Scrittori per Caso: Il cavallo di Leonardo di Marco Caciolli, terza parte
Invano tentò di riprendere in mano la situazione: ogni tentativo finiva miseramente contro l’ostinazione del popolo del quale aveva tradito la fiducia; cercò anche di abdicare in favore del figlio, ma la Francia non ne voleva sapere.
La situazione era irrimediabile e lui lo sapeva, così come era consapevole che le truppe anglo-prussiane non avrebbero tardato ad arrivare.
Resosi quindi conto che ogni via d’uscita gli era preclusa e che di lì a poco sarebbe stato catturato, mandò a chiamare il suo aiutante più fidato, il giovane Framby e gli ordinò di recuperare dalle stanze del palazzo quante più opere possibile, quanti più tesori riusciva a trovare e di portare tutto al sicuro lontano dalla Francia.
Se lui doveva cadere nelle mani dei nemici, che almeno il frutto delle sue imprese trovasse la salvezza; ottenuta così finalmente un po’ di serenità, aspettò con grande dignità, tipica solo di un uomo par suo, di essere catturato dagli Inglesi.
E così, nello stesso momento in cui una nave inglese salpava verso sud per portare Napoleone in esilio sull’isola di Sant’Elena, un’altra imbarcazione, con il suo prezioso carico, si muoveva invece verso nord nell’indifferenza più totale.
Qualche giorno più tardi fu rinvenuto, nella dimora di Napoleone, il cadavere di un giovane con un pugnale nel petto; non vi erano tracce di lotta, tutto era in ordine e ogni possibile congettura portava sempre all’ipotesi del suicidio.
Fu ritrovato un biglietto con solo queste parole “Non resisto più! Il mio dovere l’ho compiuto” e niente altro. Si svolsero indagini, ma non si arrivò a nulla e alla fine, sepolto il corpo, tutto venne dimenticato.
Marzo 1934 Mare del Nord Erano ormai già trascorsi quasi due giorni da quando il transatlantico “Regina” era partito dal porto francese di Le Havre diretto alle isole Aleutine attraverso lo stretto di Bering.
La grande nave poteva sembrare a prima vista inadatta a solcare quei mari burrascosi e ricoperti di ghiaccio per la maggior parte dell’anno, eppure chi l’avesse osservata in navigazione si sarebbe reso conto della facilità con cui avanzava in quelle zone impervie.
Il “Regina” era stata costruita in un cantiere franco-italiano appena due anni prima, ma la sua strana forma affusolata e la sua capacità di raggiungere una velocità assai superiore alle gemelle del suo tempo, l’avevano già resa famosa con il soprannome di “Siluro di Mare”.
Per chi poi si fosse trovato a bordo, la nave appariva ancora più straordinaria. Tutto era studiato con la massima cura e non era stato risparmiato niente per rendere il suo interno il più lussuoso e confortevole possibile; era veramente un capolavoro di ingegneria, una nave che univa al confort e alla piacevolezza della navigazione un notevole margine di sicurezza e un’apprezzabile velocità di crociera.
Il comandante della nave, Hanry Lacona, era un trentenne robusto, con la pelle scura, i capelli scarmigliati e gli occhi di ghiaccio; aveva passato la vita navigando: nato in una famiglia povera e rimasto orfano fin dalla tenera età di otto anni, per non gravare sulle spalle del fratello maggiore che già lavorava, si era imbarcato come mozzo per guadagnarsi da vivere. La sua corporatura massiccia lo aveva aiutato molto e piano piano si era fatto strada salendo di grado in grado; il mare lo appassionava e non aveva mai rimpianto la vita dura che aveva dovuto trascorrere; le scelte che aveva fatto si erano sempre dimostrate valide, si era temprato ed adesso godeva i frutti di tutto quel sacrificio.
Era pomeriggio: il cielo era limpido all’orizzonte e nonostante il sole cercasse di riscaldare con i suoi raggi quel tratto di mare tra l’Inghilterra e la Norvegia, l’aria era fredda e pungente.
Lacona si trovava a prua in sala comandi con gli occhi fissi alla strumentazione: tutto appariva regolare, non c’erano state segnalazioni pericolose e le previsioni sembravano favorevoli; eppure non era tranquillo, sentiva che qualcosa stava per accadere, qualcosa ancora di indefinito, ma di molto vicino e raramente il suo istinto si sbagliava: era irrequieto, come un orso selvaggio.
La porta dietro di lui si aprì silenziosamente e sbucò il vice comandante, un giovane trentenne dall’aria smunta e gli occhi spenti: aveva la classica espressione annoiata di chi non dà mai peso alle situazioni e sembra sempre assente, con la mente altrove. Guardò Lacona per alcuni secondi, studiando la figura massiccia del capo, poi, sempre senza far rumore, gli si avvicinò, tenendo la mano destra dietro una sedia.
(continua) La Redazione