piano ci avviciniamo a Chicago dove saremo domani. Abbiamo già in mente la consegna dell’auto e l’arrivo all’Hotel in centro a Chicago. Lasciamo il Missouri ed entriamo nell’Illinois, superiamo Springfield, quindi proseguiamo facendo le consuete soste per il pranzo e per la benzina. Arrivati a circa 50 chilometri da Chicago, nei pressi della graziosa cittadina di Joliet, la macchina ‘parla’ ancora: dobbiamo gonfiare di nuovo la ruota sinistra. Ci aiuta il gestore di un distributore di benzina. Sono tutti molto disponibili e cordiali. Davanti al distributore vediamo un motel, dormiamo qui, dopo una breve passeggiata in questo grazioso sobborgo di Chicago.

Sabato 15 ottobre

Abbiamo scelto accuratamente la cittadina di Joliet perché da qui è possibile entrare ed arrivare all’aeroporto di Chicago dove si trova la Hertz, ed evitare un po’ di traffico caotico che c’è sempre nelle città. Abbiamo l’appuntamento per la restituzione per le ore 12, ma già alle 11 siamo in procinto di entrare alla Hertz, superiamo la sbarra, seguiamo le indicazioni e ci fermiamo in un parcheggio interrato; davanti a noi c’è un impiegato della società. Senza troppo parlare ci dice di scendere, prendere le valigie e aspettare. Entra in auto e toglie la chiave poi, con un piccolo computer portatile rivolto alla macchina scarica tutti i dati e ci consegna la strisciata con indicato tutto quanto, compreso la spesa finale! Cosa dobbiamo fare? Ci dice che possiamo andare a prendere il bus che ci porterà all’aeroporto. Prima di salire, Antero chiede al conducente vogliamo andare in centro lui ci risponde che ci accompagna gratuitamente all’aeroporto e poi noi prendiamo un tassi per il centro. E così facciamo. Giunti all’aeroporto, nell’attesa di prendere il taxi, vediamo che ci sono dei tassi cumulativi che portano solo ed esclusivamente i clienti che hanno l’hotel nel centro di Chicago. Fa proprio per noi, Antero domanda come funziona, quanto costa e fa il biglietto di sola andata perché al ritorno prenderemo un taxi solo per noi. Alla guida di questo tassi con 8 posti c’è una bella, grande e simpatica donna di colore. Parte, si ferma un po’ più avanti per fare il pieno di passeggeri poi, come una saetta si immette sull’autostrada che percorre ad oltre 140 chilometri orari, tant’è che percorriamo i 40 chilometri super trafficati che ci separano da Chicago in meno di 20 minuti. Scarica il primo cliente, poi un altro. Poi tocca a noi e siamo davanti al nostro Hotel proprio nel Loop di Chicago in street Adams 1111 (centro del centro). Alla reception è tutto elettronico, con la nostra prenotazione stampano la scheda nominativa che ci consente di prendere l’ascensore e di entrare in camera. E sì, l’ascensore! Quando saliamo la prima volta troviamo dentro un altro signore, noi pigiamo il tasto e saliamo per 10 piani (solo con il secondo viaggio capiamo che se non inseriamo la nostra scheda l’ascensore non si muove) . La camera è veramente arredata elegantemente e con materiali di lusso. Il tempo di una rinfrescata e scendiamo per andare a visitare il centro. I grattacieli ci sovrastano ed il vicino parco (Millenium Park) è pieno di tanta gente, approfittiamo della bella giornata per andare subito a fare il giro della città a bordo del battello nel fiume che circonda Chicago.

Così recita la nostra guida: “Certo, potrete addentrarvi a piedi nella selva di cemento del loop per ammirare i magnifici palazzi dai marciapiedi, ma lo skyline acquista una maestosità surreale attraversandone le ombre in battello e per apprezzare il più bello agglomerato urbano degli Stati Uniti non vi è nulla di meglio delle crociere sul Chicago River”. E così facciamo, godendoci in pieno questi grandiosi edifici e mentre percorriamo il fiume incomincia a spirare un forte vento fresco, mentre il cielo è sempre più celeste. Andiamo a vedere la Willis Tower (il più alto grattacielo del mondo fino a poco tempo fa),, ma non saliamo a causa del forte vento. Attraversiamo grandi strade sovrastate da enormi grattacieli, uno diverso dall’altro, e siamo di nuovo davanti al nostro Hotel. Ora andiamo alla ricerca del punto da cui parte la Route 66 (che da qui arriva a Los Angeles) che si trova proprio all’inizio della strada dove abbiamo l’hotel. Trovate le indicazioni ci dirigiamo dapprima verso il museo d’arte più prestigioso del mondo, art Institute Of Chicago, superato il quale entriamo nel famosissimo Millenium Park. “Il Millennium Park” è uno dei più grandi parchi pubblici nonché una vetrina per l’architettura postmoderna ed è spesso considerato il più grande giardino del mondo con i suoi 24,5 ettari di superficie, essendo stato costruito sulla sommità di una ferrovia e su grandi parcheggi. Il Jay Pritzker Pavillion, disegnato da Frank Gehry, è l’elemento principale del parco. È un enorme padiglione con ben 5000 posti a sedere fissi ed un prato circostante in grado di contenere fino a 15.000 persone. Il Pritzker Pavilion è composto da tubi e lastre di acciaio inossidabile e volute di titanio disposte in modo da creare un effetto sonoro unico. Nella piazza è situato il Cloud Gate, una scultura di 110 tonnellate di acciaio che è stata soprannominata dai residenti come “Il Fagiolo”. La scultura è opera del famoso artista Anish Kapoor. La Crown Fountain di Jaume Plensa si compone di due torri di vetro alte 15 metri, che si fronteggiano. La loro collocazione delimita una vasca di circa 70 metri invasa dall’acqua. Le torri sono degli schermi sui quali compaiono delle immagini video; volti che modificano l’espressione e dalle cui bocche sgorga l’acqua, attrazione per frotte di piccoli e grandi. Quando i volti scompaiono le torri si trasformano in muri di vetro dall’alto dei quali l’acqua cade a cascata. Il Lurie Garden, il Pedestrian Bridge è un ponte pedonale che collega il Millennium Park al Daley Bicentennial Plaza, il McCormick Tribune Plaza, La Wrigley Plaza. Attraversiamo subito il famoso ponte curvo che ci permette di andare dal museo al centro del parco, che lo troviamo veramente bello e grande, anzi immenso, ma quello che più ci attira è il famoso “fagiolo”, così chiamato dagli abitanti di Chicago, la lucente scultura argentea di Anish Kapoor del peso di 110 tonnellate. Rientriamo per riposare un po’ perché stasera abbiamo intenzione di uscire di nuovo e vedere Chicago di notte. Dopo cena costeggiamo il fiume, i grattacieli sono tutti illuminati, andiamo a vedere il teatro più famoso degli Stati Uniti, il Chicago Theatre, ed alcune sculture che si trovano lungo le strade, sono di Dalì, Picasso, e altri. La serata la concludiamo guardando le due fontane a torre con le facce illuminate che cambiano repentinamente, infatti, dalla testa colossale di una vecchia signora dallo sguardo folle, alta 25 metri, sgorga un getto d’acqua. Mentre noi ritorniamo all’hotel vediamo arrivare diversi “operatori ecologici” che puliscono le strade, innaffiano i giardini, sistemano la città per il giorno seguente e… sono le 23.

Domenica 16 ottobre

Stamane, dopo una buona dormita e un’altrettanto buona colazione, andiamo nei giardini prospicienti il Lago Michigan. Il cielo è parzialmente coperto, ma tira un po’ di vento che farà andare via le nuvole così da scoprire alle 11 un bel cielo celeste. Noi proseguiamo nella nostra visita e andiamo nel visitor center che ci permette, di arrivare ad un grande teatro interno dove si svolgono le prove di una cantante lirica. Ci tratteniamo incantati fino al termine delle prove e facciamo un lungo applauso alla cantante che inchinandosi ci ringrazia (nella sala c’è il pianista, il maestro, due insegnanti e… solo noi due). Elencare le cose belle che vediamo è troppo lungo ne ricordiamo perciò solo qualcuna come l’enorme statua di Marylin Monroe, la Tribune Tower (che purtroppo troviamo chiusa), The Magnificient Mile ,ovvero il miglio magnifico, dove ci sono i più bei negozi della città. Visitiamo il Metrowalkz, un centro commerciale grandissimo, poi costeggiando il Chicago River, guardiamo altri grattacieli, addirittura uno è dedicato esclusivamente a parcheggio auto. Lo sferragliare della ferrovia sopraelevata della EL che passa proprio nel centro di Chicago e sopra le strade dove scorrono veloci le auto ci ricorda che siamo vicini al nostro hotel. Prima di rientrare siamo incuriositi dal chiasso che sentiamo. C’è una manifestazione degli “indignati” proprio sotto la sede del sindaco della città. Noi ci defiliamo per non incorrere in alcun problema e rientriamo stanchi ma soddisfatti del nostro viaggio.

Lunedì 17 ottobre

Alle 17,30 parte il volo che ci riporta in Italia. Abbiamo la mattina a disposizione. Prima di fare il check out Antero controlla quanti soldi ha e si accorge che ha solo 20 dollari in moneta, sicuramente insufficienti per pagare il taxi e non volendo pagare con la carta di credito chiede alla reception dove andare per il cambio; ci dicono di andare in un cambio valuta che apre alle 9 e che si trova vicino a Harold Washington College a circa 10 minuti a piedi. E così andiamo a fare il cambio, ritorniamo con 60 dollari; facciamo chiamare il taxi per le ore 11,30. Il taxì arriva preciso, questa volta si tratta di un enorme uomo nero che non parla molto ma parte in tromba, e velocemente ci lascia al gate d’imbarco. Il check in è alle 14,30, quindi ci mettiamo seduti, buoni buoni, aspettiamo l’ora di pranzo per un panino all’americana, poi ci mettiamo in fila. Sappiamo che è entrata in vigore il giorno prima della nostra partenza dall’Italia una nuova procedura di sicurezza denominata “Secure Flight Program” cioè, per il controllo passeggeri, veri e propri “body scanner”, sistemi accurati di controllo elettronico a bassa emissione di raggi X. E, così, prima di entrare nella zona d’imbarco, ci fanno togliere scarpe, cintura, telefono, orologio occhiali ecc. ecc. e ci fanno passare mani alzate dal Body scanner, nessun problema, tutto ok. Sono le 16 e siamo in attesa di partire, mentre aspettiamo conosciamo una coppia di giovani sposini che sono venuti qui a trovare i parenti. Alle 17 fanno l’appello, alle 17,30 chiudono i portelloni e… decolliamo con destinazione Roma dove arriveremo domani mattina alle 9,30. Cala il sole che tramonta alle nostre spalle, tra un pasto e l’altro sonnecchiamo e ci svegliamo per i continui sobbalzi dell’aereo restiamo sempre con le cinture di sicurezza allacciate. Vediamo dall’oblò il sorgere del sole, siamo sopra le Alpi, stiamo arrivando. Alle 9,30 puntuali, scendiamo dall’aereo e nella sala di attesa incontriamo nostro figlio che ci è venuto a prendere. Con l’auto partiamo veloci alla volta della nostra casa dove riabbracciamo i nostri cari. E’ finito questo nostro bellissimo viaggio nei parchi degli Stati Uniti, già ripensiamo con nostalgia il Parco di Yellowstone e tutte le altre meraviglie che abbiamo visto. Volutamente, sperando di poterlo fare, abbiamo lasciato la California e i suoi parchi per un altro viaggio negli States. Sarà possibile? Speriamo!

I viaggi di Antero e Mary. www.conilcamper.it

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