MADAGASCAR tra le MISSIONI REGGIANE

MADAGASCAR tra le MISSIONI REGGIANE di Giovanni e Nicoletta. PREMESSA: La scelta di questo viaggio di nozze “di conoscenza” è maturata per diversi motivi: Il primo è stato andare a trovare un nostro amico sacerdote, Don Giovanni Ruozi, che è missionario in Madagascar dal Gennaio 2007 e con il quale abbiamo condiviso l’anno precedente un...
Scritto da: bume
madagascar tra le missioni reggiane
Partenza il: 22/05/2007
Ritorno il: 13/06/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
MADAGASCAR tra le MISSIONI REGGIANE di Giovanni e Nicoletta.

PREMESSA: La scelta di questo viaggio di nozze “di conoscenza” è maturata per diversi motivi: Il primo è stato andare a trovare un nostro amico sacerdote, Don Giovanni Ruozi, che è missionario in Madagascar dal Gennaio 2007 e con il quale abbiamo condiviso l’anno precedente un campo estivo in Sierra Leone organizzato dalla parrocchia di Poviglio- RE (vedi anche racconto “APOTO TOUR in Sierra Leone”); Il secondo è stato visitare le diverse realtà missionarie della nostra provincia, attivissima in questo paese grazie a RTM (Reggio Terzo Mondo, o.N.G. Che gestisce i progetti in collaborazione con il CMD-Centro Missionario Diocesano); Il terzo vedere dove e come nasce il commercio equo-solidale della “Ravinala”, cooperativa di Reggio Emilia con 5 botteghe nella provincia di cui una nel nostro paese, Guastalla; Il quarto è consegnare di persona alcune offerte raccolte durante il ns.Matrimonio.

Il viaggio è stato agevolato dal fatto che lo stesso giorno parte per l’isola anche Don Emanuele Benatti, resposabile del CMD, al quale io e Nicoletta ci aggreghiamo.

Con noi c’è anche Suor Augusta, madre superiora delle suore delle case della carità (di seguito c.D.C.). Queste strutture, che sono prima di tutto conventi, ospitano persone con disabilità anche gravi e sono situate sia in Italia, soprattutto nelle province di Reggio E. E Modena, sia nel mondo (Madagascar, India, Brasile). La loro gestione fa capo a questo ordine di Suore fondato nel 1941 a Fontanaluccia (MO) da Don Mario Prandi. Al gruppo si unisce anche Chiara, studentessa universitaria di Vicenza che si reca in Madagascar al fine di raccogliere materiale per la sua tesi di laurea in scienze politiche argomentando il commercio equo-solidale.

22.05 MARTEDI Partenza da Milano Malpensa Partenza! Dall’aeroporto di Malpensa il volo per Antananarivo (la capitale) è diretto, ma con scalo a Nosy Be, isola situata a nord ovest del Madagascar di cui è la meta turistica più gettonata. Come in molti paesi del cosiddetto terzo mondo il turismo convive fianco a fianco con la povertà, portando solitamente scarsi o nulli benefici alla popolazione, per non dire danni.

L’orario del volo è ottimo in quanto si viaggia di notte e si arriva alla mattina. La compagnia è la Air Madagascar, legata ad Air France e utilizzata anche dai grandi tour operators.

23.05 – 24.05 MERCOLEDI-GIOVEDI Antananarivo I volontari italiani ci vengono a prendere in aeroporto e ci accompagnano alla sede di RTM, dove siamo ospitati, situata a fianco della casa della carità in un quartiere abbastanza malfamato della capitale chiamato “Tongarivo”.

Ci accorgiamo subito come girare in auto qui sia diverso rispetto a noi: bisogna prima di tutto stare attenti ai polli che scorrazzano dovunque in quanto i proprietari, non avendo mangime da dar loro, li lasciano liberi di procacciarselo contando sul loro istinto che all’imbrunire li porta a tornare da dove son partiti. Ancora maggior attenzione va data agli zebù (qui chiamati umbi), che sono i bovini allevati sull’isola caratterizzati da una evidente gobba sulla schiena: Te li puoi trovare tranquillamente in mezzo alla strada, e sono decisamente più grossi dei polli… In coincidenza con la visita di don Emanuele è stata organizzata una riunione di tutti i volontari italiani RTM in Madagascar, quindi abbiamo la possibilità di fare la loro conoscenza: Sono una quindicina c.Ca (esclusi preti e suore) dislocati in diverse città/paesi, per lo più ragazzi giovani che fanno esperienze di 1, 2, o 3 anni occupandosi di svariati progetti a seconda della propria specializzazione e inclinazione, che vanno dalla gestione contabile/organizzativa delle missioni, alla gestione del commercio equo-solidale, alla riforestazione, alle iniziative sanitarie, e altro ancora… Ci sono anche alcuni volontari “storici” non più giovanissimi che hanno fatto una scelta di vita e risiedono qui da decenni (qualcuno consacrato) e un ragazzo che ha sposato una malgascia. I sacerdoti sono 3, compreso Don Giovanni, e abbiamo il piacere di conoscere anche il “pionere” delle missioni reggiane: Don Pietro Ganapini, in Magadascar da 40 anni. Don Pietro arrivò negli anni ’60 e fu seguito a ruota da altri missionari, alcuni ancora presenti sull’isola come Suor Margherita che gestisce la c.D.C. Di Ambositra.

Qui in capitale risiedono e operano 5 volontari. Tra di loro ci sono anche Agostino e Francesca, una coppia di Vicenza con lei in attesa di 7 mesi che prevedono di partorire e rimanere qui. Agostino ci racconta che i servizi sanitari di qualità in capitale non mancano, basta pagare… Ovviamente in pochi se lo possono permettere. Per tutti gli altri ci sono quelli più a buon mercato con chissà quali carenze igieniche e di attrezzatura; In ogni caso, qualsiasi prestazione sanitaria è a pagamento.

Spesso mangiamo tutti presso la c.D.C., gestita da alcune suore di cui 3 italiane, in Madagascar da molti anni ed in età avanzata. Durante la prima cena le suore malgascie ci propongono un canto con balletto mentre entrano nel salone con i vassoi di cibo in mano, offrendo poi a noi freschi sposi frutta e dolci come “dono” di nozze. L’accoglienza di queste persone è commovente, quasi imbarazzante… In questi 3 giorni abbiamo occasione, grazie alla disponibilità dataci da Don Giovanni, di visitare la città, che ci rivela qualche tratto gradevole (è disseminata su diversi colli, tra i quali c’è anche un laghetto) ma soprattutto tanta povertà. Ciò che più mi colpisce è il mercato, una confusione di oggetti, animali (vivi e morti) e persone che vendono di tutto, anche gli alimentari, senza regole igeniche. Un occidentale “schifignoso” come noi non comprerebbe mai pane, carne, frutta, ecc… in questi banchi, ma i volontari e religiosi italiani ci hanno fatto l’abitudine. Al proposito Suor Margherita ci racconterà che anche loro all’inizio dissero “Non mangeremo mai questa roba”, ma poi cominciarono. E sono ancora qui dopo 40 anni.

Girando per la capitale (ma lo stesso discorso varrà per tutte le altre città visitate) notiamo che tanti locali indossano una maglietta con la faccia e il nome del presidente del Madagascar. Ci viene spiegato che Marc Ravalomanana, così si chiama, ha regalato una quantità enorme di queste t-shirt in tutta l’isola con evidenti fini di propaganda politica. Le stesse erano state proposte anche alle suore delle varie case della carità, che le hanno rifiutate. Questo personaggio, oltre che capo del governo, ha in mano l’industria alimentare e il marchio della sua società (Tiko) è pubblicizzato ovunque. Inoltre controlla la televisione malgascia e il suo partito si chiama “Amo il Madagascar”. Non a caso è soprannominato “Il Berlusconi tropicale”! …Piccolo il mondo… E’ facile intuire che la democrazia non sia il suo forte, e infatti Ravalomanana, di religione protestante, non ammette interferenze politiche di nessun genere neanche dai missionari stranieri, con i quali i rapporti non sono idilliaci (un sacerdote italiano è stato di recente espulso dal Madagascar per questo motivo).

Il giorno successivo (giovedi) torniamo in centro città con Don Giovanni e Chiara. Uno dei volontari ci da un passaggio per l’andata e ci salutiamo con il proposito di tornare a Tongarivo con i mezzi pubblici (la casa dei volontari dista una decina di km dal centro città). A fine pomeriggio ci sorprende un violento temporale, non ci sono autobus (che qui sono chiamati taxi-be) e non è facile trovare un taxi libero. Prima di trovare quello giusto facciamo qualche tentativo a vuoto, e alla ns.Richiesta ci sentiamo rispondere dai taxisti frasi come “E’ troppo lontano” oppure “Non ho abbastanza benzina”… (!!!)…Anche questo è terzo mondo… 25.05 – 31.05 VENERDI-GIOVEDI Ambositra Parte il ns.Viaggio in direzione sud, accompagnati da Don Giovanni e Don Emanuele. La prima tappa è Ambositra, la capitale dell’artigianato, cittadina situata grossomodo al centro del Madagascar (Antananarivo si trova invece verso nord). Anche qui siamo ospiti dei volontari di RTM nella loro graziosa casa, dove attualmente risiede Nicola al quale è stato assegnato il progetto di riforestazione e salvaguardia del palissandro (la pianta usata per i prodotti artigianali come soprammobili e sedie). A tal proposito ci racconta che negli ultimi decenni la foresta malgascia è stata decimata sia per l’utilizzo del legno (abitazioni, manufatti, ecc…) sia soprattutto per gli incendi provocati al fine di rendere coltivabile il terreno. Un terreno bruciato rende bene in termini agricoli per 1 o 2 anni, poi diventa arido e inutilizzabile, e nasce l’esigenza di bruciarne dell’altro. Questa pratica è stata fortunatamente abbandonata ma visitando certe zone dell’isola i danni sono evidenti.

Il compito di Nicola è un po’ in contrasto con quello di chi segue il progetto del commercio equo-solidale che qui tramite la coop.”Ravinala” esporta proprio le manifatture in legno, con lo scopo di offrire agli artigiani un lavoro degnamente retribuito. E’ facile immaginare quali difficoltà incontrino i volontari nel far “quadrare” le esigenze degli artigiani (che sono molti e non sono abituati a lavorare in “equipe”), dell’ambiente, della cooperativa, e soprattutto decidere qual’è il prezzo “equo” di ciascun prodotto… Accompagnati da Nicola visitiamo alcuni di questi artigiani all’opera: Mi fa un certo effetto osservare scolpire quegli oggetti che vedo da anni in vendita nelle botteghe equo-solidali. Il lavoro è eseguito senza grandi attrezzature: un martello, uno scalpello e i piedi usati come morsetto per tener fermo il blocco di legno. Colpisce la loro abilità e la precisione (anche per salvarsi i piedi…). Facciamo successivamente visita ad un altro artigiano direttamente in casa sua, che in realtà è una stanza di c.Ca 3 metri per 4, mattoni a vista (e non per scelta estetica) dove vivono lui, la moglie e due figli. In un angolo c’è il letto (come fanno a starci tutti? Mah…Forse i figli dormon per terra..), nell’altro c’è un tavolino con le sedie, e poco altro.. Mami, questo il suo nome, ci mostra alcuni oggetti fatti da lui (molto belli, acquistiamo una croce da mettere in casa), ma quello che più ci resta impresso è lo spazio vitale a disposizione di questa famiglia, alla faccia del nostro concetto di abitazione piccola… Passiamo anche dal magazzino della “Ravinala”, base logistica di questa attività, dove lavora come impiegata una ragazza malgascia di nome Miriam. Sono diversi i malgasci che lavorano per RTM, e ci viene spiegato che la loro gestione è uno dei compiti più delicati dei volontari, in quanto le differenze di cultura e mentalità, oltre che le loro forti necessità (che “contrastano” col maneggiare soldi…), creano di frequente problemi agli italiani e di conseguenza solo dopo molti anni di collaborazione ad un dipendente malgascio vengono assegnate delle responsabilità. Una sera Nicola invita a cena con noi alla casa dei volontari Miriam (che parla francese). Parlando del nostro viaggio di nozze, avendo in previsione di andare al mare nel sud dell’isola chiedo a Miriam se è mai stata a Toulear (la nostra destinazione marittima). La sua risposta “no, tu sei fortunato a poter viaggiare” è accompagnata da uno sguardo che sembra compatirmi nascondendo un velo di tristezza. Resto zitto con una bella palata sui denti e una lezione da portare a casa.

Ovviamente sia direttamente dagli artigiani sia camminando per la città (Ambositra è più a misura d’uomo e sicuramente più godibile di Antananarivo) acquistiamo alcuni oggetti che utilizzeremo per noi e come regali. Putroppo (lo dico col senno di poi) per comodità facciamo tappa anche al negozio di “Jean Frère”, “supermercato” della manifattura nonché punto di riferimento locale per i turisti, il cui rapporto con gli artigiani fornitori sicuramente equo-solidale non è. Girando per la città con Don Giovanni ci scappa anche una partita di bigliardino al bar con due ragazzini del posto (il bigliardino è artigianale ma fatto molto bene) dalla quale usciamo sconfitti al “golden goal”.

Anche qui ad Ambositra c’è la c.D.C., situata a fianco di quella dei volontari e gestita dalla già citata Suor Margherita, una donnina tutta d’un pezzo con scorza da vendere. Qui suoniamo e cantiamo un po’ con gli ospiti alcune canzoncine che ci siamo fatti tradurre nella loro lingua (intanto abbiamo imparato anche un po’ di malgascio), come la vecchia fattoria, fra’ Martino, if you’re happy, e la Bamba. Una sera aiutiamo le suore nell’imboccarli a cena, tutti gesti che ci permettono di apprezzare i loro sguardi di stupore e gioia, visto che la maggior parte non parla. Tra di loro c’è anche Rakutu, che è quasi immobile (riesce a fare solo un leggero movimento del capo e delle braccia) e ha gli arti non proporzionati al corpo (gambe e braccia piccole rispetto al tronco e al capo). Rakutu, al quale è difficile dare un età ma sicuramente non è giovanissimo, non può stare seduto ed è quindi immobile su di un piano in legno fissato su una carrozzina. Un giorno lo vedo con dei fili tra i denti. Vista la mia faccia stupita Don Giovanni mi spiega che le suore gli procurano questi fili che lui intreccia con denti e lingua (la bocca è l’unica cosa che riesce muovere bene, infatti dice qualche parola) costruendo dei braccialetti. Incredibile.

La domenica pomeriggio in un paesino vicino andiamo a vedere uno spettacolo musicale/teatrale di una compagnia chiamata “Hira Gasy”. Sono scenette tutte parlate, quindi non ci capiamo assolutamente nulla, ma il contesto è interessante: Si tratta di una festa di paese con tanto di signore che vendono frittelle fatte sul momento, arachidi, ghiaccioli (un po’ diversi dai nostri), il tutto senza grandi bancarelle e attrezzature ma con un telo per terra. Pur nella povertà e semplicità di queste persone si coglie lo stesso spirito di festa che vediamo nelle nostre fiere. Anzi, qui è tutto decisamente più genuino. Vediamo e fotografiamo (dopo aver chiesto loro il permesso, come buona norma) delle signore che macinano la farina, utilizzando contenitore e pistone in legno e soprattutto la forza delle proprie braccia. Alla fine dello spettacolo, come se fossimo ospiti d’onore, siamo invitati a pranzo dagli organizzatori, insieme credo alle autorità locali.

Il lunedi salutiamo Nicola e Chiara che partono per una spedizione in tenda di qualche giorno. La loro destinazione è la terra degli Zafimaniry, un popolo di tradizione artigiana che vive nelle foreste non lontano da Ambositra con un antico stile di vita basato sull’agricoltura di sussistenza. Mentre Chiara (attrezzata con block notes e decine di rullini) cerca ovviamente materiale per la sua tesi, lo scopo principale di Nicola è proseguire l’opera di educazione di questo popolo alla rimboschimento del palissandro e all’utilizzo di legno alternativo. Riferendosi alle sue precedenti spedizioni ci raccontò che il loro elemento vitale è, come per tutti i malgasci e non solo, il riso, bollito utilizzando acqua di fiume che diventa di conseguenza “potabile” e viene bevuta. L’attività artigianale è necessaria, ovviamente, per poter comprare il riso e altri beni di prima necessità come olio, sale e zucchero. Gli Zafimaniry e il loro territorio sono stati dichiarati dall’UNESCO patrimonio culturale dell’umanità.

Nel frattempo ad Ambositra conosciamo anche Renato, fotografo in pensione che è in Madagascar come volontario per un periodo di 3 mesi, in attesa di tornarci in futuro con la moglie quando anche lei avrà terminato di lavorare. Questa decisione l’ha maturata dopo aver partecipato al campo estivo 2006 di RTM della durata di 3 settimane, che si svolge annualmente tra luglio e agosto con un programma simile al nostro viaggio di nozze. Renato è di passaggio in quanto è stato destinato a Manakara, località a sud-est dell’isola nella quale RTM si è recentemente insediata. Solitamente ai volontari che offrono disponibilità per un periodo inferiore ai 2 anni non viene assegnato nessun progetto, destinandoli a generici compiti di appoggio agli altri italiani.

In questo periodo Don Giovanni ci concede il suo tempo in quanto ha finito il corso di lingua malgascia ed è in attesa di una destinazione fissa qui in Madagascar. Approfittando quindi della sua disponibilità martedì 29.05 visitiamo in giornata Antsirabè, una città situata tra la capitale e Ambositra, conosciuta per essere la patria dei pousse-pousse. Il concetto di questi carrettini colorati è quello dei risciò cinesi (con tanto di cappottina), trainati da una persona. Non proviamo questo mezzo di trasporto “folkloristico” sia perché non ne abbiamo la necessità (due passi a piedi non fanno mai male) sia perché pur essendo il loro lavoro non ci piace l’idea di farci trasportare a peso da qualcuno.

Ad Antsirabè passiamo anche dalla c.D.C., che è gestita solo da suore malgascie, alle quali portiamo un po’ di frutta da parte di Suor Margherita.

Anche questa città non ha grandi attrattive e come sempre le cose che più mi colpiscono sono altre: Costruito su una collinetta c’è un grand hotel, destinato ovviamente a stranieri, turisti, politici ecc. Lo andiamo a vedere e i guardiani davanti all’altissimo cancello vedendoci bianchi ci fanno passare subito senza chiederci niente (cosa che sicuramente non avrebbero fatto con un malgascio qualunque). Prendiamo un caffè al bar e osserviamo il lusso sfrenato dello stabile e del giardino. Usciti facciamo un giro attorno ad un vicino laghetto, oltre il quale si nota una baraccopoli con un aspetto tremendamente misero che mi porta alla mente le descrizioni delle periferie di Nairobi (Kenya) di Padre Alex Zanotelli. Questo contrasto è concentrato nel raggio di poche centinaia di metri… Sulle rive del lago incontriamo alcuni malgasci che per pochi spiccioli si offrono di lavare l’auto di Don Giovanni, che accetta. A fine giro troveremo la macchina perfettamente lustrata, dentro e fuori. Facciamo una foto con i loro bellissimi figli, che ci guardano con sospetto, forse per il colore della pelle, o forse per naturale diffidenza (e dagli torto..) verso i “vazaha”, come sono chiamati qui gli stranieri. Attorno al lago tanti bambini ci salutano, e ad alcuni distribuiamo dei biscotti che essi divorano. Osservandoli notiamo i loro abiti vecchi e stracciati (qualcuno mi sembra sia vestito anche con dei sacchi riutilizzati come indumenti) e la loro sporcizia. Probabilmente vengono dalla vicina baraccopoli. Facendomi delle domande sulle condizioni in cui vivano queste creature non so darmi delle risposte… Va detto che le persone incontrate durante tutto il viaggio hanno tratti somatici molto diversi tra loro: In Madagascar sono conteggiate 18 etnie diverse, e sono evidenti le influenze medio-orientali (tipo indiani/thailandesi, con pelle più o meno mulatta e occhi che tendono ad essere a mandorla) e quelle africane (pelle scura, naso e labbra più grossi, ecc…) segno di un mescolamento di razze diverse, dal quale nascono solitamente individui molto belli come lo sono questi bambini.

Il bel tempo e il viaggio da Antzirabè ad Ambositra, come tutti quelli che faremo, ci permettono di apprezzare la bellezza dei paesaggi, molto diversi a seconda della zona. Qui siamo sull’altopiano, a oltre 1000 metri di altezza, e il panorama offre una infinità di colline a perdita d’occhio e una visuale di una profondità indescrivibile.

———– o ———– Giovedi 31.05 è prevista ad Ambositra la festa per i 40 anni del Foyer. Questa struttura, a fianco della quale sono state successivamente costruite la c.D.C., la chiesa e l’abitazione dei volontari, è nata negli anni ’60 per accogliere i malati di lebbra. Oggigiorno fortunatamente qui questa malattia è stata per lo più debellata, ma alcuni lebbrosi ci sono ancora e i segni sul corpo (persone senza dita o addirittura senza mani e piedi) si vedono bene. Attualmente il Foyer ospita e assiste malati di ogni genere, ed è diretto da Luciano (volontario RTM consacrato ai servi della chiesa, in Madagascar dal 1990) e da Père Antoine, un sacerdote malgascio (père e monpera sono appellativi che indicano l’appartenenza al clero e corrispondono in pratica al nostro “don”).

La festa comincia alla mattina presto con una processione che si conclude in un santuario fuori città, per poi tornare tutti a piedi ad Ambositra (c’è qualche km di camminata, e i malgasci ci danno la paga sul tempo di arrivo…), dove è prevista una messa all’aperto con il vescovo locale (della durata di 3 ore abbondanti…). La giornata si conclude con un pranzo di gruppo nel salone del Foyer. Come già detto il cibo base della “dieta” malgascia è il riso, nel quale viene mescolata un po’ di carne (pollo o zebù, di solito), per chi se lo può permettere.

Nel frattempo sono arrivati ad Ambositra anche Alberto e Alessandro, 2 membri del Rotary in visita alle missioni reggiane alle quali hanno portato personalmente un’offerta del loro club, ed Elena, impiegata di RTM, in Madagascar per lavoro. I primi ci fanno una gradita sorpresa offrendoci del parmigiano reggiano, ideale per tirarsi un po’ su vista la fiacca che mi sento addosso legata presumibilmente al viaggio, al lariam (l’antimalarico) e al cambio climatico (sarà l’età…). Li rivedremo tutti ad Ampasimanjeva. Tra l’altro il fratello di Alberto, medico chirurgo, ha appena trascorso una settimana in Madagascar come volontario ed ha fatto diverse operazioni. Non è difficile immaginare quanto può essere utile un medico qui.

01.06 – 02.06 VENERDI-SABATO Fianarantsoa Sempre insieme a Don Giovanni e Don Emanuele ci dirigiamo verso Fianarantsoa, la seconda città per grandezza del Madagascar. Qui alloggiamo al preventorio, una bellissima struttura finanziata principalmente da Alberto di Monaco (da lui visitata, come testimoniano alcune foto appese) che ospita bambini tra i 3 e gli 8 anni c.Ca con problemi motori. Si tratta per lo più di malformazioni di nascita (piedi e/o gambe storte, ad esempio) mai curate che necessitano di operazione chirurgica e di successiva applicazione di tutore e rieducazione. In effetti il periodo al preventorio è limitato alla preparazione all’operazione e alla successiva riabilitazione, dopo di che il bambino torna alla sua famiglia. Nel frattempo viene curato, seguito e ha la possibilità di andare a scuola ed essere adeguatamente nutrito (cosa per niente scontata a casa propria).

La struttura è gestita da suore la cui superiora è suor Delphine, congolese, coadiuvata da suor Mamissa, della stessa nazionalità, e da 2 suore malgascie, oltre ad alcune donne che lavorano qui come maestre e inservienti. Di frequente ragazze europee vengono per un periodo di alcuni mesi di volontariato, e infatti attualmente c’è Sophie (belga), e da agosto verranno per un paio di mesi anche 2 ragazze reggiane.

Al nostro arrivo impattiamo con questa ondata di bambini (una sessantina in tutto) che si fanno molto sentire, e ai quali non puoi che affezionarti subito. A loro riproponiamo il nostro repertorio di canzoncine cantate agli ospiti della c.D.C. Di Ambositra che loro imparano immediatamente. Ovviamente le foto non si contano. Alla sera ci portano a vederli…Osservare così tanti bimbi nei loro lettini che dormono fa un certo effetto.

Durante la cena le suore ci preparano il balletto malgascio con i vassoi del cibo in mano che già ci era stato proposto alla c.D.C. Di Antananarivo. La stessa scena ci verrà ripetuta anche alla c.D.C. Di Fianarantsoa e di Ampasimanjeva, a conferma dello straordinario calore e dell’accoglienza che questi missionari sanno dare. Senza cosiderare tutti i regali di artigianato locale e stoffa che riceviamo in queste 3 settimane… ———– o ———– A Fianarantsoa abbiamo anche il tempo di visitare il seminario di cui Don Emanuele è stato rettore per molti anni. Qui vivono e studiano oltre un centinaio di aspiranti preti (dato che colpisce confrontato con la manciata di seminaristi presenti a Reggio Emilia) e il Don ci fa cantare una canzone liturgica italiana (ovviamente non preparata) durante la messa, di fronte a tutto questo pubblico. Ci mostra anche il campetto a fianco del seminario teatro di tante partite a calcio (conoscendo il Don non ho dubbi in merito) con i ragazzi. Veniamo anche ospitati in occasione di una cena con sacerdoti e vescovi vari, che mi sembra un po’ troppo lussuosa confrontato con la vita di queste parti. Visitiamo inoltre un altro vecchio seminario (a dir la verità non ho capito come mai ne esistano 2 nella stessa città) e un convento su un colle abitato da alcune suore di conoscenza di Don Emanuele, che qui a Fianarantsoa è come Maradona a Napoli, conosciuto e acclamato da tutti (è stato missionario per oltre 20 anni)

03.06 – 05.06 DOMENICA-MARTEDI Ampasimanjeva Domenica mattina partecipiamo alla messa nella chiesa a fianco del preventorio (assieme a tutti i bambini, che sono stati ben educati a stare buoni e zitti quando è necessario), salutiamo Don Emanuele che rivedremo solo in Italia in quanto martedi ha l’aereo del ritorno, e partiamo con Don Giovanni verso Ampasimanjeva.

Si tratta di un villaggio a pochi km dalla costa che si affaccia sull’oceano indiano, nel centro-sud del Madagascar, dove ha sede un ospedale gestito da RTM dagli anni ’70 precedentemente fondato da un’altra associazione missionaria. Il direttore amministrativo è Giorgio, un volontario italiano che risiede lì da oltre 30 anni, mentre il direttore sanitario è il dottor Martin, malgascio e collaboratore di RTM da molti anni, con 2 figli che tra l’altro risiedono e studiano a Reggio Emilia. I due sono appoggiati dalle suore della c.D.C., tutte malgasce, che non hanno ospiti e si dedicano quindi alla casa e all’ospedale. Fino a poco tempo fa c’era anche un sacerdote italiano, poi deceduto, che per ora non è stato sostituito. Don Giovanni sa già che questo non sarà la sua destinazione, infatti qui ad inizio 2008 sarà mandato un altro sacerdote reggiano.

Per arrivare a destinazione servono molte ore di auto, in quanto se nel primo pezzo la strada è asfaltata (costeggiamo il parco di Ranomafana senza visitarlo, turisticamente molto conosciuto per la presenza dei lemuri), nella seconda parte del tragitto il percorso è sterrato e il tempo di percorrenza aumenta. Attraversiamo decine di km di terre desolate, alcune delle quali erano foreste poi bruciate e abbandonate dall’uomo. L’unica cosa che spicca (letteralmente) è la ravinala, la famosa pianta a forma di ventaglio, che dà il nome alla citata cooperativa equo-solidale ed è il simbolo della Air Madagascar e un po’ di tutta la nazione. Questa pianta ha la particolarità di crescere ovunque, anche in zone dove le altre forme di vita stentano. Purtroppo per l’uomo non fa frutti e il suo legno è pessimo, quindi non ha nessuna utilità pratica.

Lungo la strada ci fermiamo ad un punto panoramico dove troviamo un gruppo di bambini ai quali come al solito offriamo un biscotto. Cerco di spiegar loro con il mio francese maccheronico che ce n’è uno cadauno. Soddisfatto tiro fuori i biscotti e loro mi assalgono come api al miele, e mi rendo conto che forse non mi sono spiegato molto bene e che loro non sanno una parola di francese… Gli ultimi 12 km sono tremendi: Si tratta di una strada che oltre ad essere sterrata è piccola e piena di buche e dislivelli. Quando piove molto (e nelle ultime ore un po’ è piovuto) è letteralmente impraticabile anche per una jeep e l’ospedale resta isolato. Ci mettiamo un’ora solo per percorrere questo tratto, con tanto di perdita della ruota di scorta (con una bella inzuppata nel fango per recuperarla) e sbandate dell’auto con rischio di andar fuori strada. L’auto tiene la strada solo grazie alla bravura di Don Giovanni, che ci conferma come la missione ti faccia diventare, tra le altre cose, anche un buon pilota “rally”.

Arriviamo in questo posto sperduto dove i cellulari non prendono e si è tecnologicamente isolati dal mondo, salvo un collegamento internet molto lento. La corrente elettrica, fondamentale com’è facile intuire per un ospedale, è fornita in orari prestabiliti da potenti generatori che funzionano a benzina. A questo proposito a Reggio Emilia RTM ha avviato una raccolta fondi con l’aiuto di Coop Nordest per costruire dei pannelli solari, che fortunatamente andrà a buon fine nel giro di poche settimane.

Con noi ha viaggiato anche Victoire, un ragazzo malgascio che a Fiana ha chiesta aiuto a Don Emanuele per trovare un lavoro. Arrivati ad Ampa lo prende in consegna Luciano, che è in auto con Alberto e Alessandro. Li incrociamo per pochi minuti in quanto loro sono già stati qui qualche giorno e stanno per ripartire.

Qui risiedono Marco e Laura, una giovane coppia di volontari infermieri anch’essi di Vicenza (anche lei è in attesa, ma di 4 mesi) che seguono diversi progetti sanitari tra i quali la prevenzione della malaria sui bambini e la cura della filariosi, malattia detta “elefantiade” che gonfia a dismisura gli arti inferiori. Qui la malaria, come in quasi tutta l’Africa, è la prima causa di morte, e colpisce soprattutto i più piccoli fino ai 5 anni. La difficoltà maggiore per gli italiani è convincere i genitori ad applicare le cure di prevenzione ai bambini in quanto la loro vita è considerata meno preziosa di quella di un adulto. Ai neonati spesso non viene dato neanche un nome finchè non superano i critici primi anni di vita. Da un punto di vista occidentale tutto ciò può sembrare una crudeltà assurda, ma la cosa va guardata nella loro ottica: è una sorta di autodifesa, in quanto una tale mortalità ti obbliga a non affezionarti troppo ai figli perché sai che una buona parte non sopravviverà. Anche il fare tanti figli è un modo per ovviare a questa situazione. Molto più facile per Marco e Laura offrire ai locali prevenzioni e cure destinate agli adulti. Più preziosi dei bambini sono gli zebù: Questi bovini pur facendo poco latte sono una ricchezza per i locali, e mentre siamo in auto Don Giovanni ci racconta con tono tristemente ironico che è peggio se ad una famiglia investi uno zebù piuttosto che un bambino… Le suore, nonostante la struttura dove vivono sia molto semplice, ci danno una camera tutta per noi, che loro chiamano “la stanza dei gemelli”. Ci viene spiegato che quando una madre partorisce dei gemelli la consuetudine vuole che uno dei due (quello che a prima vista appare il più debole) venga lasciato morire, in quanto rischierebbero di non sopravvivere entrambi per mancanza di latte. Restiamo allucinati da questo racconto, che tuttavia è legato in modo logico a quanto scritto prima relativamente al valore della vita dei bambini. Le suore stanno tentando di educare la popolazione locale a portar loro il gemello “di troppo”, anziché lasciarlo morire. Lo stesso viene quindi sistemato in questa stanza e curato finchè non può esser trasferito in qualche orfanotrofio. Questa iniziativa permette ovviamente di salvare la vita a questi bambini e anche di aprire una breccia nella mentalità della gente, tant’è che qualcosa sta cambiando e diversi padri tornano dopo qualche giorno a vedere come sta il figlio “scartato”… E’ difficile giudicare queste abitudini, perché derivano da situazioni di vita per noi inimmaginabili. Certo non si possono accettare passivamente, ma il lavoro da fare è veramente tanto… Il lunedi visitamo l’ospedale, che ovviamente appare molto diverso dai nostri, ma comunque in condizioni igienico sanitarie discrete e dotato di alcune attrezzature che lo rendono uno dei migliori di tutto il Madagascar. Trattandosi di un progetto missionario la degenza e le cure sono gratuite, e la struttura offre sostegno ad un bacino di utenza enorme (La gente si fa anche più giorni di cammino per venire qui).

Nel pomeriggio visitiamo con la jeep alcuni villaggi della zona, dispersi nella foresta e composti quasi esclusivamente di capanne. Notiamo qualche chiesetta e anche una moschea. La religione più diffusa in Madagascar è quella protestante (prima di diventare colonia francese l’isola è stata sotto il dominio inglese per tanti anni), ma sono presenti anche i cattolici e i musulmani (ci sono molti pachistani benestanti che finanziano scuole islamiche). Purtroppo una suora ci racconta che in questi villaggi il mischiarsi di credo diversi crea qualche problema. Camminando per il paese di Ampasimanjeva incrociamo una donna con in braccio un neonato, già vista un attimo prima in ospedale in quanto aveva partorito da poche ore.. Ed era sola. Nel percorrere i sentieri la consuetudine qui è quella di salutare ed essere salutare da chiunque si incontra, e immerso in questa bella abitudine mi capita di salutare anche gli zebù… il lariam comincia ad avere effetti strani… Per un’uscita in un villaggio vicino veniamo accompagnati da un autista locale, che lavora all’ospedale, in quanto la strada è particolarmente brutta e serve una guida esperta. Vedendo come riesce a tenere in pista l’auto mi vien da pensare che se venisse in Europa diventerebbe un campione di rally… Il martedi mattina salutiamo le suore e i volontari e torniamo a Fianarantsoa. Non essendo negli ultimi gg. piovuto superiamo indenni i 12 km di fuori pista. Nel viaggio abbiamo con noi un bambino non vedente di nome Zachi che, accompagnato da una suora, sarà portato in un centro apposito dove potrà essere seguito. Per pranzo ci fermiamo in un hotel/ristorante lungo la strada (vicino ai luoghi turistici, in questo caso il parco nazionale, i servizi non mancano) e notiamo come il bimbo succhia le ossa della coscia di pollo che ha mangiato lasciandole perfettamente pulite, quasi levigate. Da allora tutte le volte che mi vien la tentazione di lasciare qualcosa nel piatto, anche se si tratta di scarti tipo il grasso, mi viene in mente questa scena e penso che “Zachi l’avrebbe mangiata…”.

La sera e la notte siamo ospiti della c.D.C. Di Fianarantsoa, dove non ci sono suore italiane ma solo malgascie. Andando a comprare qualcosa in città con Don Giovanni ho l’occasione di fare un viaggetto in taxi-be (un pulmino utilizzato come i nostri autobus cittadini), che solitamente vediamo girare stracolmo di gente e con la cappotta caricata all’inverosimile di qualsiasi cosa, compresi animali legati. I pulmini che collegano invece una città all’altra sono chiamati taxi-brousse.

06.06 – 10.06 MERCOLEDI-SABATO Ifaty La mattina del mercoledi ci svegliamo molto presto per ripartire in direzione sud, al mare. Questa volta per altri impegni Don Giovanni non può venire con noi (anche perché lo abbiamo già sfruttato anche troppo) e noleggiamo una macchina con autista. Il nostro accompagnatore si chiama Tina (è un uomo) che parla francese e anche un po’ di inglese e italiano, essendo abituato ai turisti occidentali. In Madagascar la lingua ufficiale è il malgascio, ma in diversi, soprattutto nel turismo e nei posti pubblici, parlano francese, essendo stati colonizzati fino a pochi decenni orsono (Ancora oggi ci sono tracce di neo-colonialismo francese).

Il paesaggio è da route 66 americana mentre percorriamo sotto il sole l’unica strada asfaltata verso sud, dritta fino all’orizzonte, dove la vista diventa sfuocata…Tutto intorno aree quasi deserte a perdita d’occhio, con qualche collina e albero qua e la, ma soprattutto rocce e cespugli. Incontriamo e fotografiamo anche i famosi baobab, e attraversiamo Ihosy, la città dei cercatori di zaffiri, dove è altamente sconsigliato fermarsi per motivi di sicurezza.

Arriviamo a metà pomeriggio al paese di Ifaty, sul mare, dopo esser passati da Toulear che è la “capitale” del sud dell’isola. Alloggiamo al “Bamboo club”, un villaggio a misura di turista trovato tramite la nostra guida Routard. Salutiamo Tina ringraziandolo per il viaggio impeccabile e ci prepariamo alla vita da spiaggia, alloggiando a pochi metri dal mare e immersi nella natura (talmente immersi che una sera ci troviamo un cucciolo di lemure nel bungalow…!!).

Il posto è incantevole, il mare è pulitissimo, e siamo gli unici ospiti del nostro club… più bassa stagione di così! Incontriamo altri turisti solo passeggiando sulla spiaggia per diverse centinaia di metri. Mentre camminiamo siamo assaliti dai locali che propongono giri in barca con immersioni e aragosta per pranzo, oppure bambine che ti vendono le collane, ecc… ma avendo voglia di riposo i primi non fanno con noi grandi affari. Compriamo invece qualche collanina per sfinimento.

Purtroppo questi non sono i soli tentativi di venderci qualcosa: Un giorno si avvicina un locale proponedo ad entrambi qualche generica “attività”; Rispondiamo di no senza capire bene, ma lui ci mostra comunque la mercanzia: a pochi metri da noi una ragazza quasi nuda si atteggia e si mette in evidenza. La scena finisce solo perché ci alziamo e andiamo via. Il giorno dopo invece, dopo aver letto qua e là diversi cartelli che informano il turista che la pedofilia è un reato anche in Madagascar, mentre sto facendo il bagno in mare si avvicinano tre ragazzini di c.Ca 10 anni, uno dei quali nudo, che mi saltano quasi addosso. Dopo avergli ingenuamente fatto presente che il mare è grande e non c’è bisogno di star così vicino, torno sulla spiaggia. Anche loro escono dall’acqua e cominciano a rotolarsi nella sabbia vicino a noi. Solo dopo qualche minuto, vedendo la nostra indifferenza, se ne vanno. Si erano proposti…Evidentemente anche da queste parti il turismo del sesso va molto, anche per i pedofili.

A parte questi tristi episodi, i giorni di mare non possono che essere piacevoli, ma ben presto tutte le persone e le situazioni vissute nelle due precendenti settimane cominciano a mancarci… Dopo queste esperienze le vacanze fini a se stesse (come questi 5 giorni) mi sembrano vuote, senza finalità, e anche un po’ uno spreco di tempo e soldi…Ovviamente non stiamo certo male, anzi, il posto è paradisiaco, ma non avremo mai il rimpianto di questo luogo, mentre sicuramente l’avremo di altri momenti del viaggio.

11.06 – 12.06 DOMENICA-LUNEDI Antananarivo La domenica pomeriggio da Toulear prendiamo il volo interno Air Madagascar per Antananarivo. L’aereo piuttosto piccolo e qualche vuoto d’aria non mi fanno viaggiare molto tranquillo, comunque arriviamo in un ora o poco più in capitale, da dove un taxi ci accompagna fino alla casa dei volontari dopo aver contrattato strenuamente il prezzo (come c’è sempre da fare da queste parti).

Il lunedi è l’ultimo giorno in terra malgascia, e ancora una volta Don Giovanni (tornato nel frattempo da Fianarantsoa) ci fa da accompagnatore, questa volta per andare in un mercato di artigianato dove compriamo le ultime cose, compreso un fantastico strumento malgascio a forma di testa di zebù. Si tratta di una via di mezzo tra chitarra e mandolino, che riesco a far arrivare intatto a casa imbottito in mezzo agli asciugamani… La sera si cena alla c.D.C. E dopo aver ascoltato i nostri racconti di Ambositra, Fianarantsoa e Ampasimanjeva Don Ganapini ci propone di cantare insieme le canzoncine che utilizzavamo per stare con i bambini e gli ospiti. Ci troviamo quindi a cantare la vecchia fattoria con il Don (che oltre che missionario è maestro di musica, pianista e compositore…!) che con umiltà ci accompagna…Facendo fare qualche risata a tutti i commensali. Si ripete inoltre il balletto di festa, essendo la serata nella quale ci salutano, e ci fanno anche dei regali. Ancora una volta restiamo incantati dal calore, dalla simpatia e dall’ospitalità di queste persone…

13.06 MARTEDI Ritorno Antananarivo-Milano Malpensa Il viaggio di ritorno è di giorno, con arrivo a Malpensa nel tardo pomeriggio. All’alba Don Giovanni ci accompagna in aeroporto ad Antananarivo. Lo salutiamo con un velo di tristezza, perché sappiamo che per un bel pezzo non lo rivedremo, promettendo di inviargli giù con il prossimo campo estivo le stampe di alcune foto scattate da regalare a tante persone che abbiam conosciuto.

Conservo un ricordo molto speciale di questo viaggio perché ci ha dato la possibilità, oltre che di riposarci e visitare posti meravigliosi, di conoscere ancora una volta persone che mettono la loro vita al servizio degli ultimi, e in queste situazioni c’è sempre tanto da riflettere, imparare e portare a casa.

Giovanni Cavalcabue giovanni.Cavalcabue@gmail.Com



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