San Francisco, i parchi del West, Los Angeles. Tre viaggi in uno.

Da San Francisco alla Monument Valley, passando per i parchi del West. Un viaggio che non si dimentica. Con in testa gli spettacolari Bryce Canyon e l'Antelope Canyon
Scritto da: jackvis
san francisco, i parchi del west, los angeles. tre viaggi in uno.
Partenza il: 05/08/2010
Ritorno il: 26/08/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Viaggio programmato con mesi di anticipo, nottate insonni davanti al sito turisti per caso a leggere i vostri racconti, google map alla mano per capire le distanze. Venti giorni tondi nell’America del West.

Ecco le note generali sulla preparazione del viaggio.

Volo: comprato a metà marzo con US Airways a 810 euro a persona. Andata il 5 agosto Roma – San Francisco (con scalo a Charlotte), ritorno il 25 agosto Los Angeles – Roma. Aggiungiamo 40 euro d’agenzia, più atre 50 come assicurazione per il viaggio (in caso di annullamento). In totale 900 euro a persona.

Assicurazione sanitaria: dopo varie ricerche, abbiamo scelto per un’opzione non economicissima. Per evitare qualsiasi rogna abbiamo optato per una Globy rossa, stipulata in agenzia, al costo di 145 euro a persona.

Macchina: importantissimo, affittatela dall’Italia. Se lo fate sul posto, i costi possono raddoppiare. Noi per 16 giorni (dal 9 al 25 agosto), abbiamo pagato 346 euro su enoleggioauto (www.enoleggioauto.it). Dato che eravamo in due abbiamo optato per una classe “economic” (Classe Aveo). Preoccupati che fosse piccola, alla fine ci hanno dato una Chrisler HRR con i vetri fumée. Per due va benissimo. Con il senno di poi si poteva spendere 20 euro in più, ed avere una classe più spaziosa

Sul “cambio automatico” non vi spaventate. Basta giusto qualche minuto per prenderci il piede. Dato che non c’è la frizione, il consiglio è “quando entrate in auto, dimenticate di avere il piede sinistro”. Riprendetelo solo al check in di ritorno. Per venti giorni dovete solo usare il destro tra freno e acceleratore, tic tac, tic tac

Navigatore: è un optional molto utile. Noi per fortuna ce lo siamo portato dall’Italia, con tanto di mappe americane. Premessa, in America viaggiare è semplicissimo: nord, sud, est, ovest. Con una cartina si arriva ovunque. Il navigatore è utilissimo non tanto nei tratti extra urbani ma nelle città (a Los Angeles saremmo impazziti senza!)

Percorso: abbiamo voluto non perderci nulla. Natura e città, tutto insieme. Fondamentalmente lo abbiamo diviso in tre macro sezioni. San Francisco, Parchi del West e Los Angeles

Ecco le nostre tappe:

5 agosto San Francisco 6 agosto San Francisco 7 agosto San Francisco 8 agosto San Francisco 9 agosto San Francisco 10 agosto Monterey 11 agosto Three Rivers (Sequoia National Park) 12 agosto Lone Pine 13 agosto Las Vegas 14 agosto Springdale (Zion Park) 15 agosto Panguitch (Bryce Canyon) 16 agosto Moab 17 agosto Moab 18 agosto Bluff 19 agosto Page 20 agosto Grand Canyon 21 agosto Kingman 22 agosto Los Angeles 23 agosto Los Angeles 24 agosto Los Angeles 25 agosto partenza per Roma

Dormire: abbiamo preferito non optare per la scelta on the road. La scelta si è rivelata ottima. Con navigatore e letto prenotato ogni sera avevamo la comodità di viaggiare senza stress e senza perder tempo nella ricerca dei motel. Siamo sempre stati in motel comunque discreti. La catena dei “Motel 6” è la più economica. In genere non sono economicissimi (difficile trovare, in alta stagione, sotto i 70 dollari a notte) però sono estremamente pratici. Il vero risparmio consiste nel trovarne uno che abbia la colazione inclusa, ad esempio la catena “Quality Inn” (purtroppo ci siamo andati solo l’ultima notte, a Kingman). Ti permette di risparmiare 20$ che spenderesti altrove.

spesa finale: come preventivato, un viaggio non economico in due. In totale abbiamo speso circa 3000 euro a persona. Grosso modo 1000 euro per il viaggio e 2000 per tutto il resto. Se siete in coppia calcolate (tra macchina, albergo, pranzo e cena, spese extra) una quota di 100 euro al giorno (140 dollari). Inoltre quando siamo partiti (agosto 2010), il cambio dollaro-euro non era così vantaggioso (1, 41) rispetto solo a qualche mese prima. Comunque sono stati soldi spesi benissimo: abbiamo fatto tre viaggi in uno (cinque giorni a San Francisco, dodici in giro per i parchi, tre finali a Los Angeles). Con dei piccoli sacrifici, risparmiando sullo shopping (ne abbiamo fatto poco) e soprattutto sui ristoranti la sera (abbiamo optando sempre per piatti poco costosi con una media di 15 dollari a testa). Di “bisteccone” succulente ne abbiamo assaggiate poche. Io mi fermo qui, lascio il racconto a Rosa. È lei la storyteller del viaggio. E che viaggio…

Mercoledì 04 agosto 2010 ore 21.24 – Roma

Già so che questa notte non riuscirò a dormire, aspetterò la luce per correre verso l’America, quella vera. Ho immaginato troppe cose, adesso ctrl + alt + canc e faccio spazio alla realtà perché il sogno piano piano si assottiglia e diventa l’insegna di una meta ormai vicina.

Giovedì 05 agosto 2010 ore 10.00 – Roma – Aeroporto di Fiumicino

Ho naturalmente dormito come un ghiro, alla faccia della poesia. Sveglia alle 6 e 30 a Roma. Mi sono ripresa solo nell’esatto momento in cui ho addentato un fragrante cornetto di Vanni, nei pressi di Piazza Mazzini, poi dritti all’aeroporto. Qualche problema di parcheggio a Fiumicino ed eccoci qui, preoccupati ma già in “modalità aereo”. Manca poco all’imbarco e ancora devo stropicciarmi gli occhi, credere che finalmente il viaggio stia uscendo dalle pagine della Routard ed è qui davanti a noi. Beh, quasi… a meno che non abbia le sembianze di un signore tondo e assonnato. Nel nuovissimo Terminal 5 di Fiumicino, iniziamo l’imbarco. Rapidamente siamo davanti al gate, pronti ad imbarcarci per Charlotte.

Ore 17.49 Charlotte

Dopo nove ore e mezzo di volo atterriamo a Charlotte. Piccola digressione sulla compagnia US Airways: bah… io la sconsiglierei. Sedili strettissimi, hostess ma soprattutto stewart scortesi, e un pranzetto al sacco piuttosto misero. Poche cose hanno allietato il nostro viaggio: la signora oversized che non faceva altro che mangiare panini della catena My chef (ne tirava fuori uno ogni ora!) e il bambino-duracel che per tutta la durata del viaggio ha fatto avanti e indietro per il corridoio dell’aereo; appena atterrati ha devastato la quiete di tutti durante il controllo dei passaporti, povera mamma! Comunque la dogana e il controllo passaporti ci portano via moltissimo tempo (quasi un’ora) anche se Jack non sembra affatto preoccupato, io sono un po’ più ansiosa in questi casi ma cerco di assorbire un po’ della sua calma. Diciamo che inizio a preoccuparmi quando mi metto in fila per il secondo check-in (per San Francisco) e mi sembra davvero impossibile che sia così lunga. Poi Jack mi abbandona con le valigie per richiamarmi qualche minuto dopo: da bravi italiani riusciamo a parlare con un addetto e a farci imbucare in una sorta di corsia di favore. Arriviamo di corsa al gate, fortunatamente il nostro volo ha un ritardo di un’ora.

Fermi a Charlotte mangio il primo blueberry muffin di Starbucks, mi sembra la degna e morbida conclusione della giornata. L’eccitazione è più forte della stanchezza, (in realtà sono crollata in aereo già prima del decollo!) ci aspettano altre 5 ore di volo, che diventano 7 se contiamo le due ore di attesa sulla pista di Charlotte perché imperversava una tempesta!

Usciamo dall’aeroporto di San Francisco alle 23 e 30 ora locale. Prendiamo un taxi al volo e il primo incontro è da segnalare sul diario di viaggio: tassista indiano ubriaco che farfuglia qualche parola di inglese e soprattutto non sa dov’è il nostro albergo. Fa chiamate al cellulare e guida come un pazzo. Per fortuna il fuso orario ci rende docili. Dopo 40 dollari una corsa di 20 minuti ci scaraventava fuori dalla vettura lasciandoci al freddo della notte.

Raggiungiamo a piedi (20 metri) l’Adelaide Hotel, che abbiamo prenotato da Roma, dal quale ci spediscono poco lontano su Post Street (a due passi da Union Square). Ci mandano al normal”>Fitzgerald Hotel, poco distante. La nostra stanza è piccola ma molto accogliente, e silenziosa. Appena arrivati ci chiedono subito di pagare in anticipo. Il prezzo non desta sorprese, 480 dollari in totale per 5 notti in camera doppia (ovvero 369 euro). Quando la carta di credito striscia il lettore, Jack dice che siamo in America, Olè.

Venerdì 06 agosto 2010 ore 07.30 a.m. – Fitzgerald Hotel, San Francisco

Subito svegli, via a fare, nel basement dell’albergo, colazione, compresa nel prezzo. Con il senno di poi, ci accorgiamo che ciò costituisce un robusto risparmio di denaro perché in America costa praticamente quanto un pranzo. Noi ci accontentiamo di Beagles, french toast, burro, marmellata, caffè americano e succo d’arancia, niente di eccezionale ma ce la facciamo andar bene. Mentre Jack cede alla nutella, io sono già al secondo tazzone di caffè.

Usciamo alle 8 e 30, con la Lonely Planet in mano, pronti a un giro esplorativo per la città. Siamo a tre isolati da Union Square, il centro commerciale della città. Qui subito intravediamo i vari Levis Store a altri negozi. Ci promettiamo di fare shopping solo in serata. Detto fatto, dopo 150 metri ci facciamo ammaliare dalla conversione euro/dollaro ed entriamo nel primo negozio e compriamo un paio di Converse a testa (40 dollari l’una) e una felpa da H&M che si rivelerà utilissima.

Già con tre buste alle 9 e 20 del mattino, decidiamo di far tappa momentaneamente in albergo per lasciarle. Ripartiamo, questa volta, diretti al Visitor Center della città, a sud di Union Square.

Qui compriamo il three day pass, ci costa 20 dollari a testa ma così possiamo prendere tutti i mezzi pubblici che vogliamo. E a San Francisco servono.

Camminando, però, non posso fare a meno di notare la stranezza del clima e, di conseguenza, degli abbinamenti nel modo di vestire della gente che cammina per strada. Ho visto ragazze indossare il copricostume e il cappotto di lana con le infradito, altre con calze stivali e cappotto, altre ancora con stivali di pelliccia e cappello di lana. C’è un’escursione termica pazzesca, all’ombra è novembre, al sole è luglio. Un ottimo posto per beccarsi il raffreddore, procuratevi un foulard leggero per proteggere la gola dal vento. Magari portatevi anche un pile, anche se è pieno agosto!

Dopo una passeggiatina di mezz’ora, arriviamo all’Embarcadero, il nostro primo contatto con l’acqua. Qui l’antica stazione è stata trasformata e rimodernata in un moderno centro commerciale con tanti ristoranti molto particolari.

A pranzo scegliamo un posticino consigliato dalla Lonely, nel Financial District. Si chiama Boxed Food (in Kearny street) e per 22 dollari in totale prendiamo due ottime insalate di pollo e 2 acque. Unica pecca: una sola fettina di pane integrale con l’insalata. Per fortuna l’extra bread che ho sfacciatamente richiesto non lo abbiamo pagato, anche se il ragazzo in cassa mi ha guardata con due occhi alla “qui siamo in America tesoro!”.

Dopo pranzo ha inizio il giro a piedi consigliato dalla Lonely. Molto utile. Incontriamo prima Chinatown, incredibile e spettacolare. Il caos totale, siamo in Cina. Da lì in poi ci inerpichiamo sulle colline di San Francisco arrivando fino alla Coit Tower (da noi maliziosamente rimoninata “la torre dell’amore interrotto”), con 5 dollari si entra in un ascensore affollatissimo in cui si deve essere disposti ad attaccare la schiena, per non dire altro, al proprio vicino. Dall’alto la vista sulla baia a 360° è carina, ma preferisco contemplare e fotografare San Francisco dalla vicina Vallejo street dove c’è uno spaccato su tutta la città da lasciare senza parole. In più… è gratis.

Per finire ci dirigiamo verso Lombard Street (la via più ripida al mondo), un ammasso di turisti e pick-up che fanno il giro in auto per i tornanti.

Sono le 17,00 e inizia a fare freddo. Decidiamo di esplorare l’ultimo colle, The Russian Hill.

Alle 18.00 io torno in Hotel che ho i piedi a pezzi e le gambe doloranti, Jack va a prendere i biglietti del cinema, domani vedremo “Inception” in Imax. Non so quanto abbiamo camminato, ma abbastanza per essermi pentita d’aver indossato le Converse invece delle North face. Quello che mi tiene in vita è l’dea della cena a base di bistecca e patatine, credo d’essermela meritata.

Cena da Tommy’s Joint dove, come succederà per tutto il viaggio, io faccio la scelta sbagliata prendendo riso e salmone mentre Jack opta per il buffalo chili, la specialità della casa. La cena ci costa 25 dollari e il mio voto è appena sufficiente, ma forse dipende dal fatto che avevo gli occhi a forma di bistecca e patatine, che il menu non prevede. Il posto è cafonissimo, mi ricorda Kat’s a New York, l’insegna è abbastanza vistosa.

Nota di colore: un clochard ha sussurrato a Jack “you’re a lucky man”… facendoci sorridere.

Intermezzo su San Francisco:

E’ una città difficile da immaginare, quando poi la vedi ti rendi conto che è esattamente come viene descritta e allo stesso tempo sorprendente. Non so perché dicano che abbia uno spirito tutto europeo, è una città puzzle: dal quartiere cinese a quello messicano ogni angolo sembra essere autentico. A tratti mi ricorda persino Manhattan, o Londra… comunque freddo, freddo, freddo.

Sabato 07 agosto 2010 – San Francisco

Oggi andiamo ad Alcatraz, per fortuna il lungimirante Jack ha acquistato online, due mesi fa, i biglietti per il primo turno, quello delle ore 9… vogliamo arrivare quando l’isola è ancora vuota e assonnata, per giunta di posti non ce n’erano più fino a lunedì successivo. È un’esperienza bellissima che non dovete perdervi per nulla al mondo.

IMPORTATE: Comprate i biglietti on line per tempo (www.alcatrazcruises.com). Quando arriviamo ci rendiamo subito conto di quanto sia stato fondamentale vedere il film “Fuga da Alcatraz” una settimana prima della partenza. E’ come trovarsi sul set… eppure tutto questo è reale, era reale.

E’ davvero suggestivo, un brivido mi percorre la schiena quando l’aria gelida del mattino penetra insistente nelle fessure della felpa. Copritevi bene!

Subito dopo passiamo da Pier 39 dove Jack compra un paio di magliette carine a pochi dollari. Siamo vicinissimi a Fisherman’s Wharf e non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione di mangiare del pesce. Nonostante tutti i buoni propositi, non riusciamo a mangiare il granchio che invece vediamo gustare da tutti a ogni angolo di marciapiede. Lo servono in una pagnotta, sembrano tutti assuefatti da questa salsa rosata… ma noi ci innamoriamo follemente della frittura di calamari e gamberi di Tarantino’s. Per 20 dollari ci abbuffiamo e siamo più che soddisfatti, ci resterà il dubbio sul granchio…

Per far contento Jack visitiamo a pochi metri il Pampanitos, un sottomarino americano. Sono 10 dollari a testa e a meno che non siate appassionati di questa roba (parlo soprattutto per le donzelle) è una spesa inutile. Jack dirà che “era troppo curioso di vederne uno!”

Da lì prendiamo il bus numero 30 e poi il 28 (dove incontro una mia amica!) e raggiungiamo il Golden Gate Bridge. La pioggia e il freddo rovinano un po’ l’atmosfera. Per prepararvi al ponte, guardatevi prima il documentario “The Bridge”. Lo percorriamo tutto per 3 km e non contenti camminiamo fino a Sausalito, una piccola cittadina dove l’ultimo traghetto per San Francisco parte intorno alle 17, non abbiamo molto tempo. Il traghetto ci costa 20 dollari, lo sconsiglio a meno che non si abbia voglia e tempo di stare qualche ora a Sausalito, carina.

Sono le 18 e incominciamo ad essere stanchi. Una volta attraccati, riattraversiamo la città e torniamo in direzione Union Square, Tappa all’Apple Store e poi finalmente riusciamo a salire sul Cable Car (i famosissimi tram di San Francisco) per tornare a Fisherman’s Wharf. Jack vuole un hamburger e la Lonely consiglia il Burg In-out, peccato che non sia altro che una catena di fast food, un Mc Donald’s meno conosciuto. Spendiamo solo 10 dollari per un hamburger semplice per me e un doble double cheesburger per Jack, poi altro cable car e subito a letto.

Domenica 8 agosto 2010 – San Francisco

Auguri Jack! Oggi è il suo compleanno!. Ci aspetta un giro meraviglioso: Alamo Square e Le 7 sorelle, Mission e i murales, Castro e Milk Plaza. Tanti quartieri colorati, ognuno con una propria personalità. Sicuramente posti imperdibili che regalano un’anima leggera e divertente a San Francisco.

Dopo la visita ad Alamo Square, prendiamo un autobus in direzione Golden Gate Park. Vogliamo fare un giro per la “Central Park” di San Francisco ma la pioggia ci ostacola non poco. Ci troviamo davanti alla California Academy of Sciences, costruita da Renzo Piano ma l’alto costo del biglietto (30 dollari) ci desiste dalla visita. Un’occasione mancata, a pensarci adesso.

Dopo ci facciamo una passeggiata per Haight-Highsbury, quartiere che assomiglia all’East Village di New York. Case basse e personaggi stravaganti per strada. Per la sua mania da cinefilo Jack si imbatte in un gigantesco negozio di musica e dvd Amoeba Music (www.amoeba.com) dove compra 4 dvd! Poi scopriamo che si tratta del negozio più importante di tutta la città.

Prendiamo un autobus e ci dirigiamo verso sud, nel quartiere ispanico di Mission. Un posto imperdibile. A pranzo scegliamo La Taperia dove spendiamo 23 dollari, lo consigliamo anche se è possibile pagare solo in contanti. Con un burrito sullo stomaco ha inizio la vista del quartiere famoso per i suoi murales enormi. In giro c’è un’atmosfera molto frizzantina e passeggiando abbiamo notato dei locali molto carini, come Tartin e Delfina. La prossima volta ci faremo una capatina. Dopo andiamo nella vicina Castro, il quartiere omosessuale della città, che vediamo rapidamente, in meno di un’ora.

Alle 20 torniamo nei pressi di Union Square per andare a vedere Inception all’Imax. Film favoloso ed esperienza per gli amanti del cinema assolutamente da fare.

La cena questa volta la facciamo un po’ all’italiana, vicino all’albergo, da Uncle Vito’s: una pizza media in due per 13 dollari… onesta, niente a che vedere con la nostra in ogni caso.

Lunedì 9 agosto Berkeley, Santa Cruz, Monterey,

La mattina facciamo l’ultima colazione al Fitzgerald Hotel, poi ci rechiamo dalla concessionaria Alamo (distante 400 metri) per il recupero della macchina affittata dall’Italia. Ci rendiamo subito conto che la scelta di andare al mattino molto presto è la cosa migliore… piano piano la fila cresce e l’attesa è lunga.

Prima sorpresa: non dobbiamo lasciare nessuna caparra con la carta di credito! “It’s all right, sir”. Quando ci danno le chiavi e ci indicano la nostra auto io e Jack siamo senza parole, chiediamo se non ci sia stato un errore ma la targa non lascia alcun dubbio, è quella scritta sul foglio del nostro contratto. E’ molto più comoda di quanto ci aspettassimo e i vetri scuri ci fanno sentire più tranquilli per i bagagli. Jack ci mette poco a capire come usare il cambio automatico (dimenticatevi del vostro piede sinistro, se usate solo il destro è un gioco da ragazzi!) e qualche brusca frenata più in là siamo già sul Bay Bridge in direzione di Berkeley.

Il navigatore è una salvezza, risparmiamo moltissimo tempo. In mezz’ora abbandoniamo San Francisco e siamo a Berkley. Facciamo un salto veloce nel campus e dopo un caffè e un croissant tra gli studenti di una delle università più famose del mondo, ci avviamo verso Santa Cruz, famosa per il suo parco di divertimenti. Ad arrivare impieghiamo 1 ora e mezza. Qui Jack mi convince a fare le montagne russe (le più antiche d’America) e se ci penso ho ancora le gambe che tremano! Niente giro della morte ma io stavo per morire comunque.

All’interno mangiamo schifezze di cui mi pento subito, meglio il market appena fuori dall’ingresso. Saliamo in macchina e ci spingiamo ancora più a sud, fino a Monterey. Qui decidiamo di pagare 10 dollari per percorrere la 17 Miles Drive, una strada molto carina, che attraversa paludi e campi da golf. Nel nostro tour ci fermiamo anche davanti al Lone Cypress, uno dei simboli della California. Al termine della strada siamo arrivati a Carmel, una cittadina ultrasnob che invece ci cattura proprio per la sua atmosfera da Disneyland. Il muffin ai mirtilli in Carmel Plaza mi fa dimenticare il cielo ancora grigio e sarà il migliore di tutto il viaggio. Il sole si è visto poco anche oggi, ma per fortuna la temperatura è salita.

Torniamo indietro a Monterey, e arriviamo dritti al nostro primo motel. Siamo soddisfattissimi del Castel Motel dove con 72 dollari per una notte abbiamo una stanza silenziosa e internet. Il Motel è pulito, un po’ fuori dal centro città ma ci si muove facilmente e trovare un parcheggio non è difficile… Ovviamente al Motel non abbiamo di che preoccuparci, lasciamo l’auto davanti alla porta della nostra camera.

Se avete la Lonely Planet sulla California, sappiate che il ristorante Stokes di Monterey non c’è più. Indecisi ci siamo fermati per cena al Patio, un pub stile british dove abbiamo ceduto alle bistecche per 45 dollari in totale. Voto 7. Jack commenta così: “buono, ma non è che te senti male… a morì!”. Sta a voi trarre le conclusioni.

Martedì 10 agosto 2010 – San Juan Baptista, Sequoia National Park

Oggi facciamo la nostra prima benzina e appuriamo quello che per mesi abbiamo letto in altri racconti: si paga prima. Ma non ci sembra così difficile o drammatico come qualcuno aveva descritto, basta poco per capire la capacità della propria auto e la quantità di benzina. Noi abbiamo fatto benzina (20 dollari) ogni volta che il serbatoio arrivava a metà, per non rischiare inconvenienti. Di domenica è molto difficile trovare benzinai aperti se si percorre il deserto, anche se siamo riusciti a sfruttare il distributore automatico con la carta di credito. Non sempre funzionano.

Appena partiti, Jack vuole fare una deviazione. Ci dirigiamo a San Juan Bauptista, set del film Vertigo (“La donna che visse due volte) di Hitchcock. Davvero bello e suggestivo, deviazione che mi è piaciuta molto. Il monastero è quasi spettrale, i giardini sono pieni di rose colorate e c’è un silenzio che rende ancora più godibile lo spettacolo dall’alto sulle montagne e le valli. Finalmente il sole! La temperatura sale man mano che ci allontaniamo da San Francisco, il paesaggio si accende.

Mentre siamo in direzione del Sequoia facciamo una tappa al Wal Mart dove, come suggerito da numerosi di voi, acquistiamo un cooler in offerta a 20 dollari. Io ero titubante sull’utilità del mini-frigo, ma per fortuna Jack è stato insistente. Devo ammettere che avere bevande sempre fresche quando si percorrono stradoni soleggiati e la temperatura supera spesso i 35 gradi, è una vera salvezza. Tanto più che in America il ghiaccio è gratis in tutti i Motel.

Arriviamo a Three Rivers che è ora di pranzo così proviamo il We Three, poco più avanti del Sequoia Motel (che a proposito, è il peggiore in cui siamo stati… e uno dei più cari! Per una notte abbiamo speso 99 dollari). Abbiamo fame e ci dirigiamo al We Three Bakery, con 20 dollari mangiamo un hot dog Jack e una mega insalata scondita io. Andate dritti sugli hot dog e le omelette, tutto il resto non vale la pena.

Rifocillati, ci muoviamo in direzione del Sequoia National Park, sono le 15 e ci sembra già tardi, in realtà in un paio d’ore riusciamo a fare tutto quello che avevamo pianificato.

Al Sequoia facciamo anche l’annual pass, sono 80 dollari (a macchina) ma conviene se come noi si ha intenzione di visitare diversi pachi nazionali.

Arriviamo al parco che sono le 4 e mezza. Il parco è sempre aperto, noi ci siamo spostati in macchina fermandoci lungo il percorso nei punti panoramici segnalati sulla mappa (che si riceve ad ogni ingresso). L’attrazione principale è il General Sherman, l’albero più grosso della terra. A vederlo fa decisamente impressione per lo spessore del suo tronco, ma il paesaggio è ancora abbastanza comune e non ci entusiasma più di tanto. Alle 17 la luce è decisamente la migliore e proprio a quell’ora facciamo in modo di essere in cima a Moro Rock dove possiamo godere del panorama sulle sequoie e la valle. Ci dispiace non avere abbastanza tempo per vedere la parte a nord del parco e percorrere la scenic-by-way come consigliato dalla guida.

Mercoledì 11 agosto 210 – Yosemite Park, Lone Pine

Oggi guido io. Facciamo benzina, spesa al market e partiamo. Il nostro viaggio è un’escalation di emozioni. Sarà la tratta più lunga. La nostra meta finale è Lone Pine, in linea d’aria dista 100 chilometri da Three Rivers. Per raggiungerlo si è però costretti a “circumnavigare il Sequoia”. Ma anziché passare da sud, non siamo ancora più matti e vogliamo passare da nord, attraversando tutto lo Yosemite Park attraverso la Tioga Road e poi scendendo giù sulla statale 395.

Sveglia allora alle 7 e lasciamo velocemente il Sequoia Motel e andiamo in direzione nord. Dopo due ore arriviamo all’imbocco dello Yosemite Park, lato est. Un parco che si è rivelato una bellissima sorpresa. Molti commenti di turisti italiani lo sconsigliano descrivono come “simile alle Alpi”. Jack che è stato in Trentino Aldo Adige per dieci anni, dice: “Magari fossero così le Alpi!”. In questo caso, la Lonely Planet ci aveva pienamente azzeccato.

Il villagio prima del parco è Mariposa in due ore siamo a Glacier Point, da dove si assiste ad uno spettacolare panorama con la vista sull’intera vallata con davanti la roccia bianca (la Half Dome) levigata. Peccato perché lo attraverseremo solamente. Sarebbe stato bello starci un altro giorno, per fare un bel percorso.

Dopo aver pranzato in un market nei pressi del Visitor Center, inizia “la strada”.

Il vero must del parco è infatti la Tioga Road (la numero 120), la strada che attraversa il parco da ovest ad est. Paesaggi spettacolari, soprattutto la parte finale. Il punto più bello è Olmsted Point: la pietra bianca dona risalto al verde dei pini e del muschio. Jack è più entusiasta di me. Rispetto alla parte del Sequoia che abbiamo visitato, questo parco ci cattura di più. Riprendiamo la macchina e continuiamo verso ovest, scavalchiamo il Tioga Pass. Spettacolare la discesa tra le rocce fino a incrociare la 395.

Sono le 6 di sera e ci attendono ancora due ore di macchina. In serata raggiungiamo Lone Pine, e scegliamo di mangiare in un posto cafonissimo suggerito dalla Routard, il Mt Whitney Restaurant.

Molto carino come arredamento, pieno di fotografie di cowboy al cinema (Lone Pine è stata la location di moltissimi western) ma piuttosto scarso sulla cucina, voto 6. Non vale la pena spendere 60 dollari per due misere bistecchine, gli hamburger avevano invece un bell’aspetto. Pazienza e ci fiondiamo a dormire. Domani il viaggio cambia marcia. Si va nel deserto.

Giovedì 12 agosto 2010 – Death Valley, Las Vegas

L’idea è quella di partire da Lone Pine all’alba, sveglia alle 5 e rapida tappa al Market per comprare qualcosa di commestibile per la colazione. L’unico benzinaio aperto in città è un indiano il cui figlio si trova a Roma, così tra una chiacchiera e l’altra sono già le 6,30 quando riprendiamo la macchina. Alle 9 siamo al Visitor Center, abbiamo solo fatto una tappa intermedia per vedere le dune di sabbia… uno spettacolo! Come sempre gentilissimi i ranger del posto, che ci consegnano la mappa e ci danno utili consigli su cosa vedere.

La Valle della morte ci stupisce, finalmente non riusciamo a staccare gli occhi dal cielo. E’ ufficialmente iniziato il nostro viaggio on the road. La nostra classifica vede in testa Dante’s View e Artist Drive che andrebbero decisamente visti alle prime luci dell’alba. Zabrinsky Point non è da meno.

Eravamo preoccupati per il clima (la temperatura massima ha raggiunto i 106°F, circa 42 gradi prima di mezzogiorno), in realtà non abbiamo neanche acceso l’aria condizionata. Acqua consumata 3,5L in due + 1 gatorade e 1 coca light. Per pranzo abbiamo comprato un panino per 7 dollari al market di Furnace Creek, decisamente da evitare premunendosi prima o aspettando di uscire dall’area turistica. E comunque, oggi abbiamo incontrato solo italiani…

Verso l’una il caldo incomincia a farsi sentire e ci dirigiamo verso Las Vegas, la città del lusso. Ci avevano consigliato di arrivare a Vegas nella notte, purtroppo per noi i piani erano diversi ma dev’essere un’emozione pazzesca scoprire quel formicolio di luci accendersi dal nulla dopo ore di deserto. Ecco una tappa del nostro viaggio che avevamo sottovalutato. Las Vegas è un museo a cielo aperto. Alloggiamo in una catena dei Motel AMERICA’S BEST VALUE, accanto all’ MGM Hotel (quello con la sfinge). Ottimo il prezzo, circa 47 dollari per una camera.

Non vi fate ingannare dall’apparenza, la febbre da gioco non è l’unico richiamo della città. Come dice Jack, “Il gioco d’azzardo sta a Las Vegas, come la funzione del telefono all’iPhone”. Praticamente nulla. Ogni hotel occupa più di un isolato. La strip è infinita, si cammina tantissimo, troppo, una notte non basta. A cena ci fermiamo in un posto che diventerà uno dei nostri preferiti: Denny’s. Bella scoperta!

Ha inizio così il tour degli alberghi: il Paris ci colpisce più di tutti, con la capitale francese ricostruita alla perfezione, visitiamo poi il Bellagio con le sue fontane, il Venetian, il Luxor e Wynng. Ci mettiamo 4 ore! Torniamo in motel inseguendo sulla Strip l’autobus a due piani (5 dollari a testa).

Venerdì 13 agosto 2010 – Springdale, Zion Park

Sveglia non così presto, si ricarica il cooler con del ghiaccio e si parte. Dopo due ore di viaggio, entriamo nello Utah e capisco subito che ho un debole per questo luogo color terra. Dominano i colori del rosso, porpora e marrone. Anche la strada cambia, il verde si accende ancora di più.

Il nostro motel, lo Zion Motel, è il migliore tra tutti (89 dollari una notte) bellissimo. Si trova a Springdale, una cittadina bella bella bella. Tappa obbligata al Fruit Co. un posto che sembra gestito da Amelie, non si può fare a meno di notare la casetta in legno immersa nel verde e attorniata da panche e tavoli anch’essi in legno dove la gente si rilassa al sole mangiando solo cibo biologico. Noi prendiamo due focacce multicereali con provolone e tacchino e due normal”>smoothies original (fragola e banana). Per 23 dollari in due ne vale assolutamente la pena, ci torniamo anche il giorno dopo.

Iniziamo a esplorare il parco. Non si può entrare con la macchina. Si può utilizzare solo il servizio Navette, gratuito ed efficientissimo, passa ogni 10 minuti e noi abbiamo una fermata proprio davanti al nostro motel. Nel nostro primo viaggio, incontriamo sul bus una famigliola americana divertentissima: papà biondo, circa 30 anni, occhi azzurri e orecchie a sventola. Moglie bionda, tonda con un bambino in braccio, biondo, occhi azzurri e orecchie a sventola. Alla sua sinistra altro bambino più cresciuto, biondo, occhi azzurri e orecchie a sventola. Alla destra del papà fratellino biondo, occhi azzurri e orecchie a sventola. E poco prima di scendere il papà fa segno a qualcuno che sta in fondo all’autobus, c’è un altro bambino… biondo, occhi azzurri e… orecchie a sventola! Insomma, una bella fantasia!

Quando iniziamo il primo trail è già il primo pomeriggio allo Zion Park e optiamo per le escursioni brevi riservandoci il resto a domani. Quando torniamo in motel ci rilassiamo un po’ in piscina, ma il sole scompare presto dietro la roccia rossa del canyon. Ci prepariamo per la cena, andiamo da Gourmet Grill che consigliamo. Scegliamo due hamburger a metà, con le migliori patatine fritte di tutto il viaggio.

Io ho scelto il green cheesburger (con guacamole), Jack il blue cheesburger. Totale 23 dollari in due. Il posto poi è molto carino, si mangia all’aperto su tavolini in ferro battuto con la vista sulle montagne dello Utah e tanto silenzio intorno. Ho un bellissimo ricordo di una serata calda e piacevole.

Note:

– Lo Zion Park è decisamente sottovalutato dalle guide e da tutti. Correte a vederlo sia per il paesaggio quanto per l’atmosfera che si respira nella cittadina di Springdale.

– Le lancette dell’orologio si spostano in avanti di 1 ora.

– I tempi dei trail non corrispondono mai a verità, si deve calcolare sempre la metà di quello che c’è scritto sulla guida. Se c’è scritto: “Due ore e mezza per arrivare alla fine”. Dopo un’ora e dieci siete arrivati. Facile.

– Avere a portata di borsa le aspirine americane può essere utile.

Sabato 14 agosto 2010Zion Park e Bryce Canyon

Sveglia alle 6,20, come ogni mattina rimettiamo tutto il disordine in valigia e carichiamo la macchina prima di andare a far colazione da Willy’s. Finalmente faccio una colazione sana di yogurt, cereali, frutta freschissima e un franch toast squisito. Jack non rinuncia ai suoi soliti pancake, ma quelli di Willy’s sono davvero enormi e non ce la fa a mangiarli tutti. Siamo pronti per l’Angel’s Devil Trail che ci porterà in cima ad una delle rocciose montagne dello Zion.

Partiamo il percorso dalla fermata Grotto alle 8.30 e già alle 9.30 siamo già al punto critico… per continuare il trail e raggiungere la vetta occorre tenersi a delle catene arrampicandosi senza alcuna protezione. Io provo, ma pochi passi più in là torno indietro a fatica con le gambe che tremano. E’ ufficiale: soffro di vertigini. Il battito accelera, le gambe tremano, perdo la salivazione e capisco che devo rinunciare. Jack è troppo eccitato e decide di andare da solo.

Aspetto Jack al sole di una roccia e sento una voce maschile borbottare: “I wait right here, I have no intention to go up there!”, subito dopo vedo una donna gracilina con i capelli corti e bianchi avanzare da sola verso il sentiero. Sorrido. Lui si siede al sole accanto a me, è magro con i baffi e indossa un berretto, se fosse un po’ più in carne sarebbe identico a Super Mario.

Anche Jack torna indietro preoccupato per me, ma quando capisce che io seduta lì al sole tranquilla in “modalità lucertola” sto benissimo, decide di riprovare. Nel frattempo anche la moglie di Super Mario torna indietro, credo sia arrivata al primo punto panoramico.

Da qui la vista è già pazzesca ed è molto piacevole stare al sole… sono ancora le 10 e non fa troppo caldo, un venticello leggero scompiglia i capelli e mette quasi sonno. In attesa di Jack faccio amicizia con una mamma che arriva dalla Pennsylvania, il marito e i due figli stanno scalando la roccia ma lei ha deciso di non andare, ha avuto paura dell’altezza ed è un po’ in ansia per il resto della famiglia. In effetti questo trail non è da sottovalutare, di storie tristi da raccontare ce ne sarebbero diverse.

Jack torna dopo un’ora esatta, tiro un sospiro di sollievo, è stanco ma molto contento d’esser arrivato fino in cima. Ci meritiamo una buona focaccia al Fruit Co. Jack ci tiene a dire: “fatelo ad ogni costo, ne vale la pena”. Io non lo farei mai e poi mai.

Ripartiamo subito alla volta del Bryce Canyon, una tappa molto attesa. Dai racconti sembra la tappa più bella. Guido io. Dopo un’ora e mezza siamo quasi arrivati. A qualche miglio di distanza ci fermiamo a scattare qualche foto al Red Canyon che sembra davvero finto con sopra quel cielo blu e le nuvole tonde. Finalmente entriamo nel parco, mostriamo il nostro annual pass e via verso il visitor center. Ci rechiamo a vedere il canyon. Partiamo dal punto più lontano e ci facciamo tutti i view point al contrario. La vista è coperta dagli alberi, non mi sembra spettacolare. Ma dopo venti minuti, scendiamo dalla macchina, facciamo una salita e improvvisamente… il Bryce ci appare in tutto il suo splendore.

Uno spettacolo ci lascia senza respiro. Jack continua a dire che è incredibile e lo osserva da ogni angolazione scattando foto senza fermarsi. Io me lo godo più lentamente, lo assorbo a piccole dosi assaporando i colori del rosso, cercando la luce giusta per le mie foto. Ci piace Inspiration Point, al calare del sole l’emozione scalda il cuore. Abbandoniamo l’idea del tramonto, il sole va a dormire dal lato opposto e le ombre non lasciano spazio alla luce che si assottiglia sempre di più. Jack aveva già fatto benzina nei pressi di Springdale, così il serbatoio è ok, ci avviamo verso il Purple Sage Motel nella vicina Panguitch che va benissimo (89 dollari) e, con mia grande gioia, trovo anche il phon per capelli. Sfatiamo il mito: solo la metà dei motel ne ha uno!

A cena andiamo da Cowboy Smokehouse su Main Street che consigliamo di prenotare presto, noi abbiamo aspettato 45 minuti e siamo stati tra i più fortunati. Abbiamo speso 35 dollari in due, voto 8. Forse il migliore di tutto il viaggio, nonostante numerosi insetti che svolazzavano.

Domenica 15 agosto 2010 – Bryce Canyon, Moab

Colazione nell’unico bar aperto, il Flying. La cameriera bionda è scortese a dir poco, la perdono solo perché per 5 dollari mi porta tre fette di french toast caramellate con una buonissima confettura di fragole fatta in casa che mi fa dimenticare tutto. Mentre cerco di non pensare alle calorie che sto per assumere, Jack esagera come al solito e poi mangia solo il pancake lasciando tutti i suoi toast. Totale 20 dollari.

Facciamo altri 20 dollari di benzina e ripartiamo verso il Bryce. Oggi vogliamo camminare in mezzo alle guglie. Siamo contessimi di aver dato ascolto al ranger scegliendo di iniziare il trail da Sunrise Point (Queens Garden Trail) risalendo poi per Wall Street (Sunset Point). Impieghiamo giusto un’oretta, dalle 9 alle 10, e notiamo che molta gente sceglie di percorrerlo nel senso opposto, vi consigliamo però la nostra opzione. Il trail è bellissimo, si scende nel canyon circondati dall’oro delle rocce e si risale tra angoli di luce e colori meravigliosi. Jack sembra un bambino, è impazzito per il Bryce!

Ripartiamo senza perdere troppo tempo perché per arrivare a Moab scegliamo la strada più lunga, nonché la più bella (UT12 poi la UT24). Snobbiamo le 3 ore di autostrada per impiegarne ben 5. Ma ne vale davvero la pena! Ho guidato io e così mi sono persa un po’ di foto, ma quel paesaggio lo porterò per sempre negli occhi. Oggi è domenica e non è stato semplice trovare un benzinaio aperto, l’unico era ad Escalante, ma lo abbiamo visto solo dopo aver utilizzato il distributore automatico. A volte la carta da qualche problema, ma basta non arrendersi… siamo in America, no?

Prima di arrivare a Moab, facciamo una deviazione a sinistra per Canyonland. Un parco che a me è piaciuto moltissimo – un po’ meno a Jack – e la vista continua a lasciarci interdetti ogni volta che scorgiamo un sasso colorato o quando ci affacciamo dai view point e scopriamo l’immensità degli spazi intorno a noi. I colori caldi, le nuvole spaparanzate all’orizzonte, il sole, il cielo di un azzurro deciso, il sinuoso corso del fiume Colorado… il paesaggio è sempre indescrivibile. Tutto è meraviglioso. Facciamo anche in tempo a visitare il minuscolo parco Dead Horse Point View Park.

Arrivati a Moab, troviamo facilmente il nostro motel, il Red Stone Inn (190 dollari per due notti), che ci piace anche questa volta. La stanza è piccola, ma c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno. Voto 8/9. Anche la cena è stata buona, il posto (consigliato dalla Routard) è il Moab Brewry. Voto 7. Totale 34 dollari in due per pollo alla griglia e patatine.

Lunedì 16 agosto 2010 – Arches National Park

Secondo giorno a Moab, colazione in un posto simpatico che da subito mi conquista: l’Ekletikcafè. Io ho preso un blueberry scone enorme e un biscotto al cioccolato e Jack non ha saputo rinunciare ai suoi french toast con burro e marmellata e una sana coppa di frutta. Totale 15 dollari.

Ci dirigiamo verso l’Arches National Park, oggi tutto il giorno è dedicato a questo parco. Già la prima tappa vale l’intero ingresso. Bellissimo il trail “Park Avenue”, sono circa 30 minuti ad andare e altrettanti a tornare. Mi ha emozionato molto più degli archi e, non so perché, l’ho trasmesso anche nelle foto che in effetti sono venute molto bene. Tra l’altro Jack non sta nella pelle perché mi dice che qui hanno girato la scena iniziale di “Indiana Jones e l’ultima crociata”.

Continuiamo gli altri giri, in mezzo agli archi di roccia ma il tempo si mette male. Qualche goccia di pioggia, e torniamo indietro a Moab per pranzo. Andiamo al Moab Dinner, un onesto fast food, dove mangiamo bene e spendiamo solo 20 dollari. Dopo un temporale di un paio d’ore, riprende il bel sole e torniamo all’Arches National Park. La nostra missione è il famoso Delicate Arch al tramonto. Lasciamo la macchina e ci incamminiamo per un’oretta. Alla fine la vista è spettacolare. Il Delicate è il simbolo dello Utah e il tramonto rende la sua roccia ancora più rossa, il paesaggio si allunga, la vista arriva in fondo alla valle. E’ davvero uno spettacolo da godere insieme ad altre decine di persone appollaiate sulla roccia. Di sotto volano bottigliette e qualche volta anche obiettivi, state attenti! Anche la discesa all’imbrunire ci regala nuovi sospiri.

Tornati a Moab ci fermiano da Denny’s anche stasera, è l’unico posto sempre aperto… ed è il primo locale che si incontra venendo dal parco. Stasera facciamo anche una lavatrice in motel con 2 dollari e 50, i quarti di dollaro ci sono stati utili in diverse occasioni quindi ne abbiamo sempre tenuto qualcuno in più da parte in macchina.

Martedì 17 agosto 2010: The Needles, Monument Valley

Anche stamattina facciamo colazione all’Ekletikcafè, ma questa volta Jack sceglie uova, patate e pancetta. Io per certe cose sono, come dire, tradizionalista, non posso rinunciare al dolce e soprattutto al solito blueberry scone. In totale spendiamo 20 dollari.

Facciamo altra benzina e partiamo. La prima tappa è il parco poco conosciuto The Needles, ancora nello Utah. Inizialmente ci delude, i primi trail sono noiosi e io vengo praticamente assalita dalle zanzare. Poi arriviamo fino ad Elephant Hill e decidiamo di addentrarci solo per un po’. Questa volta abbiamo seguito il consiglio di un ragazzo proprietario di un negozio di fotografia a Moab. Il panorama è bellissimo, la vista è pervasa da rocce a forma di fungo (o elefanti?) marroni e bianche. Jack è entusiasta, siamo completamente soli, come al solito gira intorno a tutte le rocce e scatta milioni di foto. Torniamo in macchina e proseguiamo per Bluff, ci fermiamo al paesino, Monticelli, dove finalmente mangiamo un buon panino: baguette con pollo, insalata, mozzarella e pesto. Il locale è molto carino, si trova di fronte alla stazione di servizio e serve anche ottimi dolci e smoothies. Abbiamo speso 20 dollari.

A Bluff arriviamo per le 16.00 e – consigliati dalla proprietaria del nostro motel Red Capture Lodge (71 dollari con colazione inclusa la mattina, dovete giusto mettere dei dollari in un cestino come un’offerta) aspettiamo un’oretta prima di muoverci in direzione della Monument Valley.

Partiamo alle 17.00 per essere lì alle 18.00. Non l’avessimo mai fatto! Jack è deluso, non c’è abbastanza luce per le foto. Vorrebbe arrivarci sotto, ma non si può e gli resta l’amaro in bocca. Io riesco a vedere oltre le ombre e trovo che la Monument sia spettacolare anche all’imbrunire. L’ingresso costa 5 dollari a persona e se non piove va benissimo qualsiasi automobile per percorrere la strada sterrata… Non serve il giro sui pulmini dei Navajo.

A cena ci siamo fermati nei pressi del Mexican Hat, al San Juan River Cafè, altrimenti avremmo rischiato di non mangiare (e a questo punto del racconto avrete capito che per noi è praticamente fondamentale). Alle 21 i ristoranti sono tutti chiusi. Per 25 dollari prendiamo due tacos e una birra. I tacos sono vere e proprie pizze fritte coperte di insalata, fagioli e carne. Il solo pensiero pesa 2 chili.

Mercoledì 18 agosto 2010 – Monument ValleyPage

Partenza alle 9.00 da Bluff, direzione Monument Valley. Again. 15 dollari di benzina per iniziare, acqua e via. Purtroppo il sole è capriccioso, il cielo non è per niente sincero e c’è il rischio che venga giù un acquazzone da un momento all’altro. Jack non è contento e vuole rifare il giro. Decidiamo di rifare il percorso nella Valley Drive fino al John Ford Point, alle 11.00 siamo già fuori in direzione di Page. Il nostro obiettivo è adesso il tanto decantato Antelope Canyon. Siamo molto curiosi.

Dopo due ore siamo in città. Pranzo, ancora una volta sotto consiglio della Routard, al Ranch House Grill di Page con 23 dollari in due. Il pomeriggio – uggioso – lo spendiamo sul Lake Powel e sulla diga. Purtroppo piove e l’Antelope Canyon è chiuso. Decidiamo comunque di prenotare il tour di domani, attraverso l’agenzia Antelope Canyon Tours su S. Lake Powell Blvd, la cui proprietaria navajo, dalle movenze napoletane, per 32 dollari (a testa) ci assicura il rimborso del biglietto in caso di mal tempo. L’appuntamento è per domani alle ore 10. Sulla stessa via abbiamo provato anche la Antelope Canyon Adventure, dove era tutto pieno e non rimborsavano la cifra spesa in caso di chiusura.

Per cena niente ristorante ma spesa da Wal mart, tanta frutta e yogurt per 15 dollari. Stasera ci rilassiamo al Motel 6 (81 dollari la stanza), il tempo è perfetto per starsene dentro a guardare la pioggia che si alterna al tramonto rosso fuori dalla finestra. A proposito, sconsiglierei il “Motel 6”. Niente da dire sulla pulizia delle stanze, ma è troppo impersonale e non c’è il wifi gratuito, solo un pc nella hall che consente di navigare, ma non di accedere alla posta personale.

Giovedì 19 agosto 2010 – Upper Antelope Canyon e Grand Canyon

Alle 6.00 del mattino apro gli occhi al rumore della pioggia discreta che picchietta sul davanzale della finestra e sveglio Jack con un lamento, temiamo di non riuscire a vedere il canyon. Ma alle 8.00 splende di nuovo il sole e anche qualche spiraglio di ottimismo. Colazione al Ranch House Grill, io prendo una porzione di torta di mele e dello yogurt, Jack è affamato e ordina pancake con uova e pancetta. Spendiamo i soliti 20 dollari e poi facciamo anche benzina.

Ci rechiamo all’appuntamento alle 10 per andare all’Upper Antelope Canyon. La fortuna ci assiste. Il tempo regge. Il rischio di pioggia, a detta del ragazzo che ci fa da guida, è molto alto negli ultimi tempi e il canyon è chiuso quasi 3 volte a settimana. Ma, se potete, correte il rischio!

Dall’agenzia saliamo su un pick up che ci porta direttamente al canyon. Già la compagnia è piacevole:

Non poteva capitarci gruppo migliore, un’intera famiglia americana in stile nip/tuc, molto numerosa, decisamente simpatici e un’ottima guida, un ragazzo nato a page che ci ha svelato tanti bei segreti su come scattare delle belle foto all’interno del canyon. Il consiglio è di portare il cavalletto e di impostare il bilanciamento del bianco della reflex su “nuvoloso”. E’ stata un’esperienza bellissima, data anche dal forte rischio che abbiamo corso di non vedere un simile spettacolo. Assieme a Bryce Canyons e Canyonlands, questo è il luogo più bello di tutto il viaggio.

Tornati in città, ci rechiamo a Horseshoe band per la vista pazzesca dentro il Canyon e via in direzione del Grand Canyon. Arriviamo verso il tardo pomeriggio, in tempo per vedere i primi punti panoramici e il tramonto a Yaki Point. Il primo impatto con il Canyon ci delude un po’. Dopo il check-in al Yavapai Lodge (340 dollari per due notti) e una necessaria doccia decidiamo di mangiare in uno dei pochi posti economici del Grand Canyon Village, il ristorante dell’albergo Bright Angel. Con 27 dollari prendiamo una bistecca io e un cheesburger con patatine Jack. Abbiamo trovato posto appena in tempo, è necessario arrivare entro le 20. Anche per il parcheggio qui è più difficoltoso, un po’ inventiamo e ci va bene. La mia bistecca alla Harvey Milk mi soddisfa, Jack dice d’aver mangiato hamburger migliori. Ad ogni modo, il Bright Angel Restaurant ha prezzi davvero accessibili per trovarsi nel cuore del Canyon. Lo consigliamo.

Note: da Wal Mart abbiamo incontrato lo stesso gruppo di amici conosciuti sulla Monument.

Venerdì 20 agosto 2010 – Grand Canyon

Sveglia alle 7 dentro al Canyon, il Yavapai Lodge è uno dei motel più economici del villaggio e occorre prenotarlo con largo anticipo. Dopo una colazione alla caffetteria in Market Plaza (20 dallari per yogurt, cereali, croissant, pancake e caffè) facciamo tappa al General Store accanto dove compriamo una baguette, provolone e tacchino, acqua per 15 dollari.

Oggi facciamo il Bright Angel Trail, il trail più popolare di tutto il Grand Canyon, fino alla prima tappa.

Lo sconsigliamo, stessa vista per tutto il tempo, cattivi odori, niente di eccezionale a meno che non si decida di arrivare in fondo al Canyon. Per farlo si devono calcolare 8 ore di cammino, chiedere 6 mesi prima il permesso di dormire nella valle ed è un trail per escursionisti esperti. Le persone che volano di sotto sono circa 16 all’anno, non troppi… ma la cosa comunque non conforta.

Anche se sulla mappa il nostro percorso è calcolato in 2-4 ore, noi ne impieghiamo 1 e 40 per 4.0 Km. Subito dopo prendiamo lo shuttle per la South Rim (non accessibile in auto) e arriviamo a Pima Point dove decidiamo di camminare fino alla fine, Heremit’s Rest, e mangiare la nostra baguette al fresco di un albero, su uno dei tavolini in legno da pic-nic. Ottima scelta!

Gli shuttle passano ogni 10 minuti, le attese non sono molto lunghe anche quando la fila sembrerebbe dire il contrario.

Riprendiamo la navetta a Mohave Point e poi torniamo indietro camminando a piedi nonostante il micro-temporale senza conseguenze. Riprendiamo l’auto e rifacciamo tappa al General Store per comprare la colazione di domani che faremo in camera molto presto.

Note curiose: oggi abbiamo incontrato la signora dell’Angel’s Trail dello Zion con tutta l’allegra famigliola. E’ stato molto divertente. Nel frattempo un gruppo di francesi sono stati costretti a scendere dallo shuttle perché litigavano animatamente davanti ai bambini.

Voto sul Grand Canyon? 6 ½ per me.

A cena ci fidiamo ancora una volta della Routard e ce ne andiamo a Tusayan, cittadina al di fuori del parco, per andare allo Yippi-Ei-O Steakhouse. Posto pieno zeppo di turisti, cameriri messicani tutti con il cappelllo, servizio eccellente e veloce. Prezzi medi e buona qualità. Super consigliato! Anzi, non perdetelo! Abbiamo speso 43 dollari per 2 cowboy steak servite con insalata, pane, pannocchia, zuppa di fagioli e patata al cartoccio. Birra.

Sabato 21 agosto 2010 – Grand Canyon, Route 66

Sveglia alle 6, colazione in camera e alle 7.30 iniziamo già la discesa del trail consigliatoci dalla Ranger al visitor center (accompagnato da un “be safe!”) , il South Kaibab Trail. E’ leggermente più ripido del Bright Angel, meno battuto e decisamente più bello. Nonostante la stanchezza e le 2-4 ore indicate sulla mappa, noi alle 9 siamo già su pronti a ripartire. Almeno ci consola rispetto alla delusione del giorno prima.

Ci fermiamo a Tusayan per un caffè e, ovviamente, un irrinunciabile pancake per Jack. Spendiamo 10 dollari e via verso la prima tappa del giorno: Flagstaff. Una cittadina parecchio estesa, la guida dice a metà tra lo stile western e quello europeo. In effetti è uno strano mix, ma ci piace di primo impatto. Non scendiamo dalla macchia e ci dirigiamo vero verso Williams che mi colpisce molto, forse più di tutte. Terza tappa a Selignam prima di Kingman sulla Route 66. E’ un tragitto piacevole, nonostante i 101°F. Mi è parsa più autentica, più raccolta e ricca di fascino. A Kingman ci fermiano una notte al motel della catena Quality Inn, lo abbiamo scelto perché ha la colazione inclusa nel prezzo e il wifi. Ci piace molto, abbiamo una camera spaziosa e pulita. A cena andiamo da Mr D’z, poco lontano. Consigliatissimo! E’ un localino al chiaro di luna, tutto rosa e verde con il Juke-box. Delizioso, economico e buono. Io punto di nuovo sulla carne, è la specialità del giorno! E Jack… beh, indovinate? Spendiamo 33,75 dollari in totale.

Note curiose: abbiamo incontrato i due ragazzi con cui abbiamo fatto il trail al Bryce canyon e visto il tramonto al delicate arch.

Domenica 22 agosto 2010 – Direzione LA

Solita sveglia alle 7, ma la notte a Kingman è piuttosto afosa e ci svegliamo di continuo. Io mi sento enorme, eppure Jack mi dice nel sonno che sono magra. L’america fa questo effetto, la cosa un po’ di conforta ma non riesce comunque a farmi riaddormentare. Alle 6.30 giro intorno al motel in cerca del segnale per la connessione. Jack si sveglia affamato e la colazione del Quality Inn è davvero molto buona, c’è di tutto: dal pane tostato ai muffin, dal latte allo yogurt, dai cereali alle uova, patate e pancetta. Ci prendiamo anche un po’ di frutta per il viaggio e partiamo alla volta di LA.

Abbiamo abbandonato l’idea di passare per il Joshua Tree Park, non vogliamo rischiare di arrivare tardi, stanchi e sporchi a casa degli amici che ci ospiteranno. Abbiamo fatto bene, per arrivare a LA ci vogliono quasi 5 ore e il traffico in città è pazzesco in alcune ore del giorno.

Appena arriviamo a Los Angeles, Jack, il cinefilo della famiglia, vuole fare tappa in due luoghi che sogna da tempo. Grazie a un giro su internet e soprattutto al nostro navigatore, facciamo una deviazione di 50 chilometri per andare a vedere due location cult: il liceo Whittier ovvero la Hill Valley High Scholl di Ritorno al Futuro McFly e, tenetevi forte, la casa di Marty McFly, a Poicoma! Incredibile, sembra di stare nel film.

Euforici, attraversiamo Los Angeles, guidare in mezzo alle autostrade e uno spasso, e arriviamo in orario – alle 17 – a Manhattan Beach dove Natalie, la nostra amica, ci accoglie nella sua casa con grande ospitalità concedendoci una stanza con bagnetto tutto per noi. Fantastico, siamo sul mare… ed è tutto meraviglioso. A cena ci lasciamo portare dalla nostra coppia di amici in un posto dove Jack dice di aver mangiato finalmente uno dei migliori hamburger, di quelli veri. Il posto si chiama Hennessey’s Tavern e si trova ad Hermosa Beach. La carne è davvero ottima e i prezzi non sono eccessivi, in 4 spendiamo 74 dollari.

Nota curiosa: A Los Angeles guidare è stupendo, freeway a più non posso, ovviamente il navigatore è indispensabile! il gps sarebbe meglio impostarlo in lingua inglese, oggi per le risate sulla pronuncia di alcuni nomi abbiamo rischiato di schiantarci da qualche parte!

Lunedì 23 agosto 2010 – LA, Universal Studios

Oggi è la volta degli Universal Studios, pago io per tutti e due e spendo 150 euro in totale (più 20 dollari il parcheggio). Forse sono un po’ delusa, in effetti è un grande parco di divertimenti. La cosa che più mi ha emozionato è stato il tour del trenino sui vari set. Sono molto belli gli spettacoli dal vivo, uno che non si può assolutamente perdere è Water World. Ma non tirate fuori il cellulare o la macchina fotografica…Per il resto consigliamo le attrazioni come Simpson Ride, Terminator in 3d, Shrek e Indiana Jones. I classici.A pranzo mangiamo all’ottimo Pollo Loco all’interno degli Studios.

Nel pomeriggio decidiamo così di andare a Hollywood Boulevard. Il centro di Hollywood. Tanti turisti, una ressa perché c’è l’anteprima di un film con Drew Barrymore, e filiamo via dopo un’oretta. La macchina non la prendiamo e decidiamo di andare a mangiare nelle vicinanze.

Stasera ce ne andiamo prima a cena da Cheebo a Hollywood, su sunset street, gestito da un francese. E’ economico e mangiamo una pizza ottima. Finalmente una vera pizza servita su tagliere di legno. Subito dopo, grazie ancora al nostro fido navigatore, ci dirigiamo verso Mulholland Drive e ammiriamo il panorama di notte. È proprio come il film, è di certo la cosa più bella che ho visto oggi, uno sfarfallio di luci spalmate sullo sfondo nero della notte. Da conservare.

Martedì 24 agosto 2010 – Il nostro anniversario, ultimo giorno

Finalmente colazione da Starbucks prima di festeggiare il nostro primo anniversario. La mattina vogliamo visitare Los Angeleles downtown. Lasciamo la macchina e rimaniamo abbagliati dalla bellezza del Walt Disney Concert Hall realizzato da Frank Gehry. Poco più in là facciamo una capatina al vecchio quartiere spagnolo di El Pueblo e a Olvera Street. Dopo due ore riprendiamo la macchina in direzione del Getty Center, sulle colline. Da non confondere con l’altro, il Getty Villa, che si trova a Malibu. Il Getty Center è una piacevolissima sorpresa. Il museo è free, giusto il parcheggio costa 15 dollari ma ne vale davvero la pena. E’ un luogo in cui l’arte incontra la natura, a metà tra un museo e un parco. Dal parcheggio si arriva in cima alla collina con un mini-tram. Si respira una tale armonia che viene voglia di stendersi sull’erba a leggere un libro aspettando il tramonto. Da non perdere se siete a Los Angeles. Nel pomeriggio infine torniamo a Manhattan Beach e decidiamo di mangiare in un ristorante sotto casa. Sono le nostre ultime ore in America!

Mercoledì 25 agosto 2010 – Goodbye west coast

Dormiamo un paio d’ore. Perché la sveglia è alle 2 del mattino. Per fortuna siamo a pochi chilometri da LAX. Consegniamo la macchina alla Alamo (aperta 24 ore su 24) con un po’ di malinconia, una navetta ci porterà in aeroporto dove faremo colazione prima di imbarcarci sul primo volo per Charlotte, alle 5 e 30 del mattino. Atterriamo a Charlotte alle 15, ultimo muffin per me e ultimo hamburger per Jack… Roma è relativamente vicina. Siamo felici, stanchi e non vediamo l’ora di mangiare un piatto di pasta.

Tirare le fila

Ecco dunque il nostro racconto, a distanza di un anno i ricordi sembrano accendersi sempre di più. Non vi spaventate delle distanze e delle differenze, nella realtà è molto più facile a farsi che a dirsi.

Ecco le cose più belle secondo noi:

Bryce Canyon e il trail in mezzo ai Noodles

Antelope Canyon

Canyonlands

Zion Park, l’Angel’s Trail e la bellissima Springdale

Il giro a piedi lungo i colli di San Francisco. Da Chinatown alla Coit Tower

La visita alla prigione di Alcatraz

L’arrivo alla Death Valley da Lone Pine. Il deserto e i colori di Artist Drive

Una camminata sulla Strip di Las Vegas, davanti al Paris

Il tramonto sulla Monument Valley

Con il senno di poi:

E’ meglio Sequoia National Park o Yosemite? E’ la grande domanda che ci siamo posti prima di partire. Spesso si deve optare per uno o l’altro, noi abbiamo voluto vedere entrambi e alla fine ci ha colpito di più lo Yosemite

Grand Canyon: a meno che non decidiate di scendere giù sul Colorado e passare la notte, il Grand Canyon è una tappa da fare in giornata. Inoltre è una mezza fregatura dormire dentro il parco. Ecco un’altra delle massime di Jack: “il Grand Canyon è come visitare New York dalla cima dell’Empire State Building. Grande spettacolo, ma poi se vuoi vivere la città, in mezzo ai grattacieli ci devi andare”.

Death Valley: è talmente bella che il consiglio è di passare una notte a Furnace Creek. Noi non l’abbiamo fatto e ce ne siamo pentiti.

Las Vegas: noi per risparmiare abbiamo preso un motel, il consiglio è di spendere leggermente di più e prendete un albergo sulla strip (tipo lo Stratosphere).

Ecco quindi il nostro diario di bordo, ora tocca a voi. È un viaggio che non dimenticherete.

P.S. Se volete vedere alcune delle nostre foto eccovi l’indirizzo

Http://www.fotoup.net/000Pro/3043/the-best-of-the-west

Giacomo e Rosa

Guarda la gallery
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Bryce Canyon

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Antelope Canyon

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Monument Valley

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Yosemite Park, Tioga Road

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Alcatraz

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Death Valley



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