Natale a Copenhagen

Per la prima volta nella mia vita ho deciso di trascorrere le festività natalizie lontano dalla famiglia. Avevo programmato le ferie con l’idea di riposarmi ma, un po’ per l’innata propensione a viaggiare e un po’ per la convinzione che, se non si esce di casa, ci si annoia, ho acquistato un biglietto aereo per Copenhagen. La scelta è...
Scritto da: palinuro71
natale a copenhagen
Partenza il: 23/12/2008
Ritorno il: 26/12/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Per la prima volta nella mia vita ho deciso di trascorrere le festività natalizie lontano dalla famiglia. Avevo programmato le ferie con l’idea di riposarmi ma, un po’ per l’innata propensione a viaggiare e un po’ per la convinzione che, se non si esce di casa, ci si annoia, ho acquistato un biglietto aereo per Copenhagen. La scelta è stata talmente irrazionale che, fino all’ultimo, ho rischiato di rimanere da solo. Per fortuna, qualche giorno prima della partenza, la mia amica Irene si è unita a questa spensierata avventura nel temutissimo gelo scandinavo. Nell’immaginario collettivo la Danimarca, in inverno, riveste un fascino particolare soprattutto se si pensa alle fiabe di Hans Christian Andersen e alla fantasiosa origine di Santa Claus. Durante il volo ci documentiamo sugli appuntamenti che la capitale danese ci riserverà nei giorni precedenti ed immediatamente successivi al Natale. A questo proposito prepariamo un piccolo programmino senza volere, per questo, renderlo vincolante. La fase di discesa dell’aereo avviene quasi a ridosso del ponte che collega Malmö a Copenhagen. Investiti da piccole raffiche di vento atterriamo in un contesto innaturale di pale eoliche, facenti parte del parco di Lillgrund dove, la Siemens, negli ultimi anni, ha realizzato alcuni impianti.L’aeroporto di Kastrup è stato costruito sull’isola di Amager, ad 8 km a sud della capitale. E’ considerato uno degli aeroporti più belli d’Europa, insieme a quello di Amsterdam. In effetti, è molto ben tenuto, curato nei minimi particolari, altamente funzionale e dall’aspetto avveniristico. Nel primo ufficio a portata di mano cambio i primi 600 euro, l’equivalente di circa 4400 corone. Appena si sale sul treno si capisce subito che i mezzi pubblici, in questa realtà, funzionano a meraviglia. Una delle caratteristiche principali del sistema dei trasporti di Copenhagen è che, ad esempio, la metropolitana non prevede la figura del macchinista: il percorso è monitorato da un sistema centrale computerizzato, che sovrintende all’intera rete di collegamento. L’S-Train ci porta in 15 minuti dall’aeroporto alla stazione centrale dove, a due isolati di distanza, è ubicato il nostro albergo. Il quartiere di Vesterbro, fino a qualche anno fa, era profondamente degradato, con un elevato tasso di criminalità, squallido e zeppo di tossici. Oggi, invece, rappresenta la zona alla moda con diversi negozi extra lusso in bella evidenza. L’Hotel Axel Guldsmeden è un quattro stelle all’altezza della situazione; ambiente caloroso, stanze arredate con stile e personale altamente qualificato. Copenhagen è una città, indiscutibilmente cara, sia per le sistemazioni alberghiere, di medio – buon livello, sia per il mangiare. Si paga per tutto e il conto è, sempre, piuttosto salato. Alcuni esempi: una pinta di Carlsberg (55 DKK), un pranzo – piatto unico + birra – (150 DKK), una cena – primo e secondo- (250 DKK), l’entrata nei musei (60 DKK). Sulla Vesterbrogade ci imbattiamo in una lunga serie di ristoranti, posti a breve distanza l’uno dall’altro. Per caso capitiamo di fronte all’insegna di uno steak house, l’Hereford Beeftouw, che scegliamo quasi ad occhi chiusi. Ed ecco la prima sgraditissima sorpresa: il conto di 50 euro per due bistecche e due birre grandi rappresenta il nostro battesimo danese. Terminato il pranzo ci incamminiamo verso lo Stroget, l’elegante viale pedonale che collega la Radhuspladsen, ossia la piazza del municipio, ad un’altra piazza, la Kongens Nytorv. Mentre procediamo in questa strada ammiriamo le splendide luminarie con le ghirlande verdi e un cuore rosso al centro. Lungo il cammino si incrociano tante vie e alcuni importanti slarghi. Uno di questi è Amagertorv che ospita molti tra i più prestigiosi negozi della città; uno di questi, è certamente, il Royal Copenhagen, con le sue pregiate porcellane. In linea con la tradizione del paese è stata apparecchiata, al piano superiore della famosa boutique, la grande tavolata di Natale, che ha visto impegnati, nell’allestimento, alcuni tra i più noti creativi danesi. A piccoli passi giungiamo fino al termine dello Stroget, nella Kongens Nytorv, dove ha sede sia il prestigioso hotel d’Angleterre, sia il teatro reale. Al centro della piazza è collocata una pista di pattinaggio su ghiaccio. I bambini sfrecciano velocemente lungo l’anello e i genitori, appostati dietro la staccionata, sorridono e si divertono per le frequenti cadute dei figli. Finalmente raggiungiamo il tanto agognato Nyhavn. Il vecchio porto è decisamente suggestivo con le bancarelle dei mercatini di Natale dislocati lungo il bordo del canale. Nei muri dei palazzi risaltano, a tinte chiare, i colori vivaci delle case mentre, ferme in rada, le antiche imbarcazioni, in legno scuro, beccheggiano sull’acqua. Al ritorno compiamo il cammino inverso. Appena arrivati in albergo ci attende un importante compito: prenotare la cena della vigilia. Dalla reception provano a fare alcuni tentativi telefonici per trovarci una sistemazione nella serata del 24. Il posto ci sarebbe ma l’inizio della cena è previsto per le 18.30. Troppo presto decliniamo, garbatamente, la proposta e optiamo per una soluzione “fatta in casa”, nel ristorante dell’hotel. A proposito di cena è già ora di pensare a dove andare a mangiare questa sera. Sulla Vesterbrogade veniamo attirati dall’invitante vetrina del ristorante Ankara. Visto il nome è facile immaginare la cucina che propone: piatti turchi ricchi di spezie e dai sapori di carni molto forti. L’ottima qualità del cibo e il prezzo di 21 euro per una cena completa, lo collocano, tra i posti più a portata di mano dell’intera Copenhagen. Andiamo a letto relativamente presto perché l’indomani vorremmo raggiungere, in tempo utile, la mitica sirenetta. Dopo aver consumato un’abbondante colazione a base di latte, the, succhi, cornetti, marmellate di diverso tipo, miele e chi più ne ha più ne metta, partiamo, di prima mattina, alla ricerca della statuetta. Dal punto di discesa della stazione di Osterport, al luogo in cui si trova il simbolo della città, camminiamo per circa un quarto d’ora. Fino all’ultimo istante non riusciamo a scorgerla e la sua presenza si materializza solo grazie all’insistente vociare di un folto gruppo di turisti giapponesi. I commenti che avevamo letto sulla celebre statua erano per lo più negativi e poco coinvolgenti. Al di la del contesto anonimo e per niente poetico del piccolo porto industriale in cui è relegata, a noi è sembrata, comunque, molto carina, dall’aspetto semplice e con lo sguardo speranzoso. Io, addirittura, ero convinto che fosse sperduta in mezzo al mare, e quindi difficilmente raggiungibile, invece sta proprio li, a due passi dai primi scogli. La visita termina rapidamente, giusto il tempo di scattare le consuete foto di rito. Facciamo rientro in stazione, a passo veloce, in quanto oggi ci attendono altre due tappe importantissime: la visita allo stabilimento della Carlsberg e l’ingresso al parco divertimenti di Tivoli, nei giorni del suo massimo splendore. A Copenhagen la birra è consumata a volontà; le marche più note sono la Carlsberg, la Tuborg e la Ceres. Anche la Jacobsen, dal nome del fondatore della fabbrica e la Christmas beer, in danese Julebryg, meritano di essere provate. All’ingresso paghiamo l’equivalente di 5 euro con due birre omaggio. Dando per scontato che chi visita la struttura è un amante della birra, l’accesso è, praticamente, gratuito. Tramite l’ausilio delle immagini assistiamo alle diverse fasi di lavorazione e ai metodi di imbottigliamento. A brevi spezzoni vengono passate in rassegna anche le illustrazioni degli avvenimenti del passato e le battaglie sindacali per l’ottenimento dei diritti dei lavoratori. Infine, il momento più interessante dell’intera visita. La pausa rigenerante nei divanetti, di fronte al bancone della mescita, con due mega pinte di birra immobili sopra il tavolino, pronte per essere tracannate. Dopo il primo bicchiere, Irene comincia a dare segni di ubriachezza molesta, le diventano gli occhi piccoli, ride senza motivo e ha caldo, troppo caldo. Si alza dopo un po’ di tempo per andare in bagno ma durante il cammino inciampa e, al suo rientro, mi confida di essere riuscita a fare la pipì fuori dal vaso ( come sarà possibile per una donna ancora oggi me lo domando!). Il momento è assai difficile. Fuori ci sono 2 gradi, la temperatura ideale per soffocare i bollenti spiriti prodotti dall’alcool. Appena usciti dalla porta, diamo inizio ad una lunga passeggiata a piedi, di circa un’ora, che metterà a dura prova la nostra resistenza fisica. Dopo la sfacchinata ci sarebbero tutti i presupposti per tuffarsi nel materasso, ma l’ingresso al Tivoli non può essere rimandato ulteriormente. Questo parco divertimenti sembra costruito ad immagine e somiglianza dei bambini. A turno i piccoli salgono sulle giostre, fanno un giro sul dondolo e rimangono incantati, con il naso “macchiato” dallo zucchero filato, a contemplare gli elfi animati. L’atmosfera è quella di una grande festa comune, impregnata del profumo autentico delle torte, abbagliata dalle fontane luminose e corredata da sentieri fiabeschi. Per la maggior parte di quelli che abitano nelle vicinanze della capitale, un giro a Tivoli fa parte della tradizione natalizia. Io intanto sorseggio il glogg, la loro bevanda tradizionale da bere bollente, simile al nostro vin brulé, preparata con vino rosso, acquavite, cannella, chiodi di garofano, mandorle e uvetta. E’ già quasi ora di cena quando decidiamo di congedarci dal Tivoli. Siamo curiosi di assaggiare la cucina danese in uno dei migliori ristoranti della città, il Copenhagen Corner. Il posto è molto grande, illuminato da luci discrete e dalle immancabili candele, con un’atmosfera talmente rilassante da apparire in netto contrasto con l’affollamento e il trambusto della città, percepibili attraverso le ampie finestre che si affacciano sulla Radhuspladsen. Ordiniamo una semplice minestra a base di cavolo e una porzione, a testa, di salmone. I piatti non sono abbondantissimi ma l’idea era appunto quella di tenersi leggeri, senza esagerazioni o improvvisi raptus di ingordigia. L’indomani siamo già alla vigilia di Natale e molti musei, chiese e luoghi di interesse sono chiusi. C’è però, fuori Copenhagen, a circa 30 chilometri, un castello aperto ai visitatori, interamente da esplorare, posizionato su un laghetto, considerato dai danesi il più bello tra i loro Slot. Si chiama Frederiksborg ed è particolarmente interessante dal punto di vista storico per via della maestosa sala dei cavalieri e per la cappella dove furono incoronati, nei secoli passati, i re di Danimarca. Le sale sono ricche di ogni genere di mobilio, quadri e suppellettili. Siamo sorpresi dal fatto di essere gli unici turisti presenti ma, nello stesso tempo, viviamo questa specificità con una consapevolezza maggiore. Dalla cittadina di Hillerod riprendiamo il treno per tornare a Copenhagen. Avevo sentito parlare di una città nella città, indipendente, più o meno legale, fondata nel 1971, da un gruppo di hippie. Da 38 anni, dunque, diverse generazioni di “figli dei fiori” mandano avanti una comunità autogestita, riuscendo nel loro intento di perpetuare un originale esperimento sociale di libero consumo di droghe leggere. Il quartiere è un mondo a se attraversato da alcune stradine, tra le quali la più importante è certamente Pusher Street ( un nome una garanzia!). Mentre la percorriamo Irene, nonostante la sua indole sinistrorsa, è attraversata da un senso di rigetto più o meno motivato e neanche i vivaci murales riescono a rasserenarla. Ha paura di scippi, imboscate e ritorsioni nei miei confronti che continuo a scattare foto, infischiandomene altamente del regolamento interno che vieta in maniera tassativa l’uso dei flash. Facciamo prima ad imboccare una delle due uscite che a portare a termine il giro per intero. La cosa paradossale è che il quartiere che accoglie questo piccolo mondo di sballoni, Christianshavn, è considerato uno dei più floridi dell’intera città. Per rientrare in albergo utilizziamo, per la prima volta, l’autobus, anch’esso pratico e funzionale. I 7eleven sono dei mini market sparsi per la città e aperti fino a tarda notte. Per mangiare un pølser, il loro tipico hot dog dal colore rossastro, bere una bibita, prendere un cioccolato al volo o acquistare un magazine,all’ultimo momento questo negozietto è utilissimo, oltre che facilmente intercettabile. Noi ci riforniamo di acqua da bere per non attingere dal poco economico frigo-bar dell’albergo. Alle 20.00, puntuali come due svizzeri, ci presentiamo all’uscio del ristorante per la cena della vigilia. Il menù è molto ricco e variegato: antipasti di legumi, cavolfiore, funghi impanati e purè di patate. Non sono previsti i primi ma si passa direttamente al main course con i due piatti tipici natalizi della Danimarca: anatra e maiale arrosto. Qui a Copenhagen in questo periodo si respira aria di “Hygge”. Questo termine viene usato per indicare il clima di serenità, concordia e riservatezza che caratterizza il popolo danese. Nelle abitazioni e nei ristoranti si respira un’aria informale con candele dalla luce flebile, fiori al centro della tavola, profumi e fragranze delicate e tante altre indescrivibili sensazioni. I danesi assaporano il gusto della vita in maniera intensa senza stress ma cercando di mettere insieme gli elementi più adatti a coniugare natura, sport e lunghe passeggiate in bicicletta. I valori della famiglia e l’educazione dei figli sono le radici solide su cui si fonda questa società considerata, unanimemente, tra le più avanzate del mondo occidentale. Durante il Natale la famiglia riveste un ruolo determinante; è dentro le mura domestiche che si passano le ore più piacevoli, giocando e coinvolgendosi a vicenda col massimo della complicità. Il 25 mattina dobbiamo costruirci un programma di visite a luoghi lontani dal centro città. Intorno alle nove, con il treno, puntiamo dritti verso Helsingør per andare a visitare il castello di Kronborg, meglio noto come castello di Amleto. Purtroppo durante le feste rimane chiuso ma dall’esterno si possono apprezzare i bastioni fortificati e la struttura costruita in pietra di arenaria. Il giro per Elsinore non dura più di mezz’ora. Invece di ritornare nella vuota Copenhagen, in una giornata dove, tra l’altro, tutti i negozi sono chiusi, pensiamo ad un’alternativa originale. Con partenza da Helsingør, vogliamo attraversare lo stretto di Oresund e approdare in territorio svedese. In soli dieci minuti, a bordo di un modernissimo battello della Scandlines, attracchiamo nella darsena del porto di Helsingborg, postazione d’avanguardia a nord-ovest della Svezia. La cittadina, in sé e per sé, non è niente di trascendentale ma volevamo toglierci il gusto di fare un’accoppiata tra due paesi scandinavi, nello stesso viaggio e con poca fatica. Giusto il tempo di visitare una roccaforte e il palazzo comunale che ci reimbarchiamo per non perdere l’ultimo treno utile per la capitale. Questa volta scendiamo a Norreport, nel quartiere che ospita il castello di Rosenborg, antica residenza dei reali danesi, anch’esso chiuso al pubblico. L’idea era di dare un’occhiata ai Kongens Have, i giardini del re, ma la porta d’ingresso ci viene “sbarrata in faccia”, al momento del nostro arrivo. Quando l’aria è così frizzante come quella che si respira il giorno di Natale qui a Copenhagen, diventa fondamentale fare dei piccoli break al coperto. Dentro i locali ci si sente ammantati da un piacevole teporino che ti pervade al punto tale da temere, poi, di rimetterti in strada. All’irish dubliner pub mi consolo con una bella pinta di guinness dal gusto amarognolo e pastoso. Al fine di evitare una sbronza indesiderata, recuperiamo frettolosamente gli indumenti e, con grande audacia, riprendiamo la via del ritorno, completamente imbacuccati. Una delle cose che ha catturato la nostra attenzione, fin dai primi giorni di passeggio tra le vie cittadine, è stata la vista frequente di tombini fumanti o fumosi a seconda dei punti di vista. Questo curioso fenomeno, che emerge, in maniera chiara, dalle grate poste sul marciapiede, pare che sia prodotto dalle valvole di sfogo del sistema di riscaldamento. In inverno, con gli impianti uniformemente distribuiti nel sottosuolo, tarati ai massimi regimi, il calore prodotto emette dei vapori che formano delle nebulose in ogni angolo della città. Irene, infreddolita, pensa bene di soffermarcisi sopra per riscaldarsi il fondoschiena. Dopo aver provato “l’ebbrezza” di un’ustione, in età puerile, questa volta andrà a letto bollita, con i fumi che le escono dall’orecchio, come una pentola a pressione nel momento del sibilo. I ristoranti etnici a Copenhagen non mancano di certo a dimostrazione della multi etnicità e della propensione danese all’integrazione tra i popoli. Sia io che la mia amica siamo due amanti della buona tavola e quando ci troviamo all’estero amiamo provare i sapori della cucina locale, senza preconcetti o condizionamenti di sorta. Lei è, tra l’altro, un ottima cuoca e una grande esperta di cucina internazionale. Nel giro di pochi minuti mi elenca tutta una serie di qualità del cibo indio-pakistano che mi convince rapidamente a varcare la soglia del ristorante Koh-I-Noor, in Vesterbrogade 33. Il pane tradizionale, il riso, il pollo tandoori sono alcune delle pietanze servite in modi diversi. Tutte risultano molto speziate ma comunque apprezzabilissime. La serata si conclude con una buona birra bevuta nella hall dell’hotel. Il giorno di Santo Stefano ci alziamo con relativa calma. Guardando fuori dalla finestra ci rendiamo conto che la città è completamente avvolta dalla nebbia. Veniamo assaliti dallo sconforto misto a tristezza ma, nello stesso tempo, dobbiamo prendere una decisione in tempi rapidissimi e in chiave propositiva. Per fortuna il personale dell’albergo si dimostra sempre disponibile e lungimirante. In risposta ad una mia precisa domanda sulle cose da vedere in data odierna, mi rispondono con un foglio scritto a penna dal titolo “How to do in Copenhagen 26/12?”.Proprio quello che ci serviva, una sorta di promemoria studiato nei minimi dettagli, con un elenco dei luoghi aperti. Avevamo previsto un’escursione a Roskilde, per ammirare il museo vichingo, ma la simpatica receptionist me la sconsiglia perché definisce la cittadina boring, cioè noiosa, e il museo non visitabile in tutti i periodi dell’anno. La Rundertarn o torre tonda rientra, invece, nelle attrattive del giorno. Alta 35 metri, risalente al XVII secolo, è posizionata nel quartiere latino, all’interno di un complesso più ampio, chiamato Trinitas. La salita avviene seguendo il verso elicoidale di un percorso centrale; giunti a metà del cammino entriamo in una sala dove vi è un’esposizione di arredi in stile Naif. In cima alla torre si trova la terrazza panoramica ma, a causa della fitta foschia, dobbiamo abbandonare l’idea di scattare foto di buona qualità. Sempre nel quartiere latino, a poca distanza dalla torre di Copenhagen, eccoci al cospetto della Cattedrale. L’architettura esterna è piuttosto bruttina. Una cosa che mi fa notare Irene è che, tra le 12 statue di marmo disposte longitudinalmente sulla navata, che identificano gli apostoli, la figura di Giuda è sostituita da quella di Paolo. Un particolare al quale, io personalmente, non avrei mai fatto caso. Il museo nazionale non rientrava tra i nostri programmi ma, dato che la giornata è pessima e il cielo non promette niente di buono, ci rifugiamo tra le collezioni dei reperti storici. Sono presenti alcuni splendidi pezzi dell’era preistorica, ritrovati nelle fondamenta, e le antiche rune, risalenti al IX secolo. Per una mera distrazione saltiamo una parte importante dell’esposizione museale ma poco importa vista l’ora tarda. Infatti, per pranzo, dopo aver dato un’occhiata frettolosa alla Lonely Planet, bussiamo alla porta del ristorante Nyhavns Færgekro, ubicato sul Nyhavn. L’atmosfera casereccia riflette il passato marittimo di questo luogo dove, a mezzogiorno, vengono servite le tradizionali specialità danesi tra le quali il buffet di aringhe, considerato a tutti gli effetti il loro pezzo forte. Il ristorante in questione rappresenta, senza dubbio, la scelta per eccellenza, il cosiddetto top dei top fra le specialità marinare. Il contorno di “Smørrebrød”, che altro non sono che semplici sandwich con burro e salmone poteva tranquillamente essere evitato per via della grande varietà di pesce marinato in dodici modi diversi. Usciti dal ristorante facciamo una capatina al palazzo di Amalienborg, la residenza estiva dei reali danesi. La struttura consta di quattro palazzi identici tra loro, affacciati su un cortile ottagonale, sul quale si erge una gigantesca statua equestre di re Frederik V. Gli ultimi ricordi legati alla città sono proprio di questo piazzale con la guardia reale che va su e giù, a testa china, lungo il vasto perimetro. Il detto a Natale con i tuoi e a Pasqua con chi vuoi, questa volta, è rimasto inascoltato. E’ stato un grande piacere per me aver conosciuto una nuova realtà, popolata da persone splendide, dall’animo gentile, cariche di serenità e ben disposte al dialogo. Esattamente il contrario di quello a cui siamo abituati ad assistere noi soprattutto per gli spettacoli indecorosi che vengono mandati in onda sulle televisioni italiane. I continui scontri tra avversari politici scanditi da una sequela di insulti, veleni e colpi proibiti danno un immagine del nostro paese più simile a quella di un ring pugilistico che non ad una nazione orientata verso un’ idea moderna di nuova polis, poco avvezza alle furberie e ai trasformismi ai quali, purtroppo, assistiamo quotidianamente. Abbiamo ancora molto da imparare dalle altre democrazie. Ma ce ne vuole di strada!.


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