Madagascar in libertà, alla scoperta del SUD OVEST
L’itinerario prevedeva la partenza da Milano il giorno 14/07 e ritorno a Milano il giorno 10/08. Al nostro arrivo ad Antananarivo abbiamo optato per una rapida visita della capitale con il suo Rova – Palazzo della regina e il suo traffico infernale, per poi passare al Mantadia NP con rientro ad Antananarivo previo passaggio alla collina reale di Ambohimanga. Terminato questo interessantissimo microtour, completato in 3 giorni, dove abbiamo avuto modo di addentraci subito nello spirito e nella natura di questa magnifica Isola, Lemuri – foresta pluviale – camaleonti e l’unico sito non naturalistico patrimonio dell’umanità del Madagascar, è iniziata la scoperta del sud ovest facendo rotta per Antsirabe. Questo percorso si snoda sulla RN7, forse “l’arteria” più importante del Madagascar, e il paesaggio è stupendo con tanti villaggi caratteristici e dolci colline coltivate che ci ha permesso di entrare ulteriormente in contatto con la realtà del paese in un contesto bucolico veramente accattivante.
Da Antsirabe ci siamo poi diretti a Miandrivazo, dove è iniziata una navigazione di tre giorni sul fiume Tsiribihina in una piroga a remi. Per la discesa del fiume Tsiribihina ci siamo affidati a Robert Joliana e anche in questo caso tutto è andato per il meglio con annesso cena con la sua famiglia nella propria abitazione: ottima esperienza. La discesa del fiume si può organizzare sia in barca a motore, forse più comoda perché più grande, ma sicuramente più rumorosa, sia in piroga a remi, che abbiamo scelto. In realtà alla vista del mezzo su cui dovevamo passare tre giorni ci siamo preoccupati, e non poco. Invece la scelta è stata premiante: la piroga non è affatto scomoda, e la discesa nel totale silenzio della natura, interrotto solo dallo sciabordio dei remi, si è rivelato molto rilassante. Durante le ore di navigazione abbiamo letto, scattato foto o semplicemente ascoltato il silenzio: è stato un modo per riappropriarci del nostro tempo in completo contrasto con i ritmi frenetici e chiassosi della nostra civiltà. Di tanto in tanto questo silenzio veniva interrotto dal rumore assordante, insopportabile di una barca a motore, che ci ha fatto comprendere di aver optato per la soluzione migliore – tutto quel rumore fa perdere il senso della discesa. Per la notte abbiamo bivaccato in riva al fiume, non lontani da piccolissimi villaggi formati da un pugno di capanne, i cui abitanti ci hanno fatto visita intrattenendoci con canti e balli. A questo spettacolo si aggiunge poi quello del cielo stellato, nel quale si distinguono chiaramente la Via Lattea e le principali costellazioni. A nostro parere è un’esperienza da non lasciarsi sfuggire e in piroga.
Alla fine della traversata, abbiamo trovato Gaby puntuale al “molo”, pronto per partire alla volta degli Tsinghy. Dal Tsiribihina agli Tsinghy la strada è allucinante, noi abbiamo impiegato circa 8 ore per percorrerla. Invece, l’attraversamento del fiume Tsiribihina avviene su chiatte che si muovono solo se il livello dell’acqua lo consente; imbarcare le auto sulla chiatta si è rivelato un altro spettacolo, ma una pratica da lasciare ai locali perché è folle: le auto vengono fatte scendere per un breve tratto in sabbia, ripidissimo, al termine del quale sono poste due passerelle non troppo affrancate alla chiatta che consentono il passaggio sulla piattaforma. L’operazione richiede un certo tempo, perché le auto devono essere perfettamente allineate sulla chiatta per non sprecare spazio. Gli Tsinghy si dividono in Grande e Piccolo Tsinghy e sono distanti fra loro per cui è consigliabile partire al mattino presto per la visita del Grande Tsinghy, che è la più impegnativa, mentre si dedica il pomeriggio al Piccolo Tsinghy. Il primo tratto del percorso verso il Grande Tsinghy è abbastanza piacevole, si passa attraverso una piccola foresta dove si possono ammirare gli immancabili lemuri. Successivamente, però il tracciato diventa più impervio, ci si deve arrampicare su rocce a picco, saltare da un masso all’altro, passare su un ponte tibetano, attraversare passaggi strettissimi dove la sicurezza viene garantita da un sistema di corde ferrate alle quali ci si aggancia grazie ad una cintura che viene fornita prima di iniziare l’escursione. Non si deve dimenticare di indossare un cappello perché le zone d’ombra sono poche e il sole si sente parecchio, oltre ad una buona scorta d’acqua. Non conosco il motivo specifico di quanto successo, ma purtroppo durante la nostra traversata un turista è deceduto: eravamo quasi alla fine della parte più impegnativa, in una grotta alla quale eravamo giunti strisciando attraverso un tunnel abbastanza basso, probabilmente il malore è stato causato da uno sforzo eccessivo per una persona la cui forma fisica non ci è sembrata ottimale. Molto scossi siamo tornati soli al parcheggio, in quanto la nostra guida aveva l’obbligo di rimanere ad assistere il ferito. Per questo il consiglio è di non affrontare questo circuito in modo superficiale, ma arrivarci con un minimo di preparazione fisica, anche perché così si può godere appieno di un’esperienza in un paesaggio incomparabile.
Dagli Tsingy ci siamo diretti poi a Morondava con sosta obbligata al famoso viale dei Baobab, che al tramonto è una delle immagini maggiormente fotografate del Madagascar. Dagli Tsinghy a Morondava si impiega un’intera giornata, la strada non è asfaltata ed è naturalmente piena di buche e incredibilmente sconnessa. Tuttavia, durante il tragitto si ha l’opportunità di vedere alcune formazioni particolari di Baobab, come i baobab innamorati. A Morondava abbiamo alloggiato presso l’hotel “Tre cicogne”, gestito da un italiano, ed è un posto che ci sentiamo di raccomandare, incluso il ristorante. Il giorno dopo siamo partiti alla volta di Belo Sur Mer: per raggiungerlo, si viaggia solo su pista e ci vogliono circa 4 ore da Morondava. A Belo abbiamo pernottato al “Dauphin de Vezo” gestito da un francese; hotel e ristorante consigliatissimi.
Belo è un posto bellissimo, è un villaggio di pescatori Vezo, dove si può assaporare la vita in un villaggio di mare, divisa tra la pesca, la realizzazione di imbarcazioni e la loro riparazione, i bambini che giocano sulla spiaggia e le donne che si danno da fare per aiutare gli uomini.
Da Belo Sur Mer abbiamo raggiunto Morombe, sul canale del Mozambico, con una “tirata” di una intera giornata. Questa tratta può essere divisa in due tappe fermandosi nell’unico posto ricettivo situato nel villaggio di Manja, ma visto che il nostro autista Nana, che per questa zona aveva sostituito Gaby, era un driver esperto simile ad un pilota di rally, abbiamo deciso strada facendo di compiere il percorso in una sola tappa. Nonostante la pesantezza del viaggio, anche in questo caso i motivi di interesse sono stati molteplici. Per esempio, lungo tutto il tragitto ci siamo imbattuti in caselli “autostradali” improvvisati: in pratica, si trattava di barriere formate da un tronco orizzontale appoggiato su due tronchi verticali piantati nel terreno, che sono gestiti dalle comunità locali che vogliono in questo modo guadagnare qualcosa dalle auto che passano, anche se i turisti sono veramente pochi. Inoltre, siamo passati attraverso villaggi remoti, abbiamo visto la foresta spinosa, una formazione con prevalenza di cactacee, abbiamo ripetuto l’emozione dell’attraversamento di un fiume su chiatte: in questo caso però, a causa della rottura del motore, le chiatte erano trainate a mano da giovani veramente prestanti, oltre agli immancabili Baobab e di tutte le tipologie. A Morombe abbiamo alloggiato da Chez Catia e personalmente mi sono trovato molto bene per cui lo consiglio.
Da Morombe siamo giunti alla spiaggia di Ambatomilo per un paio di giorni di meritato riposo. In questa zona il turismo di massa non esiste, ci sono alcuni resort con pochi bungalows che offrono sistemazioni confortevoli in una ambientazione incantevole: mare turchese e chilometri di spiaggia bianca praticamente a vostra sola disposizione. Se cercate un posto da sogno, dove fuggire per qualche giorno dalla frenesia del mondo, penso che questo sia uno degli ultimi paradisi non ancora raggiunto dalle grandi compagnie dell’industria turistica. Noi abbiamo soggiornato al “Sangri-la”, posto favoloso e consigliabile, fatto salvo per il servizio di cucina (il rapporto qualità-prezzo è troppo sbilanciato). A 3 km circa dallo “Sangri-la” c’è un villaggio di pescatori dove una signora francese, Madame Martine, ha aperto la Guest House “Le pirate amoureux”, una struttura graziosissima, con una cucina fantastica; noi ne abbiamo approfittato per due pasti visto che al Sangri-la il trattamento era decisamente diverso.
Dopo due giorni, a metà pomeriggio ci siamo rimessi in marcia alla volta di Tulear, che abbiamo raggiunto in serata. Abbiamo pernottato qui per poterci poi imbarcare per Anakao il giorno seguente. Diversamente da Ambatomilo, Anakao è un villaggio di mare abbastanza turistico, che si raggiunge in circa un’ora di barca. La scelta di questa località è dovuta al passaggio delle balene, che qui avviene in luglio e agosto. Ad Anakao abbiamo alloggiato nel famoso resort “Peter Pan”, gestito da due ragazzi italiani, dove troverete anche un ristorante di qualità che unisce sapori locali a piatti tipici italiani.
Per l’uscita in mare alla ricerca delle balene ci siamo affidati invece ad un ragazzo, pescatore, Francisco che ci ha adescato all’arrivo ad Anakao e che ci ha convinto ad affidarci a lui (ci ha detto che non l’avremmo pagato se non avessimo avvistato nemmeno un cetaceo). Purtroppo di lui non ho nessun riferimento ma credo sia molto facile trovarlo, basta chiedere di lui nel villaggio perché è molto conosciuto. Con lui ho avuto la possibilità di trascorrere una delle più belle giornate nella mia vita di viaggiatore: siamo partiti in barca a motore per andare alla ricerca delle balene che in questo periodo passano “volentieri” nella baia di Anakao. E noi abbiamo assistito allo spettacolo incredibile e indimenticabile di alcune balene che si slanciavano nell’aria ballando al nostro cospetto. Terminata la rincorsa alle balene, abbiamo fatto snorkeling (pinne e maschere forniti da Francisco) al largo dell’isola di Nosi Ve, una riserva marina naturale; quindi, all’ora di pranzo siamo sbarcati sull’isola, dove Francisco e i suoi compagni ci hanno cucinato alla brace del pesce appena pescato accompagnato da manioca cotta nella cenere e riso, innaffiato con dell’ottima birra locale. Inutile dire che era tutto gustosissimo.
Al ritorno, Francisco e i suoi due compari hanno rinunciato al motore, hanno spiegato le vele e si sono fatti spingere a riva dal vento; ultima chicca che ha reso indimenticabile questa giornata. Qualcuno vi potrebbe dire che i pescatori non sono affidabili e il loro servizio non è all’altezza; per quanto mi riguarda, io mi sento di consigliarlo sia per il servizio che per il costo, decisamente vantaggioso. (20 euro a testa tutto compreso). Ad Anakao abbiamo sperimentato anche un ristorantino molto locale, due tavoli 4 sedie posizionati sulla sabbia e protette da una tettoia vegetale, ma circondati da bambini vocianti, incuriositi dalla nostra presenza, e dalla famiglia del gestore, abbiamo gustato granchi e pesce fresco alla brace ad un prezzo molto economico in un ambiente famigliare. Rientrati a Tulear da Anakao abbiamo iniziato la risalita dell’Isola riprendendo la RN7 che avevamo lasciato ad Antsirabe e siamo giunti a Ranohira per la visita dell’Isalo Park.
L’Isalo offre un volto differente del Madagascar: il percorso nel parco si snoda attraverso un conglomerato principalmente roccioso che nasconde qualche ruscello e laghetti, dove si può fare il bagno anche se l’acqua è gelida, si passa poi attraverso una savana nella quale è facile immaginare delle zebre e giraffe al pascolo. il Madagascar infatti faceva parte del continente africano e quando si è staccato tutti i grandi carnivori e molti erbivori sono rimasti sul continente. L’ultima parte del parco è quella che ho preferito: si entra in una zona con una ricca vegetazione che nasconde alcune tipologie di lemuri, per poi passare su un sentiero piuttosto impervio che costeggia un torrente alla fine del quale due stagni con cascatelle invitano gli escursionisti accaldati e sudati a tuffarsi nell’acqua cristallina … e gelida.
La visita si completa in una giornata al termine della quale si è molto stanchi ma molto soddisfatti. Da Ranohira siamo partiti per Ambalavao con sosta all’ Anja National Park. Si tratta di un parco gestito da una comunità locale, e solo questo fatto è una buona ragione per fare una sosta. Ma il parco offre anche altri motivi di interesse agli amanti della natura, tra cui i lemuri catta, diverse varietà di camaleonti, insetti e uccelli in un percorso breve ma coinvolgente. Ad Ambalavao invece ci si può dedicare alla visita delle aziende artigiane di produzioni tipiche della zona, come la carta “antaimoro”, eseguita con il metodo tradizionale dalla battitura a mano della cellulosa all’essiccazione al sole dei fogli di carta, e la lavorazione della seta. Da Ambalavao, passando da Fianarantsoa, siamo giunti al “Lac Hotel” – hotel bellissimo formato una struttura centrale circondata da bungalow su palafitte che danno direttamente sul laghetto, che si trova nel comune di Sambahavy, la zona delle piantagioni di tè. Qui è imprescindibile una visita alla locale stazione per la raccolta, lavorazione e commercio del tè, seguita poi da camminate per le colline circostanti disseminate di piccoli villaggi dediti alla lavorazione dei campi.
In una di queste passeggiate abbiamo conosciuto Marie Thérèse che, dopo averci chiesto di farle una fotografia e di mandargliela, ci ha voluto mostrare la sua casa ci ha fatto conoscere la sua famiglia donandoci dei prodotti della propria terra. Lasciato il “Lac Hotel” la nuova meta era Antoetra; abbiamo pernottato all’hotel “Sous le Soleil du Mada”, a circa 15 km dal centro della popolazione Zafimaniry. L’hotel è realizzato interamente in legno e i bungalows rispecchiamo lo stile della zona, come baite di montagna realizzate in legno con splendidi motivi geometrici e senza l’uso di chiodi o viti ma tutto ad incastro. Durante la notte fa piuttosto freddo e nelle baite non c’è riscaldamento, ovviamente, ma nel ristorante viene acceso un fuoco che oltre a riscaldare fa da compagnia durante la cena e il dopo-cena, mentre l’energia elettrica è attiva solo con dei generatori dalle 18 alle 21 e poi, quindi, a nanna.
Il giorno dopo, mercoledì, giorno di mercato abbiamo raggiunto Antoetra per immergerci in questo caleidoscopio di colori e persone, dove gli abitanti dei villaggi della zona percorrono fino a 4 ore di cammino per i sentieri di montagna per fare i propri acquisti settimanali o per mettere in vendita i propri prodotti. Dopo aver curiosato in tutti gli angoli del mercato abbiamo iniziato il trekking verso Ifasina, il villaggio più facilmente raggiungibile: si trova infatti a 2:30 ore di distanza da Antoetra e può essere raggiunto solo a piedi. Il percorso è abbastanza faticoso, quindi è consigliabile anche qui di affrontarlo con un minimo di allenamento, perché i saliscendi per le montagne mettono a dura prova la resistenza. Tuttavia, la realtà di un villaggio disperso tra le montagne, lontano da quelle che chiameremmo “forme di civiltà”, merita di essere presa in considerazione : all’entrata del villaggio siamo stati accolti dai bambini, che con i vecchi erano gli unici abitanti del villaggio (gli adulti si erano recati tutti al mercato), poi la nostra guida ci ha accompagnati dal capo-villaggio, che ci ha accolto nella sua casa, una costruzione tradizionale in legno, di cui ci ha descritto le caratteristiche ed il significato.
Il giorno successivo siamo tornati ad Antsirabe, dove abbiamo potuto assistere alla Famadihana grazie alle conoscenze di Gaby, la cerimonia di dissepoltura dei morti alla quale partecipano tutti i famigliari, amici e vicini, in un tripudio di canti, balli e litri di rum. I famigliari dei defunti ci hanno accolto facendoci partecipare alla ritualità, che prevede in primo luogo di offrire del cibo (generalmente, riso con carne di maiale o di zebù) agli ospiti, e poi coinvolgerlo nei balli che si tengono nel cortile della casa. All’ora prestabilita, tutti i partecipanti, preceduti da una banda musicale, si recano in processione sul luogo del monumento funebre, già predisposto per l’apertura, quindi, i corpi dei defunti avvolti in sudari vendono rimossi dal loro sepolcro e disposti su stuoie. Una volta che tutti hanno reso omaggio ai corpi, questi vengono avvolti con un nuovo sudario e deposti nuovamente all’interno della tomba, sempre con un sottofondo musicale suonato dalla banda. Il monumento funebre è riconoscibile dalla forma fuori terra mentre la porta d’accesso in pietra è posta totalmente sotto il livello della terra. Quindi per potervi accedere, e qui sta la preparazione, si deve liberare l’ingresso dalla terra, cioè scavare almeno due metri e i defunti, avvolti nei sudari, sono semplicemente appoggiati su delle mensole. Riuscire a partecipare a questa cerimonia non è per niente semplice, anche perchè si svolge in luoghi anche fuori mano, e infatti noi ci siamo riusciti solo per le buone relazioni di Gaby.
L’ultimo giorno l’abbiamo dedicato per il trasferimento da Antsirabe direttamente all’aeroporto di Antananarivo: attenzione al traffico di Tana! Abbiamo impiegato 3 ore per attraversare la città, 15 km, il giorno della partenza, rischiando di perdere il volo.
Note conclusive:
Credo che questo itinerario si possa apprezzare appieno solo se si ha un autista affidabile e competente perché per incastrare tutti gli spostamenti e allo stesso tempo venire a contatto con la gente e conoscere le particolarità dei diversi luoghi necessita di competenza, conoscenza, attenzione e serietà.
Infatti sullo tsiribihina e ad Anakao o nelle varie escursioni l’autista vi deve lasciare in un posto e riprendervi da un’altra parte e sempre con la custodia del bagaglio.
L’estremo sud ovest, per intenderci da Morondava a Tulear, è fantastico e io non lo perderei mai invece solitamente è un percorso che non viene inserito nei vari viaggi ma si preferisce tornare sull’altopiano ad Antsirabe o Ambositra, cioè nella parte maggiormente turistica.
La discesa del fiume Tsiribihina in canoa a remi è imperdibile
A pranzo ci si può fermare nelle hotely, sono dei locali frequentati dalla gente del posto dove servono cucina esclusivamente locale a prezzi bassissimi ma è anche certo che ci si deve adattare…non si pensi a tavole calde o ristorantini come li intendiamo noi.
In ogni caso si tratta di un viaggio molto interessante, con molteplici spunti naturalistici – etnici – escursionistici e che mi è rimasto nel cuore e che ritengo non sia da perdere.
Per qualsiasi informazione pratica non esitate a contattarmi.
Costo viaggio tutto compreso (anche l’autostrada in Italia e tutti i souvenir): 5400 euro due persone.