Isola di Pasqua e Patagonia

Non mi piacciono i viaggi organizzati. Dagli altri. Per me una vacanza è alzarmi ogni mattina e decidere cosa fare e cosa non fare; se voglio andare a vedere un luogo particolare, non voglio essere vincolato ad orari prestabiliti, ma partire quando mi pare. Per me una vacanza è prendere il biglietto aereo di andata e (sigh!) ritorno e basta....
Scritto da: Matcorsa
isola di pasqua e patagonia
Partenza il: 10/02/2007
Ritorno il: 27/02/2007
Viaggiatori: in coppia
Non mi piacciono i viaggi organizzati. Dagli altri. Per me una vacanza è alzarmi ogni mattina e decidere cosa fare e cosa non fare; se voglio andare a vedere un luogo particolare, non voglio essere vincolato ad orari prestabiliti, ma partire quando mi pare. Per me una vacanza è prendere il biglietto aereo di andata e (sigh!) ritorno e basta. Quello che succede in mezzo lo decido giorno per giorno, senza orari e vincoli imposti. Sono già vincolato per undici mesi l’anno. E’ vero, costa un po’ di più (voli di linea, non hai le tariffe scontate dei tour operator, ecc.), però fino ad ora sono stati i soldi spesi meglio e non mi sono mai pentito di avere speso follie per essere andato a vedere un luogo a lungo sognato.

Detto questo, avendo a febbraio un paio di settimane a disposizione, chiamo il mio fedele amico di Mantova (io sono di Padova) chiedendogli se anche lui ha ferie da fare. Risposta ovvia conoscendolo: “si”. “Che ne dici se andiamo in Patagonia e Terra del Fuoco?”. Altra ovvia risposta e lapidaria: “perché no?”. Infine gli chiedo:”e se facessimo anche una puntata all’Isola di Pasqua?”. “Ok”. Si è vero con lui non ho mai avuto difficoltà a convincerlo. Assieme ci siamo fatto 2 volte l’Australia e una volta il Kenia. Durante l’anno non ci vediamo mai. Ci vediamo solo in aeroporto e in viaggio. Praticamente ci vediamo solo all’estero. In Italia, mai. Ci siamo conosciuti a Darwin in Australia.

Nel giro di qualche giorno abbiamo i biglietti aerei per il viaggio che si articola in due fasi: il primo diretto all’Isola di Pasqua e poi la Patagonia e Terra del Fuoco.

11 febbraio Partiamo col viaggio.

Un lungo volo via Madrid, ci porta a Santiago del Cile. Arriviamo nella capitale sudamericana di mattina presto però il prossimo volo per l’Isola di Pasqua è per il tardo pomeriggio, per cui decidiamo di sfruttare il tempo a disposizione e, con un bus prima e la metropolitana poi, ce ne andiamo a scoprire un po’ la capitale cilena. E’ domenica e giustamente la gente è ancora a casa trovando quindi la città deserta. Solo verso le nove, lungo le vie più importanti iniziano ad arrivare le prime bancarelle ambulanti. Fa parecchio caldo.

Passiamo di fronte al palazzo della Moneda, sede governativa e poi in una piazza che non ricordo il nome, dominata dalla cattedrale. Entriamo per una breve visita, giriamo su e giù per i vicoli che ormai si sono animati e poi con tutta calma ce ne ritorniamo all’aeroporto.

Atterriamo ad Hanga Roa alle 23 e non avendo prenotato alcun hotel, ci affidiamo ad Oscar, un locale che dapprima ci fa vedere le foto della sua abitazione e poi, dopo una breve ma utile contrattazione sul prezzo, decidiamo di affidare a lui le prossime tre notti.

12 febbraio Ieri sera ho chiesto a Oscar:”domattina … colazione alle 7, vero?” Mi ha sgranato due occhi che sembravano quelli di uno stitico nel momento della liberazione e mi risponde: “no, no, nooo … qui la colazione viene servita dalle 9 in poi. Qui tutta la vita inizia alle 9”. Chiuso argomento, per cui nonostante ci siamo alzati alle 7 per via degli scompensi dei fusi orari, non ci resta che andare a fare due passi per Hanga Roa nell’attesa delle fatidiche ore 9. E ahimé, Oscar aveva proprio ragione. In giro per il “centro” (trattasi di una via principale con un paio di laterali) ci sono solo cani. Si perché qui sull’Isola di Pasqua gli esseri viventi più numerosi sono i cani, seguiti dai cavalli e poi dalla razza umana. Sono tranquilli salvo qualche azzuffata fra loro ogni tanto.

Fatta colazione (Oscar l’ha fatta con noi e si era alzato da letto 5 minuti prima), partiamo per una visita dell’isola a piedi. La nostra meta è il vulcano Rano Kao a due orette di camminata tranquilla.

Passiamo per il porto dove c’è un Moai non in ottime condizioni (con l’erosione ha perso le fisionomie tipiche dei Moai), ma è il nostro primo Moai e ciò ci rende felici, e poi ci allontaniamo dal paese passando per la capitaneria di porto che mostra una serie i cartelli con le distanze delle varie città mondiali (le cui foto sono anche nelle cartoline), e poco dopo iniziamo dapprima una leggera salita tra cui un tratto all’interno di un boschetto, e poi una salita più aspra, per raggiungere il bordo del cratere. La salita non è difficile. A renderla un po’ più impegnativa sono le condizioni del terreno (la notte ha piovuto) e soprattutto l’umidità dell’aria. Fortunatamente non c’è il sole, anche se alla fine riusciamo ad ustionarci.

Dopo un paio d’ore, giungiamo al “Mirador Rano Kao”, il punto panoramico dove si apre sotto i nostri piedi un cratere di mille metri di diametro per 200 circa di profondità. Che però è occupato da un lago. Sembra sia la fonte d’acqua cui gli isolani attingono per usi domestici.

Ancora due passi sul bordo del cratere dove sferza un vento fortissimo, arriviamo all’ingresso del parco che con una modesta spesa facciamo un percorso segnato per vedere i petroglifici (disegni mistici scolpiti sulla roccia), le tipiche abitazioni originarie (fatte di pietra a secco) e dalla sommità, si vedono i due piccoli motu resi famosi dal film “Rapa Nui” sacri agli abitanti.

Da quassù si ha una ottima visuale sull’oceano e sull’isola. Oltretutto è uscito il sole che contribuisce a rendere meraviglioso il panorama ma agevola anche l’ustione sulle nostre pelli.

Essendo sprovvisti di riparo, poco dopo rientriamo ad Hanga Roa che raggiungiamo in un paio d’ore.

Qui ci appollaiamo in un mini chiosco artigianale per farci un panino, facendo conoscenza di una svizzera hippy abbastanza datata che se ne sta qui da tre mesi per … fare un documentario sui cani (???). L’abbiamo ascoltata e terminato il panino ci siamo congedati dalla tipa e addentrati in “città” che offre: – una serie di Moai tra cui l’unico sull’isola con gli occhi non originali in quanto l’unico originale è conservato al museo; – il museo, appunto che però essendo domenica è chiuso; – il mercato coperto che si divide tra ortaggi e souvenir; – la via principale con in maggioranza negozi di souvenir e mini supermercati.

La sera conosciamo Lorenzo, un ragazzo francese con cui dividiamo la compagnia per la cena. Al termine ce ne andiamo al sito dei Moai del porto per immortalarli durante il tramonto ma nel frattempo il cielo si è annuvolato per cui torniamo da Oscar per la notte.

13 febbraio Ci alziamo ustionati. Il poco sole di ieri e gli inadeguati mezzi di riparo, hanno prodotto i loro frutti. Abbiamo la tipica abbronzatura da muratore e ogni piccolo movimento ci fa cantare in etrusco.

Il nostro itinerario odierno è quello di fare il giro dell’isola in bicicletta (si tratta di un triangolo di 20 km di base per 10 di altezza e quindi fattibilissimo in bike) ma il solo contatto della nostra pelle col sole ci provoca dolori, per cui decidiamo di noleggiare un’auto. Non dobbiamo nemmeno fare tanta strada perché Oscar ci da la sua a buon prezzo. Un jeeppino senza chiusura (non serve qui, tanto se te la rubano … dove si nascondono?). E poi non dobbiamo nemmeno fare tante pratiche burocratiche tipiche di un rent-a-car. L’unica pratica è … la consegna della chiave. “C’è la polizza kasko?” chiedo. “La polizza che?” mi risponde. “L’assicurazione dell’auto?” parlando lentamente e mimando con gesti. “Qui non esiste assicurazione” mi dice. Ok mi dico è inutile portare avanti il discorso.

Iniziamo subito col giro dell’isola in senso antiorario.

Prima tappa, l’aeroporto, che non volevamo vedere ma ce lo siamo trovati di fronte.

Seconda tappa, Hanga Tee, una serie di Moai caduti e lasciati così.

Terza tappa, Aka Hanga, altra serie di Moai abbattuti.

Quarta tappa, Rano Raraku, la vallata ai piedi del vulcano omonimo dove si fabbricavano i Moai. Il posto è meraviglioso perché ti trovi a zigzagare tra una miriade di Moai posizionati alla rinfusa, senza un senso a noi logico, a differenza degli altri siti. Con una leggera salita raggiungiamo la sommità del cratere, anch’esso pieno d’acqua e con sul bordo interno altre statue. Con un ulteriore piccolo sforzo raggiungiamo il punto più elevato da dove domini tutta l’isola.

Ridiscesi passiamo di fronte ad un Moai ancora attaccato alla roccia, vero segno del punto di fine della civiltà originaria.

Quinta tappa, Han Tongariki, vale a dire il sito di Moai più cospicuo. Fronte mare si stagliano 15 Moai perfettamente allineati e tutti che guardano verso il vulcano. Alcuni hanno anche il tipico cappello rosso.

Sesta tappa, Ahu Te Pito Kuta, che tradotto dalla lingua originaria significa: “l’ombellico del mondo”, vale a dire il luogo in cui secondo gli abitanti era proprio lì il punto in cui si sviluppava il cordone ombelicale del nostro pianeta. Sembra che qui ci sia un forte magnetismo tanto da far impazzire le bussole.

Settima tappa, Anakena, la spiaggia più bella dell’isola (ce ne sono 2 in tutto) e considerata la più bella dell’intero Cile, dominata da una serie di Moai tra i più belli.

Raggiunto l’apice dell’isola non ci resta che ridiscendere verso Hanga Roa, e passare il resto della giornata al museo che possiede l’unico occhio (parte di esso) originale dei Moai, e poi numerosi reperti antichi.

La sera, attirati dalla musica andiamo in una piana fronte porto dove hanno organizzato una festa di accoglienza a colui che si è inventato di eleggere le nuove 7 meraviglie del mondo, tra cui l’Isola di Pasqua è un’ottima candidata, solo che dopo 10 minuti di danze e canzoni si è scatenato un violento nubifragio che hanno costretto alla rinuncia e lo spostamento all’indomani. Purtroppo noi abbiamo l’aereo per la Patagonia. Per la cronaca, alla festa c’era anche un senatore venuto dal Cile, anche lui uscito lavato dal nubifragio. Forse la parte più bella dello spettacolo.

14 febbraio Oggi abbiamo solo mezza giornata a disposizione prima di prendere l’aereo per cui la passiamo interamente gironzolando per Hanga Roa per fare un po’ di shopping al mercato coperto che varia dall’artigianato locale ai prodotti “Made in Cina”.

Nel pomeriggio abbiamo il volo per Santiago del Cile e successivamente per Punta Arenas la capitale della Patagonia cilena dove arriviamo alle 6 di mattina.

Oggi è anche il giorno di San Valentino, la festa degli innamorati e per tutti gli innamorati il sogno è quello di passare questo giorno con la/il propria/o fidanzata/o nel paradiso terrestre per eccellenza: la Polinesia (l’sola di Pasqua fa parte della Polinesia). Ebbene … le nostre fidanzate (anzi quella del mio amico perché io sono single) sono in Italia.

15 febbraio Alle 6 di mattina l’aeroporto è vuoto (si tratta di un aeroporto piccolo) e non c’è nessuno ancora al rent-a-car per cui ammazziamo le tre ore dall’apertura riposandoci alla bell’è meglio su una panchina.

Alle 9 siamo già a bordo del nostro pick up rosso pronti per scoprire la Patagonia.

Un breve giretto per Punta Arenas (non trovandola interessante) e poi diretti a nord verso lo Stretto di Magellano per poi ridiscendere attraverso la Terra del Fuoco fino ad Ushuaia.

La strada è monotona. Ci sono paesi ogni centinaia di chilometri. Le uniche cose degne di nota sono l’attraversamento con una chiatta dello Stretto di Magellano sferzato da forti raffiche di vento, e le frontiere argentino-cilene che ci fanno perdere tanto tempo. Poi anche un tratto di un centinaio di km su strada sterrata a ridotta velocità. Tutto questo ci fa arrivare ad Ushuaia alle 10 di sera un po’ stanchi (quasi 800) chilometri, ma contenti di essere alla “fin du mundo”.

Un’alternativa per raggiungere Ushuaia da Punta Arenas era quella di traghettare da quest’ultima a Porvenir, ma necessitava della prenotazione anticipata, che noi non avevamo.

16 febbraio Alzati belli e riposati andiamo subito al porto per prendere parte ad una crociera di 4 ore sul Canale Beagle.

In tutto sull’imbarcazione siamo in 9. Un numero giusto, e prevede il passaggio a fianco di alcuni scogli popolati da otarie e cormorani. Poi sul faro di Ushuaia che se ne sta lì beato consapevole di essere uno tra i più meridionali del pianeta e infine un mini trekking su di un’isola di fronte ad Ushuaia con consumazione di una “centolla” appena pescata. Si tratta di un granchio di grandi dimensioni.

Dopo 4 ore tra navigazione e trekking, sbarchiamo al porto di Ushuaia ed avendo ancora il pomeriggio libero, con l’auto andiamo alla “Estancia Harberton”, ad una settantina di km a est. Si tratta della prima abitazione dei coloni europei, famosa anche per essere stata costruita dal quel Thomas Bridge, traduttore e creatore dell’unico dizionario Inglese/Yaghan (lingua patagone) esistente e conservato tuttora al British Museum di Londra. Ai più può sembrare nessuno, ma nella storia della colonizzazione della Patagonia è sicuramente l’uomo più importante.

Raggiungere la Estancia è un po’ lunga per via della strada dissestata, ma ne vale la pena perché ci troviamo a passare per boschi e vallate meravigliose e poi una volta giunti a destinazione, il posto è molto bello. Attualmente i proprietari (discendenti dal colono originario) hanno fatto della casa un bed&breakfast.

Per strada siamo passati per un posto colpito da venti fortissimi per tutto il tempo dell’anno, tanto che le piante stesse, quelle che ce l’hanno fatta sono cresciute deformate. Una in particolare, chiamata albero bandiera, è cresciuta così piegata che le fronde superiori toccano il terreno. Il tronco stesso è cresciuto in orizzontale ed è così famoso da essere immortalato in cartoline e souvenir.

Tornati ad Ushuaia andiamo all’ex carcere ora museo, trovando interessante la visita, soprattutto per la ristrettezza delle celle e le condizioni di vita cui erano sottoposti i carcerati. Poi la serata la passiamo a passeggio per la città dove la più alta concentrazione di vita è lungo l’Avenida St. Martin.

17 febbraio Oggi è una giornata di trasferimento. La nostra meta è El Calafate in piena Patagonia, raggiungibile in giornata con una bella tirata, ma bisogna tener conto del passaggio di due lentissime frontiere (che poi diventa 4) e il traghetto sullo Stretto di Magellano che oggi non ne vuole proprio sapere di farsi attraversare a causa dei fortissimi venti. Infatti perdiamo un paio d’ore solo per questo.

Poi, c’è da dire che durante il passaggio della seconda frontiera cilena, necessitavamo di un documento che il rent-a-car non ci ha fornito, forse per dimenticanza, per cui il funzionario doganale ci ha presi in disparte dicendoci: “sapete … senza quel documento non potreste passare la nostra frontiera … ma … con un’altra soluzione forse …”. Anche chi si guarda tutti i reality in tv capirebbe che “l’altra soluzione” sul dizionario dei sinonimi fa “soldi”. Al che noi fingendo appunto di non arrivarci a capire gli diciamo che fra 5 giorni dobbiamo ripassare per questa frontiera e “regoleremo” il tutto. Il funzionario ci dice: “Ah ok se dovete ripassare di qui. Quando ripassate chiedete di me. Io mi chiamo XXX”. Io:”Grazie XXX sei veramente una persona simpaticissima, magari in Italia ci fossero persone come te. A fra 5 giorni allora”. Ovviamente il nostro rientro in Cile lo faremo da un’altra frontiera.

Riusciamo ad arrivare a Rio Gallegos, la capitale dello Stato di Santa Cruz, a 300 km dalla meta, solo che a causa di un annullamento di un volo, tutti gli hotel sono pieni per cui non ci resta che alloggiare in una casa di riposo per anziani. Eh si … ci è toccato anche questa. Lo so, con i tour operator questo non sarebbe accaduto. Siamo stati trattati benissimo con una nostra stanza singola. L’unica differenza sta nei “compagni” di cena che ovviamente hanno dai 70 in su. Poi è anche economico.

18 febbraio Dopo un abbondante colazione e dopo aver salutato i nostri nuovi “amici” ottantenni, partiamo per El Calafate che raggiungiamo in tre orette abbondanti percorrendo anche la mitica “Ruta 40”. Dal nulla della Patagonia arriviamo al poco più di nulla di El Calafate. Si perché qui c’è un paese ben attrezzato, ma null’altro. El Calafate stesso è nato grazie alla presenza del Lago Argentino e dei ghiacciai attorno (Perito Moreno in testa).

Prendiamo possesso del primo hotel che ci capita di fronte snobbando quelli dalle 4 stelle in su. Trattasi di un mini hotel a conduzione familiare con proprietario impiccione che finché giri per i corridoi lui ti è dietro.

Comunque depositati i bagagli siamo già in auto per raggiungere il Perito Moreno che si trova a una quarantina di chilometri più avanti. Di strada sterrata, ovviamente.

Nell’arrivarci si inizia ad intravederlo, però solo quando te lo trovi di fronte vedi la sua imponenza. Una parete alta una cinquantina di metri (arriva in certi punti a 70) che si specchia sull’azzurro del Lago Argentino. Ogni tanto qualche seracco più o meno grande si stacca emettendo un suono simile a quello del tuono di un temporale agitando le acque del lago sottostante. Una meraviglia. E se poi ci metti anche che il cielo è limpidissimo, diventa ancor più bello.

Con una piccola scarpinata a piedi raggiungiamo l’altro versante, il più noto, dove con una serie di passerelle riusciamo ad avvicinarci di molto fino “quasi” a toccarlo. Essendo un ghiacciaio in avanzamento, ogni tot anni un lembo di ghiaccio raggiunge la terraferma creando uno sbarramento delle acque e dividendo in due il Lago Argentino. La pressione poi che esercita uno dei due laghi formatisi, diventa così forte da far collassare il lembo di ghiaccio stesso, attirando troupe televisive da tutto il mondo. L’ultima volta che si è registrato il fenomeno è stato nel 2004.

Restiamo al Perito Moreno per parecchio tempo, tempestandolo di scatti fotografici e poi ce ne torniamo a El Calafate per un po’ di shopping e per prenotare le escursioni dei due prossimi giorni.

19 febbraio Il programma di oggi è di fare un mini trekking sul Perito Moreno, per cui levataccia per raggiungere l’imbarcadero.

Fatta l’attraversata del breve tratto di lago ci troviamo con gli istruttori che ci danno dapprima un po’ di spiegazioni del ghiacciaio e poi ci portano con una breve passeggiata nel punto in cui si inizia a salire sopra al Moreno. Calziamo i ramponi ed iniziamo ad esplorare la superficie che non è per niente lineare. Anzi è tutto un susseguirsi di seracchi e crepacci talvolta imponenti. In tanti posti si sono formati dei laghetti di acqua azzurrissima ed alcuni dei quali portano in profondità tanto da metterci in guardia a non finirci dentro.

Il trekking dura un paio d’ore e viene festeggiato con un bel whisky finale con “ghiaccio” ovviamente.

Poi, dopo un pranzetto veloce ritorniamo a El Calafate per passare il resto della giornata.

20 febbraio Altra levataccia perché il programma di oggi prevede di passare interamente la giornata in navigazione per visitare gli altri ghiacciai cui il “Parco Nazionale Los Glaciares” è famoso, ovvero i ghiacciai Spegazzini, Uppsala, Onelli e Agassiz (perdonatemi se i nomi non sono scritti tutti esatti).

La navigazione è lunga e monotona e per fortuna è una bella giornata anche se stare all’esterno dell’imbarcazione fa un po’ freddino.

Ovviamente avendo visto il Perito Moreno, tutti gli altri sono piccole cose. Infatti sarebbe consigliato visitare dopo il Perito e prima gli altri. Però noi non lo sapevamo. Sarà per la prossima volta.

Comunque tutti sono degni di nota e si possono riassumere in: dei Perito Moreno in versione più piccola con le aggiunte che durante la navigazione per un lungo tratto verso l’Uppsala, abbiamo zigzagato per schivare degli iceberg. E poi una passeggiata di un quarto d’ora all’interno di un boschetto molto carino per vedere l’Onelli e l’Agassiz.

Rientriamo a El Calafate stanchi per la lunga giornata di navigazione.

21 febbraio Parte della giornata odierna la passiamo per il trasferimento da El Calafate a El Chalten, la “capitale” Argentina del trekking e dove, per gli alpinisti, ci sono due tra le più complicate montagne da scalare del mondo: Il Cerro Torre e il Cerro Fitz Roy.

La strada è in gran parte dissestata, però la distanza non è notevole per cui arriviamo nel primo pomeriggio.

El Chalten è un paese nato per servire gli amanti del trekking e dell’alpinismo. Non c’è un minimo di asfalto, le case sono tutte semplici e si fa molto uso della lamiera. Il vento sferza incessantemente alzando polveroni di terra che ti obbliga ad usare gli occhiali anche quando fa buio.

Avendo tempo a disposizione andiamo a fare un mini trekking di tre ore per raggiungere un “Mirador” delle due celebri montagne. Il trekking non è difficile e una volta arrivati si ha una bella veduta del massiccio.

Poi, ridiscesi, con l’auto siamo andati a Bahia Tunel che è l’imbarcadero per le crociere sul Lago Viedma da cui si può raggiungere l’omonimo ghiacciaio. Noi non abbiamo preso parte alla crociera perché di ghiacciai ne siamo già sazi. Il posto non merita gran ché se non per il paesaggio. E poi non c’è gente in giro.

22 febbraio Oggi sarà una giornata intensa. Il programma prevede un trekking di otto ore fino a raggiungere la “Laguna del Los Tres” il punto più panoramico delle due montagne, a due passi proprio del Fitz Roy e del Cerro Torre.

Con l’auto ci facciamo una ventina di km fino alla base di partenza per il trekking, e con calma iniziamo la salita che non è difficile se non in un paio di punti. Attraversando una serie di luoghi boscosi e non, ed incontrando altri appassionati, dopo 4 ore siamo di fronte alle due montagne. A dividerci da loro ci sono due piccoli laghetti di un colore blu intenso. La giornata è spettacolare. Nessuna nuvola. Niente vento.

Ce ne rimaniamo un bel po’ a contemplare il paesaggio e cogliamo l’occasione di consumare anche il rancio.

Poi iniziamo il ritorno passando per un altro sentiero ancor più spettacolare, soprattutto grazie a corsi d’acqua che spuntano un po‘ ovunque.

Ridiscendiamo da un’altra parte rispetto all’inizio della salita, per cui con l’autostop ci facciamo scarrozzare al luogo dove avevamo lasciato l’auto e siccome è ancora presto, ci inventiamo di raggiungere il “Lago Desierto” a una quindicina di km di strada. Il posto è stupendo ma la strada per raggiungerlo è da panico e con molti tratti in salita. Oltretutto ci siamo trovati di fronte un autocarro.

Il Lago Desierto è l’ideale per starsene in panciolle a non fare nulla, però noi ci rimaniamo il tempo necessario per scattare alcune foto e poi rientriamo a El Chalten.

23 febbraio Partiamo presto per raggiungere il parco nazionale delle “Torri de Paine”. Oggi lasciamo definitivamente l’Argentina per stabilirci in Cile.

Le Torri del Paine, come per il massiccio del Fitz Roy è una manna degli escursionisti e scalatori perché anche qui ci sono montagne abbastanza impegnative e i paesaggi sono di tutto rispetto.

Stranamente il valico delle due frontiere si è svolto tranquillamente e alquanto veloce (i realtà eravamo un po’ timorosi per via del funzionario dell’ultima frontiera, però è andata tutto bene), per cui arriviamo all’ingresso del parco nel primo pomeriggio, stabilendoci nell’unico hotel vicino alla base del trekking delle Torri. Si tratta di un hotel di categoria superiore, quindi lontanissimo dal nostro standard, però non c’era altro.

Avendo una buona parte di giornata con la luce ne approfittiamo per girare all’interno del parco con l’auto, spostandoci verso il Lago Pehoe da dove si ha una ottima visuale sul massiccio.

Ovviamente la strada è tutto un sali scendi e per di più dissestato, quindi ci mettiamo un po’ a raggiungere la meta. Poi il paesaggio merita più di qualche stop per essere ammirato.

Decidiamo anche di prenotare la stanza per la notte successiva in un hotel che è l’esatto contrario a quello in cui soggiorniamo stanotte. Sarà una stella scarsa, la luce viene tolta alle 11.

Passiamo il pomeriggio a scattare foto e la sera rientriamo nel nostro super hotel per rifocillarci a tal punto che prima di andare a letto dobbiamo fare un mini trekking per smaltire un po’.

24 febbraio Iniziamo il trekking di 4 ore per raggiungere il punto più bello e più vicino delle tre Torri del Paine. La giornata e spettacolare e senza nuvole. La salita è abbastanza semplice se non nell’ultimo tratto finale dove la pendenza e un ghiaione ci danno da fare. Poi molto spettacolare è il passaggio che fiancheggia un torrente e l’”accampamento Cileno”, una specie di rifugio per escursionisti.

Giunti sulla sommità ci si è aperto uno scenario indescrivibile. Nessuna nuvola. Le tre torri sono a portata di dito che si rispecchiano nel piccolo laghetto alla loro base. L’unico neo è il fortissimo e freddo vento che soffia incessantemente.

Ce ne restiamo qui per consumare il pranzo a sacco e per scattare una innumerevole serie di foto e poi con calma ridiscendiamo verso l’auto.

Terminata l’impresa, raggiungiamo l’hotel per depositare i bagagli e ce ne andiamo subito al Lago Grey che ha la particolarità della presenza di un grande ghiacciaio. Solo che il vento fortissimo e freddo ci fa rimanere poco tempo impedendoci di fare un mini trekking.

25 febbraio Finita la nostra vacanza nell’altro emisfero. Il programma di oggi prevede di rientrare a Punta Arenas per rendere l’auto dopo aver percosro in 10 giorni 3500 km e passate 4 frontiere Argentino Cilene. In aeroporto abbiamo l’aereo fra 12 ore, ma con un piccolo sovrapprezzo riusciamo a prenderne uno prima in modo da avere una mezza giornata a disposizione per visitare Santiago del Cile.

26 febbraio Un lungo volo ci riporta in Italia dopo aver trascorso 17 giorni dai tropici dell’Isola di Pasqua al posto più meridionale della Terra alle meraviglie della Patagonia. Un viaggio intenso tra i più belli da me fatti.



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